Normativa antisismica, costruzione realizzata senza i prescritti adempimenti, effettiva pericolosità, irrilevanza (Cass. pen., n. 48091/2013)

Redazione 03/12/13
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Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 30.3.2012, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, in composizione monocratica, con la quale O.A. e S.S. erano stati condannati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, per i reati di cui agli artt. 44 lett. c) DPR 380/01 (capo a), 93 e 95 DPR 380/01 (capo b), 181 co. 1 bis D.Lvo 42/2004 (capo c), 59, 110, 349 c.p (capo d), assolveva gli imputati dal reato ascritto al capo d) perché il fatto non costituisce reato, rideterminando la pena per i rimanenti reati, già unificati sotto il vincolo della continuazione, in mesi 9 di reclusione ciascuno.
Premetteva la Corte territoriale, richiamando la sentenza del Tribunale, che gli imputati erano titolari, per quota, delle diverse parti dell’immobile in ordine alle quali era stata accertata, inizialmente, l’abusiva realizzazione di alcune finestre al primo e secondo piano e, poi, l’ampliamento di un vano al secondo piano trasformato da locale di sgombero in cucina abitabile. A seguito dell’accertamento della prima violazione l’immobile era stato sottoposto a sequestro con nomina del S. come custode.
Tanto premesso, non c’era alcun dubbio che, in mancanza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, sussistessero i reati contestati ai capi a), b) e c).
Quanto alla riferibilità dell’opera agli imputati, rilevava la Corte territoriale che la O. era proprietaria ed il S. , marito della prima, era proprietario di altre quote dello stesso immobile ed era stato nominato custode.
Gravava sugli imputati un obbligo di garanzia, che non era escluso dall’Intervento di terzi a meno di non fornire la prova liberatoria dell’impossibilità di impedire la perpetrazione dell’abuso (prova che non era sta fornita; risultava piuttosto che il bene già modificato era stato oggetto di ulteriore illegale trasformazione).
Non era quindi necessaria alcuna rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Legittimamente, infine, era stata subordinata la sospensione della pena alla demolizione delle opere realizzate abusivamente.
Gli imputati andavano, invece, assolti dal reato di violazione di sigilli con riferimento all’elemento psicologico (stante la genericità del verbale di sequestro dell’area, era ben possibile ritenere che il vincolo riguardasse non l’intero corpo di fabbrica, ma soltanto le finestre già realizzate).
2. Ricorrono per cassazione O.A. e S.S. , denunciando la violazione di legge, la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, nonché la mancata assunzione di una prova decisiva.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale agli imputati è contestato soltanto l’ampliamento e la trasformazione di un appartamento sito all’ultimo piano di uno stabile (composto da diverse unità immobiliari).
Il S. , inoltre, è proprietario dell’appartamento al piano terra (estraneo alle contestazioni), mentre la O. è l’esclusiva proprietaria del piano in ordine al quale sono state effettuate le opere in contestazione. Erroneamente quindi la Corte territoriale ha ritenuto che gli imputati fossero proprietari, pro quota, dell’immobile su cui è intervenuto l’abuso edilizio.
La O. è stata condannata per il solo fatto di essere la proprietaria ed il S. per esserne il coniuge (e per essere stato nominato custode di una finestra dell’appartamento, sequestrata un anno prima ed estranea all’abuso di cui alla contestazione).
Come risulta dal verbale di sequestro, fu rinvenuta sul posto soltanto A.A. , che era la comodataria dell’appartamento, come da contratto prodotto ai verbalizzanti, la quale dichiarava di essere la committente dei lavori. Né vi era alcuna adesione al progetto di trasformazione, posto in essere dall’A. in tempi brevissimi.
Il Tribunale, pur avendo ammessi sul punto i testi addotti dalla difesa, decideva poi incomprensibilmente di revocare l’ordinanza ammissiva. E la Corte di Appello rigettava la richiesta di rinnovazione del dibattimento, pur essendo la prova, richiesta già in primo grado, decisiva.
Agli imputati non può essere addebitata neppure una condotta di tolleranza dell’abuso posto in essere da altri, dal momento che l’opera era abitata da altro nucleo familiare.
Assumono poi che l’opera realizzata ha natura pertinenziale rispetto al manufatto preesistente, che era possibile eseguire con una Dia. Stante la natura delle opere che non riguardavano elementi strutturali dell’edificio e che non avevano un significativo impatto ambientale, non trovava applicazione la normativa sul cemento armato e sulle opere in zona sismica e non era necessaria autorizzazione paesaggistica.
Illegittimamente è stata subordinata la sospensione della pena alla demolizione e rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
Infine, altrettanto illegittimamente l’estratto contumaciale è stato notificato presso il difensore ex art. 161 c.p.p., pur avendo gli imputati eletto domicilio nel luogo di residenza.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
2. Quanto all’eccezione di nullità della notifica dell’avviso di deposito della sentenza di appello agli imputati contumaci, a parte la genericità della stessa, va rilevato che gli imputati hanno proposto, personalmente, tempestiva impugnazione (sottoscrivendo il ricorso). L’eventuale nullità deve quindi ritenersi sanata a norma dell’art. 183 co.1 lett. b) c.p.p..
3. In ordine alla riferibilità agli imputati dell’opera abusiva di cui alla contestazione va ricordato che l’art.29 DPR 380/2001 fa riferimento ai committenti, costruttori e direttori dei lavori.
Per quanto riguarda il soggetto non formalmente committente o esecutore materiale che abbia però un rapporto “diretto” ed erga omnes (in termini di diritto reale di proprietà o di godimento) con l’immobile su cui è stata realizzata l’opera abusiva, la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nel ritenere che “…..non può essere attribuito ad un soggetto per il solo fatto di essere proprietario di un’area, un dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva. Il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno sul quale vengono svolti lavori edilizi illeciti, pur potendo costituire un indizio grave, non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale…., essendo necessario a tal fine, rinvenire elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo concorso anche solo moralmente con il committente o l’esecutore dei lavori (v. Cass. Sez. 3, 29.3.2001-******). Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta l’attività incriminata, tenendo conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica o di fatto, del suolo e dell’interesse specifico ad effettuare una costruzione (principio del “cui prodest”), bensì pure di rapporti di parentela ed affinità tra l’esecutore dell’opera abusiva ed il proprietario, dell’eventuale presenza “in loco” di quest’ultimo, dello svolgimento di attività di materiale vigilanza dell’esecuzione dei lavori, della richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale tra coniugi e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale all’esecuzione delle opere” (così Cass.pen. Sez. 3 n.216 dell’8.10.2004; conf. Cass. Sez. 3 n.5476 del 29.4.1999, *****; Cass. Sez. 3 n. 31130 del 10.8.2001, *********; cass. Sez. 3 n. 25.2.2003, ******* ed altro).
La giurisprudenza successiva ha ribadito che in materia edilizia può essere attribuita al proprietario non formalmente committente dell’opera la responsabilità per la violazione dell’art.20 L.47/85 (sostituito dall’art.44 DPR 380/01) sulla base di valutazioni fattuali, quali l’accertamento che questi abiti nello stesso territorio comunale ove è stata eretta la costruzione abusiva, che sia stato individuato sul luogo, che sia destinatario finale dell’opera, che abbia presentato richieste di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria (cfr. ex multis cass.pen.sez.3 n.9536 del 20.1.2004; Cass.sez.3, 14.2.2005 – Di ******; Cass.sez.3 n.32856 del 13.7.2005-Farzone).
Più di recente questa Corte, nel richiamare tutti tali principi, ha sottolineato che “grava inoltre sull’interessato l’onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà” (Cass.pen. Sez. 3 n.25669 del 30.5.2012 che richiama anche Cass. Sez. 3 n.35907 del 19.9.2008 e tutte le precedenti pronunce).
3.1. La Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di tali principi, avendo fondato l’affermazione della penale responsabilità degli imputati, sostanzialmente, soltanto sulla loro qualità di proprietari (per il S. peraltro si fa riferimento, in modo confuso, alla titolarità di quote dell’immobile) e, quindi, sull’esistenza di una posizione di garanzia. Eppure, nel caso di specie, si rendeva ancor più necessario un approfondito esame degli indizi in ordine al coinvolgimento degli imputati nella realizzazione delle opere abusive, dal momento che gli stessi avevano allegato che i lavori erano stati effettuati, a loro insaputa, dalla comodata ria.
