Violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo

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La violenza sessuale è reato comune a forma vincolata previsto e punito dall’art 609-bis cp.

La norma in questione è contenuta nella sezione II, all’interno del Capo III, del Codice penale, rubricata “Dei delitti contro la libertà personale”: questa disposizione sistematica fornisce una chiara indicazione del bene giuridico protetto, la libertà individuale.
La libertà individuale ha, come suo necessario corollario, la libera autodeterminazione di un individuo[1], la quale ne involge naturalmente anche la sfera sessuale.

La disposizione disciplina due distinte forme di realizzazione della fattispecie tipica: si suole parlare di violenza sessuale per costrizione e violenza sessuale per induzione.

Violenza sessuale per costrizione

Trattasi di violenza sessuale per costrizione quando il delitto è realizzato mediante il costringimento operato nei confronti di taluno a compiere o subire atti sessuali a seguito di violenza, minaccia o di abuso di autorità: la fattispecie in esame è disciplinata dal comma 1 del già menzionato articolo.

In quest’ipotesi l’elemento oggettivo richiede due elementi costitutivi: il contatto fisico tra soggetto attivo e soggetto passivo; l’uso di minaccia, violenza o abuso di autorità da parte dell’autore.
Circa il primo elemento è pacifico in dottrina[2] e giurisprudenza che sia sufficiente anche il mero contatto lascivo con le parti pudende del soggetto passivo attuato contro la volontà di questi, pur non essendo finalizzato alla consumazione di un rapporto sessuale completo: in questa direzione si è orientata la Suprema Corte di Cassazione con alcune storiche sentenze[3], basti pensare alla n. 37395 del 2004 con cui si è ritenuto che anche la semplice pacca sul sedere possa integrare il reato di violenza sessuale.
Per quel che concerne il secondo elemento, la connotazione di autorità è stata al centro di un acceso dibattito: una tesi restrittiva limita la portata della nozione di autorità, intendendola in senso formale e pubblicistico[4]; una tesi estensiva[5], adottata poi anche dalle SS.UU. della Corte di Cassazione con sentenza n. 27326 del 2020, ricomprendeva nella categoria in questione tanto le autorità pubbliche tanto quelle private.

Violenza sessuale per induzione

Nell’ipotesi di violenza sessuale per induzione si fa riferimento alle due fattispecie disciplinate dai n. 1) e 2) del secondo comma dell’articolo di cui sopra.
Nell’ipotesi di cui al n. 1) l’elemento oggettivo richiede l’elemento costitutivo della violenza si realizzi mediante l’abuso di una condizione di inferiorità psichica o fisica della persona offesa al momento del fatto; il n. 2) richiede, come forma di realizzazione della violenza, che sia perpetrato un inganno a danno della persona offesa attraverso la sostituzione del soggetto attivo ad altra persona.

Entrambe le forme di realizzazione del fatto-reato richiedono, quindi, due elementi essenziali comuni: il contatto corporeo tra i soggetti coinvolti e un consenso non liberamente e pienamente formatosi della persona offesa: è evidente la ratio della norma di tutelare la libertà di autodeterminazione sessuale dell’individuo.

Elemento soggettivo

Per quel che concerne l’elemento soggettivo, è pacifico in dottrina e giurisprudenza che si tratti di un delitto a dolo generico, non rilevando, sotto un profilo causale, una relazione teleologica tra i motivi che hanno determinato la condotta e il fine stesso della condotta.

Natura del reato

Circa la natura del delitto de quo vi è un acceso dibattito: l’orientamento prevalente lo riconduce nello schema dei reati d’evento[6], quello minoritario lo qualifica come reato d’azione.

I sostenitori della prima tesi affermano che, perché si possa configurare il delitto di violenza sessuale, sia necessaria una costrizione o un’induzione cui segue l’immediato evento dell’intrusione nella sfera intima della persona offesa mediante un contatto fisico[7].
Secondo un’altra impostazione la violenza è insita nel contatto fisico intrusivo e non richiederebbe necessariamente una condotta prodromica e, pertanto, qualificano la violenza sessuale come reato d’azione.

Configurabilità del tentativo

Importanti conseguenze circa l’adesione alla prima o alla seconda tesi attengono alla possibilità di configurare o meno l’ipotesi di un tentativo: se si aderirà alla prima posizione, il tentativo sarà certamente configurabile quando si è in presenza di più atti coordinati e finalizzati allo scopo lesivo; se si aderirà alla seconda tesi, l’indagine sul tentativo risulta superflua, perché ogni contatto intrusivo già di per sé perfeziona il delitto, determinandone la consumazione.

