Smart working: nuovo modello di lavoro anche per gli enti locali

Redazione 07/12/18
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a cura di Paola Morigi

L’ avvio di alcune sperimentazioni ci consente di immaginare la p.a. del futuro
Sempre più spesso nella stampa economica specializzata si parla di lavoro agile o flessibile (smart working o smart work se vogliamo impiegare termini inglesi), applicabile nel settore privato (alle imprese, ai servizi, agli studi professionali, ecc.) e anche nella pubblica amministrazione.

Ma di cosa si tratta realmente?

Si dice che non servirà più la timbratura del cartellino dal momento che il lavoratore verrà valutato non in relazione al periodo trascorso in fabbrica, in negozio o in ufficio, ma sulla base degli obiettivi raggiunti in un certo lasso temporale.

Per saperne di più riteniamo sia utile fare riferimento innanzitutto alla norma che, in Italia, lo ha previsto. Si tratta della legge 22.5.2017, n. 81, emanata a tutela del lavoro autonomo e per disciplinare un’articolazione più flessibile del lavoro subordinato.

Al lavoro agile è dedicato un intero capo della l. n. 81/2017: viene descritta una nuova tipologia lavorativa che nasce per incrementare la competitività, conciliando contemporaneamente i tempi dell’impresa e più in generale dei datori di lavoro con le esigenze del personale dipendente. Dal momento che oggi le moderne tecnologie informatiche consentono di poter lavorare in contesti diversi da quelli consueti il legislatore ne ha preso atto e ha previsto anche che, previo accordo fra azienda e lavoratore, sia ipotizzabile una modalità di prestazione diversa da quella tradizionale.

Nel sito del Ministero del lavoro lo smart working è trattato in una specifica sezione, presso la quale ci si può registrare anche per provvedere all’invio dei testi degli accordi che vengono firmati. In questo modo si possono far conoscere le nuove soluzioni organizzative che vengono costruite e si dà l’avvio alla procedura che in alcuni casi consente di poter godere di benefici economici di varia natura.

Cosa presuppone lo smart working

Se il legislatore ha cercato di definire il perimetro all’interno del quale può trovare applicazione il lavoro agile non ha mancato di evidenziare alcuni aspetti di cui è necessario tenere conto per utilizzare la nuova procedura che si applica alla prestazione del dipendente. Vediamone alcuni.

Chiarito innanzitutto che la normativa sullo smart working interessa il lavoro subordinato, va precisato che è il datore di lavoro ad essere responsabile della sicurezza e del buon funzionamento delle attrezzature che vengono assegnate al dipendente. Immaginiamo che potrebbe trattarsi di smartphone e pc portatile, senza tuttavia escludere altre possibili strumentazioni.

Per rimanere sempre nell’ambito della sicurezza, ricordiamo che il dipendente avrà diritto ad essere tutelato contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali che derivano da rischi connessi alla sua prestazione lavorativa, al pari dei colleghi che non sceglieranno questa tipologia di lavoro.

Le modalità di svolgimento della prestazione dovranno essere scritte in apposito accordo – il cui testo sarà oggetto di comunicazione come previsto dall’art. 9-bis del d.l. 1.10.1996, n. 510 – che andrà a disciplinare lo svolgimento dell’attività lavorativa effettuata al di fuori dei locali aziendali. In tale accordo dovranno essere individuati anche i tempi di riposo del lavoratore, ovvero i periodi nel corso dei quali potrà essere “disconnesso” o “non rintracciabile”.

L’accordo scritto potrà prevedere il lavoro agile a tempo determinato o indeterminato, ma sarà comunque prevista per entrambe le parti una possibilità di recesso da comunicare preventivamente.

Lo smart worker avrà diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello applicato ai colleghi e previsto dal contratti collettivi di lavoro. Qualora venissero riconosciuti incentivi di carattere fiscale o contributivo anche il lavoratore agile avrebbe diritto ad ottenerli. Dovrà seguire gli aggiornamenti professionali attraverso adeguate modalità formative e ottenere la periodica certificazione delle competenze.

Al datore di lavoro spetterà l’esercizio del potere di controllo sulle prestazioni rese da parte del lavoratore all’esterno dei locali aziendali e, qualora se ne verifichino i presupposti, potranno essere comminate eventuali sanzioni aziendali.

Infine va ricordato che la disciplina normativa può trovare applicazione non solo nel settore privato ma anche, se compatibile, in quello pubblico.
(continua a leggere…)

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