Locazione: la clausola contrattuale che prevede l’aggiornamento automatico del canone su base annua è nulla (Cass. n. 9134/2013)

Redazione 16/04/13
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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bologna il 30 novembre 2005 rigettava la domanda proposta da I..R. nei confronti di C.A. volta a far dichiarare la nullità della clausola di cui al contratto di locazione da lui stipulato come conduttore di un immobile ad uso abitativo con il C. – locatore – perché era stato pattuito un aumento annuo del canone pari al 5% e conseguente restituzione delle somme indebitamente percepite da esso locatore.
Il Tribunale statuiva per il rigetto in quanto era intervenuta una transazione tra le parti estesa anche al tema della controversia sottoposta al suo giudizio.
Su gravame del R. la Corte di appello di Bologna il 4 aprile 2007 ha riformato la sentenza di prime cure.
Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il C. , affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso il R. .
Il ricorrente ha depositato memoria.

 

Motivi della decisione

1.-La sentenza impugnata ha riformato quella del Tribunale dichiarando la nullità della clausola n.5 del contratto di locazione sottoscritto in data 8 luglio 1993 nella parte recante la previsione di aggiornamento annuale automatico del canone in ragione del 5% dell’anno precedente: contratto stipulato tra R.I. e C.A. .
Ha osservato il giudice dell’appello:
a) il tenore letterale della transazione prodotta in causa, nella quale il C. formulava rinuncia alla impugnazione della sentenza di primo grado e il locatore rinunciava a riassumere l’opposizione presso terzi con conseguente compensazione delle spese induceva a ritenere che con l’atto le parti intesero transigere, ma non regolare nuovamente e diversamente il rapporto locatizio;
b) nell’atto transattivo era omesso ogni e qualsiasi riferimento a nuova intesa circa l’aggiornamento del canone per cui era “arduo”, come invece ritenuto dal Tribunale, sostenere la portata modificativa o estintiva dell’originaria fattispecie;
c) l’art. 24 della legge n. 392/78 era applicabile anche ai c.d. patti in deroga e, quindi, andava caducata ex art. 79 della legge citata (p. 5-7 sentenza impugnata).
Contro questo argomentare il C. insorge con il presente ricorso e al riguardo il Collegio osserva quanto segue.
2.-In punto di fatto è pacifico tra le parti che fu concluso un contratto di locazione secondo la disciplina dei c.d. patti in deroga ed era previsto un aggiornamento del canone nella misura del 5%.
Nella pendenza del contratto ebbe luogo una transazione che concludeva le controversie tra il R. e la s.r.l. F., concernente opposizione all’esecuzione in una controversia tra il R. e il C. circa la risoluzione della locazione.
Nell’atto transattivo il C. rinunciava ad impugnare la sentenza di primo grado RG. n. 3697/01 che portava condanna del R. alle spese di lite e il R. rinunciava alla prosecuzione del giudizio di opposizione all’esecuzione “Tale rinuncia agli atti comporta anche rinuncia all’azione di risoluzione da parte del C. e ad ogni ulteriore pretesa fatta valere dal ******* con l’opposta esecuzione. Sempre con eventuale accettazione dell’altrui rinuncia” (p.6-7 ricorso).
Ad illustrazione della censura viene formulato il seguente quesito di diritto (p.8):
Se la transazione intervenuta tra le parti di un contratto di locazione, avente ad oggetto il pagamento dei canoni, precluda o meno alla parte locataria di sollevare una nuova questione in ordine alla determinazione dell’ammontare dei canoni medesimi”.
Così come formulato, il quesito non coglie la statuizione di cui a p.5 della sentenza impugnata e nel motivo si rinviene una valutazione che involge accertamenti in fatto. Peraltro, esso è infondato perché la sentenza ha escluso che la rinuncia del R. si estendesse anche a tale questione (v. p. 4 sentenza impugnata).
