Risarcimento del danno: danno emergente e lucro cessante (Cass. n. 7759/2012)

Redazione 17/05/12
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Massima
In tema di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, il dolo del debitore che, ai sensi dell’art. 1225 c.c., comporta la risarcibilità anche dei danni imprevedibili al momento in cui è sorta l’obbligazione, non consiste nella coscienza e volontà di provocare tali danni, ma nella mera consapevolezza e volontarietà dell’inadempimento. (a cura del **************)

 

Motivi della decisione

1. – La società ******************* srl, lamenta: a) con il primo motivo la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 2697 cod. civ.. b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 1226 cod. civ.. c) Con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 1223 cod. civ.. d) Con il quarto motivo l’insufficienza e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, e) con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 1225 cod. civ.. f) con il sesto motivo: l’insufficiente e contraddittoria motivazione. Punto 2.2.1 della sentenza n. 2819 del 2009. g) con il settimo motivo: la violazione falsa applicazione art. 1453 cc. e art. 112 cpc.. Avrebbe errato la Corte milanese, secondo la ricorrente:

a) nell’aver condannato la Cibofer a versare un importo a titolo di risarcimento danni, nonostante l’ACM non avesse offerto alcuna prova circa l’esistenza dell’ammontare del danno emergente e del lucro cessante. Per altro, ritiene la ricorrente, i Giudici di merito non hanno neppure ritenuto necessario avviare un’indagine istruttoria. E di più, il Giudice di primo grado ha parlato semplicemente di mancato guadagno della ACM senza distinguere danno emergente e lucro cessante e la Corte di Appello di Milano ha ritenuto di correggere l’errore del Giudice di primo grado attribuendo all’importo liquidato le voci sia di lucro cessante che di danno emergente.

b) nell’aver ritenuto di liquidare il danno facendo riferimento ad un prezzo del prodotto finito e moltiplicando tale prezzo per i motori non forniti.

Epperò, un criterio di tale fatta rientra di fatto in una liquidazione equitativa del danno non praticabile nel caso di specie perché la liquidazione equitativa del danno è possibile solo se il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare.

c) per aver trascurato la norma di cui all’art. 1124 cod. civ. avendo liquidato un danno anche se la parte attrice non aveva identificato e quantificato le proprie richieste risarcitorie.

d) per aver ritenuto corretta l’individuazione del danno nel prezzo unitario dei motori pattuito tra le parti perché danno e prezzo del prodotto finito non possono coincidere. È risaputo infatti che sul prezzo del prodotto finito incide il costo di produzione. Il costo di produzione è dato da un insieme di fattori tra loro assolutamente variabili che non rientrano e non possono rientrare nella nozione di danno così come previsto dall’articolo 1223 cod. civ. Nella fattispecie in esame, non essendo stato mai prodotto nulla il costo di produzione non può gravare certo su quanto liquidato a carico della Cibofer.

e) per non aver tenuto in conto che fosse evidente la prevedibilità da parte della ACM del fatto che la Cibofer Commerciale mai avrebbe acquistato 14000 motori, considerato che la Cibofer negli anni 2002, 2003, 2004 non ha mai rispettato i presunti vincoli di acquisto.

f) per aver ritenuto che la clausola di cui all’art. 5 del contratto intercorso tra le parti (secondo cui ‘l’efficacia e la validità del contratto (erano) subordinate al minimo acquisto annuale’) non aveva il significato di rendere inefficace il contratto in ogni sua parte nel caso in cui non venisse rispettato l’acquisto del minimo dei motori previsto, così come era stato sostenuto dall’attuale ricorrente, anche nella fase di appello, ma il significato di riferirsi alle altre clausole contrattuali secondarie di non meglio specificato contenuto.

g) per non aver considerato che il risarcimento del danno è correlato alla domanda di adempimento o alla domanda di risoluzione e non può essere alternativo ad esse. Pertanto, specifica la ricorrente, il Giudice, affermando che la domanda di adempimento non fosse più possibile e che fosse i accoglibile solo la domanda di risarcimento del danno formulata in via alternativa, si sarebbe sostituito alla parte, pronunciando, implicitamente, una risoluzione del contratto. Se poi non si volesse dare tale lettura alla motivazione in ogni caso, secondo sempre la ricorrente, si appaleserebbe una violazione della norma citata per aver il Giudice introdotto un’azione autonoma a prescindere dal contratto e/o presunta violazione dello stesso che ne avrebbe dovuto determinare i presupposti.

