Violazione di sepolcro e delitti contro i cadaveri

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Introduzione

Aprendo il capo II del titolo IV del codice penale possiamo trovare i delitti contro la pietà dei defunti, secondo Manzini questa categoria di delitti viene a identificarsi come “uno dei più antichi, profondi e gentili sentimenti, di carattere quasi istintivo, che si impone, generalmente, anche agli esseri più insensibili e malvagi. 1

E’ opportuno, dunque, definire il termine pietà: il suo significato corrisponde al termine latino pietas cioè “l’amore riverente dovuto all’entità che trascendono la vita dei singoli e che per tale riflesso si impongono al nostro rispetto e, potrebbe anche dirsi, alla nostra venerazione”.2

Si può evincere, quindi, che la pietas non è da considerare come strumento di difesa della religio, cioè del sentimento religioso, ma quanto come sentimento umano che “continua ad accompagnare i morti, indipendentemente dalla credenza religiosa degli uomini che li venerano.”3

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1 V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. VI, XV ed., Torino, 1983, p. 72;

2 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale – II, XV ed. a cura di C. F. GROSSO, Giuffrè, Milano, 2008, p. 228;

3 G. FIANDANCA, E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. I, IV ed., Zanichelli, Bologna, 2007, p. 450.

La violazione di sepolcro

Passiamo ora ad analizzare le fattispecie criminose.

L’art. 407 c.p. recita: “Chiunque viola una tomba, un sepolcro o un’urna è punito con la reclusione da uno a cinque anni.”; dalla lettura dell’articolo in oggetto s’evince che il bene giuridico da tutelare è la pietà dei defunti; infatti, secondo la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 34145/2003 afferma che “In tema di violazione di sepolcro, la sussistenza del reato non è esclusa dalla circostanza che il sepolcro, la tomba o l’urna oggetto della violazione non si trovino in un cimitero consacrato, posto che la fattispecie di cui all’art. 407 c.p. tutela il sentimento della pietà verso i defunti, il quale è suscettibile di offesa a prescindere dalla situazione in cui si trova il luogo violato.”4

La visione giurisprudenziale, dunque, tende a garantire maggior tutela per il luogo dove riposano i resti di una persona e a questo proposito è opportuno chiarire i termini di tomba, sepolcro e urna: il primo e il secondo termine, ad avviso della dottrina maggioritaria5, sono da ritenersi sinonimi ed indentificano qualsiasi luogo finalizzato a dare riposo ai cadaveri; il terzo, invece, identifica le cassette dove saranno costudite le ceneri del defunto.

Dalla lettura dell’articolo emerge il verbo violare: secondo la Cassazione il termine violazione applicato ai delitti contro la pietà dei defunti deve essere inteso sia in senso materiale, cioè profanare un sepolcro, sia in senso normativo poiché “non ogni alterazione vale ad integrare l’elemento materiale del reato, ma solo quella che lede l’interesse giuridico tutelato dalla norma e cioè il sentimento di pietà verso i defunti.6

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4 A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, Commentario breve al Codice Penale – Complemento giurisprudenziale, X ed., 2009, CEDAM;

5  G. FIANDANCA, E. MUSCO, op. cit., p. 452 e F. ANTOLISEI, op. cit., p. 229;

6  Sentenza della Corte di Cassazione n. 690/1971, A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, op. cit.

La violazione presuppone, dunque, il dolo generico ovvero la coscienza e volontà del fatto suscettibile d’offesa della pietà dei defunti.

Strettamente collegato all’art. 407 c.p. è l’articolo 408 che recita così: “Chiunque, in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, commette vilipendio di tombe, sepolcri o urne, o di cose destinate al culto dei defunti, ovvero a difesa o ad ornamento dei cimiteri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.”; s’evince automaticamente che il bene giuridico da tutelare è, nuovamente, il sentimento di pietà verso i defunti contro il vilipendio di specifici oggetti di culto.

Cosa significa vilipendio?

“[…] un’espressione verbale o scritta, o in un atto oltraggioso (ad es. sputo) che esprima disprezzo.7 a questa definizione magnificamente fornitaci da Antolisei bisogna aggiungere, secondo il mio punto di vista, anche il danneggiamento e le incisioni sul luogo di sepoltura.

