Uno dei problemi, tra i più ampiamente dibattuti attualmente in dottrina e in giurisprudenza (1) , riguarda la affermazione della sopravvivenza o meno, nel nostro ordinamento, della possibilità di procedere al rinnovo espresso dopo l’art. 23 della legge comunitaria 2004 ( Legge del 18/04/2005).
Le ragioni, che hanno condotto alla disposizione che ha espunto con “operazionechirurgica” il 2 comma ultimo periodo dell’art. 6 della legge 537/93 (come modificato dall’art. 44 della legge 724/94) (2) , sono note .
L’art. 23 della legge 62/2005 rappresenta la risposta del nostro legislatore alla censura mossa al nostro paese ( n. 2110/2003 ) dalla Commissione Europea, che ha ritenuto la disposizione sopra citata tale da consentire alle pubbliche amministrazioni di affidare direttamente e senza rispetto dei principi di evidenza pubblica ( anzi in spregio di questi) appalti di forniture e di servizi, configurando quindi un gravissima frattura con le disposizioni del diritto comunitario.
Inoltre, si prosegue nella censura , la pratica del rinnovo è entrata in irrimediabile contrasto con i principi che assicurano libertà di stabilimento nella U.E. (art. 43 del trattato) e la libera prestazione di servizi ( art. 49 dello stesso trattato istitutivo). La Commissione segnalava infine, una incertezza interpretativa , anche nella giurisprudenza ( 3), da qui la necessità che il nostro legislatore intervenisse.
Le ragioni della censura, oggettivamente , non possono che essere condivise .
La giurisprudenza, costantemente (4) ha dimostrato come l’applicazione dell’ipotesi del rinnovo espresso sia stata oggetto degli abusi più disparati da parte della pubblica amministrazione. In particolare, sono stati costantemente elusi i procedimenti finalizzati a far emergere la convenienza economica e l’ interesse pubblico.
In sostanza, gli abusi sono stati perpetrati nei confronti di quelle condizioni la cui prova concreta ( della sussistenza) era indispensabile per poter procedere al rinnovo espresso.
Pertanto, l’istituto ha finito per esser svilito e ricondotto ad una sorta di rinnovo tacito, deciso dalle PP. AA. con atti amministrativi posti in essere come involucri vuoti , senza attenta riflessione sulle prescrizioni imposte dalla legge.
In verità quindi , si può sostenere , che non tanto la norma sia stata la causa dei problemi ma, come spesso accade, la sua applicazione pratica. Infatti, gli strali della commissione europea sono stati rivolti alla incertezza ( e quindi ambiguità) interpretativa su una norma che è stata utilizzata per praticare affidamenti diretti in spregio ai superiori principi di evidenza pubblica ( in particolare i principi della trasparenza e della par condicio).
Senza dubbio l’applicazione approssimativa della clausola di cui all’art. 6 è stata anche favorita dai tanti limiti di questa .
In dettaglio – brevemente – possiamo, riaffermando alcuni punti fermi , individuare alcune lacune della disposizione:
- L’istituto è nato per impedire la ( insana) pratica del rinnovo tacito. La norma, dopo averne sancito la nullità, imponeva alle amministrazioni una procedura amministrativa ineludibile – pena l’illegittimità degli atti compiuti – necessaria per poter giungere ad un rinnovo consentito ( espresso).
- Introduceva una procedura che tendeva a salvaguardare esclusivamente alcuni principi di tipo “erariale” , disinteressandosi della tutela dei principi superiori di evidenza pubblica.
- A questa considerazione ne segue un’altra che della prima può essere definita uno effetto, si allude all’introduzione nell’ambito della pubblica amministrazione di concetti manageriali ed aziendalistici.
Questi concetti sono condivisibili solo se non vengono considerati in “assoluto” ma rapportati agli altri principi che presidiano l’azione amministrativa, primo tra tutti il principio della legalità. Forse non è superfluo dire come vi sia una feroce contraddizione nel parlare di efficienza/efficacia/economicità se queste si ottengono a discapito della legge.
In realtà, l’azione amministrativa si può definire efficace,efficiente ed economica nella misura in cui sia anche legittima. In caso contrario si è in presenza di un nonsenso.
- La norma non richiedeva formalità particolari come quella ( a titolo esemplificativo) dell’inserimento della clausola sul rinnovo negli atti di gara. Questo semplice accorgimento, di per sé avrebbe consentito di tutelare adeguatamente i principi di trasparenza e concorrenza, la violazione dei quali – come detto – è alla base delle censure della commissione europea .
- Nella previsione di rinnovo espresso non è stato curato alcun collegamento con la disciplina comunitaria, e questo ha comportato la grave elusione di principi di derivazione comunitaria (si pensi alle soglie di prezzo oltre cui scattano nuovi e perentori vincoli procedurali) nonostante la giurisprudenza abbia più volte ribadito l’applicabilità dei principi della legislazione comunitaria anche agli appalti c.d. sottosoglia.
- Cosa altrettanto grave è che la disposizione non sia mai stata oggetto di adeguamento. Non si può non rilevare un grave difetto nel mancato adeguamento di una disposizione che è assurta a “norma generale sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, di deroga al principio generale della concorsualità nell’affidamento dei pubblici contratti di tutte le pubbliche amministrazioni” (5) , con la conseguenza che, mentre l’intero panorama normativo in materia di contratti pubblici e contenimento della spesa veniva integrato/modificato ( si pensi al rinnovo c.d. statale, al sistema Consip, alle recenti finanziarie, alle continue censure della giurisprudenza su abusi di variegata natura , al contributo della dottrina et similari), la norma sul rinnovo è rimasta immutata nel tempo .
Gli interventi “di manutenzione” erano necessari e le occasioni non sono sicuramente mancate, anche perché, come detto, si andava stratificando un orientamento giurisprudenziale che riteneva implicitamente abrogata l’ipotesi del rinnovo (6).
In sostanza quindi, l’ipotesi del rinnovo espresso è stata costruita in modo non sufficientemente rigoroso (e chiaro) aspetto quest’ ultimo , abbastanza importante se posto in relazione all’attività amministrativa dell’intera pubblica amministrazione.
Un procedimento – si diceva – , che necessariamente doveva essere integrato/arricchito dagli operatori nel momento in cui si passava all’applicazione concreta della norma. Nella pratica invece, come spesso accade, si è attuato un procedimento inverso: di impoverimento, di svilimento della possibilità introdotta dal legislatore fino a ridurla ad un’ affidamento diretto non previsto dalla legge.
Conclusione
Per concludere e definire se sia – oggi – praticabile o meno il rinnovo occorre, a parere di chi scrive, prendere spunto dalla ratio delle censure della commissione europea.
Se questa è dovuta al fatto di aver – in modo reiterato – violato i principi dell’evidenza pubblica, della trasparenza, dell’esigenza di garantire pari condizioni in sede di gara, è chiaro che un rinnovo fondato e finalizzato a salvaguardare solo esigenze di tipo “erariale” ( come quello espunto dall’ordinamento) non è più ammissibile. Senza timore di essere smentiti, è chiaro che ribadire ipotesi di rinnovo secondo la disposizione abrogata – a prescindere dal fatto che il legislatore non abbia posto nessun divieto al rinnovo espresso ma solo al rinnovo tacito – non è più sostenibile.
E’ sostenibile a mio parere , sulla scorta anche di quanto si sta affermando in dottrina ed in giurisprudenza (7) , la possibilità di configurare una replica della prestazione ( sia fornitura sia servizio) con l’originario affidatario, predisposta come un rinnovo programmato, ossia un rinnovo previsto negli atti di gara ( a mio parere già contemplato nell’oggetto dell’appalto).
La previsione deve esser disciplinata da un procedimento amministrativo serio e rigoroso che – in breve – possa tutelare sia le esigenze erariali della convenienza economica ( che verrebbe stabilita anche con riferimento ai prezzi Consip) e dell’interesse pubblico, sia i principi di trasparenza ( e comunque i principi cardine dell’evidenza pubblica) .
Una clausola quindi, che non sia escludente, che presti particolare attenzione alla disciplina applicabile che verrebbe individuata in base al prezzo dell’appalto, calcolato tenendo conto della durata originaria del contratto più l’eventuale sviluppo ( al fine di stabilire se si debba operare secondo le disposizioni legislative sotto o sopra soglia), con la precisa indicazione del numero dei rinnovi possibili ( al massimo 2); specificando i termini entro i quali avviare e concludere – con provvedimento espresso – il procedimento di valutazione.
Una clausola di rinnovo programmato potrebbe spingersi fino a prevedere anche un limitato ed oculato margine di ricontrattazione di certi aspetti del contratto; penso al prezzo ( contrattazione in diminuzione) , sulla verifica ed eventuale adeguamento di certe regole di esecuzione del contratto, non certo su aspetti sostanziali.
Difficilmente si potrebbe sostenere l’illegittimità o la non congruità all’ordinamento comunitario, di una clausola siffatta.
Il fatto che il legislatore, espressamente, non abbia vietato ogni forma di rinnovo (8) probabilmente può essere interpretata nel senso della possibilità di introdurre nella lex specialis della stazione appaltante una ipotesi di replica della prestazione ( sia essa fornitura e/o servizio), sia pure rigorosamente non escludente, lealmente disciplinata ed adeguatamente pubblicizzata.
Lo stesso Codice degli Appalti ( decreto legislativo 263/2006), del resto, in vari articoli richiama l’ipotesi del rinnovo (9)
Di Usai Stefano Vice Segretario Generale del Comune di Terralba (OR)
Note.
(1) In giurisprudenza, per tutte , si fa riferimento alle pronunce del TAR lazio – Roma , sez. I del 13/02/2006 n. 1064; del 8/3/2006 n. 1786; 18/05/2006 n. 3564;
(2) In particolare il periodo espunto è il seguente: “Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione”
(3) Sembra chiaro il riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato del 19/02/2003 n. 921 che ha affermato – in modo assolutamente non condivisibile e non condivisa – l’abrogazione implicita dell’art. 44 della legge 724/94, per la sopravvenienza di istituti quali il rinnovo “statale” e il sistema Consip introdotti con la legge 488/99 (artt. 27 comma 6° e 26);
(4) Orientamento costante in giurisprudenza , a mero titolo esemplificativo C.d.S. Sez V del 11/5/2004 n. 2961;Tar Lombardia milano sez. III del 12/01/2005 n. 42; TAR Lazio roma sez I bis 31/3/2005 n. 2367;
(5) In questo senso il TAR Liguria sez. III del 13/05/2004 n. 754;
(6) C.d.S. del 19/02/2003; sez. V del 15/07/2005 n. 3788; anche 1295/2006;
(7) Vedi nota 1) ; per la dottrina più autorevole, su tutti, Massari , Greco, Faviere contra Oliveri, Minetti , Mascolini;
(8) Lo stesso Codice degli Appalti all’art. 57, 7° comma si limita a ribadire “ E’ in ogni caso vietato il rinnovo tacito dei contratti aventi ad oggetto forniture, servizi, lavori, e i contratti rinnovati tacitamente sono nulli”;
(9) Per una curata e attenta disamina si rimanda al recente volume di Massari – Greco “Il nuovo codice dei contratti pubblici” (Maggioli 2006).
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento