TAR Lazio, sez. II ter, 9/1/2007 n. 72: Sull’affidamento diretto di un servizio pubblico locale. Interesse a ricorrere e requisiti del controllo analogo.

sentenza 08/02/07
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TAR Lazio, sez. II ter, 9/1/2007 n. 72
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIOSEZIONE SECONDA TER
composto dai signori Magistrati:
Consigliere ****************       – Presidente
Consigliere **************          – Componente
Consigliere ****************     – Componente relatore
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
omissis
 
DIRITTO
1.- Con il ricorso in esame una società che, a seguito di aggiudicazione della gara indetta dal Comune di Anzio per lo svolgimento del servizio di R.S.U., ha svolto lo stesso per cinque anni dal 4.10.2000, con successiva proroga fino al 4.4.2006, ha impugnato la nota del 27.3.2006, n. 15015, del Dirigente U.O. Ambiente e del Direttore dei Lavori della Città di Anzio, di comunicazione della cessazione dal servizio di Nettezza urbana e connessi dal 3.4.2006, e di affidamento del servizio stesso, a far data dal giorno successivo, alla *** Ambiente s.p.a. (in via diretta e senza alcun procedimento ad evidenza pubblica); ha inoltre impugnato la deliberazione del C. C. di Anzio n. 7 del 13.3.2006, recante atti di indirizzo e relativo affidamento in house dei servizi R.S.U., gli atti di affidamento del servizio alla *** Ambiente s.p.a. e quelli di istituzione e di partecipazione alla società mista, anche mediante acquisizione di partecipazioni azionarie.
Con successivi motivi aggiunti ha impugnato la deliberazione del C.C. di Anzio n. 14 del 3.4.2006 (di adesione alla *** Ambiente s.p.a.) e la deliberazione della G.C. di detto Comune n. 65 del 3.4.2006 (di istituzione di un organismo intersettoriale per il “controllo analogo” del servizio R.S.U.); inoltre ha chiesto il risarcimento del danno emergente, per lucro cessante e per perdita di chances, causato dalla condotta del Comune di Anzio, in forma specifica ovvero per equivalente, nella misura del 10 % del prezzo che sarebbe stato concordato, cioè € 279.919,63, salvo maggior misura risultante nel corso del giudizio, ovvero da quantificarsi, anche ai sensi dell’art. 35, II c., del D. Lgs. n. 80 del 1998.
2.- Innanzi tutto il Collegio deve verificare la fondatezza della eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalle parti resistenti per carenza di interesse della ricorrente a causa della intervenuta cessazione di essa dal servizio de quo per scadenza della proroga a suo tempo concessale e non ulteriormente prorogabile.
Osserva in proposito il Collegio che l’affidamento diretto ex art. 113, V c., del D.Lgs. n. 267 del 2000 per la gestione di un servizio pubblico locale (nella specie, l’attività di R.S.U.) non esclude l’interesse al ricorso di un “imprenditore del settore” che intenda tutelare il proprio interesse strumentale ad avere una chance per la partecipazione ad una gara ad evidenza pubblica, avverso l’affidamento del servizio controverso, da ritenersi autonomamente lesivo e perciò autonomamente impugnabile, specie ove col ricorso si contesti la legittimità della scelta di assegnare il servizio con il metodo dell’affidamento diretto (T.A.R. Lazio Latina, 05 maggio 2006, n. 310).
Nel caso in cui si contesti la legittimità della scelta di affidare un servizio con il metodo del c.d. “in house providing”, la legittimazione attiva di parte ricorrente va rinvenuta proprio nella sua connotazione di « imprenditore di settore », che mira a tutelare il proprio interesse strumentale ad avere una chance per la partecipazione ad una gara ad evidenza pubblica (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 12 aprile 2006 , n. 1318).
L’interesse a ricorrere avverso detto provvedimento è, invero, configurabile ex se e non richiede la dimostrazione che l’esito della gara da effettuare sarebbe stato sicuramente o probabilmente favorevole al ricorrente, dato che questo ha interesse a veder valutata la propria offerta in sede di gara e, dunque, è portatore di un interesse strumentale all’annullamento degli atti impugnati ed alla rinnovazione della procedura, da cui deriva una nuova chance di partecipazione e di vittoria.
In conclusione va riconosciuto l’ interesse strumentale a ricorrere in capo a qualsiasi imprenditore del settore e potenziale concorrente, che contesti il modulo organizzativo di affidamento diretto di un servizio pubblico o di individuazione di un partner in società miste, in assenza di gara (T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 28 aprile 2005 , n. 527).
