Tutela della privacy e diritto di cronaca: la cassazione conferma i rigidi paletti alla pubblicazione di fotografie di private dimore

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La vicenda esaminata dalla Suprema Corte nella sentenza  penale n. 17408 dello scorso 29 aprile (consultabile nel documento correlato alla presente nota) è di grande attualità, come evidenziato dai recenti noti fatti di cronaca politica e giudiziaria.
La Corte torna ad analizzare e chiarire alcuni aspetti basilari della tutela della privacy e delle sue difficili interrelazioni con quella del diritto di cronaca (mi si consenta la citazione v. G. Milizia Pubblicazione, non autorizzata, della corrispondenza privata e diritto di cronaca: la Consulta detta nuovi limiti?, C.Cost. ord. n. 66/09 in “DirittoeGiustizi@”, www.dirittoegiustizia.it tra gli arretrati del 28/03/09eTutela europea della privacy e diffusione dei redditi: limite flessibile se per scopi giornalistici”, Corte di Giustizia europea, Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott nella causa n. 73/07, pubblicate in data 08/05/08, ibidem nel quotidiano del 31/05/08).
Il caso: un settimanale, appartenente ad un celebre gruppo editoriale, pubblicava, senza la preventiva obbligatoria autorizzazione, un servizio fotografico in cui era ritratto il proprietario di una privata dimora assieme ad alcune ospiti nel parco della medesima. Questa pertinenza della sua abitazione non era facilmente accessibile ed era nascosta al pubblico dal mare e da un bosco, tanto che è stato accertato che le stesse erano state scattate a distanza di circa 1-1,5 km con un potente teleobbiettivo. Anche se i nominativi ed i dati sensibili delle parti in causa sono stati, correttamente, omessi, dal testo della sentenza si comprende agevolmente che la parte offesa è un celebre politico e che la sua villa, della quale è facile desumere il nome, è sita in Sardegna (“l’interessato aveva presentato denuncia querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania”). Per altro si evidenzi che, a favore del medesimo, era stato disposto un sequestro preventivo di altra documentazione fotografica e che, allo stato, il reporter che aveva realizzato questo servizio è indagato per aver, presumibilmente, cercato di venderlo assieme ad altre fotografie a giornali di rilevanza nazionale in violazione di questa sentenza.
Le fotografie oggetto di questa pronuncia  erano “state eseguite dall’esterno, da lontano, con particolari mezzi tecnici, all’insaputa e contro le volontà dell’interessato”, che aveva chiesto ed ottenuto l’immediato blocco alla loro diffusione con provvedimento dell’Autorità garante della protezione dei dati personali, emesso il 21/04/07, pochi giorni dopo la prima pubblicazione.
Nonostante ciò il servizio era riproposto sul quotidiano X del medesimo gruppo editoriale, che veniva querelato e rinviato a giudizio per i reati ex artt. 615 bis cp e 170 D.lgs 196/03. Il gruppo editoriale era condannato in primo grado ricorreva alla Suprema Corte, per i motivi riportati nell’esaminata decisone, cui si rinvia in toto.
