Vendita in garanzia e patto commissorio. Brevi cenni sul contratto di sale and lease back

Mei Cristiana 26/07/07
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La vendita in garanzia si caratterizza per il passaggio di un bene da un debitore ad un creditore, con il precipuo scopo di garantire il pagamento del debito.
In materia, la giurisprudenza è stata controversa. In particolare, l’elemento discriminate è stato considerato quello dell’effettività o meno della proprietà. Più specificamente, la giurisprudenza ha effettuato una differenziazione, sostenendo che “la vendita fiduciaria a scopo di garanzia si distingue dalla vendita con patto di riscatto dissimulante un mutuo con patto commissorio perché nel negozio fiduciario la proprietà si trasferisce al compratore che, però, assume l’obbligo, derivante dal patto interno ad efficacia meramente obbligatoria, di ritrasferire il bene al venditore se questi estinguerà il debito garantito, mentre nel negozio simulato, pur essendo apparentemente convenuto il trasferimento immediato della proprietà (sottoposto a condizione risolutiva a favore del venditore che voglia riprendere la cosa mediante la tempestiva restituzione del prezzo), le parti concordano in concreto, ponendo in essere un patto commissorio, che il compratore – creditore diverrà proprietario dell’immobile solo se il debitore non adempierà il suo debito nel termine stabilito” (Cass. civ., sez. II, 6 giugno 1983, n. 3843).
L’elemento più importante e che desta maggiori perplessità, in relazione all’ipotesi di una vendita in garanzia, riguarda il rischio di incorrere nel divieto di patto commissorio, previsto dall’art. 2744 del codice civile, in virtù del quale “è nullo il patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore”.
 La ratio sottesa a tale divieto è quella di “assicurare una più efficace tutela del debitore e assicurare la par condicio creditorum, in tal modo contrastando l’attuazione di strumenti di garanzia diversi da quelli legali” ed “il patto commissorio è ravvisabile anche rispetto a più negozi tra loro collegati, qualora scaturisca un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il meccanismo negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene dal creditore sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia, a prescindere dalla natura meramente obbligatoria, o traslativa, o reale del contratto ovvero dal momento temporale in cui l’effetto traslativo sia destinato a verificarsi” (Cass. civ., II, 19 maggio 2004, n. 9466, Bosco c. Greco).
Inoltre, “il divieto di patto commissorio sia applica a qualsiasi negozio, ancorché lecito e quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito; ove, pertanto, venga a mancare la funzione di scambio a parità di condizioni, tipica di ogni contratto di compravendita, costituente elemento indispensabile per la liceità del negozio, si ricade nella causa illecita, quindi sotto la sanzione della nullità, in quanto il negozio concluso costituisce il mezzo che permette di raggiungere il risultato vietato dalla legge” (Cass. civ., III, 10 febbraio 1997, n. 1233, Ferraro ed altro c. La Bella ed altri).
Una vendita effettuata con il precipuo scopo di garantire un debito non ha finalità di scambio e può facilmente porre il debitore, già in una situazione di subordinazione nei confronti del creditore, in un ulteriore stato di coercizione, essendo messa in dubbio la proprietà di un suo bene.
Un altro orientamento della Cassazione ha sostenuto che la vendita con patto di riscatto  non ricadesse nel divieto di patto commissorio: “la vendita con patto di riscatto o de retrovendendo ex art. 1500 c.c., anche se stipulata a scopo di garanzia, sempre che sia vera e reale, non incorre nella sanzione di nullità stabilita per il patto commissorio vietato dagli articoli 1963, 2744 c.c., stante la strutturale non assimilabilità al patto commissorio (che determina l’effetto traslativo in danno del debitore, in dipendenza e in conseguenza, anche cronologica del suo inadempimento) del patto di riscatto che attribuisce al venditore soltanto il potere di conseguire a pena di decadenza nel termine e con le modalità fissate dalla legge, il riacquisto del bene, ma prescinde da qualsiasi incidenza sull’effetto reale della vendita che avviene immediatamente e direttamente per effetto del solo consenso ex art. 1376 c.c., indipendentemente dal mancato esercizio del riscatto. Né, d’altra parte, lo scopo di garanzia può, di per sé, determinare la nullità della vendita con patto di riscatto sotto il profilo dell’illiceità del motivo ai sensi dell’art 1345 o del negozio in frode alla legge ex art. 1344 c.c.” (Cass civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7385).
