Il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la disposizione che sia incompatibile con il diritto comunitario, particolarmente se costituisca una illegittima discriminazione fra diversi soggetti uomini e donne

Redazione 11/07/11
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Comm.Reg.Trib.Perugia

SENT. 21/03/2010  del 23/04/2010

(*************, Rel. **********)

Comm. Reg. Trib. Perugia Sez. 3

Collegio Presid. ********************

Giud. Rel-Est. ************************

Giudice Avv. **************

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il ******…… , nel 2003  concordava e riceveva dal datore di lavoro l’erogazione di un’ indennità per esodo anticipato dal lavoro, per un importo loro complessivo di € 43.000.

Sull’indennità di fine rapporto , venne applicata dal datore di lavoro   un’aliquota fiscale ai fini dell’IRPEF pari al 22,38% sulla somma corrisposta  e una aliquota pari al 28,17% sulla somma di € 3.901,00, anziché una aliquota ridotta alla metà ( 50%) secondo il regime tributario previsto dall’art. 17, comma 4 bis, del D.P.R 22 dicembre 1986, n 917 , come modificato dal Dlgs  2 settembre 1997, n 314, diventato art. 19 del medesimo D.P.R in seguito al Dlgs 12 dicembre 2003, n 344 dicembre 2003;

Il contribuente , lavoratore con età compresa tra i 50 e i 55 anni,  sentendosi aggravato da una tassazione maggiore di  € 9.849,26, anziché quella con aliquota ridotta del 50%  pari a  € 4.924,63 , quest’ultima  prevista per i lavoratori uomini con più di 55 anni e per le lavoratrici donne con più di 50 anni,alla data di cessazione del rapporto e prevista dal D.Lgs. 18 febbraio 2000 n 47 e successive integrazioni, inoltrò in data 16/06/2006,richiesta di rimborso della maggiore somma, all’Agenzia delle Entrate di Perugia , rimborso che gli venne negato.

Con ricorso depositato il 23/11/2006, il Sig.……..,citando la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, C-207/04, affermava che la Corte ha dichiarato che la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento per le condizioni di lavoro fra gli uomini e le donne, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una norma quale quella controversia nella causa principale che consente, a titolo di incentivo all’esodo, il beneficio della tassazione con aliquota ridotta alla metà delle somme erogate in occasione dell’interruzione del rapporto di lavoro ai lavoratori che hanno superato i 50 anni, se donne, e i 55 anni, se uomini.

Afferma altresì che ,alla luce della citata sentenza, l’art. 17 (ora art 19) del D.P.R. n 917/1986 della normativa italiana, deve considerarsi automaticamente disapplicato, laddove fa dipendere l’applicazione dell’aliquota ridotta al 50% del TFR, dalla differente età per i lavoratori uomini e donne.

L’Agenzia dell’Entrate , costituendosi in giudizio, resisteva,  sostenendo che la norma nazionale in questione , successivamente alla suddetta sentenza, è stata oggetto di espressa abrogazione dell’art. 36 co. 23 del D.L. 223/06 , per cui di fatto non può, ad oggi, essere invocata la disapplicazione di una norma che non è più in vigore.

Con detta modifica il legislatore ha, in sostanza, rimosso qualsiasi contrasto della normativa nazionale con la normativa comunitaria ma  che però, a tutela dei diritti di coloro che avevano già contrattato un piano incentivato di esodo la stessa norma ha previsto in deroga che : ” La disciplina di cui al predetto comma 4-bis continua ad applicarsi con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati prima della data di entrata in vigore del presente decreto. “.

Osservava inoltre che la pronuncia della CE, non può avere effetti diretti ed immediati sulla disposizione nazionale in questione, una volta che questa sia stata adeguata allo stesso principio enunciato e con ciò si sia, di fatto, rimossa la dichiarata incompatibilità tra disposizione interna e direttiva comunitaria.

I giudici di primo grado, respingevano  il ricorso, ritenendo facoltativo e comunque non un obbligo ,la richiesta di pronuncia  pregiudiziale alla Corte di Giustizia (art.234 Trattato U.E.),  sulla questione in discussione sollevata dalla parte.

Ritenevano altresì  non  consentito al giudice nazionale disapplicare una norma emanata dal Legislatore che,come nel caso in esame, ha tenuto conto della sentenza della Corte di Giustizia U.E. che eliminando la disparità ha fissato comunque un limite temporale sulla base di un criterio normativo importante dettato dall’art.11 delle disposizioni sulla legge in generale (non retroattività).

