Militare con tatuaggio tribale: la presenza di un tatuaggio non può costituire causa automatica di esclusione dal concorso per non idoneità (Cons. Stato n. 3153/2013)

Redazione 10/06/13
Scarica PDF Stampa

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8710 del 2012, proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze e Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona dei rispettivi legali rappresentati pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

S.R.;

per l’ottemperanza

della sentenza del T.A.R. per il Lazio , Roma, Sez. II n. 9137 dd. 7 novembre 2012, resa tra le parti e concernente esecuzione sentenza del medesimo T.A.R. per il Lazio, Roma, Sez. II, n. 489 dd. 17 gennaio 2012, concernente inidoneità a visita medica.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visto l ‘art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2013 il Cons. ************ e udito per gli appellanti Ministero dell’Economia e delle Finanze e Comando Generale della Guardia di Finanza l’Avvocato dello Stato **************;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1. L’attuale appellata, ***********, ha partecipato al concorso per il reclutamento di 1.250 Allievi finanzieri riservato al personale volontario nelle Forze Armate in ferma prefissata di un anno (VFP1), o quadriennale (VFP4) o in in rafferma annuale (VFP1T), in servizio o in congedo, indetto con Det. n. 83482 del 22 marzo 2011 del Comandante Generale della Guardia di Finanza pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, IV Serie speciale, n. 25 dd. 29 marzo 2011.

La S. è stata peraltro esclusa dal concorso stesso in data 6 ottobre 2011 in dipendenza di un tatuaggio ritenuto dall’apposita Sottocommissione medica “deturpante per sede”.

Più esattamente, dalla scheda anamnestica contestualmente compilata tale tatuaggio è collocato sulla caviglia destra della S. e raffigura un simbolo “tribale” che la Sottocommissione ha reputato – per l’appunto – “in atto esimente”.

In data 8 ottobre 2011 il giudizio di inidoneità della S. è stato confermato in sede di visita medica di revisione con la seguente documentazione: “in atto: tatuaggio visibile per sede (caviglia dx).

1.2. In dipendenza di ciò, la S. ha proposto avverso tale provvedimento ricorso sub R.G. 10747 del 2011 innanzi al T.A.R. per il Lazio, deducendo al riguardo l’avvenuta violazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241 in relazione al D.M. 17 maggio 2000, n. 155 e al decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza n. 12751, violazione delle regole del giusto procedimento e della lex specialis del concorso (artt. 12 e 13 del bando concorsuale), nonché eccesso di potere (difetto assoluto di presupposto, di istruttoria e di motivazione, travisamento delle cause di esclusione e delle presupposte norme regolamentari e delle relative direttive tecniche, erroneità, arbitrarietà, apoditticità, illogicità, contraddittorietà, perplessità, sviamento), sostenendo comunque – in estrema sintesi – che gli organi collegiali sia di primo grado che di revisione preposti alla valutazione delle condizioni fisiche dei candidati non avrebbero nella specie considerato che il tatuaggio di cui trattasi risulterebbe di ridotte dimensioni e assolutamente non deturpante, né costituirebbe indice di alterazione fisiognomica.

1.3. In tale primo grado di giudizio si sono costituiti il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Comando Generale della Guardia di Finanza, concludendo per la reiezione del ricorso.

1.4. Con sentenza n. 489 dd. 17 gennaio 2012, resa a’ sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., la Sez. II dell’adito T.A.R. ha accolto il ricorso della S., affermando testualmente quanto segue: “Ritenuto che il ricorso è fondato alla stregua delle seguenti considerazioni (peraltro già espresse in un analogo caso – nonché in altri successivi – dalla Sezione con sentenza 30 settembre 2010 n. 32617 che qui viene di seguito riproposta). Occorre – in linea generale – osservare che la mera presenza di un tatuaggio sulla cute di un aspirante a pubblico impiego è, di per sé, circostanza irrilevante, che acquista una sua specifica valenza, ai fini dell’esclusione dal concorso, solo quando il tatuaggio, per estensione, gravità o sede, determini una rilevante alterazione fisiognomica. Ciò soprattutto nell’ambito degli ordinamenti militari e/o assimilati, che si caratterizzano, tra l’altro, per la particolare rilevanza della “presenza fisica”,sicché anche un tatuaggio può assumere rilievo ai fini dell’adozione di un giudizio di non idoneità al servizio. Ciò posto, giova nondimeno precisare, sempre in linea generale, che la presenza di un tatuaggio non può costituire causa automatica di esclusione dal concorso per non idoneità, essendo necessario che tale alterazione acquisita della cute rivesta carattere “rilevante” e che sia idonea a compromettere il decoro della persona e dell’uniforme, con conseguente onere per l’Amministrazione di specificare, con adeguata motivazione, le ragioni in base alle quali la presenza di un tatuaggio possa assurgere a causa di non idoneità all’arruolamento, avuto riguardo ai precisi parametri di valutazione indicati nella normativa di riferimento (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. I, 9 marzo 2009 n. 2394). Nella fattispecie, l’Amministrazione ha fatto applicazione di una specifica disposizione regolamentare (art. 2 D.M. n. 155 del 17 maggio 2000 e punto 19 del D.M. 15 dicembre 2003, n. 12751 recte: decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza 15 dicembre 2003 n. 12751), che considera causa di inidoneità al servizio nella Guardia di Finanza i “tatuaggi sulle parti del corpo non coperte dall’uniforme o quando, per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme”.Non ha però estrinsecato adeguatamente, in sede motivazionale, le ragioni per le quali il tatuaggio sia stato ritenuto deturpante per la sede in cui è allocato, specie considerato che, nel caso di specie, si tratta di tatuaggi coperti dall’uniforme. Ne deriva che l’impugnato giudizio di inidoneità, fondato sul semplice riscontro del tatuaggio stesso deve ritenersi illegittimo (cfr., in termini, T.A.R. Lazio, Sez. I, 3 novembre 2009 n. 10763 e 30 giugno 2009 n. 6334). A ciò si aggiunga che recentemente il Consiglio di Stato si è espresso sulla questione (in via generale), facendo proprio un orientamento già suggerito da questa Sezione e rispetto al quale il Collegio non ha ragione di manifestare dissensi ed affermando, condivisibilmente, che: A) il presupposto di fatto della mera presenza di un tatuaggio è di per sé circostanza neutra, che acquista una sua specifica valenza solo quando le dimensioni o i contenuti dell’incisione sulla pelle siano rivelatori di una personalità abnorme, ovvero quando questa sia oggettivamente deturpante della figura o incompatibile con il possesso della divisa (cfr., da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 24 febbraio 2011 n. 1201); B) il concetto di deturpamento è da porsi in collegamento con la possibilità che tali segni possano essere visti e suscitare quindi visivamente e psicologicamente un giudizio di disgusto o comunque negativo dell’aspetto fisico-estetico, di talchè quando tali tatuaggi sono collocati in posti coperti dell’uniforme, non possono assumere attitudine deturpante, proprio perché non percepibili (cfr., da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 2 marzo 2011 n. 1352); C) questo sta a significare che la sussistenza delle affermata causa di non idoneità non si può desumere come fatto dall’Amministrazione dal mero riscontro dei tatuaggi in questione, dovendosi, invece valutare gli stessi in base alla loro visibilità (cfr **********, Sez. VI, 13 maggio 2010 n. 2950); D) i segni impressi sulla cute potrebbero, per il vero, sempre alla luce della disciplina dettata bando, essere indice di personalità abnorme, ma tale evenienza non è ravvisabile nella fattispecie sia perché non risulta che siano stati esperiti gli accertamenti psichiatrici richiesti a tali fini dalla predetta normativa sia perché , in ogni caso, non v’è traccia di una motivazione in forza della quale è stato desunto, dall’esame del contenuto e delle dimensioni dei segni grafici, l’indice di una personalità abnorme dell’appellante e ciò rende senz’altro manchevole sotto il profilo motivazionale , il provvedimento di non idoneità per cui è causa (cfr. **********, Sez. IV, 4 aprile 2007 n. 1520).In relazione a quanto precede il ricorso in esame si manifesta fondato e va quindi accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato”.

Lo stesso giudice di primo grado ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Comando generale della Guardia di Finanza al pagamento delle spese e degli onorari di tale primo grado di giudizio, complessivamente liquidandole nella misura di Euro 1.000,00.-, ponendo – altresì – a carico di tale parte anche la rifusione del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, se corrisposto.

2.1. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non hanno proposto appello avverso tale sentenza, e allo scopo di darvi esecuzione con foglio n. 105807 dd. 6 aprile 2012 il Comando Generale del Corpo ha disposto la riconvocazione della Commissione che aveva adottato il provvedimento definitivo di esclusione della S. al fine di emendare il vizio di difetto di motivazione rilevato dal T.A.R.

2.2. Dal processo verbale delle operazioni compiute in data 17 aprile 2012 consta che l’organo collegiale ha formulato le seguenti “Considerazioni. In relazione alla citata e allegata sentenza del T.A.R., fondata in sostanza su un difetto di motivazione (circostanza che non impedisce alla P.A. di reiterare il provvedimento assunto), visto quanto disposto dal Comando Generale con il foglio di cui sopra, questa Sottocommissione reitera il giudizio di “non idoneità” sostituendo la precedente motivazione con la seguente: “Il disciplinare in riferimento, Decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza n. 416631 in data 15 dicembre 2003, emanato in attuazione del D.M. 155 del 17 maggio 2000 (art. 3, comma 4) ricollega l’esclusione di un candidato alla presenza di tatuaggi deturpanti per sede o natura o indice di personalità abnorme per il loro contenuto. Con precipuo riferimento al reclutamento nelle Forze di Polizia, la giurisprudenza ha avuto modo di osservare, in linea generale, quanto segue: la mera presenza di un tatuaggio è di per sé circostanza neutra, che acquista una sua specifica valenza solo quando le dimensioni o i contenuti dell’incisione sulla pelle siano rivelatori di una personalità abnorme, ovvero quando questa sia oggettivamente deturpante della figura o incompatibile con il possesso della divisa (Cons. Stato, Sez. IV, sentenza n. 1201 dd. 24 febbraio 2011); il concetto di deturpamento è da porsi in collegamento con la possibilità che tali segni possano essere visti e suscitare quindi visivamente e psicologicamente un giudizio di disgusto o comunque negativo dell’aspetto psico-fisico, di talchè quando tali tatuaggi sono coperti dall’uniforme non possono assumere attitudine deturpante, perché non percepibili (Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sentenze n. 10763 in data 3 novembre 2009 e n. 6334 del 30 giugno 2009). In tale contesto, particolare rilevanza assume la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5542 dd. 14 ottobre 2011, in cui i giudici d’appello hanno espressamente invitato l’Amministrazione a esplicitare in sede di esclusione la visibilità del tatuaggio con le uniformi in uso, perché tale circostanza è idonea a supporta(re) l’attitudine a deturpare. Nel caso di specie, la candidata, all’epoca dell’accertamento, presentava un tatuaggio c.d. “tribale” posizionato sulla caviglia destra. Tale circostanza è desumibile dalla scheda anamnestica che fa parte integrante del fascicolo sanitario, documento di cui hanno preso visione i membri magg. ***** e cap. ******** (i quali non integravano il collegio che ha a suo tempo decretato l’esclusione). La circolare del Comando generale del Corpo (diramata dall’Ufficio del Generale dell’Esercito addetto) n. 368911 in data 4 novembre 2009, ai paragrafi 3.d, 3.f e 4, nel più ampio contesto del necessario rispetto delle norme sull’uso delle uniformi, che impongono che gli elementi naturali esteriori e l’uso degli accessori siano improntati a criteri di sobrietà e di semplicità e, comunque, tali da non risultare appariscenti e non coerenti con lo status militare, prevede l’uso: dei collant con la gonna, d’estate e d’inverno, salvo specifiche e temporanee autorizzazioni sanitarie. Lo stesso dovrà essere semplice, classico e non riportare disegni o ricami, di colore neutro, ovvero in tinta beige o carne, escludendo eventuali tinte scure (marrone, blu, neo); della gonna, quale indumento tipico del vestiario femminile, peraltro prevista quale capo dell’uniforme in analogia a quanto avviene nelle altre FF.AA. e Corpi di Polizia; alla gonna sono abbinate scarpe modello “decolletè”; vieta l’esibizione, vestendo l’uniforme, di tatuaggi di alcun tipo. Alla luce di ciò, la Sottocommissione ritiene che il tatuaggio presente sulla caviglia della candidata all’atto delle visite concorsuali (principio di irripetibilità dell’accertamento di cui all’art. 12, comma 2, del bando di concorso), come già statuito dalla Sottocommissione per la visita medica preliminare in data 6 ottobre 2011 e confermato in sede di revisione, risulta deturpante per sede, in quanto sarebbe visibile utilizzando una delle uniformi in uso al Corpo per il personale femminile”.

3.1. A questo punto la S. ha esperito a’ sensi dell’art. 114 cod. proc. amm. ricorso sub R.G. 4812 del 2012 innanzi al medesimo T.A.R. per il Lazio al fine dell’ottemperanza della predetta sentenza n. 489 dd. 17 gennaio 2012 resa dalla Sez. II del medesimo T.A.R. e della conseguente dichiarazione di nullità del surriportato verbale dd. 17 aprile 2012 recante la reiterazione del giudizio comportante l’esclusione dal concorso di cui trattasi.

3.2. Anche in tale giudizio si sono costituiti il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Comando Generale della Guardia di Finanza, concludendo per la reiezione del ricorso.

3.3. Con sentenza n. 9137 dd. 7 novembre 2012, resa sempre a’ sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., la Sez. II dell’adito T.A.R. ha accolto tale ricorso per ottemperanza.

Nella sentenza medesima si legge, per quanto segnatamente interessa, quanto segue.