Concorso di persone e violenza sessuale di gruppo

Problematica la questione della configurabilità del concorso di persone nel reato di violenza sessuale ex art. 609-bis cp, dal momento che esiste, infatti, un’apposita norma, l’art. 609-octies cp, la quale prevede un’autonoma fattispecie di reato plurisoggettivo a concorso necessario: la violenza sessuale di gruppo.

Violenza sessuale di gruppo

La violenza sessuale di gruppo richiede, sotto il profilo dell’elemento oggettivo, due elementi: la partecipazione di più persone riunite e gli atti di violenza di cui all’art. 609-bis cp.
Sorge, quindi, la necessità di definire la portata delle locuzioni “partecipazione” e “più persone riunite”.

Partecipazione

Per quanto attiene all’elemento della partecipazione, la norma sembra richiedere che vi sia una comunione d’intenti tra i concorrenti, determinata e finalizzata alla realizzazione della violenza sessuale, richiamando implicitamente l’art. 110 cp.

Valgono, dunque, per la partecipazione alla violenza sessuale di gruppo, alcune considerazioni generali sul concorso di persone per il reato-base di violenza sessuale: per il perfezionamento del reato non occorre che la condotta criminosa sia realizzata per intero da uno o più concorrenti; inoltre, i singoli comportamenti, che rispetto alla condotta criminosa tipizzata dal reato-base monosoggettivo risulterebbero atipici, divengono tipici rispetto alla fattispecie penale in forma concorsuale, il quale assurge a nuova e autonoma fattispecie di reato, purché abbiano contribuito alla commissione del reato in accordo alla teoria condizionalistica[8].

In questo solco, tuttavia, s’innesta, per poter stabilire se la condotta del concorrente sia punibile a titolo di concorso, l’antica diatriba che vede, da un lato, i sostenitori di una teoria condizionalistica rigida e, dall’altro, i sostenitori della teoria della causalità agevolatrice.
Secondo i primi è necessario che si riproduca integralmente la disciplina dell’accertamento del nesso di causalità anche in materia di concorso di persone, finendo per escludere la punibilità per quelle condotte che non risultano necessarie per la commissione del reato ma che hanno una mera funzione di agevolazione dello stesso.
I sostenitori della teoria della causalità agevolatrice[9] ritengono che nel concorso rilevino non solo quelle condotte mentalmente ineliminabili ai fini della realizzazione del fatto, ma anche quelle che abbiano il solo effetto di aver agevolate le prime in qualsiasi modo. Quest’impostazione, tuttavia, presenta l’ulteriore criticità di escludere la punibilità delle condotte inutili o dannose per la realizzazione del reato: sono state elaborate due nuove prospettive teoriche, le cd. teorie della prognosi postuma, una consistente in un giudizio ex ante sul carattere necessario o agevolatore delle condotte in concreto risultate inutili o danno per la realizzazione della fattispecie criminosa, l’altra consistente in una verifica ex post e in concreto dell’incidenza del comportamento dei concorrenti sulla commissione del reato.
La Suprema Corte di Cassazione si è orientata aderendo alla teoria della causalità agevolatrice, optando per la riqualificazione del contributo materiale inutile o dannoso come forma di concorso morale nel reato, come si evince da alcune importanti sentenze, tra cui la n. 36482 del 2011 e la n. 36125 del 2014: soluzione questa che sembra convincere per la sua utilità sotto un profilo pratico, più che sotto una prospettiva teorica dogmatica.

In relazione alla partecipazione, si rende, poi, necessario compiere un’indagine circa l’elemento soggettivo: è stato ben affermato in dottrina che, nelle ipotesi di concorso di persone, permane la necessità che in capo a ciascun concorrente sussistano i presupposti della colpevolezza e l’elemento soggettivo previsto dal legislatore, al fine di poterne affermare la responsabilità penale: è necessario che i singoli concorrenti siano consapevoli della commissione del fatto in concorso di più persone al fine di coordinare le proprie condotte.