La Cassazione, richiamando i precedenti giurisprudenziali e legislativi, anche internazionali (art. 8 CEDU), ribadisce il concetto di domicilio, previsto dal codice penale (artt. 614 ss), “dettato a tutela della libertà del privato, del suo interesse alla tranquillità e sicurezza nei luoghi in cui esplica attività di vita private” (v. Cass. pen. sez. V n. 5767/81), è differente da quello previsto dagli art. 43 ss cc e dall’art. 14 Cost. Infatti “ è più ampio di quello di casa d’abitazione, comprendendo ogni altro luogo che, pur non essendo destinato a casa di abitazione, venga usato, anche in modo transitorio e contingente, per lo svolgimento di una attività personale rientrante nella larga accezione di libertà domestica. Deve intendersi per privata dimora qualsiasi luogo destinato permanentemente o transitoriamente all’esplicazione della vita privata o delle attività lavorative, rientrando in esso ogni altro luogo, diverso dalla casa di abitazione, dove la persona si sofferma per compiere, anche in modo contingente e provvisorio, atti della sua vita privata (di commercio, di lavoro, di studio, di svago, ecc.) “ (v. Cass. pen. nn. 10531/83, 6010/85, 21062/04, CEDU 24/06/04 e conformi). “Integra il reato di violazione di domicilio, ai sensi dell’art. all’art. 614, comma primo, cod. pen., che equipara l’introduzione «invito domino» a quella realizzata clandestinamente o con inganno, la condotta di colui che si introduce nel domicilio altrui con intenzioni illecite, in quanto, in tal caso, si ritiene implicita la contraria volontà del titolare dello «ius excludendi» e nessun rilievo svolge la mancanza di clandestinità nell’agente, il quale frequenti o si ritenga autorizzato a frequentare l’abitazione del soggetto passivo; mentre ricorre l’ipotesi di cui all’art. 614, comma secondo, cod. pen. — che sanziona chi si trattiene nel domicilio altrui contro l’espressa volontà del titolare — nel caso in cui dette intenzioni diventino illecite solo in un momento successivo all’introduzione nell’abitazione altrui ( v. Cass. pen sez. V sent. n. 35166 del 30-9-2005).” Tra i mezzi con cui viene perpetrata questa violazione si annoverano, come nella fattispecie, anche le intercettazioni ambientali realizzate con le moderne tecnologie.
Si ricordi anche che un’esegesi restrittiva del codice sulla privacy vieta espressamente di fotografare le abitazioni altrui senza il preventivo consenso del proprietario e/o di usare tale materiale per uso diverso da quello personale, salvo poche tassative ipotesi.
Nel caso in esame si è posto l’interrogativo se vi siano dei limiti alla tutela della privacy per consentire il libero esercizio del diritto di cronaca previsto dall’art. 21 Cost. La S.C. risolve il dubbio chiarendo che la tutela della riservatezza e della vita privata del singolo cittadino prevalgono sulla libertà di informazione, pur non potendosi chiedere una censura della stampa ed un sequestro della stessa senza un previo provvedimento giudiziario.
Ricorda che “anche l’art. 3 del codice deontologico allegato (A. 1) al D.Lgs n. 196 del 2003, sulla protezione dei dati nell’esercizio dell’attività giornalistica, dispone che " la tutela del domicilio e degli altri luoghi di privata dimora, si estende ai luoghi di cura, di detenzione o riabilitazione, nel rispetto delle norme di legge e dell’uso corretto di tecniche invasive”. Quindi, anche quest’ultima disposizione, laddove parla di tutela del domicilio e di corretto uso delle tecniche invasive deve ritenersi che proibisca quelle tecniche che violino il domicilio e i luoghi equiparati nonchè la vita privata che in essi si svolge”. È pacifico che queste fotografie erano state scattate con modalità invasive ed invito domino, perciò il gruppo editoriale è stato condannato per i reati di cui sopra ed il ricorso in Cassazione è stato rigettato.
Quindi l’interesse legittimo del cittadino alla difesa della sua vita privata e familiare, indipendentemente dal ruolo pubblico ricoperto, prevale sull’interesse della stampa a diffondere una data notizia di cronaca.
Per ogni altro approfondimento si rinvia al testo della sentenza e della normativa richiamata.
 
 
 
Giulia Milizia
p.avv. abilitato al patrocinio e conciliatore foro di Grosseto.
 
 
 
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Cassazione Penale – Sentenza 29 aprile 2008 , n. 17408
 
FATTO
1. Con provvedimento del 5 novembre 2007, a gip presso il Tribunale di Milano, nell’ambito del procedimento concernente i reati di cui all’art. 615 bis c.p., e al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 170, accertati in Milano dal 19 luglio al 2 agosto 2007, ordinava il sequestro preventivo di tutte le fotografie e dei relativi negativi, ritraenti l’Tizio in compagnia di talune ospiti nel parco di una propria dimora, denominata "…omissis…", in …omissis…, rinvenibili presso la sede del quotidiano "…omissis…".