… “2. – La Signora S. taccia di nullità il nuovo provvedimento adottato e chiede, nella sede di ottemperanza, l’esecuzione della sentenza del T.A.R. con le conseguenze favorevoli da essa discendenti. In particolare, nel sostenere la nullità del nuovo atto di esclusione, la odierna ricorrente coglie nei seguenti elementi l’insanabile comportamento patologico posto in essere dall’Amministrazione: 1) anzitutto la sottocommissione per la visita medica di revisione, che ha reso il nuovo atto di esclusione, avrebbe dichiaratamente agito, dando luogo all’esito nuovamente sfavorevole per la candidata, su espresso ordine del Comando Generale della Guardia di Finanza, I reparto, Ufficio reclutamento e addestramento, con il quale si disponeva di confermare l’inidoneità della candidata; 2) in secondo luogo la predetta sottocommissione ha reso il suo giudizio sfavorevole senza sottoporre a nuovo esame la candidata; 3) con riferimento, poi, al nuovo complesso motivazionale impresso al verbale con il quale è stato reiterato il giudizio di idoneità esso va giudicato quale espressione “tardiva e, in ogni caso, difforme dalle direttive tecniche del Corpo (D.M. 15 dicembre 2003 recte: decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza 15 dicembre 2003 n. 12751)richiamate nel bando di concorso, lex specialis della procedura, vincolante anche per l’Amministrazione” (così, testualmente, a pag. 3 del ricorso introduttivo del presente giudizio). In ragione di quanto sopra il verbale delle operazioni compiute in data 17 aprile 2012 dalla Sottocommissione va considerato nullo e quindi va imposta l’esecuzione della sentenza n. 489 del 2012 all’Amministrazione intimata. 3. – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione contestando analiticamente le avverse affermazioni e precisando come la sottocommissione abbia fatto applicazione, nell’eseguire la sentenza, dei criteri imposti dalla lex specialis del bando di gara nell’attività di valutazione psico-fisica dei candidati. La Sottocommissione, infatti, dopo aver riprodotto taluni precedenti giurisprudenziali in merito alla incompatibilità dell’arruolamento nelle Forze di polizia a causa della presenza di uno o più tatuaggi sul corpo del candidato, ha concluso affermando che nel caso di specie, posto che il tatuaggio in questione si presenta come un disegno c.d. tribale posizionato sulla caviglia destra della candidata e che nelle Forze Armate ed in quelle di Polizia per il personale femminile è previsto nella uniforme d’ordine l’uso dei collant con gonna d’estate e d’inverno, il tatuaggio impresso sulla caviglia appare visibile e quindi in contrasto con le regole interne che “vieta(no) l’esibizione, vestendo l’uniforme, di tatuaggi di alcun tipo” (così, testualmente, nella motivazione del verbale del 17 aprile 2012 qui tacciato di nullità).In ragione di quanto sopra, ad avviso della difesa erariale, il ricorso per l’ottemperanza della sentenza n. 489 del 2012 va respinto perché la predetta decisione è stata eseguita. 4. – Il Collegio intende preliminarmente precisare che la sentenza n. 489 del 17 gennaio 2012 ha ritenuto illegittima l’esclusione della candidata S. dalla selezione per l’arruolamento nella Guardia di Finanza perché l’atto di espulsione concorsuale mostrava evidenti carenze nella parte motiva. Conseguentemente l’esecuzione della sentenza si racchiude nello svolgere una ulteriore valutazione da parte dell’organo collegiale medico legale cui compete la verifica psico-fisica dei candidati che hanno presentato domanda per il concorso de quo circa l’idoneità o meno della ricorrente, sotto il profilo psico-fisico, a causa della presenza di un tatuaggio sulla caviglia della stessa. Avendo, dunque, la predetta Commissione a disposizione gli elementi acquisiti in sede di visita di revisione, nonché di prima visita, il giudizio ben poteva (come è avvenuto nella riunione del 17 aprile 2012) essere espresso senza il diretto e fisico coinvolgimento della candidata. Del pari il Collegio osserva come indubbiamente appaia singolare che la Sottocommissione per la visita di revisione apertamente chiarisca che il suo giudizio viene espresso su ordine del Comando Generale (esattamente con foglio n. 105807/12 del 6 aprile 2012 del Comando Generale, I reparto, Ufficio reclutamento e addestramento, allegato al verbale del 17 aprile 2012) non avendo quest’ultimo organo competenza alcuna nel settore medico legale e non potendo quindi condizionare in alcun modo il giudizio della Sottocommissione, pur tenendo conto della particolare ed accentuata relazione gerarchica che intercorre tra organi dell’articolata organizzazione di una forza militare.

