Sezioni Unite Thyssenkrupp-Il garante come “gestore del rischio”

AR redazione 22/10/14
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Il garante come “gestore del rischio”. Ruoli e responsabilità dei protagonisti della scena-lavoro secondo le Sezioni Unite Thyssenkrupp.

 

Nella sentenza n. 38343/2014, tra le diverse questioni affrontate, le Sezioni Unite procedono ad una chiara rivisitazione della categoria dogmatica della posizione di garanzia, calibrando le conclusioni a cui giungono, nell’ambito delle intricate connessioni di ruoli e qualifiche caratterizzanti il sistema prevenzionistico, oggetto di procedimento.

La categoria in esame, infatti, viene esaltata dalle Sezioni Unite quale strumento attraverso il quale il diritto penale, quale scienza del giudizio di responsabilità, può realizzare l’aspirazione a cui istituzionalmente è preposto, ovvero ad esprimere un ponderato giudizio sulla paternità umana di un determinato illecito.

Risultato a cui le Sezioni Unite pervengono poi nel caso oggetto di giudizio, attraverso l’analisi in concreto dei ruoli dei soggetti gravati da dette posizioni di garanzia, tracciando uno statuto delle sfere di competenza e, quindi, di responsabilità dei protagonisti della “scena lavoro”, quali codificati nel TU 81/08.

  1. La rivisitazione della posizione di garanzia

Le Sezioni Unite esprimono l’esigenza di arginare l’indubbia forza espansiva dell’imputazione del fatto determinata dalla causalità condizionalistica, a mente della quale ogni antecedente causalmente ricollegabile all’evento è penalmente rilevante in ordine alla produzione dello stesso.

Esigenza che si ravvisa maggiormente in ambiti, quali quello prevenzionistico, in cui la complessità organizzativa – data dalla contestuale presenza di diversi soggetti deputati a determinati compiti e doveri strettamente connessi tra loro – può pregiudicare la necessaria personalizzazione dell’imputazione penale, realizzando, per contro, un’indiscriminata attribuzione dell’illecito a diversi soggetti, i cui ruoli sono a vario titolo interessati dalla produzione dell’evento.

A tal fine, le Sezioni Unite, denunciando l’inadeguatezza delle teorie elaborate per contenere la forza attrattiva dell’imputazione oggettiva generata dal condizionalismo, ravvisano nell’idea di rischio il fattore capace di limitare e separare le sfere di responsabilità in ordine alla realizzazione dell’evento.

Del resto – argomentano le Sezioni Unite – l’ambito della sicurezza sul lavoro fa emergere la centralità dell’idea del rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l’uomo si inserisce in un apparato gravido di insidie.

E sulla base di tale assunto, le Sezioni Unite, ben consapevoli della pluralità dei rischi che caratterizza l’ambito prevenzionistico, riconoscono come rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare.

Aspetto che tradizionalmente viene tematizzato entro la categoria della posizione di garanzia, quale espressione che condensa l’obbligo giuridico di impedire l’evento che costituisce, secondo un classico inquadramento, la fonte della responsabilità in ordine ai reati commissivi mediante omissione.

Impostazione che viene decisamente rivisitata, assegnando alla categoria in esame un significato ben più ampio, ovvero conferendo alla posizione di garanzia il ruolo personalizzante l’attribuzione della responsabilità, anche commissiva, quale limite alla forza espansiva della teoria condizionalistica.

Nel senso che la responsabilità penale deve essere differenziata e limitata in ragione dell’area di rischio in cui si è realizzato l’evento e del soggetto che viene ritenuto gestore di quel rischio, poi realizzatosi.

Sicché – concludono sul punto le Sezioni Unite – “garante è il soggetto che gestisce il rischio” e colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l’illecito, qualora l’evento si sia prodotto nell’ambito della sua sfera gestoria.

Ciò non significa – avverte la sentenza – che sia sempre possibile compartimentare la responsabilità penale, soprattutto in un ambito, quale quello del diritto penale del lavoro, in cui si assiste spesso ad una connessione di obblighi e responsabilità in capo a diverse figure e soggetti gestori di un rischio.

Ma l’idea di rischio e, quindi, l’individuazione del gestore dello stesso, deve essere posta alla base dell’imputazione oggettiva dell’evento, nella prospettiva di limitare e separare le sfere di responsabilità dell’illecito.

  1. L’individuazione del gestore del rischio

Premesso quanto sopra, le Sezioni Unite rinvengono proprio nel TU 81/08 la fonte normativa che meglio di altre aiuta a comprendere come nasce e come si conforma la posizione di garanzia, ovvero la responsabilità gestoria che in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.

Di grande interesse da questo punto di vista, è la disposizione di cui all’art. 299 che enuncia il principio in base al quale la veste di garante, oltre ad essere conseguente ad investitura formale, può ben aver luogo per effetto dell’esercizio in concreto di poteri giuridici riferiti alle diverse figure.

In tal modo, si assiste alla creazione di una responsabilità gestoria di fatto, ovvero di una posizione di garanzia di fatto idonea ad imputare la produzione del rischio che in concreto quella figura era deputata a governare.

Ulteriore fonte normativa utile all’individuazione in concreto del gestore del rischio, si rinviene nella fondamentale norma del sistema prevenzionistico contenuta nell’art. 28, disciplinante la valutazione del rischio e il documento sulla sicurezza del lavoro, definito dalle Sezioni Unite quale statuto della sicurezza aziendale.

Trattasi, come noto, di una mappa di poteri e responsabilità che governa l’agire informato dei vari soggetti che vanno a comporre l’organizzazione, prescrivendo misure di protezione e prevenzione, definendo contestualmente i corrispondenti ruoli, al fine di scongiurare la realizzazione dei rischi individuati.

Dalle indicazioni normative che precedono, le Sezioni Unite concludono affermando come ruoli, poteri, competenze segnano le diverse sfere di responsabilità gestionale e contestualmente delimitano la sfera di rischio che deve essere governata, ovvero, ancora, definiscono l’estensione della posizione di garanzia.

Coniugando le argomentazioni sin qui esposte, si può dunque affermare come la necessaria esigenza di personalizzazione dell’imputazione dell’illecito, trova risposta nell’individuazione di ogni singola responsabilità gestoria.

Operazione quest’ultima che passa attraverso l’analisi dei ruoli, competenze e poteri in concreto attribuiti e/o esercitati nell’ambito dell’organizzazione, id est l’individuazione del gestore del rischio.

In altri termini, usando lo schema proposto dalle Sezioni Unite, nell’individuazione del garante/gestore “occorre partire dalla identificazione del rischio che si è concretizzato, del settore, in orizzontale, e del livello, in verticale, in cui si colloca il soggetto che era deputato al governo del rischio stesso, in relazione al rulo che questi rivestiva”.

  1. I gestori del rischio previsti dal TU 81/08

Ricostruita la questione dal punto di vista dogmatico, le Sezioni Unite passano in rassegna le varie figure di garanti/gestori del rischio, su cui è tradizionalmente fondato il sistema prevenzionistico.

Il datore di lavoro viene definito come colui che ha la responsabilità dell’organizzazione e dell’azienda o dell’unità produttiva, in quanto esercita i relativi poteri decisionali e di spesa.

Significativo dell’ampiezza dei poteri del datore di lavoro, è l’art. 16 che, disciplinando la delega di funzioni, esalta i poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa del datore di lavoro.

Con riferimento a detta figura, le Sezioni Unite, in ossequio ad un principio di effettività, rammentano come nell’ambito di organizzazioni complesse il ruolo datoriale non può essere attribuito indiscriminatamente solo sulla base di un criterio formale, richiedendo invece una valutazione in concreto dell’organizzazione e della distribuzione in seno alla stessa dei relativi poteri.

Così nel caso di specie, la veste di datore di lavoro e la conseguente responsabilità gestoria sono state attribuite, non all’intero consiglio di amministrazione, ma solo ai tre consiglieri delegati, in ragione dei tipici poteri di gestione e spesa di cui erano dotati e che li ha fatti assurgere a ruolo di gestori del rischio che si è poi concretizzato.

Il dirigente, poi, viene definito quale sorta di longa manus del datore di lavoro, in quanto deputato all’attuazione degli adempimenti che l’ordinamento demanda a quest’ultimo. Con la precisazione che il ruolo di dirigente è conformato ai poteri gestionali di cui concretamente dispone, ovvero alla funzione assegnata e svolta.

Il preposto è  colui che attua le direttive del datore di lavoro o del dirigente, controllandone la corretta esecuzione.

Comuni ad entrambe le figure da ultimo analizzate, sono gli estremi entro cui si iscrive la relativa responsabilità gestoria.