In merito a quanto detto sopra è utile citare la sentenza n. 2949/1985 della Corte di Cassazione che afferma: “E’ ravvisabile il delitto di vilipendio delle tombe nel fatto volontario e cosciente di chi intenda esternare il proprio dispregio su cose poste nei luoghi destinati a dimora delle persone decedute ed aventi la funzione di richiamare e ricordare la pietà dei defunti, danneggiandole, lordandole o imprimendovi segni grafici vilipendiosi o anche rimuovendole in tutto o in parte ed eventualmente sostituendole con altre diverse per significato, origine e rilevanza sociale, anche se abbia ciò fatto per arrecare offesa non al defunto, ma alla persona che aveva fatto sistemare la tomba per onorare e ricordare il defunto.8

Ad avviso della dottrina maggioritaria9 il vilipendio può essere di due fattispecie: il primo è il vilipendio diretto contro le cose destinate al culto ovvero: la foto del defunto, le croci, ecc.; il secondo, invece, è diretto conto le cose destinate a difesa o a ornamento dei cimiteri.

Il delitto in questione si consuma nel momento in cui si realizza la condotta vilipendiosa ed è realizzato con dolo generico, in altre parole, nella coscienza e volontà di voler compiere atti vilipendiosi.

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7 F. ANTOLISEI, op. cit., p. 230;

8 A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, op. cit.;

9 Cfr. G. FIANDANCA, E. MUSCO, op. cit., p. 453.

Delitti contro i cadaveri

Vorrei sottoporvi uno degli argomenti che, secondo il mio punto di vista, è un po’ trascurato dalla giurisprudenza, le cui sentenze risalgono agli anni ‘60 o ‘80 del secolo scorso, vale a dire: le fattispecie criminose compiute sui cadaveri.

Aprendo il nostro codice penale all’art. 410, rubricato vilipendio di cadavere, ci riferisce che: “Chiunque commette atti di vilipendio sopra un cadavere o sulle sue ceneri è punito con la reclusione da uno a tre anni. Se il colpevole deturpa o mutila il cadavere o commette, comunque, su questo atti di brutalità o di oscenità, è punito con la reclusione da tre a sei anni.”

Come i precedenti articoli, sopra richiamati, anche l’art. 410 tutela il sentimento di pietà nei confronti dei defunti ma, secondo il mio modesto parere, la norma ha come obbiettivo non solo la tutela della pietas ma anche il cadavere del defunto, poiché il soggetto attivo del delitto pone in essere atti vilipendiosi sopra una salma o le sue ceneri.

A questo punto è necessario introdurre una definizione di cadavere: secondo la dottrina maggioritaria10 deve essere inteso come il copro umano che ha subito una composizione irreversibile delle essenziali funzioni organiche, la definizione così formulata non riesce a rendere chiara la definizione di cadavere, perciò la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1198/1969 ha cercato di chiarire il suo significato affermando: “[…] nel concetto di “cadavere” deve non solo comprendersi il corpo umano inanimato nel suo complesso o nelle singole parti, ma anche lo scheletro dopo che sia quindi avvenuta la completa dissoluzione degli elementi putrescibili.”11

Successivamente la Cassazione ha integrato di contenuto la definizione di cadavere con la sentenza n. 1107/1971: “[…] rientrano nella nozione di cadavere tutti i resti umani tutt’ora capaci di suscitare l’idea della pietà verso i defunti.”12

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10 G. FIANDANCA, E. MUSCO, op. cit., p. 456;

11 A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, op. cit.;

12 A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, op. cit.

Leggendo attentamente i chiarimenti della Suprema Corte di Cassazione il cadavere, dunque, sarebbe la spoglia di un uomo che è stato vivo.

Riprendendo la sentenza n. 1198/1969 emerge la parola “scheletro”, la dottrina si è posta quest’interrogativo: è giusto o no considerare lo scheletro parte del cadavere?

Secondo i sostenitori della tesi negativa il cadavere presuppone la conservazione delle spoglie umane e non la presenza di resti scheletrici, invece la tesi positiva ritiene che sono da tutelare sia le ceneri, frutto della cremazione, sia lo scheletro, poiché quest’ultimo corrisponde a cadavere tutte le volte in cui sorge l’idea di corpo privo di vita.

Ma qual è l’elemento psicologico della fattispecie?

A questa domanda ci risponde, come sempre, la Cassazione con la sentenza n. 17050/200314: “L’elemento psicologico del reato di vilipendio di cadavere consiste nel dolo generico, ed è integrato quando l’agente sia consapevole che la condotta posta in essere è idonea ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti[…]”, ne consegue che la fattispecie è voluta con coscienza di voler compiere atti vilipendiosi per offendere la pietas e di, aggiungo, oltraggiare il cadavere di una persona.

Nel capoverso del nostro articolo è presente un aggravante della pena nel caso di mutilazione o deturpamento del cadavere e la commissione di atti di brutalità o di oscenità: per mutilazione s’intende l’atto attraverso il quale si recide parti della salma per es.: occhi, mani, braccia, ecc.; il deturpamento, invece, consiste nell’alterare i lineamenti del corpo; gli atti di brutalità consistono in atti violenti come le percosse, ecc.; mentre gli atti osceni sono quelli sessuali e si suole identificarli negli atti di necrofilia.

In materia delle aggravanti previste dall’art. 410 è intervenuta nel 2007 la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16569 la quale asserisce: “Al fine della sussistenza dell’ipotesi aggravata del reato di vilipendio di cadavere è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza di operare la mutilazione, nella cui condotta è insito il vilipendio.”15

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13 Cfr G. FIANDANCA, E. MUSCO, op. cit., p. 456;

14 A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, op. cit.;

15 A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, op. cit.

Passiamo ad analizzare l’art. 411 c.p. che afferma: “Chiunque distrugge, sopprime o sottrae un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne sottrae o disperde le ceneri, è punito con la reclusione da due a sette anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, di deposito o di custodia. Non costituisce reato la dispersione delle ceneri di cadavere autorizzata dall’ufficiale dello stato civile sulla base di espressa volontà del defunto. La dispersione delle ceneri non autorizzata dall’ufficiale di stato civile o effettuata con modalità diverse rispetto a quanto indicato dal defunto, è punita con la reclusione da due mesi a un anno e con la multa da 2.582 € a 12.911 €”.

Dalla lettura dell’articolo in oggetto spicca, nuovamente, come l’integrità dei cadaveri e delle ceneri sia di fondamentale importanza e, di conseguenza, necessità di un’accurata tutela che la norma penale concede.

La condotta incriminatrice attuata dal soggetto attivo consiste o nel distruggere o nel sopprimere o nella sottrazione del cadavere o parti di esso oppure nella dispersione delle ceneri; la stessa Corte di Cassazione nella sentenza n. 1027/2006 ribadisce che: “[…]l’azione volta alla distruzione attinga le spoglie di un soggetto che abbia subito la cessazione irreversibile di tutte le funzioni vitali[…]”.16

Ma cosa significa distruzione, soppressione e sottrazione di cadavere?

La dottrina si è interrogata molto su queste tre azioni ed è giunta a questa conclusione: per distruzione s’intende lo smembramento del cadavere, la soppressione implica lo spostamento della salma in un luogo affinché non sia più ritrovato, la sottrazione comporta, invece, l’asportazione del cadavere “[…]accompagnata dall’arbitraria sottoposizione ad un potere altrui.”17

L’art. 411, inoltre, tratta di una tematica molto discussa negli ultimi anni: la dispersione delle ceneri di un proprio caro/a.

La legge n. 130/2001: disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri, ha introdotto i commi III e IV i quali hanno inserito un’esimente

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16 A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, op. cit.;

17 Cfr G. FIANDANCA, E. MUSCO, op. cit., p. 458.

qualora, secondo l’espressa volontà del defunto e l’autorizzazione da parte dell’ufficiale dello stato civile, si voglia disperdere le ceneri.

Infatti l’art. 2 della legge sopra richiamata statuisce: “All’articolo 411 del codice penale sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: <Non costituisce reato la dispersione delle ceneri di cadavere autorizzata dall’ufficiale dello stato civile sulla base di espressa volontà del defunto>[…]”18

Qual è la ratio?

Secondo autorevole dottrina19: la disposizione in esame è finalizzata sia a regolamentare un’alternativa alla sepoltura sia a garantire la piena ed esclusiva disponibilità del proprio corpo; condivido pienamente la tesi dottrinale ma, secondo me, la ratio principale dei commi III e IV è finalizzata a garantire solo gli atti di disponibilità del proprio corpo come conseguenza del principio di autodeterminazione dell’individuo.

Come negli articoli precedenti anche nell’art. 411 il dolo è generico, così confermato dalla Cassazione con la sentenza n. 5139/1983: “Ai fini dell’elemento soggettivo del reato di sottrazione di cadavere è sufficiente, quale dolo generico, la volontà cosciente e libera di sottrarre i resti umani senza averne diritto, essendo indifferente il fine propostosi dall’agente (lucro, affetto, studio o altro)[…]”.20

Proseguendo nella lettura del capo II titolo IV del codice penale troviamo l’art. 412 che recita: “Chiunque occulta un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne nasconde le ceneri, è punito con la reclusione fino a tre anni.

Dalla lettura dell’articolo si riafferma, nuovamente, che il bene giuridico da tutelare non è nient’altro che garantire l’integrità della salma del defunto o le sue ceneri.

Sorge spontanea la seguente domanda: ma la fattispecie disciplinata dall’art. 411 e quella del 412 sono identiche?

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18 L’intero testo della legge è reperibile al seguente sito:

http://www.parlamento.it/parlam/leggi/01130l.htm;

19 Cfr G. FIANDANCA, E. MUSCO, op. cit., p. 458;

20 A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, op. cit.

La risposta a quest’interrogativo ce la fornisce la Cassazione con due sentenze: 742/1969 e 5819/1981; la prima dichiara: “Il delitto di occultamento si distingue da quello di soppressione di cadavere per la precarietà del nascondimento, onde l’occultamento definitivo costituisce soppressione del cadavere. Nel primo reato, pur sussistendo la consumazione sin dalla prima apparizione dell’evento, questo si riproduce di momento in momento finché l’agente non abbia adempiuto al dovere di far cessare lo stato antigiuridico o lo stesso non sia comunque cessato[…]La soppressione di cadavere, invece, è reato istantaneo con effetti permanenti, perché si consuma non appena il cadavere sia reso definitivamente introvabile. I due delitti di occultamento e soppressione di cadavere, differenti nella forma e nella struttura, sono tuttavia accomunati dall’identità di oggetto giuridico e materiale[…]”21, non contenta di quanto detto nel 1969, la Corte di Cassazione ritorna sul tema con la sentenza n. 5819/1981 integrando di contenuto la distinzione tra le due fattispecie criminose: “Elemento differenziale del delitto di occultamento di cadavere da quello di distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere è che il celamento dello stesso deve essere temporaneo, ossia deliberamene operato in modo che il cadavere sia certamente ritrovato e restituito[…]”22

Dalla spiegazione fornitaci magistralmente dalla Cassazione l’occultamento presuppone, quindi, di celare un cadavere in modo tale per cui questo possa essere ritrovato dopo un breve tempo, ma quando si consuma il delitto in questione? Si consuma nel momento e nel luogo in cui accade l’azione e, quindi, presuppone l’intenzionalità di voler compiere la fattispecie criminosa.

A conferma di questo è intervenuta la Cassazione con la sentenza n. 1119/1990: “Il delitto di cui all’art. 412 c.p. si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica in conseguenza dell’azione del colpevole un evento costituente occultamento e, dunque, ha natura di reato istantaneo con effetti permanenti.

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21 A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, op. cit.;

22 A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, op. cit.;

23 A. CRESPI, G.FORTI, G. ZUCCALA’, op. cit.

L’ultima fattispecie criminosa che vorrei trattare è quella disciplinata dall’art. 413 c.p.: uso illegittimo di cadavere.