Né argomenti a carico dell’imputato S. potevano trarsi dal fatto di essere stato nominato custode, dal momento che la stessa Corte ha mandato assolto il predetto (e la O. ) dal reato di cui all’art.349 c.p. ritenendo che non fosse ben chiaro l’oggetto del precedente provvedimento di sequestro.
4. Tutti gli altri motivi sono, invece, infondati.
4.1. Quanto all’eccepito carattere pertinenziale dell’opera, la Corte territoriale ha correttamente rilevato che non ne ricorrevano minimamente i presupposti, trattandosi di mutamento della destinazione d’uso con ampliamento volumetrico dell’originaria struttura. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, invero, “la nozione di pertinenza urbanistica, diversamente da quella dettata dall’art. 817 del codice civile, ha peculiarità sue proprie, inerendo essa ad un’opera – che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale – preordinata ad un’esigenza oggettiva dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale una destinazione autonome e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede” (vedi tra le molteplici decisioni, Cass. sez.3, 9.12.2004, ******). La strumentalità rispetto all’immobile principale deve essere in ogni caso oggettiva, e non può desumersi, a differenza di quanto consente la nozione civilistica di pertinenza, esclusivamente dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario o dal possessore. L’opera pertinenziale inoltre, non deve essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, sicché non può considerarsi tale l’ampliamento di un edificio che, per la relazione di congiunzione fisica con esso, ne costituisca parte…” (cfr. ex multis Cass.pen.sez.3 n.2017 del 25.10.2007-**********).
Erano necessari quindi permesso di costruire e, a maggior ragione, autorizzazione paesaggistica. Perfino gli interventi di ristrutturazione edilizia o che, comunque, alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici, pur se eseguibili mediante “semplice” denuncia di inizio attività ai sensi dell’art.22, commi primo e secondo, del DPR 6 giugno 2001 n.180, sia se eseguibili in base alla cosiddetta super DIA, prevista dal comma terzo della citata disposizione, necessitano del preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo” (cfr. ex multis Cass.pen.sez.3 n.8739 del 21.1.2010), configurandosi in mancanza il reato di cui all’art.181 D.L.gs.n.42 del 2004 (Cass.pen.sez.3 n.15929 del 12.1.2006).
4.2. La normativa antisismica (ed anche quella sul cemento armato) trovano, poi, pacificamente, applicazione a prescindere dal fatto che le opere riguardino elementi strutturali dell’edificio.
Come affermato costantemente, le contravvenzioni previste dalla normativa antisismica puniscono inosservanze formali, volte a presidiare il controllo preventivo della P.A. Ne deriva che l’effettiva pericolosità della costruzione realizzata senza i prescritti adempimenti è del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato e la verifica postuma dell’assenza del pericolo ed il rilascio dei provvedimenti abilitativi non incide sulla illiceità della condotta, poiché gli illeciti sussistono in relazione al momento di inizio della attività (cfr.Cass.pen.sez.3, 17 giugno 1997 n.5738). Le disposizioni della normativa antisismica si applicano invero a tutte le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità, a nulla rilevando la natura dei materiali usati e delle strutture realizzate – a differenza della disciplina relativa alle opere in conglomerato cementizio armato – in quanto l’esigenza di maggior rigore nelle zone dichiarate sismiche rende ancor più necessari i controlli e le cautele prescritte, quando si impiegano elementi strutturali meno solidi e duraturi del cemento armato (Cass.pen.sez.3, 24 10.2001 n. 38142).
4.3. Infine, l’art.165 consente di subordinare la sospensione della pena alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato (tale certamente deve ritenersi per l’assetto del territorio l’opera abusivamente realizzata).
E, secondo ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, “in tema di reati edilizi, il giudice, nella sentenza di condanna, può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva, in quanto il relativo ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato” (cfr. ex multis Cass. sez.3 n.38071 del 19.9.2007; Cass.sez.3 n.18304 del 17.1.2003).
5. La sentenza impugnata va annullata, con rinvio, ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.
I giudici del rinvio, pur potendo pervenire alle stesse conclusioni della sentenza impugnata, accerteranno, sulla base dei principi in precedenza enunciati, con adeguata motivazione, se le opere abusive di cui ai capi di imputazione possano essere ricondotte agli imputati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.

Redazione