Con appello depositato il 7/01/2008 , il contribuente, chiedeva la completa riforma della sentenza impugnata emessa dai primi giudici con l’accoglimento dell’appello , la condanna delle spese di giudizio oltre al  risarcimento del danno subito  da parte dell’Agenzia  delle Entrate di Perugia.,ravvisando nella resistenza dell’Ufficio,  la fattispecie della lite temeraria di cui all’art. 96 cpc.

Giudicando infatti la pronuncia della sentenza, carente nell’iter logico seguito , e incongrua e contraddittoria ,ritiene con articolata motivazione,  non necessario il rinvio pregiudiziale d’interpretazione previsto dall’art.234 del Trattato UE al caso in questione, in quanto palesemente contrastante la norma nazionale prevedendo  una tassazione differenziata sul TUIR basata semplicemente sul sesso, discriminando cioè gli uomini dalle donne , contrastando con la norma comunitaria sorretta da  giurisprudenza  favorevole all’appellante,

Con riferimento invece all’efficacia temporale della norma comunitaria richiamata e  messa in discussione dall’Ufficio e dai primi giudici , afferma che la sentenza emessa dalla Corte europea C-207/04 sull’argomento,  ha interpretato favorevolmente la  Direttiva comunitaria  e come tale , avendo valore ex tunc   si estende ai rapporti sorti in epoca antecedente alla pronuncia della sentenza interpretativa  della corte medesima.

Pertanto per il caso in questione , non vale la regola del “ tempus regit actum” che riguarda la successioni delle leggi nel tempo.

Costituendosi l’Agenzia delle Entrate  all’appello , ritiene con memoria che la decisione impugnata non sia meritevole di alcuna censura e che pertanto vada confermata.

Ribadisce che la invocata disparità di trattamento fiscale delle somme percepite ad incentivo per l’esodo tra lavoratori uomini e donne , è stata già oggetto di correzione da parte del legislatore con  l’art. 36 comma 23 del D.L. n. 223/06  che ha abrogato il comma 4 bis dell’art 17, ora 19, del D.P.R. 917/86 introducendo una disposizione transitoria per salvaguardare i diritti dei lavoratori per i quali il rapporto di lavoro era cessato per effetto di accordi sorti prima della entrata in vigore del decreto.

Osserva inoltre che la pronuncia della  sentenza della Corte di Giustizia richiamata dalla controparte, non può avere effetti diretti , immediati e retroattivi sulla disposizione nazionale in questione, una volta che questa sia stata adeguata allo stesso principio enunciato e con ciò si sia, di fatto, rimossa la dichiarata incompatibilità tra disposizione interna e direttiva comunitaria e dovendosi pur sempre applicare il principio secondo cui “tempus regit acta”.

MOTIVI DELLA DECISIONE – DIRITTO

Il Collegio, con seduta in camera di consiglio, ritiene fondato il ricorso del contribuente e meritevole di accoglimento l’ appello.

L’integrazione degli Stati Europei , ha portato automaticamente ad incidere i rapporti tra giudice nazionale ed organi giurisdizionali europei , tanto che ormai si deve parlare sempre più  di un “Giudice dell’Europa” con aspetti si di collaborazione tra le varie legislazioni nazionali , ma anche di giusta osservanza della gerarchia giurisdizionale sia nell’interpretazione e nell’ applicazione del diritto comunitario.

 Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che deve essere letta la controversia  in questione.

Sicuramente la  materia tributaria e’ quella su cui hanno maggiormente inciso le direttive e gli atti comunitari in genere , diventando un  ambito privilegiato sul quale  e’ chiamato a cimentarsi , quale dominus,  il giudice tributario

Il Collegio , al fine di delineare un quadro concettuale di riferimento  che  consenta  di arrivare in modo più spedito, comprensibile e trasparente alle risposte delle domande richieste dalle parti  in causa , schierate su posizioni contrapposte  ,  ritiene opportuno fare un breve “escursus” preliminare , sia in termini di nomenclatura richiamata dal diritto tributario europeo, quali i Regolamenti, le Direttive, le sentenze della Corte di Giustizia europea e non ultimo una analisi della  giurisprudenza creatasi sulla questione, non sempre concorde.

Esiste oramai un  potere di disapplicazione  della  Norma nazionale,sulla base di  una  supremazia del diritto comunitario , attraverso i regolamenti , le direttive e le sentenze della Corte di Giustizia Europea ,fornendo quest’ultime la  interpretazione autentica delle Direttive medesime , individuando di fatto la norma interna incompatibile  e autorizzando il  giudice nazionale a disapplicare la disposizione confliggente ,sia essa di emanazione anteriore ovvero  successiva a quella comunitaria.

