Sul giudizio: sintesi storica e analisi logica formale

Scarica PDF Stampa
 

 

Sintesi

Il giudizio è per Kant una attività valutativa tesa a distinguere se è o non è il caso di applicare una regola, la quale si esprime attraverso formule che definiscono il criterio di scelta, in questo avvicinandosi al pensiero aristotelico.

In Pierre de la Rameé viene a identificarsi, nella ripartizione aristotelica, il giudizio con il metodo, in quanto prima vi è il pensiero a cui segue il giudizio, secondo una ripartizione logica.

Brentano  divide a sua volta l’attività psichica nella rappresentazione dell’oggetto e nel successivo giudizio, quale accettazione del vero e rifiuto del falso, in quanto vi è la necessità del momento della convinzione (Meinong).

Nel giudizio la proposizione è per Russell un atteggiamento psicologico che viene espresso verbalmente.

Già in Aristotele il discorso dichiarativo procede per composizione e divisione, dove per gli Stoici la proposizione che si pone nelle premesse diviene con la valutazione enunciazione, ossia formula o schema ripetibile secondo l’equivalenza, per cui a enunciato vero vi è una proposizione vera (Carnap, Quine, Church).

La proposizione può essere, quindi, intesa anche come designato dell’enunciato e non quale espressione di un’operazione mentale detta giudizio.

Ricollegandosi al concetto di proposizione Frenge sostiene essere quest’ultima un “pensiero” non solo individuale ma possesso comune a molti, mentre il suo significato è costituito dal “valore di verità”, ossia dal vero o falso, il quale ultimo è l’oggetto su cui insiste la stessa. Ne consegue che la proposizione è la sintesi del suo significato e del suo pensiero.

Wittgenstein nell’eliminare il senso, o pensiero, riduce la proposizione al suo solo significato, essendo di per sé rappresentazione della realtà ed il senso risulta essere in essa.

A sua volta Carnap considerando la proposizione come una realtà composta, supera la distinzione fra vero e falso , in quanto sebbene i componenti ultimi devono essere veri, non altrettanto può dirsi per la proposizione nel suo complesso.

Un’ulteriore distinzione è operata Bergman tra l’intenzione e la proposizione, dove la prima è l’oggetto degli atti intenzionali, mentre la seconda è il “carattere” dell’intenzione stessa.

Lo stesso Husserl stabilisce una distinzione tra l’atto del giudizio e l’essenza intenzionale ovvero conoscitiva di questo, il quale è il suo contenuto oggettivo, distinguendo tra il “giudicare” e il “giudizio formale”.

Interviene, in questo, tuttavia, la motivazione del giudizio che può essere tesa al solo utile e non alla verità, divenendo per tale via menzognera e quindi un’arma sociale.

Volume consigliato

Analisi

Se vero (+) per vero (+) fa vero (+), come vero (+) per falso (-) fa falso (-) o falso (-) per vero (+) fa altrettanto falso (-), anche falso (-) per falso (-) farà vero (+).

Partendo dal presupposto che la normativa è sostanzialmente un dovere, vero (+) o un non dovere, falso (-), il giudizio che ne deriva dal combinato disposto di due o più normative non potrà essere valutato quale vero (+) o falso (-) che in termini di “coerenza”.

Solo se coerente il giudizio è vero, altrimenti esso sarà falso, questo indipendentemente dal contenuto dove interviene una logica fuzzy, la quale non sarà fondata che su una serie di parametri che andranno dal principale, l’economico, all’etico, all’ideologico, in un termine quello che il soggetto considererà l’utile, morale o economico che sia.

Ad un livello più profondo vi è l’analisi della formazione del concetto di utile nel soggetto, questo non sarà che la composizione tra il contesto in cui agisce e l’esperienza del suo vissuto.

Il giudizio risulta pertanto composto nella sua logica sfumata da due radici motivazionali, una esterna e l’altra interna al soggetto , che daranno luogo al calcolo, ossia dal presupposto all’enunciato che dal caso singolo concreto si allargherà al contesto.

La potenziale caoticità derivante dal combinato disposto si riduce alla gestibile complessità mediante l’autorità degli attrattori, che convoglieranno il giudizio su una delle “coerenze” possibili, in altri termini su uno dei mondi possibili, scegliendo per tale via quale degli “utili” sia legittimo socialmente.

Consideriamo i dati della conoscenza tutti dello stesso valore ponendoli su di un asse orizzontale, questa collocazione a priori verrà differenziata per importanza su un asse verticale, ma solo la profondità data dalla capacità esplicativa degli “utili” darà forma alla graduatoria definitiva tra i mondi possibili (Bonanate).

Dobbiamo considerare che anche in quello che appare oggettivo può esservi una “visione del mondo”, basta fare riferimento alle rappresentazioni geografiche.

Scrive Caracciolo nella prefazione al Volume “Carte come Armi” (E. Boria, Società Ed. Nuova Cultura, 2009): “Anche perché esso smentisce il carattere apparentemente asettico della cartografia, così come ci viene trasmesso dalla scuola, talvolta dalla stessa accademia. Le carte oggi mentono sempre. Non potrebbe essere altrimenti, perché l’esercizio di ridurre sul piano le tre dimensioni dello spazio fisico, implica la “falsificazione” di alcuni dati di realtà. Ossia la loro manipolazione, legittima e anzi necessaria, senza di che non si può dare alcuna immagine cartografica.

Di qui anche la potenza evocativa delle carte. E quindi il loro uso strategico: carte come armi, appunto. […] Una cosa è la menzogna strutturale, di cui tratta Mommonier. Altra è la menzogna ai fini di propaganda geopolitica su cui si soffermano le analisi di Boria”.

Il giudizio può essere usato quindi anche come arma, qualcosa che è indipendente dal rapporto vero/falso, ma coerente di per se stesso per il fine a cui è diretto. Il giudizio acquista in tal caso una logica autogiustificante, ma risulta altro dall’analisi di un corretto procedimento.

Alla perdita di omogeneità culturale o di presa sulla società delle elité che devono applicare le regole giuridiche, corrisponde un progressivo irrigidimento delle stesse in una minuziosità che conduce alla sclerosi del sistema.

Vi è, in altri termini, un rapporto inverso tra compattezza sociale e culturale delle elité; che si riflette sugli strati inferiori e la pignoleria giuridica di un tecnicismo che tutto prevede e disciplina.

Una situazione ben rappresentata dal passaggio dal sistema normativo dei primi due secoli del Principato, alle estese codificazioni del Dominato, rappresentazione della crescente distanza della classe senatoria dal governo effettivo dell’Impero.

 

 

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento