Tari su area scoperta: presupposto impositivo

Ruta Maurizio 14/09/21
Scarica PDF Stampa
      

Sommario: 1.  Preambolo; 2. Vicenda processuale; 3. Relazione tra il concetto di ”operatività” dell’area scoperta e sua “suscettibilità” alla produzione di rifiuti urbani 4.Conclusioni

 

Normativa di riferimento: Legge 147/2013 art. 641 che così recita:Il presupposto della TARI e’ il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva”.  

  1. Preambolo

         La sentenza in commento (Ctr Bari 1510/21) si inserisce nel contesto della diatriba riguardante il quesito se, per assoggettare a Tari un’area scoperta pertinenziale ad un diverso locale dove viene esercitata un’attività di impresa (quest’ultimo) già sottoposto a tassazione, sia sufficiente la dimostrazione che tale area rivesta una funzione “operativa” (chiaramente la valutazione va fatta in relazione all’impresa esercitata) oppure se sia, altresì, necessario verificare la sussistenza dell’ulteriore requisito della “idoneità” dell’area esterna alla produzione di rifiuti urbani.

Per i Giudici di Bari, il contribuente è sempre tenuto a pagare la Tari sull’area scoperta, sulla quale egli esercita un possesso / detenzione, ogni qual volta essa venga qualificata come “operativa. Ciò sul presupposto della costruzione dogmatica secondo la quale il locale operativo concorre all’attività di impresa e, conseguentemente, va accomunato, anche sotto il profilo dell’assoggettamento fiscale, ai locali dove viene svolta la predetta attività. Discende, conseguentemente, l’esonero dal pagamento della tassa, nel caso in cui il contribuente riesca a dimostrare che l’area non sia idonea alla produzione di rifiuti in quanto, per sua propria natura, non utilizzabile; ovvero, in maniera più generica, discende l’esonero contributivo quando il contribuente riesca a dimostrare che l’area sia oggettivamente non idonea ad essere destinata ad attività operative e quindi – più specificatamente – sia non idonea ad essere destinata a funzioni, direttamente o indirettamente, produttive di rifiuti.

Vicenda processuale

La società Alfa propone ricorso avverso un avviso di pagamento con il quale il Comune di Bari richiede alla medesima il pagamento della Tari di un’area scoperta, sul presupposto che su tale area, pertinenza del locale ove la contribuente esercita la propria impresa, viene svolta un’attività operativa e funzionale all’impresa stessa. Da ciò discende, in accordo con la tesi del Comune,   l’assoggettamento a tassazione in virtù del richiamo al disposto di cui all’art. 1 comma 641 della l. 147/2013.

La difesa della società contribuente è così articolata: l’oggetto dell’attività imprenditoriale della medesima è rappresentato dalla commercializzazione di manufatti in marmo; l’area esterna è adibita a mera esposizione dei prodotti commercializzati e, in caso di loro rottura, essi verrebbero comunque venduti ad un prezzo inferiore; manca la potenzialità / attitudine dell’attività esercitata nell’area esterna a produrre rifiuti; l’avviso di accertamento va conseguentemente annullato per carenza del presupposto oggettivo.

Con successiva memoria di costituzione, il Comune chiede il rigetto del ricorso, insiste nella correttezza della motivazione dell’avviso di accertamento e ribadisce la bontà della richiesta di tassazione insistendo sul presupposto che l’area va assoggettata a tassazione in quanto area operativa funzionale all’attività commerciale esercitata dalla società contribuente. Sotto tal’ultimo profilo, il Comune ribadisce che non può essere esclusa la produzione di rifiuti urbani stante la frequentazione dell’area da parte del personale della società ricorrente.

La Ctr di Bari, in riforma della sentenza di primo grado, sposa appieno le tesi dell’Ufficio e, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, conferma l’atto impugnato.

Questo è l’iter logico: l’area esterna in questione, seppur utilizzata come magazzino, va comunque annoverata tra le aree funzionali (nello specifico nella sentenza viene classificata come area “generica”) e quindi operativa; le aree operative concorrono all’attività di impresa e pertanto scontano lo stesso trattamento fiscale delle aree già tassate (ove si svolge la relativa attività imprenditoriale); il contribuente non ha dato prova dell’esistenza di alcuna causa di esenzione dal pagamento; conseguentemente sussistono tutti i presupposti per assoggettare l’area esterna a tassazione.

Relazione tra il concetto di “operatività” dell’area scoperta e sua “suscettibilità alla produzione di rifiuti urbani

La sentenza in commento è senz’altro interessante in quanto consente di individuare con precisione la relazione che intercorre tra la qualifica di “operatività”, che per legge deve necessariamente rivestire l’area scoperta per essere assoggettata a tassazione, e l’elemento della “idoneità” della stessa area a produrre rifiuti urbani.

In passato, difatti, nella prassi amministrativa, ma anche in fase giurisprudenziale, sono sorti vivaci dibattiti circa il quesito se sia da assoggettare a Tari l’area scoperta che, pur qualificata come “operativa” (rectius: sulla quale viene svolta un’attività di impresa funzionale a quella svolta nel locale di cui l’area scoperta è pertinenza), sia, per sua natura ovvero in ragione dell’attività ivi svolta, non suscettibile di produzione di rifiuti urbani (emblematico è il dottrinale esempio dell’area esterna di un supermercato adibito a parcheggio per il pubblico. E’ innegabile che tale area svolga una funzione operativa; ma è altrettanto fuori da ogni dubbio che la medesima non sia suscettibile di produrre rifiuti urbani. Conseguentemente, la sua mancata tassazione determinerebbe un contrasto con la norma di legge nella parte in cui intende sottoporre a tassazione le aree scoperte operative. Se però si procedesse ad una sua tassazione, ciò cagionerebbe un contrasto con la ratio della legge che intende tassare gli immobili il cui utilizzo possa generare rifiuti urbani).

Tale contrasto sorge per la poco chiara costruzione del relativo dettato normativo.

Come è noto, la disposizione di riferimento che regolamenta la Tari va individuata nel comma dell’art 641 della legge 147/2013.

La prima parte dell’articolo si preoccupa di delimitare la portata applicativa della disposizione specificando gli elementi di natura soggettiva ed oggettiva che devono concorrere (in capo al contribuente ovvero riferiti al bene)  affinchè un locale o area scoperta possano essere assoggettati a tassazione. Per legge,  onerato del pagamento della Tari è colui che esercita un possesso ovvero una detenzione (quindi una signoria) a qualsiasi titolo sul bene da tassare, a nulla rilevando la destinazione d’uso del bene medesimo (in quest’ottica è pacifico che verrebbe escluso dalla tassazione il possessore solo animo). Viene conseguentemente meno l’onere contributivo, per carenza dell’elemento soggettivo, ogni qual volta il contribuente si spogli del possesso / detenzione del bene volontariamente (affitto a terzi una casa) ovvero venga spogliato in ragione di azione perpetrata da terzi (l’abitazione viene improvvisamente occupata) oppure per accidenti imprevisti non riconducibili al suo volere (a seguito di un terremoto l’edificio viene considerato non agibile).

Sotto il tratto oggettivo, la normativa è diretta a tassare quelle tipologie di immobili che siano “suscettibili di produrre rifiuti urbani”, con pacifica esclusione dalla tassazione di tutti quei beni che – per loro natura oppure perché non oggettivamente utilizzabili – non possano produrre rifiuti urbani. La ratio è di facile intuizione: la Tari va infatti qualificata come tassa (non è certo un’imposta) e come tale rappresenta il corrispettivo che il contribuente è tenuto a versare per il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti svolto a suo favore dal Comune (contra Cass.11150/21 che qualifica la Tari come tributo tendente a soddisfare interessi collettivi). Giocoforza, viene meno l’onere contributivo nell’eventualità in cui il bene non sia utilizzabile e quindi non idoneo alla produzione di rifiuti urbani. Il concetto di “suscettibilità alla produzione di rifiuti” va infatti così inteso: il contribuente utilizza il bene, l’utilizzo del bene genera rifiuti urbani (quanto meno in potenza) e quindi sorge in capo al contribuente medesimo l’onere del pagamento della Tari, indipendentemente dalla dimostrazione della effettiva e concreta produzione di rifiuti. Da quanto fin qui esposto, discendono due importanti corollari. Il primo è riferito all’individuazione dei beni destinatari della norma: è tassato infatti ogni bene immobile (area scoperta o locale al chiuso) sul quale è possibile esercitare una signoria (ossia utilizzare il bene). Il secondo attiene ai motivi di esenzione: il contribuente è esonerato dal pagamento solo nel caso in cui riesca a provare (l’onere dimostrativo incombe chiaramente in capo allo stesso) che il bene non può essere utilizzato e che, conseguentemente, non è idoneo alla produzione di rifiuti. La causa che rende non fattibile l’utilizzo del bene – per pacifico orientamento giurisprudenziale – va ricondotta su un piano di interpretazione oggettiva, deve essere riferita al bene da tassare, va collocata in un preciso lasso di tempo e deve perpetrarsi per una certa continuità: l’occasionalità o la temporaneità non configurano alcuna causa esimente. La mera decisione del contribuente di astenersi dall’utilizzo del bene non rappresenta motivo di esenzione dal pagamento, a meno che non si configuri una situazione tale per cui il bene sia reso del tutto non utilizzabile (ad una abitazione vengono staccate tutte le utenze).

Viene poi specificato nella seconda parte del comma che le aree esterne che siano pertinenze di altri locali sui quali viene esercitata un’attività imprenditoriale, sono tassati se svolgono una funzione “operativa”. L’operatività va intesa nella sua più ampia accezione: in tale ambito rientrano tutte quelle attività che sono svolte ai fini, nell’ambito o comunque in funzione / supporto dell’attività di impresa esercitata nel locale tassato. Tra area scoperta operativa ed area tassata vi deve essere, insomma, una sorta di collegamento funzionale: la prima contribuisce e concorre (non interessa la misura) allo sviluppo dell’attività di impresa esercitata nella seconda e perciò va assoggettata a Tari. Depongono a favore di quest’ultima considerazione due distinte argomentazioni. La prima si fonda sui principi di opportunità e correttezza nella individuazione del bene da tassare: un bene – con funzioni industriali – viene assoggettato a Tari poiché produce rifiuti ed è altresì uno strumento per esercitare l’attività d’impresa. Conseguentemente, va tassata anche l’area scoperta in quanto il suo utilizzo concorre alla formazione del reddito di impresa, in virtù del cd principio della “comunanza nella formazione dello stesso reddito” (altrimenti due locali che contribuiscono entrambi allo stesso reddito verrebbero sottoposti a regimi fiscali differenti). Quale tesi a favore della tassazione dell’area scoperta, ed è questa la seconda argomentazione, va inoltre detto che se si adottasse un criterio difforme, si potrebbero verificare facili ipotesi di elusione fiscale (Tizio volutamente fa figurare di esercitare l’attività imprenditoriale in un piccolo magazzino così da pagare una tassa nei minimi termini, mentre in realtà la stessa viene esercitata in un’ampia area scoperta).   

Conclusioni

         La Ctr di Bari, nella sentenza in commento, precisa, puntualizza e fa propri i principi sopra riportati e, correttamente, sottopone a tassazione l’area scoperta in quanto area “operativa” che, seppur non suscettibile di produrre rifiuti urbani (o comunque produttiva di rifiuti urbani in minima parte), è comunque utilizzata dal contribuente nel contesto dell’esercizio della propria attività d’impresa.

Volume consigliato

Manuale dell’illecito amministrativo

La legge 24 novembre 1981, n. 689 è ancora oggi, dopo 40 anni, il pilastro fondativo dell’intero sistema sanzionatorio amministrativo.  Ogni tentativo di superamento di questo sintetico ed efficace impianto normativo è naufragato, così come ogni rimaneggiamento estemporaneo ha fatto peggio del problema che si intendeva correggere. Il modello di riferimento per la punizione “extra penale” resta quello della Legge 689/1981. Si può, dunque, affermare che l’illecito amministrativo è un’autonoma figura giuridica, perfettamente connaturata all’esercizio del potere amministrativo, esercitato con regole proprie, arricchite da feconde contaminazioni provenienti dalle altre norme amministrative a struttura procedimentale. In omaggio a questa unitarietà di struttura e funzione, è parso cosa utile approntare un testo, per gli operatori pratici, che abbracciasse tutti gli aspetti della materia: dalle nozioni basilari, all’analisi delle fasi dell’accertamento e dei procedimenti di irrogazione delle sanzioni pecuniarie e accessorie, fino al contenzioso e al processo. Questa terza edizione dell’opera, che esce appunto in concomitanza con il quarantesimo compleanno della legge 689, è stata interamente revisionata, aggiornata con le novità normative e giurisprudenziali, nonché arricchita con nuovi commenti e analisi, in modo da far cogliere appieno ai lettori la dinamica evolutiva degli istituti che disciplinano forme e modi della punizione amministrativa.   Giuseppe NapolitanoAvvocato, Dirigente comunale, è Dottore di ricerca in Diritto amministrativo e specializzato nella stessa materia nonché in Scienze dell’amministrazione. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, collabora con svariate agenzie per la formazione in ambito universitario e tecnico-professionale.

Giuseppe Napolitano | 2021 Maggioli Editore

Ruta Maurizio

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento