Spetta alle Sezioni Unite definire le attività tipiche del commercialista e del ragioniere (Cass. pen. n. 36951/2011)

Redazione 13/10/11
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. La Corte d’appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha confermato la condanna alle pena di due anni di reclusione e 300 Euro di multa, inflitta dal locale Tribunale a C.L. per i reati di truffa continuata (artt. 81 cpv. e 640 c.p., e art. 61 c.p., n. 11), falsità materiale continuata (artt. 81 cpv., 482 e 476 c.p.), abusivo esercizio di una professione (art. 348 c.p.), per avere abusivamente esercitato la professione di dottore commercialista. 2. La condanna per quest’ultimo reato è fondata sull’orientamento di questa Corte, secondo cui, “ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 348 c.p., (abusivo esercizio di una professione), sono atti rilevanti non solo quelli riservati, in via esclusiva, a soggetti dotati di speciale abilitazione, c.d. atti tipici della professione, ma anche quelli c.d. caratteristici, strumentalmente connessi ai primi, a condizione che vengano compiuti in modo continuativo e professionale, in quanto, anche in questa seconda ipotesi, si ha esercizio della professione per il quale è richiesta l’iscrizione nel relativo albo. Ne consegue che le attività contenute nella seconda parte della previsione di cui al D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, art. 1, (che disciplina l’ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale) che sono tipiche, e cioè riservate solo ai ragionieri e periti commerciali, non sono le sole rilevanti ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 348 c.p., in quanto esse comprendono anche quelle “relativamente libere” previste nella prima parte del succitato D.P.R. n. 1068 del 1953, art. 1, le quali integrano, comunque, l’esercizio della professione se poste in essere in modo continuativo, sistematico, organizzato e presentate all’esterno come provenienti da professionista, qualificato tecnicamente e moralmente e richiedono pertanto l’iscrizione nell’albo professionale” (Cass. Sez. 6 n 49/2003, rv. 223215, *************).

3. Ricorre per cassazione l’imputato che deduce, innanzitutto, l’erronea applicazione dell’art. 348 c.p., richiamando altro indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “non integra l’elemento oggettìvo del reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.) la compilazione delle denunce dei redditi e dell’IVA, atteso che queste attività non rientrano tra quelle riservate ai dottori commercialisti, e ai ragionieri ai sensi della L. 28 dicembre 1952, n. 3060, art. 1, lett. “a”, e del D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 1, dovendo considerarsi vietate solo quelle che, in deroga al principio costituzionale della libera esplicazione del lavoro sono riservate – da un’apposita norma – alla professione considerata (Cass. Sez. 6, n. 13124/2001, ******, rv 218306).

4. Effettivamente nella giurisprudenza di questa Corte, sussiste un risalente e non risolto contrasto tra due opposti filoni, già segnalato con relazione dell’Ufficio del Massimario n. 16/2003, redatta a seguito del deposito della sentenza “Notaristefano” sopra indicata, relazione che ha indicato le diverse sentenze espressive dei due indicati indirizzi.

5. Successivamente a quella data non sono intervenuti significati ulteriori interventi giurisprudenziali utili per la soluzione del contrasto, per cui al Collegio appare necessario rimettere la decisione della questione alle Sezioni unite, tanto più che il ricorrente assume a fondamento della corretta applicazione dell’art. 348 c.p., proprio l’orientamento giurisprudenziale non seguito dai giudici di merito.

P.Q.M.
La Corte rimette la decisione del ricorso alle Sezioni unite.

Redazione