L’ordinanza n. 24797 del 2024 della Corte di Cassazione ha riacceso il dibattito giuridico sull’utilizzabilità delle registrazioni di conversazioni tra dipendente e datore di lavoro in sede giudiziaria. La pronuncia rappresenta un tassello significativo in un quadro normativo complesso, che coinvolge tanto il diritto del lavoro quanto la normativa sulla privacy e la protezione dei dati personali. In questo articolo, analizzeremo il contesto normativo di riferimento, i criteri di utilizzabilità in giudizio delle registrazioni, i limiti e le cautele da adottare, concludendo con una riflessione sulle implicazioni pratiche di questa pronuncia.
Indice
1. L’ordinanza n. 24797 del 2024: il caso concreto
La vicenda all’esame della Suprema Corte riguardava un lavoratore che aveva registrato, senza il consenso del datore di lavoro, una conversazione avvenuta in azienda. La registrazione era stata poi utilizzata come prova in un contenzioso legale per dimostrare un comportamento illecito del datore di lavoro. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità della registrazione, stabilendo che un dipendente può registrare una conversazione senza il consenso dell’interlocutore, purché la registrazione sia finalizzata alla tutela di un diritto in sede giudiziaria e il dipendente stesso sia parte della conversazione registrata.
La Corte ha ribadito il principio già espresso in precedenti pronunce, quali la sentenza n. 12534 del 2019, secondo cui la registrazione di conversazioni da parte di uno degli interlocutori non costituisce una violazione del diritto alla riservatezza, purché tale attività sia giustificata dalla necessità di tutelare un diritto in giudizio. Questo orientamento si pone in linea con l’art. 24 del GDPR, che prevede la liceità del trattamento dei dati personali quando necessario per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria. Per approfondimenti sull’utilizzo dei dati, consigliamo il volume Formulario commentato della privacy.
2. Contesto normativo: tra diritto del lavoro e normativa sulla privacy
La questione delle registrazioni di conversazioni sul luogo di lavoro si pone all’incrocio tra la normativa lavoristica e quella sulla privacy. In particolare, le principali fonti normative coinvolte sono:
- Codice della Privacy (D.lgs. 196/2003), così come modificato dal D.lgs. 101/2018, che recepisce il Regolamento UE 2016/679 (GDPR).
- Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), con particolare riferimento all’art. 4 che regola i controlli a distanza. Tale articolo vieta l’uso di strumenti di controllo a distanza dei lavoratori senza previo accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, salvo esigenze organizzative, produttive o di sicurezza aziendale.
- Codice Civile, che disciplina l’acquisizione delle prove (art. 2712 c.c.) e la buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro. L’art. 2712 c.c. ammette come prova le registrazioni fonografiche, purché chi contesta la loro autenticità dimostri la manipolazione o l’alterazione del contenuto.
3. Utilizzabilità in giudizio delle registrazioni: presupposti e giurisprudenza
Affinché una registrazione possa essere utilizzata come prova in un processo, devono sussistere precisi presupposti:
- Partecipazione alla conversazione: Il dipendente deve essere parte attiva della conversazione registrata. Ciò è coerente con il principio della prova libera sancito dall’art. 116 c.p.c., che consente al giudice di valutare liberamente le prove, comprese le registrazioni.
- Finalità di tutela di un diritto: La registrazione deve essere effettuata esclusivamente per la difesa di un diritto proprio o di un terzo in sede giudiziaria. L’art. 24 del GDPR e l’art. 10 del Codice della Privacy legittimano tale trattamento dei dati personali.
- Necessità e proporzionalità: La registrazione deve essere necessaria per provare fatti rilevanti nel processo e non deve violare in modo sproporzionato il diritto alla privacy dell’interlocutore. Questo principio deriva dall’art. 5 del GDPR, che richiede che i dati personali siano trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dell’interessato.
La giurisprudenza, inclusa la recente ordinanza della Cassazione, conferma che una registrazione può essere ammessa come prova, purché rispetti questi criteri. Ad esempio, nella sentenza n. 18908 del 2020, la Cassazione aveva già chiarito che la registrazione non consensuale è lecita se finalizzata a dimostrare un comportamento discriminatorio o vessatorio del datore di lavoro.
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4. Limiti e cautele: quando la registrazione diventa illecito
Nonostante la possibilità di registrare conversazioni, esistono limiti precisi:
- Violazione della privacy: registrazioni di conversazioni estranee al contesto lavorativo o che coinvolgono terzi non consenzienti potrebbero configurare una violazione del diritto alla riservatezza, tutelato dall’art. 8 della CEDU e dall’art. 2 della Costituzione Italiana.
- Rischio di reato: l’abuso dello strumento della registrazione potrebbe integrare il reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.), punito con la reclusione fino a quattro anni.
- Conseguenze disciplinari: a livello lavorativo, l’utilizzo improprio delle registrazioni potrebbe portare a sanzioni disciplinari, fino al licenziamento per giusta causa. La giurisprudenza (Cass. n. 16362/2018) ha stabilito che l’abuso della registrazione può essere considerato un comportamento lesivo del vincolo fiduciario con il datore di lavoro.
5. Conclusioni
L’ordinanza n. 24797 del 2024 rappresenta un’importante conferma della linea giurisprudenziale che ammette l’utilizzabilità delle registrazioni effettuate dal dipendente per tutelare un proprio diritto. Tuttavia, l’utilizzabilità di tali registrazioni non può essere considerata illimitata o priva di condizioni. Il principio del bilanciamento tra diritto alla prova e tutela della privacy impone una rigorosa valutazione caso per caso.
In particolare, la registrazione deve essere non solo pertinente e necessaria, ma anche proporzionata allo scopo perseguito. La Suprema Corte ha più volte evidenziato come la registrazione di conversazioni non attinenti al rapporto di lavoro, o che coinvolgano soggetti terzi estranei, possa configurare una violazione della privacy, con conseguenze civili e penali.
Da un punto di vista pratico, il lavoratore che intende registrare conversazioni in ambito lavorativo dovrebbe adottare alcune cautele essenziali:
- Limitarsi a registrare solo le conversazioni strettamente necessarie alla tutela del diritto che intende far valere.
- Evitare di diffondere le registrazioni al di fuori del contesto giudiziario o disciplinare.
- Conservare le registrazioni in modo sicuro, garantendo che non vengano utilizzate per scopi diversi da quelli previsti dalla legge.
L’ordinanza della Cassazione, pur confermando la legittimità della registrazione, sottolinea indirettamente la necessità di un uso responsabile di questo strumento, che non deve trasformarsi in un mezzo per sorvegliare o intimidire il datore di lavoro o altri colleghi. In definitiva, se utilizzate correttamente, le registrazioni possono costituire una prova preziosa in giudizio, ma l’uso improprio può comportare conseguenze anche gravi, sia sotto il profilo disciplinare che legale. Pertanto, un’attenta consulenza legale preventiva è sempre consigliabile per evitare rischi e assicurarsi che la condotta del lavoratore rimanga nell’alveo della legalità.
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