Del resto l’esercizio di questo potere trova  in parallelo  sul piano  processuale tributario , l’art.7 del Dlgs 546/92 , quando stabilisce che “ le Commissioni tributarie se ritengono illegittimo un regolamento od un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano in relazione all’oggetto dedotto in giudizio”.

Ovviamente è un riconoscimento questo,di un potere generale di  disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo con una efficacia limitata al giudizio in corso (“incidenter tantum”) salvo le eventuali questioni pregiudiziali  poste all’attenzione della Corte di Giustizia  sull’applicazione delle Direttive comunitarie  e  che costituiscono veri  contenziosi  a tutti gli effetti dietro esplicita domanda di una delle parti  (art.234 del Trattato dell’unione europea).

Si tratta, comunque per quest’ultimo caso  di esercizio “facoltativo”  per il giudice nazionale di  prima istanza e quindi per le Commissioni tributarie Provinciali e Regionali, mentre diventa invece “obbligatorio” per il giudice nazionale di ultima istanza quale la  Corte di Cassazione, a meno che la norma di cui trattasi  risulti  chiara o trattasi di questione identica ad altra già sollevata , sulla quale già esista giurisprudenza consolidata  da parte della stessa Corte di Giustizia, come per il caso in questione.

Un altro passaggio importante  per definire la questione di cui trattasi , riguarda il diritto comunitario derivato che  comprende un insieme  di atti giuridici adottati dalle istituzioni comunitarie, nei limiti delle competenze e con gli effetti che il Trattato dell’Unione Europea sancisce.

Sono atti, quest’ultimi , destinati ad incidere in modo rilevante sugli ordinamenti giuridici interni e sulle posizioni giuridiche dei singoli Stati, spesso senza che occorra un intervento formale del legislatore nazionale.

Altre volte occorre imporre agli Stati membri un’attività normativa, come di fatto è avvenuta al caso in questione , per precisare o integrare obbligazioni delineate dall’atto comunitario , lasciando alla discrezionalità degli Stati membri quanto alla determinazione definitiva del suo contenuto.

Proprio l’art. 249 del Trattato CE,  sancisce la tipologia degli atti a mezzo dei quali le istituzioni comunitarie esercitano le competenze loro attribuite , comprendo  tra gli atti vincolanti, i Regolamenti, le Decisioni, le Direttive.

Mentre il Regolamento  e’ un atto legislativo di portata generale ed astratta dotato di obbligatorietà integrale diretta nel territorio degli Stati producendo effetti immediati ed attribuendo ai cittadini diritti tutelabili davanti ai giudici nazionali, la Direttiva comunitaria è uno strumento di armonizzazione a cui le istituzioni comunitarie maggiormente ricorrono in materia tributaria e costituisce  invece un atto obbligatorio  rivolto allo Stato circa al risultato da raggiungere  ma con forme e mezzi rimessi alla discrezionalità dello Stato medesimo.

In proposito , la Corte di giustizia Europea ha puntualizzato che se la  Direttiva risulta dettagliata e particolareggiata , con contenuto cioè precettivo ,chiaro, preciso,incondizionato assume effetto diretto con possibilità del privato di farla  valere contro lo Stato ed al  giudice di applicarla immediatamente, opponendola alla  norma interna incompatibile con un cosiddetto “effetto verticale” mentre invece non  è  immediatamente operativa   nei rapporti tra privati “effetto orizzontale”.  

E rientra nel  caso di cui trattasi, la possibilità del contribuente di far valere la Direttiva enunciata , contro la legge dello  Stato , non completamente adeguatasi, con effetto diretto

Sulla questione infatti  di cui si discute, – parità di trattamento tra uomini e donne sull’indennità di esodo anticipato – e che fanno capo sostanzialmente alle due direttive Comunitarie e : Direttiva 76/207/CEE del 9 febbraio 1976  ( art.3,5,7 ) e Direttiva 79/7/CEE del 19 dicembre 1978 ( art.7 e 8)  , sono state proposte questioni pregiudiziali  alla Corte di Giustizia Europea , da parte di giudici tributari nazionali ( vedi CTP di Novara e CTP di Latina ) circa l’art.17,comma4 bis del D.P.R n°917/86 , se  violi ,contrasti o comunque crei condizioni di disparità di trattamento fiscale tra uomo e donna in virtù dell’età (50 anni per le lavoratrici  donne e 55 anni per i lavoratori uomini ), vietate dall’ art.141 del Trattato UE .

Le risposte della Corte di giustizia Europea, sulle pronunce pregiudiziali  richieste sulla questione ,  sono state fornite in modo chiaro ed imperativo,  con la  sentenza C-2007 /04 del 21 luglio 2005.