2. Il giudice poneva come presupposti del provvedimento che sul settimanale "…omissis…", il 17 aprile 2007, era comparso un servizio fotografico intitolato "…omissis…", contenente 15 fotografie raffiguranti lo stesso con talune ospiti nel parco della suddetta villa; che l’interessato aveva presentato denuncia querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, in ordine al reato di cui all’art. 615 bis c.p.; che, con provvedimento del 21 aprile 2007, l’Autorità garante della protezione dei dati personali aveva prescritto nei confronti di RCS. Periodici S.p.A, editore del settimanale, e della A. s.a.s., il blocco dell’ulteriore trattamento, con conseguente esclusione della diffusione di ulteriori immagini relative al servizio fotografico in questione, blocco confermato l’8 maggio; che, nonostante tale provvedimento, le immagini erano state nuovamente pubblicate sul quotidiano "…omissis…".
Il gip argomentava che la parte offesa era stata fotografata mentre si trovava in un luogo di privata dimora e che la pubblicazione delle fotografie era stata compiuta dopo che era stato adottato il provvedimento di blocco da parte dell’Autorità garante. Per cui dovevano ritenersi sussistenti i gravi indizi in ordine sia al reato di cui all’art. 615 bis c.p., comma 2, che a quello previsto dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 170.
Aggiungeva che la reiterata pubblicazione sul predetto quotidiano delle foto in questione faceva ritenere concreto il rischio di commissione di ulteriori analoghi reati con grave danno per la privacy della parte offesa.
3. Proposta richiesta di riesame, da parte della R. S.p.A., editore del quotidiano, il Tribunale di Milano, assumendo che le fotografie altro non erano che il corpo dei reati sopra indicati, ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo impugnato.
La società editrice, a mezzo del difensore, propone ricorso per cassazione per i seguenti motivi.
4.1. Violazione del R.D.Lgs. n. 561 del 1946, art. 1, che vieta il sequestro di stampati in sede cautelare, salvo che in presenza di reati previsti tassativamente, tra i quali non rientrerebbero quelli ipotizzati., in quanto le fotografie dovrebbero ritenersi "stampati" essendo la fedele riproduzione di foto già pubblicate dal settimanale "…omissis…", realizzata utilizzando la tecnica della "scannerizzazione" dalla copia cartacea.
4.2. Violazione di legge, perchè carente nella fattispecie il fumus del commesso reato e per difetto di motivazione sul punto, in quanto il provvedimento del Garante era stato emesso nei confronti di una società, la R.C.S. Periodici S.p.A, editore del settimanale, "…omissis…", distinta dalla R. S.p.A., editore del quotidiano "…omissis…", non destinataria del provvedimento, sia perchè il giudice avrebbe tratto la sussistenza del reato di cui all’art. 615 c.p., sul presupposto, non provato, che l’ignoto indagato fosse al corrente del provvedimento del Garante.
4.3. Violazione di legge, perchè carente nella fattispecie il periculum in mora e per difetto di motivazione sul punto.
DIRITTO
 
5. Preliminare è l’esame del secondo motivo che riguarda la dedotta mancanza del fumus in relazione ai reati ipotizzati.
Infatti, il sequestro preventivo può essere disposto solo in quanto sia ravvisabile l’esistenza di un reato, che deve ritenersi l’antecedente logico del provvedimento cautelare. In tale ambito deve essere valutata, non solo l’astratta sussumibilità del fatto in una fattispecie penale, ma anche se sia ravvisabile il fumus del reato ipotizzato, tenendo conto sia degli elementi forniti dall’accusa che delle argomentazioni difensive (Cass. sez. 2^, 23 marzo 2006, n. 19523).
6. Giova, quindi, evidenziare che i giudici del merito hanno argomentato che le fotografie oggetto del sequestro raffiguravano l’Tizio in compagnia di talune ospiti nel parco del proprio domicilio in …omissis…. Non viene dedotto, poi, dalla difesa che tale parco fosse accessibile al pubblico, nè che le riprese fotografiche fossero state autorizzate. Per cui logicamente è stato ritenuto che le riprese fossero state eseguite dall’esterno, da lontano, con particolari mezzi tecnici, all’insaputa e contro le volontà dell’interessato. Per la qualcosa questi aveva proposto denunzia – querela davanti all’autorità giudiziaria di Tempio Pausania.
7. Ora, l’art. 615 bis c.p., prevede, come illecito, l’attività di chi mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva e sonora si procura notizie o immagini attinenti la vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614 c.p., cioè nell’abitazione altrui o in altro luogo di privata dimora o nelle appartenenze di essa.