Giova chiarire, infatti, che il già citato D.M. 17 maggio 2000, n. 155 è il “Regolamento recante norme per l’accertamento dell’idoneità al servizio nella Guardia di Finanza ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della L. 20 ottobre 1999 n. 380”. Il predetto decreto ministeriale, all’art. 2, comma 3, stabilisce che: “(n)on sono comunque idonei al servizio nella Guardia di Finanza i soggetti affetti dalle imperfezioni ed infermità previste dall’elenco allegato al presente regolamento.” (anche se l’allegato fu inserito successivamente con D.M. 15 dicembre 2003, n. 12751 recte, si ribadisce: decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza 15 dicembre 2003 n. 12751) pubblicato sulla G.U. del giorno 27 dicembre 2003); nell’art. 3, comma 4, il regolamento prevede inoltre che: ” (c) on decreto dirigenziale del Comandante Generale della Guardia di Finanza sono adottate, entro quindici giorni dalla data di pubblicazione del presente regolamento, le direttive tecniche riguardanti le avvertenze ed i criteri diagnostici applicativi relativi alle imperfezioni ed infermità di cui all’articolo 2, comma 3, ed i criteri per delineare il profilo sanitario.” Dal tenore testuale delle due disposizioni appena riferite, in piena coerenza con il principio di legalità – declinato, nella fattispecie, nei termini della sottordinazione dei provvedimenti amministrativi, sia pure a contenuto generale, ai rispettivi atti normativi che li contemplano – discende che il catalogo delle patologie comportanti la non idoneità al servizio è unicamente quello stabilito dal citato decreto ministeriale (cioè quelle indicate nell’Allegato di cui al D.M. 15 dicembre 2003, n. 12751 recte, si ribadisce: decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza 15 dicembre 2003 n. 12751) e che, pertanto, al Comando Generale della Guardia di Finanza, tramite gli uffici competenti, spetta soltanto il compito di dare attuazione alle indicazioni regolamentari, ivi incluse quelle contenute nell’allegato al regolamento, attraverso la precisazione dei relativi criteri diagnostici. In altri termini, gli organi (rectius, gli uffici) del Comando generale della Guardia di Finanza non hanno competenze in merito alle valutazioni medico legali che, correttamente, sono attribuite dal regolamento a specifici collegi medico legali che soli, dunque, hanno il compito di eseguire le prescritte valutazioni tecniche nei confronti dei candidati, rispetto alle quali gli organi del Comando non possono che eseguire una mera registrazione dell’esito al fine di comunicarlo ai candidati e di assumere le decisioni consequenziali. Precisato doverosamente quanto sopra, la circostanza che, nel caso di specie, la Sottocommissione per la visita di revisione abbia espressamente affermato che il Comando Generale ha dato ordine di confermare l’inidoneità della candidata, in assenza di ulteriori elementi di valutazione messi a disposizione di questo Tribunale e tenuto conto del tenore della motivazione apposta al verbale del 17 aprile 2012, non costituisce elemento inidoneo, per se solo, a provocare la illegittimità delle operazioni di rivalutazione svolte dalla Sottocommissione alla quale unicamente, nonché a ciascuno dei suoi componenti, restano direttamente imputabili le considerazioni medico legali, assumendosene quindi la piena responsabilità, che l’hanno indotta a ritenere la candidata S. inidonea, confermando la precedente decisione, a causa del tatuaggio collocato sulla caviglia della stessa. 5. – Passando all’esame del merito della domanda proposta dalla ricorrente, appare utile verificare la portata preliminare di due elementi di valutazione che, nel caso di specie, governano l’esame della posizione della candidata rispetto alla partecipazione alla selezione per l’arruolamento nella Guardia di Finanza: A) sotto un primo profilo deve rammentarsi come, con riguardo alla presenza di tatuaggi sul corpo del candidato, il D.M. 15 dicembre 2003, n. 12751 recte, si ribadisce: decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza 15 dicembre 2003 n. 12751, al paragrafo XIX -DERMATOLOGIA (Punto 19 dell’elenco allegato al D.M. 17 maggio 2000), nell’affrontare il tema delle “alterazioni congenite ed acquisite, croniche della cute e degli annessi, estese o gravi o che, per sede, determinino rilevanti alterazioni funzionali o fisiognomiche”, specifica che “sono causa di esclusione i tatuaggi, quando per la loro sede o natura, siano deturpanti o, per il loro contenuto, siano indice di personalità abnorme”; B) sotto un secondo profilo, come ha chiarito nel verbale qui tacciato di nullità la Sottocommissione per la visita di revisione, la circolare del Comando generale del Corpo della Guardia di Finanza n. 368911 del 4 novembre 2009 per l’uniforme da indossare a cura del personale femminile: prevede l’uso a) dei collant con la gonna, d’estate e d’inverno, salvo le specifiche e temporanee autorizzazioni sanitarie; b) della gonna, quale indumento tipico del vestiario femminile; vieta l’esibizione, vestendo l’uniforme, di tatuaggi di alcun tipo. Appare dunque evidente che la circolare del 2009 non riproduce pianamente l’indicazione del regolamento secondo il quale i tatuaggi, per essere causa di esclusione dalle selezioni per l’arruolamento nel Corpo della Guardia di Finanza non debbono essere solo visibili, ma debbono manifestarsi “per la loro sede o natura (…) deturpanti o, per il loro contenuto, siano indice di personalità abnorme”. Sicché stante il chiaro disposto della fonte normativa regolamentare, non potendosi attribuire rilievo alle non collimanti espressioni recate dalla circolare del Comando Generale nei punti in cui appare collidere con la disposizione regolamentare sovraordinata, una volta riscontrata la presenza di un tatuaggio impresso sul corpo del candidato, si impone comunque di approfondire l’indagine fino a cogliere l’effetto deturpante del tatuaggio stesso ovvero della sua idoneità a rappresentare una personalità abnorme in colui che lo espone, non apparendo sufficiente, ai fini dell’esclusione dal concorso, la mera idoneità del tatuaggio stesso ad essere visibile. 6. – Fermo quanto sopra, sotto il profilo della ricognizione delle norme di settore applicabili alla controversia in esame, il Collegio (come pure il Corpo della Guardia di Finanza) non può non tener conto del recentissimo dibattito giurisprudenziale che si è acceso attorno alla legittimità della esclusione dai concorsi nelle Forze Armate di candidati che mostravano la presenza di tatuaggi sul loro corpo. Si è affermato infatti, in epoca successiva al 17 gennaio 2012, data di pubblicazione della sentenza n. 489 del 2012 resa da questa Sezione ed alla quale l’Amministrazione ha inteso dare ottemperanza con il verbale del 17 aprile 2012, che ai fini dell’esclusione dall’arruolamento nella qualità di allievo della Guardia di Finanza la mera presenza di un tatuaggio è di per sé circostanza neutra, che acquista una sua specifica ed autonoma valenza quando le dimensioni, o i contenuti, dell’incisione sulla pelle siano rivelatori di una personalità abnorme, ovvero quando queste siano oggettivamente deturpanti della figura ovvero comunque appaiono oggettivamente incompatibili con il possesso della divisa (Cons. Stato, Sez. IV, 4 luglio 2012 n. 3917, che peraltro riproduce letteralmente l’impianto motivazionale della decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 marzo 2007 n. 1457). Detta giurisprudenza ha poi sottolineato come debba valorizzarsi “la sussistenza di una disciplina costituzionale che tutela l’aspirazione al lavoro come espressione della personalità, principio che può essere derogato solo in sicura presenza di elementi preclusivi come quelli sin qui indicati”. Ad ulteriore chiarimento dei profili di indagine che sottostanno allo scrutinio della domanda giudiziale posta in sede di ottemperanza dalla ricorrente non è affatto superfluo rilevare come la questione della presenza dei tatuaggi sul corpo di candidati all’arruolamento nel Corpo della Guardia di Finanza sia condizionata dalla presenza di una disciplina regolamentare – che, come si è già detto, non può essere superata da una semplice circolare ma, semmai, merita di essere modificata con un atto normativo di pari livello – che impone una verifica dell’impatto del tatuaggio o dei tatuaggi sulla capacità di rendersi visibili allo sguardo di terzi non limitata alla loro mera presenza, ma alla circostanza che essi “per la loro sede o natura, siano deturpanti o, per il loro contenuto, siano indice di personalità abnorme” (così il testo del già riprodotto punto 19 dell’elenco allegato al D.M. 17 maggio 2003). Diversamente altri testi regolanti l’accesso a Corpi militari recano previsioni più stringenti sul tema del rinvenimento di tatuaggi sul corpo di candidati alle relative selezioni. Ad esempio l’attuale regolamentazione sulle cause di non idoneità all’ammissione ai concorsi per l’accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato (D.M. 30 giugno 2003, n. 198) – superando la pregressa e più tollerante disciplina data, in materia, dall’art. 2 del D.P.R. 23 dicembre 1983, n. 904 (che assegnava specifica valenza al tatuaggio solo se, per sede o natura, fosse deturpante ovvero indice, per il suo contenuto, di una personalità abnorme) – ha introdotto un’ulteriore previsione ostativa all’idoneità data dalla presenza del tatuaggio “in parti del corpo non coperte dall’uniforme” dando rilievo, ai fini dell’esclusione dalla selezione, alla mera circostanza che il tatuaggio sia visibile indossando una delle uniformi estive o invernali (cfr. sul punto anche, di recente, T.A.R.. Lazio, Sez. I, 3 agosto 2012 n. 7244). Orbene, in disparte la logicità e razionalità di una simile disposizione, rispetto alla suesposte considerazioni sulla compatibilità di tali previsioni con i principi costituzionali volti a tutelare il diritto al lavoro, ciò che conta, ai fini della valutazione in ordine alla fondatezza della domanda qui posta dalla Signora S., è l’assenza nella lex specialis di selezione di una previsione che produca l’immediata esclusione dalle prove del candidato che rechi un tatuaggio visibile, se non accompagnata dalla specifica valutazione in ordine al carattere deturpante dello stesso ovvero alla sua idoneità a far trapelare una personalità abnorme in capo al concorrente. 7. – Se è vero che la Sottocommissione per la visita medica di revisione, nel verbale del 17 aprile 2012, nulla ha riferito in ordine al collegamento tra il tatuaggio, il disegno con esso impresso nella parte del corpo della candidata (la caviglia destra) e la personalità della stessa, quell’organo neppure ha chiarito in alcun modo se il medesimo disegno tatuato fosse deturpante, limitandosi a registrare che si trattava di “un tatuaggio c.d. tribale” (così nella parte motiva del verbale del 17 aprile 2012). Come è noto, all’espressione italiana “deturpante” viene attribuito ordinariamente il significato di “idoneo ad imbruttire, devastare, sfigurare tanto da rendere brutto”. In ragione di quanto sopra la Sottocommissione avrebbe dovuto verificare se, al tatuaggio c.d. tribale che si presenta sulla caviglia destra della candidata, in disparte dalla mera sua capacità ad essere visto indossando la divisa d’ordine (nella specie la gonna), potesse essere attribuita una qualifica in termini di imbruttimento obiettivo dei lineamenti di quella parte del corpo visibile della aspirante finanziere ovvero, guardandolo, potesse nel disegno riscontrarsi un significato dei segni che lo compongono idoneo a ritenere abnorme la personalità della candidata stessa. Pare evidente che, in ragione della previsione regolamentare più volte sopra rappresentata, la “deturpazione” è considerata sì rilevante ai fini della non idoneità al servizio ma nei limiti di quanto possa ridondare a disdoro dell’Istituzione e della sua immagine, non apparendo incoerente l’apprezzamento della persona del candidato nella sua interezza (e dunque oltre la mera idoneità fisica e psichica), comprensiva anche del suo aspetto esteriore, destinato comunque a rappresentare l’Istituzione nel suo complesso in quanto ne indosserà l’uniforme. Tale complessa e necessaria valutazione non è stata affatto effettuata dalla Sottocommissione in sede di nuova verifica della posizione della candidata rispetto al concorso, finendo in questo modo per eludere il contenuto della sentenza n. 489 del 2012 – che aveva già decretato la carenza motivazionale delle prime due verifiche medico legali svolte sulla concorrente – e che pure espressamente l’Amministrazione con il verbale del 17 aprile 2012 aveva dato ad intendere di voler eseguire, peraltro tenendo (altrettanto) espressamente conto dell’art. 3, comma 4, del D.M. 17 maggio 2000, n. 155 il cui testo (con riguardo alla specifica disposizione contenuta nell’allegato di cui al D.M. n. 12751 del 2003 recte, si ribadisce trattasi sempre del decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza 15 dicembre 2003 n. 12751) è stato pianamente riprodotto nello spazio recante le “Considerazioni” della sottocommissione, alla pagina 1 del ridetto verbale. 8. – In ragione di tutto quanto si è sopra osservato, ritenuta la nullità del verbale del 17 aprile 2012, si ordina al Comando generale della Guardia di Finanza di eseguire la sentenza del TAR Lazio, Sezione seconda, 17 gennaio 2012 n. 489, entro trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, nulla disponendo, per il momento, in merito alla nomina di un commissario ad acta. Le spese seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, cod. proc. amm. e si liquidano come in dispositivo nella misura complessiva di Euro 3.000,00 (Euro tremila/00), oltre alla restituzione del contributo unificato se versato”.