Chiunque disseziona o altrimenti adopera un cadavere o una parte di esso, a scopi scientifici o didattici, in casi non consentiti dalla legge, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 516 €. La pena è aumentata se il fatto è commesso su un cadavere, o su una parte di esso, che il colpevole sappia essere stato da altri mutilato, occultato o sottratto.

Il fine principale della norma è quindi la repressione degli abusi che possono essere commessi nell’uso di cadaveri per fini scientifici e didattici; l’azione criminosa posta in essere dal soggetto attivo riguarda la dissezione o l’utilizzo del cadavere per scopi non scientifici-didattici.

È conveniente, dunque, attribuire una definizione ai termini sopra indicati: la dissezione consiste nel tagliare, sezionare una parte del corpo e “l’adoperare” un cadavere, invece, implica impiegarlo in ricerche medico-scientifiche.

Dalla lettura dell’articolo emergono due esimenti: i fini scientifici e didattici; i primi consistono in fini medico-scientifici e i secondi, invece, per finalità didattico-pratiche che sono svolte nelle scuole di medicina.

Com’è possibile rendere legittimo l’uso del cadavere per scopo didattico-scientifici?

In base alla previsione dell’art. 32 della legge n. 1592/1933, che consente la consegna di cadaveri alle sedi universitarie di medicina, e dell’art. 39 del D.P.R. n. 803/1975, che disciplina l’insegnamento e le indagini scientifico-mediche sui cadaveri.

Il caso della grigliata nel cimitero

Il 28 novembre 2017 nel cimitero comunale di Città Giardino, frazione di Melilli, quattro uomini sono stati immortalati in una foto che li ritraeva nell’atto di compiere un barbecue tra i loculi.

I carabinieri hanno denunciato i quattro “amici al bar” con l’ipotesi di reato di violazione di sepolcro; purtroppo in quel giorno non c’erano dipendenti comunali né il custode ma grazie ai social network è emersa una foto che li rendeva potenziali complici del reato sopra richiamato.

Sorge spontanea la domanda: è giusta o no l’ipotesi formulata dai carabinieri?

Secondo il mio modesto parere l’ipotesi delittuosa è corretta, poiché la pietas dei defunti è stata violata per mezzo di un comportamento lesivo della pace e del rispetto dei morti, inoltre hanno deturpando il cimitero per mezzo di un tavolo e di un barbecue consumando il delitto intenzionalmente e con consapevolezza di voler ledere il sentimento di pietas.

Ora spetterà al PM formulare il capo d’accusa, successivamente alle indagine della PG, ed aspettare il fatidico giudizio del giudice competente.

 

BIBLIOGRAFIA

 

  1. CRESPI, G.FORTI, G.ZUCCALA’, Commentario breve al Codice Penale – Complemento giurisprudenziale, 2009, CEDAM.

 

  1. FIANDANCA, E. MUSCO, Diritto penale – Parte specialeI delitti contro la persona, V. II tomo primo, seconda ed., ZANICHELLI, Bologna, 2007.

 

  1. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale – II, XV ed. a cura di C. F. GROSSO, Giuffrè, Milano, 2008.

 

  1. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. VI, XV ed., Torino, 1983.

 

SITOGRAFIA

 

http://www.parlamento.it/parlam/leggi/01130l.htm: testo della legge 130/2001

 

GIURISPRUDENZA CITATA

 

Corte di Cassazione, sent. n. 34145/2003;

Corte di Cassazione, sent. n. 690/1971;

Corte di Cassazione, sent. n. 2949/1985;

Corte di Cassazione, sent. n. 1198/1969;

Corte di Cassazione, sent. n. 1107/1971;

Corte di Cassazione, sent. n. 17050/2003;

Corte di Cassazione, sent. n. 16569/2007;

Corte di Cassazione, sent. n. 1027/2006;

Corte di Cassazione, sent. n. 5139/1983;

Corte di Cassazione, sent. n. 742/1969;

Corte di Cassazione, sent. n. 5819/1981;

Corte di Cassazione, sent. n. 1119/1990.

 

Dott. Gelmi Niccolò

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