Tale norma, pertanto, punisce l’intrusione nel domicilio o appartenenze, contro la volontà di chi ha lo jus excludendi, in conseguenza dei nuovi mezzi che la tecnica ha approntato (Cass. sez. 5^, 5 dicembre 2005, n. 10444).
La normativa, tra l’altro, trova il fondamento costituzionale nell’art. 14 Cost., che stabilisce che il domicilio è inviolabile.
8. La tutela del domicilio e della vita privata trova ancoraggio anche nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, resa esecutiva con 1. 4 agosto 1955, n. 848, e precisamente nell’art. 8 che recita "ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza"
9. Di conseguenza sussiste il fumus del reato ipotizzate art. 615 bis, c.p.) dato che le fotografie eseguite riguardano la vita privata che si svolgeva all’interno di un parco, costituente appartenenza della propria dimora, interdetto ad estranei. E nessuna autorizzazione alla ripresa fotografica viene dedotta.
10. Anche l’art. 3 del codice deontologico allegato (A. 1) al D.Lgs n. 196 del 2003, sulla protezione dei dati nell’esercizio dell’attività giornalistica, dispone che " la tutela del domicilio e degli altri luoghi di privata dimora, si estende ai luoghi di cura, di detenzione o riabilitazione, nel rispetto delle norme di legge e dell’uso corretto di tecniche invasive" Quindi, anche quest’ultima disposizione, laddove parla di tutela del domicilio e di corretto uso delle tecniche invasive deve ritenersi che proibisca quelle tecniche che violino il domicilio e i luoghi equiparati nonchè la vita privata che in essi si svolge. E non potrebbe che essere così essendo questi beni tutelati, non soltanto a livello costituzionale ed in sede di norme europee, ma specificatamente a livello penale.
11. Il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 1, appresta un’ulteriore tutela alla vita privata, attribuendo all’Autorità Garante della protezione dei dati personali il potere di fare cessare il comportamento illegittimo(art. 150, comma 2), disponendo il blocco del trattamento delle immagini.
Nella specie il Garante aveva emesso un tale provvedimento. Questo ai sensi dell’art. 152 D.Lgs. cit., deve ritenersi provvisoriamente esecutivo, anche in pendenza di ricorso.
Quindi,, a prescindere da chi lo abbia commesso, sussiste anche il fumus del reato ipotizzato di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 170, che punisce penalmente l’inosservanza del provvedimento del Garante, in quanto questi aveva prescritto il blocco dell’ulteriore trattamento, con conseguente esclusione della diffusione di ulteriori immagini relative al servizio fotografico in questione che andava rispettato.
12. Ora, questa Corte ha costantemente ha affermato il principio che ai sensi dell’art. 325 c.p.p., comma 1, i provvedimenti di riesame di misure cautelari reali sono soggetti a ricorso per Cassazione solo per i vizi concretanti "violazione di legge" (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a, b, c), restando escluso ogni possibilità di sindacato, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sull’adeguatezza del procedimento, al fine di evitare che la condotta criminosa possa protrarsi, reiterarsi o produrre ulteriori conseguenze. Pertanto, agli effetti della legittimità ex art. 321 c.p.p., non ha importanza se l’autore del fatto illecito sia stato correttamente individuato, essendo invece sufficiente l’accertamento del rapporto strumentale tra la cosa e la condotta criminosa (ad es. Cass. 18 marzo 2004, n. 19039).
Nella specie, in relazione alla deduzione difensiva della mancata individuazione degli autori dei reati prima indicati, non ha quindi rilievo, ai fini del sequestro, il fatto che il procedimento sia contro ignoti, dovendo essere valutato soltanto il rapporto tra cosa sequestrata e la condotta criminosa e di questo i giudici del merito hanno riscontrato sia il fumus dei reati sopra indicati che il fatto che le fotografie sono il risultato dell’intrusione, abusiva, nel domicilio altrui.
13. La società editrice deduce, anche, con il primo motivo, che le fotografie non potrebbero essere sequestrate perchè sarebbero "stampati", in quanto prodotti scannerizzati dal periodico "OGGi", dato che la L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 1, stabilisce che sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico chimici, in qualsiasi modo destinati alla pubblicazione.