Sorge, però, una questione circa la condotta penalmente rilevante che sia posta in essere solo da uno o da alcuni dei concorrenti, mentre gli altri si limitano a tenere condotte strumentali o comunque secondarie rispetto alla realizzazione del fatto tipico: in particolare si pone una problematica in relazione alla necessità che ciascun concorrente sia consapevole e intenda commettere il reato in concorso con le altre persone che vi prendono parte sul piano materiale.
Secondo una tesi minoritaria, solo quando tutti i concorrenti siano al corrente che vi sia una pluralità di persone e intendano procedere in concorso con queste alla realizzazione del reato, si potranno ravvisare gli estremi del concorso di persone: da ciò discende che, se uno dei concorrenti non è consapevole della compartecipazione degli altri soggetti, non gli sarà imputabile la fattispecie criminosa concorsuale.
La Corte di Cassazione, viceversa, con la pronuncia a Sezioni Unite n.31 del 2001 sposa la tesi per cui non “sia necessaria la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la consegue essa può manifestarsi come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro”: pertanto, risulterà sufficiente la consapevolezza e volontà del solo concorrente rispetto alla condotta dell’autore materiale, pur essendosi limitato ad agevolare la commissione del fatto, perché ne risponda in concorso con questi.
Aderendo, quindi, a quest’impostazione della Cassazione è ben configurabile anche l’ipotesi del concorso esterno nel reato di violenza sessuale, come ad esempio nel caso in cui un soggetto metta a disposizione la propria abitazione per consumare il delitto senza prendervi parte, dal momento che altrimenti non potrebbero assumere rilevanza penali tutte quelle condotte strumentali alla consumazione del delitto.

Contestualità

Secondo elemento costitutivo della violenza di gruppo è il requisito della contestualità: affinché si integri la fattispecie criminosa tipica prevista dall’art. 609-octies è richiesto che gli autori siano simultaneamente ed effettivamente riuniti presenti nel luogo e nel momento della consumazione, in un rapporto causale inequivocabile. Non è necessario, tuttavia, come è stato esplicitato dalla Cassazione con sentenza 11560/2010, che “le più persone riunite commettano tutte atti di violenza intimidatori nei confronti della persona offesa essendo sufficiente che la loro consapevole presenza, ove non risulti meramente passiva, rafforzi il proposito criminoso dell’abusante e costituisca elemento di dissuasione per la stessa vittima dall’intento di opporre resistenza, riducendo la possibilità di difesa”.

Concorso di persone nel reato monosoggettivo di violenza sessuale

È proprio l’elemento della contestualità a dirimere la querelle circa la configurabilità di un concorso ex art. 110 cp nel reato-base di violenza sessuale previsto all’art. 609-bis cp: laddove vi sia simultanea ed effettiva compresenza si rientrerà nel campo di applicazione dell’art. 609-octies e ci si troverà in presenza di una violenza sessuale di gruppo; laddove manchi il presupposto della contestualità opereranno le norme in materia di concorso di persone e si configurerà un concorso eventuale di persone nel reato in forma monosoggettiva di violenza sessuale disciplinato dall’art. 609-bis cp.
Tale soluzione, che par essere quella preferibile, è stata avallata anche dalla giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione[10], la quale ha ribadito che la sussistenza del requisito della contestualità rappresenti, appunto, il discrimen tra le due fattispecie e l’indagine di questo costituisca il criterio interpretativo da seguire al fine di stabilire se ci si trovi nel campo di operatività del 609-octies o nel campo di applicazione delle norme sul concorso di persone e del 609-bis.

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Note

[1] Vd. F. Caringella, A. Salerno, A. TrinciManuale ragionato di diritto penale parte speciale”, 2020.

[2] Vd. G. Fiandaca, E. MuscoDiritto penale, Parte Speciale, Vol. II, Tomo Primo”, 2013; G. Ambrosini “Le nuove norme sulla violenza sessuale”, 1997.

[3] Vd. Snt. Cass. n. 7772/2000; Cass. 44480/2012; Cass. 24683/2015.

[4] Vd. Snt. Cass. n. 13/2000.

[5] Vd. A. Cadoppi, “Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia”, 2006.

[6] Vd. F. Antolisei, “Manuale Di Diritto Penale, Parte Speciale”, 2003.

[7] Vd. F. Mantovani, “Diritto Penale. Parte speciale: i delitti contro la libertà e l’intangibilità sessuale”, 1998.

[8] Vd. F. Caringella, A. Salerno, “Manuale ragione di diritto penale”, 2020.

[9] Vd. F. Caringella, F. Della Valle, M. De Palma, “Manuale di diritto penale – Parte generale”, 2020.

[10] Vd. snt. Cass. n.23988/2011

Vincenzo Francesco Mercurio

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