4.1. A questo punto, con l’appello in epigrafe il Ministero dell’Economia e delle Finanze chiede la riforma della surriportata sentenza resa dal giudice di primo grado nel procedimento d’ottemperanza.

Con un primo ordine di censure la parte appellante deduce l’inammissibilità del ricorso per ottemperanza avverso il provvedimento di esclusione del 17 aprile 2012 ed eccesso di potere giurisdizionale, con conseguente necessità di scrutinio ordinario di legittimità e non di merito.

Con un secondo ordine di censure la medesima parte appellante deduce invece violazione e falsa applicazione dell’art. 114, comma 4, lett. b), cod. proc. amm., motivazione illogica e contraddittoria a fronte della corretta riedizione del potere amministrativo, nonchè eccesso di potere giurisdizionale.

Da ultimo la parte appellante chiede la cancellazione di espressioni sconvenienti e offensive, a suo dire contenute nell’atto introduttivo del giudizio di ottemperanza proposto in primo grado.

4.2. Non si è costituita nel presente grado di giudizio l’appellata R.S..

4.3. Con ordinanza collegiale n. 377 dd. 22 gennaio 2013 la Sezione ha disposto incombenti istruttori, procedendo all’acquisizione presso la Segreteria della Sez. II del T.A.R. per il Lazio del fascicolo del ricorso ivi proposto sub R.G. 10747 del 2011 da S.R. e definito con l’anzidetta sentenza n. 489 dd. 17 gennaio 2012, nonché il fascicolo dell’ulteriore ricorso per ottemperanza ivi sempre proposto sub R.G. 4812 del 2012 da S.R. e a sua volta definito con la sentenza n. 9137 dd. 7 novembre 2012 qui impugnata.

Con la medesima ordinanza la Sezione ha – altresì – disposto l’acquisizione presso il Comando Generale della Guardia di Finanza di copia della circolare n. 368911 dd. 4 novembre 2009, citata nella sentenza qui resa oggetto di impugnazione.

4.4. Alla camera di consiglio del 19 febbraio 2013 la presente causa è stata trattenuta per la decisione.

5.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto, per quanto qui appresso specificato.

5.2. Il Collegio deve innanzitutto farsi carico di disaminare il primo ordine dei motivi d’appello con il quale le Amministrazioni ricorrenti sostengono l’invalidità della sentenza impugnata in quanto emessa nel contesto di un giudizio di ottemperanza del giudicato proposto a’ sensi dell’art. 114 cod. proc. amm., nel mentre – essendo stato a loro avviso correttamente riesercitata l’azione amministrativa in esecuzione di una sentenza di annullamento per difetto di motivazione del provvedimento annullato con sentenza passata in giudicato – l’attuale appellata avrebbe dovuto esperire avverso il nuovo provvedimento, adottato dal competente organo collegiale e contraddistinto da motivazione ben diversa da quella precedente, la normale azione di impugnazione per annullamento contemplata e disciplinata dagli artt. 29 nonché 40 e ss. cod. proc. amm.

Il Collegio evidenzia al riguardo che secondo una giurisprudenza ormai del tutto consolidata sul punto l’emanazione di un nuovo provvedimento sul medesimo rapporto conosciuto e definito con statuizione irrevocabile o, comunque, esecutiva costituisce ottemperanza al giudicato, con la conseguenza che la legittimità dell’atto sopravvenuto può essere delibata nell’ambito del giudizio di ottemperanza solo se la nuova determinazione risulti palesemente elusiva delle regole di condotta dettate nella decisione della quale viene chiesta l’esecuzione, dovendosi altrimenti denunciarne l’invalidità con autonomo ricorso nelle forme del giudizio ordinario, e che pertanto la verifica della persistenza della mancata esecuzione del giudicato e, quindi, della procedibilità dell’azione di ottemperanza deve compiersi mediante la qualificazione dell’atto sopravvenuto quale provvedimento palesemente elusivo del giudicato di annullamento del primo atto, ovvero quale sua determinazione attuativa (cfr. sul punto, ex plurimis e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013 n. 356, nonché – in termini assolutamente consonanti – Sez. V, 10 settembre 2012 n. 4781).