Mentre si lascia la facoltà e la discrezionalità ali Stati membri di escludere l’ eccezione di discriminazione del limite di età fondata sul sesso per la concessione della pensione di vecchiaia e di fine lavoro , non si ammette l’eccezione della discriminazione fondata sul sesso ad una agevolazione fiscale , quale quella di cui  trattasi.

L’affermazione viene, ulteriormente rafforzata ed estrinsecata con l’ordinanza della Corte di Giustizia Europea del 16 gennaio 2008, nei procedimenti riuniti C-128/07 – C-131/07, dove viene  in modo imperativo affermato che , qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore , che  deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria.

In particolare , viene affermato in modo rafforzativo che ,  come  conseguenza di quanto già deciso dalla stessa  Corte Europea  , al punto 33 del procedimento di  causa C-207/04 con sentenza del 21 luglio 2005 ,  che la  deroga prevista dall’art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 79/7 non è applicabile ad una misura fiscale quale quella di cui all’art. 17, n. 4 bis del DPR n. 917/86.

Ciò detto  e per quanto premesso ,  nel caso di specie trattandosi di diritto comunitario derivato , essendo  le Direttive comunitarie citate ad effetto verticale,  per essere state  armonizzate e interpretate dalle  sentenze della Corte di giustizia Europea  , esso  è immediatamente applicabile  gerarchicamente sugli  ordinamenti nazionali e quindi anche al  nostro con riferimento alla norma di cui trattasi.

Ciò  comporta la disapplicazione della normativa incompatibile nazionale citata , in quanto ancora discriminante, se applicata al caso e comunque  peggiorativa, con l’accoglimento di quanto denunciato dal contribuente al fine di rendere effettivo il principio di uguaglianza , come previsto anche dalla nostra Costituzione ( art.3) , facendo godere degli stessi benefici , indipendentemente dal sesso, sul piano del trattamento fiscale.

Del resto,anche la Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell’Agenzia delle Entrate , attraverso la circolare n.62/E emanata ,  ha riconosciuto il limite inserito all’adeguamento normativo del legislatore nazionale rispetto alla direttiva comunitaria, interpretata dalla Corte di G.E,

Tant’è  che la stessa Direzione Centrale ha invitano le Agenzie delle Entrate  periferiche a riesaminare caso per caso, secondo i criteri esposti nella presente circolare, il contenzioso pendente nella materia in esame e se ne ricorrono i presupposti, a provvedere – se del caso previa esecuzione del rimborso richiesto – al relativo abbandono secondo le modalità di rito.  

Con riferimento poi alla richiesta di risarcimento da parte del contribuente per il danno subito dall’Agenzia  delle Entrate di Perugia.,ravvisando nella resistenza dell’Ufficio la fattispecie della lite temeraria di cui all’art. 96 cpc. e art.2043, questo Collegio oltre a ritenere non meritevole la questione stante la peculiarità della controversia sia nella novità che nella obbiettiva difficoltà  interpretativa  delle norme di diritto  comunitario che né rendono giustificata l’incertezza , reputa improponibile la domanda per difetto  di giurisdizione, non potendo tale tipo di controversia sussumersi in una delle fattispecie tipizzate, di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992, attributive della giurisdizione esclusiva delle Commissioni Tributarie.

La sola previsione degli “ altri accessori ” comma 1 art.2 non è di per sé sufficiente a radicare la giurisdizione esclusiva del giudice tributario anche alle controversie sul risarcimento del danno per comportamento illecito dell’Amministrazione finanziaria.

Infatti, per “ accessori ” devono intendersi esclusivamente gli aggi dovuti all’esattore, le spese di notifica, gli interessi moratori ed al limite il maggior danno da svalutazione monetaria .

E’ vero , comunque, che l’attività della p.a., anche nel campo tributario, deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma primaria del non ledere alcuno “neminem laedere”, per cui è consentito al giudice ordinario semmai accertare se vi sia stato da parte della stessa Amministrazione un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo e la eventuale  colpa della Pubblica Amministrazione, per avere la stessa violato non solo le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, significativamente richiamate anche dalla recente Legge n. 212 del 27 luglio 2000 (c.d. Statuto del contribuente).

Stante la peculiarità della questione sia nella novità e nella obbiettiva difficoltà  interpretativa  delle norme di diritto  comunitario, si ritiene  equo compensare le spese di giudizio.

                                         P.Q.M.

In riforma della sentenza appellata , condanna l’Agenzia delle Entrate di Perugia al rimborso richiesto dal contribuente oltre interessi ; spese di entrambi i gradi compensati.

Perugia ,  23 Aprile  2009

Il Presidente del Collegio: *******  ******* 

Il Giudice Relatore-Estensore: ******************

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