14 A tale scopo si osserva:
Il R.D.Lgs. n. 561 del 1946, art. 1, dispone: "non si può procedere al sequestro della edizione dei giornali o di qualsiasi altra pubblicazione o stampato, contemplati nell’editto sulla Stampa 26 marzo 1848 n. 695, se non in virtù di una sentenza irrevocabile dell’autorità giudiziaria".
L’art. 1 di questo editto recita che "la libera manifestazione del pensiero per mezzo della stampa e di qualsivoglia artificio meccanico atto a riprodurre segni figurativi è libera: quindi la pubblicazione di stampati, incisioni, litografie, oggetti di plastica e simili è permessa, con che si osservino le norme seguenti".
Anche l’art. 21 Cost., quando dispone che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure o prescrive che si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nei casi preveduti dalla legge, pone tale regolamentazione nell’ambito del diritto alla manifestazione del proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Come detto l’art 3 del codice deontologico allegato (A. 1) al D.Lgs. n. 196 del 2003, sulla protezione dei dati nell’esercizio dell’attività giornalistica, impone, a tutela del domicilio l’uso corretto delle tecniche invasive. Domicilio che trova garanzia anche da parte della norma costituzionale che delle norme europee.
14.1. Pertanto, non possono farsi rientrare tra gli stampati e le copie di quotidiani o di giornali periodici, le fotografie ritraenti atteggiamenti della vita privata ottenute con una condotta costituente reato, mediante intrusione in luoghi di privata dimora con mezzi tecnici particolari, perchè esse non attengono alla manifestazione del pensiero, non trasmettono idee.
E quelle per le quali è stato disposto il sequestro sono fotografie, ritraenti aspetti di vita privata che si svolgeva nelle appartenenze del proprio domicilio, eseguite mediante intrusione in questo con mezzi tecnici particolari, contro la volontà di chi aveva lo jus excludendi.
14.2. Anche la Corte Europea ha ritenuto che la disposizione convenzionale relativa al rispetto della vita privata copra anche le immagini. Che, anzi, da questo punto di vista la tutela deve essere maggiore perchè non si tratta di veicolare al pubblico "idee", ma immagini che contengono "informazioni molto personali". (Corte europea dir. uomo, 24 giugno 2004, V.H. c. Germania, Cass. peti. 2004,3829 (s.m.) che ha ritenuto che aveva violato l’art. 8 della Convenzione la decisione della Corte Costituzionale tedesca che aveva ritenuto illegittime le decisioni dei Tribunali dello stato che avevano ingiunto alla stampa di non pubblicare fotografie della vita privata della …omissis…).
Ugualmente deve affermarsi nel caso di specie, tanto più che le fotografie, non solo rappresentano aspetti di vite all’interno di appartenerne di dimora privata, ma sono anche il risultato di intrusione nel domicilio altrui, in modo da costituire ripetuto reato di cui all’art. 615 bis c.p., e in modo da viola anche il codice deontologico nell’attività giornalistica, che prescrive l’uso corretto di tecniche invasive.
Pertanto, non potendo rientrare le fotografie in questione nel concetto di stampa o di stampa, per esse non vige il divieto di sequestro.
15 Nè in relazione al ter, motivo, si può ritenere che il rilievo pubblico delle fotografie possa ritenersi veicolato a posteriori dallo stesso interessato che in più occasioni avrebbe tenuto vivo l’interesse generale intervenendo sul fatto della pubblicazione riferendo fatti privati, perchè do non risulta dal provvedimento impugnato anzi contraddetto dalla persistente denuncia – querela e dal provvedimento di blocco da parte del Garante.
Non vale, poi, obiettare che il sequestro non sarebbe idoneo a impedire la diffusione delle immagini, dato che le fotografie potrebbero essere reperite, altrimenti. Come avana evidenziato, oggetto del giudizio di legittimità non può essere l’adeguatezza del procedimento, da chiunque commesso, al fine di evitare che la condotta criminosa possa protrarsi o reiterarsi, ma solo l’accertamento strumentale tra cosa, oggetto del sequestro, e condotta di reato. E tale rapporto è stato ritenuto logicamente sussistente.
Pertanto, il ricorso va rigettato ed la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
La Corte:
Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dott.ssa Milizia Giulia

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