Il giudizio di ottemperanza presuppone comunque che venga correttamente interpretato il contenuto della sentenza di cognizione al fine di individuare il comportamento che l’Amministrazione è tenuta a porre in essere in esecuzione del giudicato (così Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 2012 n. 3214).

Ma va soprattutto rimarcato che per ravvisare il vizio di violazione o elusione del giudicato non è sufficiente che la nuova attività posta in essere dall’Amministrazione dopo la formazione del giudicato alteri l’assetto degli interessi definito dalla pronuncia passata in giudicato, essendo necessario che l’Amministrazione medesima eserciti nuovamente la medesima potestà pubblica, già illegittimamente esercitata, in contrasto con il puntuale contenuto precettivo del giudicato amministrativo, oppure cerchi di realizzare il medesimo risultato con un’azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l’esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che lo giustificano (così, puntualmente, Cons. Stato, Sez. VI, 5 luglio 2011 n. 4037).

Nel caso di specie il dictum della sentenza da eseguire consisteva in effetti nella riformulazione di una nuova motivazione da parte del competente organo collegiale nel presupposto, correttamente individuato nella sentenza medesima, che da parte del competente organo collegiale era stata fatta applicazione di una specifica disciplina regolamentare costituita dall’art. 2 del D.M. 17 maggio 2000, n. 155 e dal punto 19 del decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza 15 dicembre 2003 n. 12751, in forza della quale sono causa di inidoneità al servizio i “tatuaggi sulle parti del corpo non coperte dall’uniforme o quando, per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme”, essendosi peraltro l’organo medesimo semplicemente limitato a riscontrare l’esistenza del tatuaggio ma non esplicitando “le ragioni per le quali il tatuaggio sia stato ritenuto deturpante per la sede in cui è allocato, specie considerato che, nel caso di specie, si tratta di tatuaggi coperti dall’uniforme” (così, puntualmente, a pag. 3 la sentenza n. 489 del 2012), ossia astenendosi dal precisare se lo stesso era –per l’appunto – “deturpante per sede o natura”, ovvero, con riguardo al suo contenuto, “indice di personalità abnorme”.

Va peraltro rimarcato che nello stesso dictum del giudice contestualmente si precisa – con richiamo a giurisprudenza del tutto consolidata sul punto – che “il concetto di deturpamento è da porsi in collegamento con la possibilità che tali segni possano essere visti e suscitare quindi visivamente e psicologicamente un giudizio di disgusto o comunque negativo dell’aspetto fisico-estetico, di talchè quando tali tatuaggi sono collocati in posti coperti dell’uniforme, non possono assumere attitudine deturpante, proprio perché non percepibili”, e che – giova ribadire quanto detti innanzi – “nel caso di specie, si tratta di tatuaggi coperti dall’uniforme” (cfr. ibidem).

Nella res iudicata pertanto, nella specie, è inclusa la rilevazione di un fatto storico non più controvertibile: ossia che il tatuaggio della S. è da considerarsi ex dictu iudicis coperto dall’uniforme e – conseguentemente – non più smentibile dall’Amministrazione se non mediante un’impugnazione della sentenza che essa si è astenuta dal proporre, determinando con ciò – per l’appunto – la sua cristallizzazione nella sentenza divenuta inoppugnabile.

Conseguentemente, l’organo collegiale avrebbe dovuto nella specie accertare se nella specie sussisteva, se del caso, soltanto il secondo presupposto contemplato dal combinato disposto dell’art. 2 del D.M. n. 155 del 2000 e dal punto 19 del decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza n. 12751 del 2000 ai fini dell’esclusione dal concorso, ossia se il tatuaggio di cui trattasi fosse eventualmente “indice di personalità abnorme”, essendo – giova ribadire – per effetto del giudicato ormai inibito all’organo collegiale di pronunciarsi in ordine alla circostanza della “sede deturpante” del tatuaggio medesimo.

Da ciò risulta ben evidente, quindi, che la riedizione dell’azione amministrativa è nella specie avvenuta in aperta violazione del giudicato, e che pertanto il provvedimento adottato dalla Commissione appositamente convocata il 17 aprile 2012 non solo andava impugnato mediante il procedimento di ottemperanza di cui all’art. 114 cod. proc. amm., ma va all’evidenza dichiarato nullo a’ sensi di quanto disposto dall’art. 114 , comma 3, lett. b), cod. proc. amm. proprio in quanto reca una riconsiderazione della posizione della S. formulata sulla base di una nuova circostanza che non poteva essere addotta, ossia che un indumento previsto come divisa (e cioè la gonna) lascia scoperto il tatuaggio in questione.

5.3. Sotto quest’ultimo profilo, anche al di là della stessa inammissibilità del secondo motivo di appello proprio in quanto esclusivamente incentrato ad affermare la veridicità di una circostanza ormai preclusa alla valutazione dell’organo collegiale – ossia la visibilità del tatuaggio indossando un indumento costituente divisa del Corpo – la stessa lettura della circolare n. 368911 dd. 4 novembre 2009 (acquisita in via istruttoria da questo giudice nella constatazione che il contenuto della stessa – paradossalmente – era stato considerato dal giudice di primo grado nel corpo motivazionale della sentenza qui impugnata senza che la stessa risultasse agli atti di causa) consente di acclarare l’infondatezza della tesi fatta propria dalla Sottocommissione nella sua seduta del 17 aprile 2012.

La gonna, invero, al par. 3, lett. f), n. 1) “indumento tipico del vestiario femminile, è prevista quale capo dell’uniforme in analogia a quanto avviene nelle altre FF.AA. e Corpi di Polizia”; peraltro nel susseguente n.2 si afferma che “la discrezionalità con cui ciascuna donna alterna normalmente tale indumento con i pantaloni deve prevedere, in alternativa, l’uso di tali capi di vestiario: a) durante la normale attività lavorativa d’ufficio; b) al di fuori del servizio (matrimoni, eventi sociali, libera uscita”; e al n. 3 si dispone che “in occasione di manifestazioni che prevedano il personale femminile inquadrato (parate, cerimonie o eventi rappresentativi), questo dovrà utilizzare: a) i pantaloni: se inquadrato con personale maschile; se armato; con uniformi che prevedono buffetterie; in caso di cattive (o prevedibili tali) condizioni atmosferiche; b) la gonna o i pantaloni: se inquadrato in Reparto con solo personale femminile, con l’Uniforme ordinaria e con la Grande Uniforme: c) la gonna: durante l’attività in ufficio con l’Uniforme di servizio, secondo il principio della discrezionalità; negli eventi sociali, quali cerimonie nuziali, trattenimenti, spettacoli ecc., con l’Uniforme Ordinaria e l’Uniforme da Cerimonia e derivate. Inoltre, resta cura del Comandante di Corpo individuare, per specifiche attività lavorative o per particolari motivi temporanei di opportunità, il disporre (sic) l’obbligatorietà dell’uso del pantalone”.

Al di là dell’ultimo passaggio, sintatticamente non felice per presumibili inconvenienti occorsi nella revisione del testo del provvedimento mediante lo strumento informatico prima della sua emissione, risulta ben evidente che la gonna è un indumento che la disciplina vigente in tema di uniformi del Corpo della Guardia di Finanza prevede in via del tutto opzionale, posto che l’uso della stessa è rimesso alla mera discrezionalità del personale interessato, senza la possibilità che i superiori gerarchici ne impongano l’uso (ed essendo, semmai, contemplati ordini nell’opposto senso del divieto dell’utilizzo dell’indumento medesimo) ed essendo oltre a tutto fatto notorio nell’ambito del Corpo medesimo (e, peraltro, percepito anche da coloro che abitudinalmente hanno contatto con il personale del Corpo che opera in divisa) che l’utilizzo della gonna è caduto in desuetudine proprio in quanto le condizioni di espletamento del servizio da parte del personale femminile inducono, per ben evidenti ragioni di praticità, l’uso del pantalone.

In tale contesto, pertanto, non risulta possibile per gli organi collegiali preposti all’accertamento dell’idoneità fisica dei candidati ai concorsi per l’arruolamento nel Corpo della Guardia di Finanza motivare la loro esclusione dalla selezione in base alla mera circostanza che un eventuale tatuaggio impresso sul loro corpo sia visibile nel caso sia indossata la gonna pur prevista tra i capi di vestiario dell’uniforme, posto che l’uso di tale indumento è dalla disciplina vigente rimesso alla mera discrezionalità del personale interessato: questo è conseguentemente obbligato a nascondere un eventuale tatuaggio altrimenti visibile indossando, sempre e comunque, il pantalone.

5.4.Il Collegio, per il resto, concorda pienamente con le diffuse ed estremamente puntuali considerazioni del giudice di primo grado circa la singolarità della circostanza che la Sottocommissione per la visita di revisione abbia apertamente chiarito che il suo giudizio è stato espresso su ordine del Comando Generale (esattamente con foglio n. 105807/12 del 6 aprile 2012 del Comando Generale, I reparto, Ufficio reclutamento e addestramento, allegato al verbale del 17 aprile 2012) nonostante quest’ultimo organo non sia titolare di alcuna competenza nel settore medico legale e non possa quindi condizionare in alcun modo il giudizio della Sottocommissione: e ciò pur tenendo conto della particolare ed accentuata relazione gerarchica che intercorre tra gli organi dell’articolata organizzazione del Corpo.

La circostanza stessa va pertanto correttamente qui considerata come elemento causante della non corretta esecuzione del giudicato, con la conseguenza che la dichiarazione di nullità va estesa anche al foglio n. 105807/12 del 6 aprile 2012 testè riferito.

5.5.1. Quanto testè evidenziato non esaurisce, peraltro, la disamina della causa, posto che questo giudice deve comunque determinarsi circa la necessità – o meno – di ulteriori adempimenti da parte dell’Amministrazione al fine della corretta esecuzione del giudicato.

E’ ben noto, infatti, che qualora l’Amministrazione non si conformi puntualmente ai princípi contenuti nella sentenza oppure non constati le conseguenze giuridiche che da essa discendono o nel caso di inerzia, il giudice amministrativo nella sede del giudizio di ottemperanza al giudicato esercita un sindacato giurisdizionale espressamente esteso dal legislatore al merito, sindacando in modo pieno, completo e satisfattivo per la parte risultata vittoriosa nel precedente giudizio di cognizione l’attività posta in essere dall’Amministrazione ovvero il suo comportamento omissivo, adottando tutte le misure necessarie ed opportune per dare esatta ed integrale esecuzione alla sentenza (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 13 settembre 2012 n. 4887, con riferimento all’art. 134, comma 1, lett. a,, cod. proc. amm..).

Posto ciò, va evidenziato che gli organi preposti alla valutazione del tatuaggio di cui trattasi hanno avuto modo di esaminarne la natura per ben tre volte: ossia in sede di prima visita dell’interessata avvenuta il 6 ottobre 2011 con redazione della scheda anamnestica che puntualmente lo descrive e che è stata debitamente acquisita al fascicolo del procedimento definito con la sentenza n. 489 del 2012 resa dal giudice di primo grado; in sede di revisione da parte dell’apposita Sottocommissione l’8 ottobre 2011; e, da ultimo, nella seduta dello stesso organo collegiale del 17 aprile 2012 convocato al fine dell’esecuzione del giudicato.

In nessuna di tali evenienze è stata mai affermata dagli organi collegiali anzidetti che il contenuto del tatuaggio di cui trattasi sia “indice di personalità abnorme”: e – si badi – tale giudizio neppure è stato espresso dall’organo collegiale a ciò competente nella sua seduta del 17 aprile 2012 ancorchè, come chiarito innanzi, tale era il profilo medico-legale su cui esso doveva pronunciarsi.

Rebus sic stantibus, questo Collegio reputa pertanto dall’insieme di tali circostanze – che configurano un comportamento complessivamente concludente sul punto da parte degli organi collegiali predetti, eloquentemente confermato dal fatto che da ultimo la competente Sottocommissione, al fine di addivenire all’esclusione della candidata ha fondato il proprio convincimento esclusivamente sul (fallace) presupposto della visibilità del tatuaggio di cui trattasi – la totale inutilità di un’ulteriore riedizione dell’azione amministrativa al riguardo.

In dipendenza di ciò, quindi, non può che essere rimarcata l’intrinseca autoesecutività delle sentenze rese dal giudice amministrativo, sia in primo che in secondo grado, circa i tatuaggi che – giova ribadire, se non esplicitamente riferiti a personalità abnorme – risultano non visibili se adeguatamente celati indossando i diversi indumenti previsti quali uniforme.

In tali evenienze, per effetto della sentenza che accerta tale circostanza, il candidato non può che essere ammesso alla prosecuzione del procedimento concorsuale, senza ulteriori necessità di riedizione dell’azione amministrativa.

Di ciò, del resto, si trae implicita conferma anche dalla lettura della stessa sentenza n. 5542 dd. 14 ottobre 2011, resa da questa stessa Sezione e alla quale dichiaratamente la stessa Sottocommissione nella sua seduta del 17 aprile 2012 pur ha riconosciuto “particolare rilevanza”

Né va sottaciuto che già in quel’occasione questa Sezione aveva formulato “l’auspicio che per il futuro l’insorgere di analogo contenzioso” potesse “essere convenientemente prevenuto già in sede di visita medica mediante l’immediato riscontro della circostanza (debitamente da verbalizzare) per cui le divise sia invernali che estive coprano – o meno – i tatuaggi eventualmente riscontrati sul corpo dei candidati all’arruolamento”, condannando la stessa Amministrazione dell’Economia e delle Finanze al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio.