Nel caso che occupa parte ricorrente è sicuramente un “imprenditore del settore”, visto che ha svolto il servizio sino alla data del 4.4.2006, e quindi, a prescindere dalla impossibilità di ottenere una ulteriore proroga del servizio già svolto, è titolare, per le considerazioni in precedenza svolte, di interesse strumentale all’annullamento degli atti impugnati.
La eccezione in esame deve quindi essere disattesa.
3.- Con l’unico, complesso, motivo di ricorso sono stati dedotti violazione e falsa applicazione di legge (artt. 30, 42 e 113 del T.U.E.L.), violazione dell’art. 97 della Costituzione e del principio del buon andamento della P.A., nonché della Direttiva 18/04/CE e degli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE del Trattato CE; inoltre eccesso di potere per incompetenza, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità e contraddittorietà. L’affidamento diretto alla *** Ambiente s.p.a. del servizio di cui trattasi sarebbe illegittimo, tra l’altro, sia perché non è provata la partecipazione del Comune di Anzio al capitale della società, sia perché, comunque, la partecipazione al capitale sociale non deve essere simbolica, ma tale da comportare la possibilità per il Comune, nel cui ambito deve svolgersi il servizio, di effettuare un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e sia perché la società deve inoltre realizzare la parte più importante della propria attività con l’ente pubblico che la controlla (il che nel caso che occupa non sussisterebbe).
Con il primo dei motivi aggiunti sono stati dedotti violazione e falsa applicazione dell’art. 113 del T.U.E.L., del D. Lgs. n. 157 del 1995 e della Direttiva 2004/18/CE; inoltre eccesso di potere per difetto dei presupposti, contraddittorietà, illogicità manifesta e sviamento di potere. Ciò, tra l’altro, in quanto il preannunciato organismo di controllo che il Comune intenderebbe adibire all’esercizio del controllo analogo sulla società *** Ambiente s.p.a. sarebbe competente sulle modalità di gestione del servizio, ma non costituirebbe un raccordo interorganico con la società, che è retta da un Consiglio di amministrazione espresso dalla maggioranza del capitale sociale, controllato dal socio di maggioranza.
3.1.- Osserva in proposito il Collegio che in base all’art. 113, V c., lett. c), del D. Lgs. n. 267 del 2000, anche la gestione dei servizi di rilevanza economica può essere affidata senza gara “a società a capitale interamente pubblico”, pur se a “a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano” (c.d. affidamento “in house providing”).
In caso di servizio gestito col metodo del c.d. “in house providing”, è quindi preliminarmente necessario stabilire con precisione cosa si intenda per controllo analogo.
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con la decisione 13 ottobre 2005, nella causa C-458/03 (Parking Brixen GmbH), ha fornito l’interpretazione, che deve considerarsi autentica, del noto passaggio della sentenza 18 novembre 1999 in causa C-107/98 (Teckal), nel quale, dopo aver affermato l’obbligatorietà della procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente di una fornitura all’ente pubblico, ha enunciato: "Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e quest’ultimo realizzi la parte più importante della propria attività, con l’ente o con gli enti locali detentori.".
Le espressioni usate non chiarivano cosa dovesse intendersi per "controllo analogo", anche se offrivano a tal fine alcun indicazioni significative, come l’affermazione che l’affidatario del servizio era, non un ufficio, ma un soggetto giuridico diverso dall’ente, e che era consentito a questo soggetto di svolgere una parte, anche se minoritaria, della propria attività a favore di soggetti diversi dall’ente pubblico, ipotesi inconciliabile con la figura dell’ufficio. A ciò si aggiunga che il riferimento a "gli enti locali detentori", con cui si chiude l’ultimo periodo di detta enunciazione, implicava il coinvolgimento di un soggetto il cui capitale era posseduto dall’ente, o, ancor più significativamente, da più enti pubblici diversi. Infine l’impiego del concetto di "controllo" consentiva di ritenere che la Corte sopra citata all’epoca si riferisse alle società di capitali, soggetti tipici del diritto commerciale comune, il cui "controllo" è normalmente assicurato dal possesso della maggioranza del capitale.
In epoca più recente (sentenza 11 gennaio 2005, in causa C-26/03) la Corte di Giustizia è tornata sul problema del "controllo analogo", per affermare (par. 49): "…la partecipazione, anche minoritaria, di una impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi.". Da detta enunciazione si poteva dedurre, con argomentazione a contrario, che il possesso dell’intero capitale da parte dell’Ente pubblico, consentisse di ravvisare un assetto idoneo all’esercizio del controllo analogo (in tal senso, Cons St., Sez. V, 22 dicembre 2005 n. 7345). Ciò anche perché la Corte suddetta aveva posto a fondamento della anzidetta proposizione, non l’insufficienza del possesso del solo pacchetto di maggioranza da parte dell’ente pubblico ai fini dell’effettivo controllo sulla società, bensì la disomogeneità tra gli interessi perseguiti dal capitale pubblico e quelli tipici del privato investitore, nonché la lesione dei principi di libera concorrenza e di parità di trattamento tra le imprese, in favore di quella chiamata, con capitale minoritario, a far parte della società.
Con la pronuncia Parking Brixen, sopra citata, la Corte di Giustizia ha condotto un ulteriore approfondimento sul tema, pervenendo ad una più puntuale individuazione dei caratteri del controllo che l’ente deve poter esercitare sulla società affidataria del servizio pubblico (par. 67-69), consistenti sia nella circostanza che il possesso dell’intero capitale sociale da parte dell’ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, perde tale qualità se lo statuto della società consente che una quota di esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi, sia nel fatto che, con riferimento al l’ampiezza dei poteri propri del Consiglio d’amministrazione secondo la disciplina risultante dallo statuto, se il Consiglio d’amministrazione "dispone della facoltà di adottare tutti gli atti ritenuti necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale", i poteri attribuiti alla maggioranza dei soci dal diritto societario non sono sufficienti a consentire all’ente di esercitare un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
Va inoltre rilevato che tra le “circostanze obiettive” idonee a giustificare il mancato rispetto del principio di trasparenza, il Giudice comunitario, nella sentenza della Corte giustizia CE, 21/07/2005, n. 231, ha ritenuto che non possa essere ricompresa la partecipazione dell’ente affidante alla società affidataria, qualora tale partecipazione sia di entità tanto modesta da non consentire all’ente stesso alcun tipo di controllo su di essa. Per quanto riguarda la specificazione di che cosa debba intendersi per controllo la Corte di giustizia ha esplicitato che esso deve essere inteso come un rapporto equivalente ad una relazione di subordinazione gerarchica: ciò, in particolare, si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente affidatario del servizio, affinché quest’ultimo possa essere considerato una longa manus dell’amministrazione aggiudicatrice. Solo in questo caso è stato ritenuto essere consentito affidare direttamente la gestione di servizi pubblici senza esperimento delle procedure concorrenziali prescritte dalle disposizioni comunitarie.
Alcune ulteriori indicazioni utili possono essere tratte dalla giurisprudenza più recente della Corte di giustizia (Cfr. C. giust. Ce, sez. V, 27 febbraio 2003, causa C-373/00, ***************** c. Bestattung Wien GmbH, in Racc., 2003, I, 01931.), secondo la quale si possono ravvisare i canoni di uno stringente controllo di gestione allorché da un lato “le pubbliche autorità verificano non solo i conti annuali dell’organismo considerato, ma anche la sua amministrazione corrente sotto il profilo dell’esattezza delle cifre indicate, della regolarità, dell’economicità, della redditività e della razionalità e, dall’altro, le stesse autorità sono autorizzate a visitare i locali e gli impianti aziendali del suddetto organismo e a riferire sul risultato di tali verifiche a un ente locale che detenga, tramite un’altra società, il capitale dell’organismo di cui trattasi”.
Ulteriori criteri sono stati individuati dalla dottrina al fine di individuare il “controllo analogo” di cui si è detto, quali ad esempio la possibilità per la P.A. di effettuare le verifiche e gli interventi necessari su atti come quelli diretti a delineare le strategie operative della società o quelli più rilevanti per la vita di essa, oppure il potere per la P.A. medesima di accertare il raggiungimento degli obiettivi fissati in tali atti.
Ancora più recentemente, la Corte di giustizia ha addirittura individuato un ulteriore parametro sulla base del quale identificare una fattispecie di «controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi», ossia la necessità dell’assenza nella compagine sociale di qualsiasi socio privato (C. giust. Ce, sez. I, 11 gennaio 2005, causa C-26/03, ***********, in Urb. app., 2005, 3, 288). Secondo il Giudice comunitario, infatti, il rapporto che lega una Amministrazione ai propri servizi deve necessariamente avere come obiettivo il perseguimento dell’interesse pubblico, mentre la partecipazione di un soggetto privato alla compagine sociale non potrebbe che introdurre al suo interno ulteriori interessi (in particolar modo economici) diversi da quest’ultimo. Inoltre,, anche se il requisito del “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi” può sussistere anche laddove il capitale sociale non sia interamente detenuto da enti pubblici, ciò è stato ritenuto possibile purché in concreto i rapporti organizzativi e funzionali tra p.a. ed ente partecipato – così come emergenti sia dalla legislazione societaria nazionale, sia dall’atto costitutivo e dallo statuto della società – consentano alla prima di realizzare gli interessi pubblici che le sono istituzionalmente affidati.
Sulla base del sopra riportato criterio si può convenire con il Giudice comunitario, che, con sentenza della Corte giustizia CE, 21/07/2005, n. 231, ha sostenuto l’inconfigurabilità di detto controllo in capo ad un ente che abbia una partecipazione al capitale sociale meramente simbolica ((nel caso all’esame della Corte dello 0,97%), risultando invece necessario il possesso di una quota significativa che consenta all’ente stesso una effettiva influenza sulla gestione della società.
In conclusione, per “controllo analogo” deve intendersi, secondo giurisprudenza condivisa dal Collegio, un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 12 aprile 2006 , n. 1318), che non può sussistere, in particolare, quando la partecipazione dell’Ente pubblico alla società sia meramente simbolica.
3.2.- Nel caso che occupa al momento dell’affidamento diretto del servizio de quo il Comune di Anzio deteneva solo l’1 % del capitale sociale, e la partecipazione non può che ritenersi simbolica, con impossibilità di esercizio di un controllo equivalente a quello di subordinazione gerarchica.
A nulla vale che, come dedotto dalla difesa depositata il 14.5.2006 dalla società controinteressata, l’attribuzione del capitale sociale al Comune di Anzio fosse provvisoria (in vista di un futuro ampliamento di essa a seguito del quale essa sarebbe divenuta consona al servizio da espletare) perché la legittimità del provvedimento impugnato va valutata in base alle circostanze sussistenti al momento della sua adozione.
Medesimi rilievi possono essere effettuati con riferimento alla ulteriore circostanza dedotta in detta difesa (che lo statuto della controinteressata sarebbe in corso di modifica, con previsione che il Consiglio avrebbe dovuto tener conto degli atti di indirizzo emanati dai singoli enti pubblici che siano soci/clienti e che il piano operativo annuale di gestione dei servizi avrebbe dovuto rispettare gli indirizzi di politica ambientale dei Comuni) perché la modifica di certo non sussisteva al momento dell’affidamento diretto in questa sede impugnato.
4.- Quanto alla richiesta di risarcimento del danno emergente, per lucro cessante e per perdita di chances, causato dalla condotta del Comune di Anzio, in forma specifica ovvero per equivalente, considera il Collegio che non è risarcibile il danno da lesione dell’ interesse legittimo quando l’attribuzione del "bene della vita", consistente nell’ affidamento di un servizio spetti solo al partecipante vittorioso alla procedura concorsuale, atteso che costui ben potrebbe essere soggetto diverso dal ricorrente che abbia ottenuto l’annullamento del provvedimento di affidamento diretto del servizio (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 18 gennaio 2005 , n. 100).
 L’annullamento degli atti di gara impugnati soddisfa peraltro l’interesse strumentale azionato dalla ricorrente e presenta connotati equivalenti ad un risarcimento in forma specifica (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 05 maggio 2006 , n. 39729).
Tanto comporta la impossibilità di accoglimento della richiesta di risarcimento in esame.
5.- Il ricorso, comprensivo dei motivi aggiunti, deve essere, pertanto accolto in parte ed i provvedimenti impugnati annullati nei limiti e nei termini sopra indicati. Restano assorbiti gli ulteriori motivi posti a base del ricorso e dei motivi aggiunti.
6.- Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti.
Consegue alla soccombenza del Comune di Anzio, ai sensi dell’art. 13, comma VI bis, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, la condanna del Comune stesso alla rifusione alla parte ricorrente del contributo unificato da essa versato, nella misura di € 340,00 (trecentoquaranta/00), come da ricevuta in atti.
 
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione seconda ter – accoglie in parte il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati nei limiti e nei termini indicati in motivazione.
Spese compensate.
Condanna il Comune di Anzio alla rifusione alla ricorrente del C.U. nella misura di € 340,00 (trecentoquaranta/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla pubblica amministrazione.
Così deciso in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione II ter -, nella camera di consiglio del 4.12.2006, con l’intervento dei signori Magistrati elencati in epigrafe.
Consigliere ****************                                          Presidente
Consigliere ****************                                         Estensore
 
Depositata in segreteria
il 9 gennaio 2007

sentenza

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