Da un lato, infatti, si ravvisano poteri gerarchici e funzionali che costituiscono la base e al contempo il limite della loro responsabilità; dall’altro, si assiste all’attribuzione di poteri di vigilanza e controllo, ai quali a loro volta soggiaciono.

Pertanto, l’individuazione della relativa sfera di responsabilità di detti soggetti esige una ricognizione  dei poteri di gestione e controllo di cui concretamente dispongono; poteri che segnano la base ed il limite dell’estensione della posizione di garanzia e quindi dell’imputazione dell’illecito sul piano oggettivo.

In breve e per tutte le categorie appena esposte, l’esigenza di personalizzazione dell’imputazione, se da un lato non può prescindere dalle categorie giuridiche, dall’altro necessita di un’accurata analisi dei concreti ruoli esercitati da ogni soggetto coinvolto a vario titolo nella realizzazione del rischio.

A tale ultimo rigurdo, precipuo interesse riveste la tematica della delega di funzioni, per effetto della quale, nei limiti consentiti dalla legge, si opera “una riscrittura della mappa e dei poteri in seno all’organizzazione”.

Attraverso l’istituto della delega e per ciò che maggiormente interessa in questa sede, si configura una posizione di garanzia con riferimento alla materia delegata, incardinando una responsabilità gestoria in capo a soggetti (delegati) diversi da quelli istituzionalmente preposti al governo di uno specifico rischio (deleganti). Quest’ultimi si liberano di poteri e responsabilità che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato, residuando in capo al delegante un obbligo di vigilanza “alta”, che riguarda il corretto svolgimento delle funzioni da parte del delegato. 

Sul punto, le Sezioni Unite compiono due importanti precisazioni.

Innanzitutto, la delega di funzioni opera l’attribuzione di una responsabilità gestoria a titolo derivativo. Per cui, e a differenza di un’errata diffusa opinione, esulano dalla tematica in esame i poteri e le responsabilità del dirigente e del preposto.

Come sopra meglio argomentato, dette figure di garanti hanno un’originaria sfera di responsabilità, che non ha bisogno di deleghe per operare, derivando le relative posizioni di garanzia direttamente dall’investitura formale o dall’esercizio di fatto dei corrispondenti ruoli.

In secondo luogo, l’effetto liberatorio del delegante e la conseguente configurazione di posizione di garanzia in capo al delegato richiede una reale attribuzione di poteri di organizzazione, gestione controllo e spesa in ordine alla materia delegata. In assenza di dette immanenti caratteristiche e come ritenuto nel caso di specie, il rischio concretizzatosi rimane nella sfera di responsabilità gestoria del delegante, al quale deve essere così imputato l’illecito sul piano oggettivo.

Ultima annotazione in tema di posizione di garanzia deve essere svolta con riferimento alla peculiare figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, di cui agli artt. 31 e ss. TU.

Detta figura, pur essendo priva di autonomi poteri decisionali, svolge un importante ruolo di cooperazione e collaborazione con il datore di lavoro, con funzioni di supporto informativo, valutativo e programmatico. Al RSPP, infatti, competono rilevanti compiti in materia prevenzionistica che consistono nella individuazione e valutazione dei rischi, nonché nell’indicazione delle misure preventive e protettive di cui all’art. 28.

Annoso è il dibattito circa la configurabilità o meno in capo a detta figura di una posizione di garanzia, stante l’assenza di obblighi sanzionati penalmente in capo al RSPP e il ruolo non operativo, ma di mera consulenza al datore di lavoro che esso svolge.

Le Sezioni Unite rispondono positivamente all’interrogativo posto alla loro attenzione, a tal fine ritenendo dirimente la sussistenza in capo a detta figura dell’obbligo giuridico di svolgere diligentemente la funzione di supporto alle determinazioni del datore di lavoro, in materia prevenzionistica. In particolare, il RSPP è tenuto all’osservanza della condotta doverosa di “svolgere in autonomia, nel rispetto del sapere scientifico e tecnologico, il compito di informare il datore di lavoro e di dissuaderlo da scelte magari economicamente seducenti ma esiziali per la sicurezza”.

Sicché, se ad esempio il RSPP manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza deriva da competenze specialistiche, in presenza di una condotta colposa, è ragionevole attribuire la responsabilità dell’evento a detta figura. Ragionando diversamente, infatti, si graverebbe il datore di lavoro di una responsabilità che esula dalla sua competenza tecnico specialistica.

 

 

Andrea Moroni

Avvocato in Bologna

Dottore di ricerca in diritto penale

AR redazione

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