In dipendenza di tutto ciò, e sempre nell’auspicio di evitare per il futuro defatiganti contenziosi come nel presente caso, va pertanto chiarito che le Sottocommissioni preposte all’accertamento dell’idoneità fisica dei candidati all’arruolamento del Corpo che riscontrino sulla cute dei candidati la presenza di tatuaggi sono tenute ad applicare al riguardo il combinato disposto dall’art. 2 del D.M. 17 maggio 2000, n. 155 e dal punto 19 del decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza 15 dicembre 2003 n. 12751 accertando dapprima, con idonea motivazione, se gli stessi siano per il loro intrinseco contenuto “indici di personalità abnorme” e, in caso negativo, verifichino se gli stessi sono idoneamente coperti mediante l’utilizzo di tutti gli indumenti previsti dalle diverse divise utilizzate dal Corpo.

5.5.2. Nel caso di specie, essendo materialmente incontestato ( o, se si preferisce, ex re iudicata incontestabile) la circostanza che gli indumenti di ogni divisa coprono il tatuaggio in questione, l’Amministrazione soccombente non potrà – se non già provveduto al riguardo, stante l’esecutività delle statuizione giudiziali già emanate a favore dell’attuale appellata – che dar seguito nei suoi riguardi alle operazioni concorsuali, ovvero ad ammetterla – ovviamente in costanza del possesso dei requisiti previsti – alla partecipazione del primo, successivo ed analogo concorso utile al riguardo che dovesse essere bandito senza ulteriori rideterminazioni in ordine al tatuaggio di cui trattasi.

Tale statuizione risulta allo stato satisfattiva per la parte appellata e non richiede a questo giudice la fissazione della “somma di danaro dovuta dalle parti resistenti per ogni violazione e/o inosservanza successiva ovvero per ogni ulteriore ritardo nell’esecuzione”, chiesta nel primo grado del giudizio di ottemperanza dal patrocinio della S., il quale peraltro si è comunque riservato la susseguente proposizione in via autonoma dell’azione di condanna ex art. 30 cod. proc. amm.

6. Da ultimo, il Collegio deve farsi carico di esaminare la richiesta della parte appellante di cancellazione a’ sensi dell’art. 89 cod. proc. civ. quale espressione sconveniente o offensiva contenuta nell’atto introduttivo del giudizio di ottemperanza proposto in primo grado dal patrocinio della S., della seguente frase: “E tanto anche a prescindere dal fatto che un ameno Generale di Brigata abbia ritenuto di poter impartire un ordine contra legem alla Sottocommissione medica e dalla mortificante circostanza che ben sei Ufficiali membri (un altro Generale, due Colonnelli, un Maggiore e due Capitani) vi si siano silentemente conformati con risibile solerzia”.

Con l’occasione la parte appellante correla poi la frase stessa alla circostanza che il patrocinio abbia anche esternato una “presunta illiceità penale delle condotte poste in essere, queste ultime palesemente destituite di fondamento”: cfr. pag. 21 dell’atto d’appello).

Il Collegio, premesso che l’art. 89 cod. proc. civ., costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento processuale civile e risulta pertanto puntualmente applicabile al processo amministrativo a’ sensi dell’art. 39, comma 1, cod. proc. amm., evidenzia che con sentenza n. 3301 dd. 5 giugno 2012 questa stessa Sezione – nota, del resto, alla stessa parte appellante in quanto da essa stessa citata a pag. 20 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio – ha già avuto modo di evidenziare che l’istanza di cancellazione non costituisce nemmeno una domanda in senso proprio, risolvendosi solo in una segnalazione volta a procurare l’esercizio, officioso, dei poteri di controllo del giudice sul contenuto degli scritti difensivi e dei discorsi pronunciati dalle parti e dai loro difensori (cfr. in tal senso anche Cass. Civ., Sez. III, 5 novembre 2002 n. 15503) e intesi alla valutazione, di natura squisitamente discrezionale, della pertinenza e continenza delle espressioni utilizzate, e quindi alla verifica che esse non rivestano caratteri di “sconvenienza” e “offensività”

Tale potere appartiene, peraltro, specificamente al giudice del processo nel cui ambito sono proferiti i discorsi o depositati gli scritti che contengono le espressioni sconvenienti e offensive e ciò per due ordini di ragioni:

1) per la testuale previsione dell’art. 89 comma 2 c.p.c., che individua come limite di esercizio del medesimo la sentenza che decide il giudizio (cfr. ivi: “Il giudice, in ogni stato dell’istruzione, può disporre con ordinanza che si cancellino le espressioni sconvenienti od offensive, e, con la sentenza che decide la causa, può inoltre assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l’oggetto della causa”);

2) perché soltanto il giudice dinanzi a cui pende il processo nel quale sono state proferite o scritte espressioni sconvenienti e offensive può apprezzarne la continenza e pertinenza, anche in relazione ai comportamenti e agli scritti dell’altra parte e del suo difensore.

Tra l’altro, proprio perché l’istanza è mera sollecitazione all’esercizio di un potere officioso ampiamente discrezionale del giudice, e non sussistendo quindi un correlativo diritto di natura processuale alla pronuncia sulla medesima, la circostanza che il giudice non abbia provveduto al riguardo non può formare oggetto di impugnazione (cfr. sul punto Cass. Civ., Sez. II, 12 settembre 2000, n. 12035; cfr. anche per una più risalente affermazione del principio Sez. II, 3 novembre 1994, n. 9040; entrambe segnano il superamento di precedente -a quanto consta- isolata affermazione di segno contrario di cui a Cass. Civ., Sez. I, Sez. I, 13 novembre 1991, n. 12134, che contraddiceva quanto affermato da Sez. II, 7 maggio 1987, n. 4237, confermativa dell’orientamento maggioritario segnalato, secondo cui “il silenzio del giudice implica esercizio negativo del suo potere”).

La richiesta di cancellazione va pertanto respinta, nel mentre per quanto attiene alle implicazioni penali della vicenda prospettate nel primo grado del giudizio di ottemperanza dal patrocinio della S., non può che prendersi oggettivamente atto che il patrocinio medesimo ha di sua iniziativa provveduto alla notifica dell’atto introduttivo di quel giudizio, dichiaratamente anche ex artt. 331 cod. proc. pen. e 328 cod. pen. (come testualmente risulta anche dall’istanza di notificazione, pag. 6 dell’atto medesimo), pure al Ministro dell’Economia e delle Finanze pro tempore, nonché al Comandante Generale della Guardia di Finanza pro tempore, “perché valutino personalmente, nella prefata qualità, i provvedimenti da assumere nei confronti degli Ufficiali compartecipi di tale condotta, anche a norma del ridetto art. 331 c.p.p. e con le conseguenze, in mancanza, di cui all’art. 328 c.p.” (cfr. ibidem, pagg. 4 e 5).

7. Non vi è luogo per la pronuncia sulle spese e gli onorari per il presente grado di giudizio, non essendosi costituita la parte appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), respinge l’appello per quanto esposto in motivazione e dispone per l’esecuzione della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Roma, Sez. II, n. 489 dd. 17 gennaio 2012 quanto statuito al par. 5.5.2. della presente sentenza.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2013

Redazione