Nel 1989 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate, mutando l’orientamento precedentemente espresso, che individuava nell’effettività o meno della proprietà l’elemento discriminante tra una vendita lecita e una vendita illecita poichè integrante il divieto di patto commissorio: “la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, stipulata fra il debitore e il creditore, la quale risponda all’intento delle parti di costituire una garanzia, con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore solo in caso di inadempienza del debitore, è nulla anche quando implichi un trasferimento effettivo della proprietà (con condizione risolutiva), atteso che, pur non integrando direttamente il patto commissorio, previsto e vietato dall’art. 2744 c.c., configura mezzo per eludere tale norma imperativa e, quindi, esprime una causa illecita, che rende applicabile la sanzione dell’art. 1344 c.c.” (Cass. civ., Sezioni Unite, 3 aprile 1989, n. 1611, Lodigiani c. Berriga. Nello stesso senso: Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 1991, n. 2126; Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 1994, n. 10648; Cass. civ., sez. II, 27 settembre 1994, n. 7878).
Conseguentemente, la vendita con patto di riscatto a scopo di garanzia, indipendentemente dall’effettività o meno della proprietà, è da considerarsi nulla per illiceità della causa ex art 1343c.c., secondo il quale “la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume” e, più specificamente  essa rientra nella fattispecie del contratto in frode alla legge ex art. 1344 c.c., che prevede che “si reputi illecita la causa quando il contratto costituisce mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”. Le Sezioni Unite hanno sottolineato che “si ha contratto in frode alla legge quando le parti adottano uno schema negoziale astrattamente lecito per conseguire un risultato vietato dalla legge” (Cass. civ., Sezioni Unite, 11 gennaio 1973, n. 63).
Tale contratto di compravendita, infatti, sarebbe posto in essere dalle parti con il precipuo scopo di eludere il divieto di patto commissorio previsto e disciplinato dall’art. 2744 c.c., ponendo il debitore in una situazione di illecita coercizione a sottostare alla volontà del creditore.
Vale la pena sottolineare, per mera esigenza di completezza, che, “la sanzione della nullità prevista dalla norma di cui all’art. 2744 c.c. riguarda solo il patto commissorio stipulato a latere dell’obbligazione restitutoria, con conseguente inefficacia del trasferimento del bene oggetto della stipulazione, e non anche detta obbligazione restitutoria che resta del tutto valida indipendentemente dalle sorti del patto accessorio vietato (Cass. civ., III, 25 maggio 2000, n. 6864, Alò ed altri c. Rodio ed altri).
L’analisi fin qui svolta caratterizza anche il contratto di sale and lease back che è caratterizzato dalla vendita da parte di un imprenditore di propri beni ad una società di leasing che ne paga il prezzo. Nel contempo, la società di leasing stipula con il venditore un contratto di leasing avente ad oggetto gli stessi beni. I beni, pertanto, restano nella disponibilità del venditore, che paga i canoni di leasing e può riacquistarli alla scadenza per un determinato prezzo.
Anche tale contratto, secondo la Suprema Corte, “vìola la ratio del divieto di patto commissorio, al pari di qualunque fattispecie di collegamento negoziale, sol che e tutte le volte che il debitore, allo scopo di garantire al creditore l’adempimento dell’obbligazione, trasferisca a garanzia del creditore stesso un proprio bene, riservandosi la possibilità di riacquistarne il diritto domenicale all’esito dell’adempimento dell’obbligazione, senza peraltro prevedere alcuna facoltà, in caso di inadempimento, di recuperare l’eventuale eccedenza di valore del bene rispetto all’ammontare del credito, con una adattamento funzionale dello scopo di garanzia del tutto incompatibile con la struttura e la ratio del contratto di compravendita” (Cass. civ., III, 21 gennaio 2005, n. 1273, Fime Leasing Spa c. Il Glicine di Felicissimo Ernesto ed altro).
Di contro, si potrebbe obiettare che, nel contratto di sale and lease back, manca, a differenza che nella vendita in garanzia più sopra analizzata, un credito preesistente da garantire, il bene resta nella disponibilità del venditore e, infine, l’importo del credito garantito (ammontare dei canoni dovuti) è, di norma proporzionale al valore del bene trasferito in proprietà alla società di finanziamento.
Una più recente sentenza della Corte di Cassazione ha ulteriormente specificato tale ultimo punto, prevedendo una valutazione di fatto dello specifico contratto di sale and lease back posto in essere.
Infatti, pur essendo tale contratto “un contratto d’impresa socialmente tipico che, come tale, è, in linea di massima, astrattamente valido”, resta “ferma la necessità di verificare, caso per caso, la presenza di elementi sintomatici atti ad evidenziare che la vendita è stata posta in essere in funzione di garanzia ed è volta, pertanto, ad aggirare il divieto del patto commissorio”. A tale scopo, sottolinea ancora la Corte, sarà necessario accertare “la compresenza delle seguenti circostanze: l’esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice, le difficoltà economiche di quest’ultima, la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente” (Cass. civ, sez. III, 14 marzo 2006, n. 5438, Centro Leasing spa c. Sep srl ed altri).
 

Mei Cristiana

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