Suprema Corte di Cassazione: dire “gay”al coniuge non comporta addebito della separazione

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Una domanda di carattere comune potrebbe  essere se dare del gay al proprio coniuge possa comportare l’addebito della separazione.

Ha risposto la Suprema Corte di Cassazione con un recente provvedimento (Cass. ordinanza n. 11789/2021 del 05/05/2021) affermando che sia un po’ poco.

Anche quando un matrimonio finisce se la si fissa sul fatto che il marito preferisca gli  uomini o viceversa.

In relazione al racconto della persona offesa questo il vero motivo della separazione.

Secondo la Suprema Corte, però, non è sufficiente per accollare all’altro coniuge la colpa della fine del rapporto di coppia, arrivando al punto di costringere l’ex a pagare l’assegno di mantenimento ogni mese.

Secondo i Supremi Giudici dare del gay al coniuge non comporta l’addebito di separazione.

In precedenza, era stata sempre la Cassazione a stabilire che fosse legittimo andare via di casa di fronte ai ripetuti insulti del coniuge, che devono essere interpretati come reato di maltrattamenti in famiglia e che possono dare alla persona offesa il diritto di chiedere l’addebito della separazione (Cass. sent. n. 34351/2020).

Sembrano siano pareri contrastanti.

In questa sede scriveremo quali siano state le giustificazioni.

Dire al coniuge che è gay è reato?

Non risulterebbe utile discutere se il marito abbia dei motivi per sentirsi offeso oppure non li abbia, quando la moglie gli dà del gay se poi si scopre che per la legge non ci sono le basi per fare saltare un matrimonio a causa di simili parole.

In una società che si considera avanzata rispetto al passato, dare dell’omosessuale a una persona non deve essere considerata un’offesa, perché potrebbe sembrare  che si voglia che riconoscere che tra omosessuali ed eterosessuali ci sia una differenza e che i primi hanno una componente negativa rispetto ai secondi.

Diversità che stanno scomparendo.

La Cassazione (Cass. sent. n. 50659/2016) ha cercato di spiegare che dare del gay a una persona non sia reato, anche se in realtà la stessa persona sia la più etero del mondo.

Secondo i Supremi Giudici, alla parola “gay” oppure “omosessuale” non può pone una conseguenza non è coerente che si parli di diffamazione.

Secondo la Suprema Corte, al contrario di altri appellativi utilizzati con l’intento di denigrare qualcuno, la parola “omosessuale” assume un carattere neutro, limitandosi all’attribuzione di una qualità personale al soggetto” ed è “in questo senso” di utilizzo comune.

Dire al coniuge che è gay è un insulto?

Ci sono valori come la correttezza e il rispetto che devono essere manifestati in modo particolare.

Sentirsi dire determinate cose da un amico non è come sentirle dire al coniuge.

In questo modo quando la moglie accusa il marito di essere gay, o viceversa, o sta scherzando o, se lo dice sul serio, c’è un preciso intento di offendere, anche perché arriva da parte della persona meno indicata, quella con la quale un coniuge ha un rapporto intimo che non dovrebbe lasciare spazio a dubbi sulle sue preferenze sessuali.

Se un collega di lavoro oppure un conoscente dica a qualcuno che è omosessuale non deve essere ritenuto un insulto.

Se lo dicono la moglie o il marito non è lo stesso, perché è palese l’intento di offendere l’altro nella sua sfera più intima, correndo il rischio di provocare nella persona offesa uno squilibrio emotivo e un danno psicologico.

Potrebbe anche arrivare a pensare:

“Se mia moglie me lo dice significa che, come uomo, non valgo niente”. Oppure viceversa.

Qualcuno ci potrebbe davvero credere.

In presenza di simili circostanze, si deve ricorrere a un’altra sentenza della Cassazione nella quale è stato stabilito che gli insulti al coniuge costituiscono il reato di maltrattamenti in famiglia.

L’illecito penale scatta se gli insulti siano ripetuti e abituali.

Non è sufficiente fare volare qualche parola in più in un momento di rabbia, si devono ripetere con una determinata frequenza sino a quando il loro ascolto diventi un’abitudine.

Questo giustifica il fatto che la vittima degli insulti lasci il tetto coniugale, andandosene di casa, essendoci una giusta causa alla base del suo gesto, e si realizzeranno i presupposti per chiedere l’addebito della separazione.

Chi viene insultato in modo continuato, può chiedere la separazione e il divorzio con addebito a carico dell’altro coniuge.

L’addebito, in sé, non garantisce il diritto al risarcimento del danno ma esclude la possibilità, per il responsabile, di chiedere l’assegno di mantenimento o di rivendicare i diritti ereditari se il coniuge dovesse morire prima del divorzio, perché con il divorzio si perdono i diritti di successione.

Dare del gay al coniuge e giustificazione della richiesta di addebito

Come scritto in precedenza, dare del gay non è reato.

Dare del gay al coniuge, però, può essere ritenuto un insulto più grave e farlo in modo ripetuto e con abitudine diventa maltrattamenti in famiglia.

Sempre la Suprema Corte di Cassazione di recente si è occupata della vicenda di un uomo che aveva deciso di mettere fine al matrimonio perché stanco di sentirsi dire da sua moglie che era omosessuale.

La Suprema Corte non ha ritenuto che sia stata questa la causa della crisi coniugale.

Secondo i Supremi Giudici, il rapporto era in crisi da prima e le considerazioni della moglie potevano essere ritenute “puro contorno” in una situazione senza ritorno.

Non è simpatico e giustificabile dare del gay al marito, però, secondo la Suprema Corte, quando si arriva a questo punto significa che dietro c’è qualcosa di grave che ostacola il matrimonio.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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