2 – Appare opportuno esaminare anzitutto e congiuntamente il secondo, il terzo e il quarto motivo, per l’innegabile connessione che esiste tra gli stessi, essendo tutti e tre la specificazione di una stessa censura, considerato che si ritiene errato, sia pure sotto profili diversi, il rinvio di cui alla sentenza della Corte milanese, al prezzo di vendita, quale criterio per determinare il quantum del danno. La censura in essi contenuta è fondata, e va accolta, per quanto di ragione, perché il rinvio al prezzo unitario di vendita seppure avesse potuto identificare un criterio idoneo a guidare la quantificazione del danno subito dalla Cibofer, in concreto, però, la Corte avrebbe dovuto chiarire – e, non sembra, lo abbia fatto – in quale misura quel prezzo consentiva di identificare il mancato guadagno e in quale altra misura indicava il lucro cessante soprattutto, perché – come è detto nella stessa sentenza – la produzione della quantità dei motori, oggetto di causa, era stata programmata, ma non anche realizzata

2.1.a). – Va qui osservato che l’art. 1223 c.c. stabilisce che ‘il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere, così la perdita: subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta’. La norma sintetizza in poche battute il contenuto minimo del risarcimento, introducendo un concetto di danno “integrale’,.comprensivo sia della diminuzione subita, e cioè il danno che il debitore adempiente avrebbe potuto evitare, sia del mancato incremento patrimoniale di cui il creditore avrebbe potuto godere se la prestazione fosse stata eseguita. Insomma, il risarcimento del danno è l’obbligazione diretta a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’inadempimento non si fosse verificato. Semplice sarà per il creditore provare il danno emergente: essendo quest’ultimo una posta attiva del patrimonio del soggetto, basterà dimostrarne l’attualità e la sua conseguente lesione. Più difficoltosa sarà, invece, la prova del lucro cessante il creditore si vedrà costretto a provare il mancato guadagno che gli sarebbe potuto derivare da quella determinata operazione economica. Sarà tenuto, quindi, a dare la prova di un bene o un interesse che non sono mai venuti ad esistenza, ma che, se si fossero concretizzati (in mancanza dell’inadempimento), sarebbero stati sicuramente di sua spettanza. Tuttavia, quest’ultima voce di danno può essere dimostrata, anche in via presuntiva.

2.1.b). – Ora, nell’ipotesi in esame, il danno ‘integrale’, ovvero, l’obbligazione diretta a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’inadempimento non si fosse verificato, non poteva che essere rappresentato dalla perdita che la società creditrice aveva subito: in termini di costi sostenuti per l’acquisto delle materie prime con cui produrre i motori, e in termini di riorganizzazione della linea di produzione per le richieste ‘personalizzazioni” e dal lucro cessante quale perdita di quel guadagno che la società ACM avrebbe ottenuto se la società Cibofer avesse assolto l’obbligo di acquistare i restanti 7702 motori. Tuttavia, la Corte milanese ha mancato di chiarire se il prezzo unitario di vendita del singolo motore, essendo stato scontato, indicava il prezzo di un motore già prodotto, oppure il costo necessario per produrlo, né ha specificato se le materie prime acquistate erano riutilizzabili ed, eventualmente, in quale misura.

3. – Il primo motivo rimane assorbito dall’accoglimento del secondo, terzo e quarto, per quanto in motivazione.

4 – Il quinto motivo è infondato e non può essere accolto perché non vi è alcuna connessione tra l’inadempimento contrattuale, oggetto di causa, e il comportamento della Cibofer in ordine ad altri precedenti contratti, e comunque, nell’ipotesi in esame sussistono i presupposti della fattispecie di cui all’art. 1225 cod. civ. considerato che, nel caso in esame, il rifiuto, della Cibofer, di adempiere l’obbligo di acquistare è stato (ed, è) consapevole volontario.

3.1. – Va qui osservato che in tema di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, il dolo del debitore che, ai sensi dell’art. 1225 cod. civ., comporta la risarcibilità anche dei danni imprevedibili al momento in cui è sorta l’obbligazione, non consiste nella coscienza e volontà di provocare tali danni, ma nella mera consapevolezza e volontarietà dell’inadempimento.

4. – Infondato è anche il sesto motivo, che, pertanto, non può essere accolto, non solo e non tanto perché la ricorrente si propone di ottenere una nuova valutazione della clausola contrattuale di cui si dice, ovvero un nuovo e diverso giudizio di merito, inibito in cassazione, ma, soprattutto, perché l’interpretazione della clausola di cui all’art. 5 del contratto intercorso tra le data dalla Corte milanese è convincente proprio perché coerente con il testo contrattuale i considerato che una diversa interpretazione avrebbe trasformato il contratto di cui si dice in un contratto aleatorio, che non sembra sia quello che la concreta comune intenzione delle parti avrebbe voluto porre in essere.

5. – Inammissibile è il settimo motivo perché la statuizione di cui alla sentenza del Tribunale secondo la quale ‘da ultimo si precisa che è stata accolta la domanda di risarcimento del danno formulata in via alternativa e non quella di adempimento in quanto quest’ultima è condizionata all’offerta della controprestazione e all’esecuzione della stessa (…)’ non risulta sia stata impugnata e, come tale, non può essere censurata per la prima volta in Cassazione essendo ormai coperta dal giudicato interno. Né, nell’ipotesi in esame, la richiesta di risarcimento danni era subordinata alla risoluzione del contratto considerato che quella domanda era relazionata all’inadempimento dell’obbligo di acquistare.

In definitiva, vanno accolti il secondo, terzo e quarto motivo per quanto in motivazione, dichiarato assorbito il primo, rigettati gli altri. La sentenza impugnata va cassata e il processo rinviato ad altra sezione della Corte di appello di Milano la quale provvederà al regolamento delle spese anche del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso per quanto di ragione, dichiara assorbito il primo motivo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia il processo ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, anche per le spese di questo grado di giudizio.

Redazione