E ciò dovendosi sottolineare, inoltre, come è noto, la clausola contrattuale che preveda l’aggiornamento automatico del canone su base annua senza necessità di richiesta espressa del locatore è affetta da nullità in base al comb. disp. degli artt. 24 e 29 della legge n.392/8 perché l’art. 11 del d.l. n. 333/92 convertito in legge n.359/92 al comma secondo ultima parte stabilisce che per detti contratti resta ferma l’applicabilità della disciplina degli artt. 24 e 30 della legge n. 392/78 (Cass. n. 2884/05).
3. – Con il secondo motivo (erroneità della sentenza per avere ritenuto che la clausola in questione fosse una clausola di aggiornamento ISTAT – violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 1362 cc. – art. 24 legge n. 392/78 – art. 11 del d.l. n. 333/1992, così come modificato in sede di conversione dalla legge 8 agosto 1992 n. 359) il ricorrente afferma che la clausola di cui al n. 5 del contratto non è una clausola di aggiornamento ISTAT, in quanto prevede l’aumento annuale del 5% del canone e a suo avviso il contenuto di essa corrisponderebbe alla precisa volontà delle parti, che convenivano che il conduttore, nell’ambito delle complesse di determinazione del canone locatizio, si sarebbe impegnato ad eseguire interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, così come risulta dagli allegati al suddetto contratto (p.8-10 ricorso).
Ad illustrazione della censura vengono formulati i seguenti quesiti di diritto.
1) Se sia o meno configurabile e ammissibile una clausola contenuta in un contratto di locazione ad uso abitativo, stipulato a norma dell’art. 11 del d.l. n. 333/1991, convertito con modifiche dalla legge 8 agosto 1992 n. 359 (c.d. patti in deroga), che prevede, nell’ambito della facoltà di libera determinazione del canone riconosciuta alle parti, una forma di aumento attuale del canone di locazione diversa da quella prevista dall’art. 24 legge n. 392/1978″.
2) Se si debba o meno ritenere la sussistenza di una simile clausola tutte le volte in cui le parti, per il tenore letterale della clausola e per il loro comportamento successivo alla stipulazione,non si siano mai riferiti ad alcun indice ISTAT”.
Sia la redazione della censura che i relativi quesiti ritiene il Collegio che non abbiano pregio.
Infatti, il giudice dell’appello ha esaminato attentamente il c.d. contratto transattivo, nel quale non ha rinvenuto alcun riferimento alla clausola.
4. – Con il terzo motivo (erroneità della sentenza per avere ritenuto che il richiamo operato dall’art. 11 del d.l. n.333/1992, così come modificato in sede di conversione dalla legge 8 agosto 1992 n.359, all’art. 24 legge n. 392/78 comporti anche l’applicazione dell’art.79 della legge n.392/1978 ai c.d. patti in deroga-violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 1362 c.c. – art. 24 legge n. 392/78 – art. 11 del d.l., così come modificato in sede di conversione dalla legge 8 agosto 1992 n. 359 – art. 79 legge n. 392/78) il ricorrente assume che vista la tipologia contrattuale prescelta dalle parti il giudice non poteva ricorrere alla sanzione di nullità prevista dall’art.79 legge n.392/78. e ciò anche perché il contratto di locazione di cui è causa era stato sottoscritto con l’assistenza delle associazioni di categoria, attuandosi in tal modo un vero e proprio controllo di legittimità sulle pattuizioni delle parti.
Ad illustrazione della censura viene formulato il seguente quesito di diritto.
“Se ad un contratto di locazione ad uso abitativo, stipulato anche con l’assistenza delle organizzazioni di categoria, a norma dell’art. 11 del d.l. n. 333/1992, convertito con modifiche dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, c.d. patti in deroga, sia applicabile l’art. 79 legge n. 392/1978) La censura con il relativo quesito sono da disattendere. Infatti, l’art. 11 della legge n.359/92 richiama proprio l’art. 24 della legge n. 392/78 e, quindi, chiaramente esprime la non derogabilità della norma sul punto.
Di vero, in questo caso non si discute della nullità del contratto, che essendo extralegale solo rispetto alla nullità della clausola ha seguito, come doveva seguire, tutti gli incombenti idonei a farlo stipulare (per inciso, la risoluzione a suo tempo non fu richiesta), tra i quali è compresa la presenza delle organizzazioni di categoria, che come riconosce lo stesso ricorrente, stante il dictum della Corte cost. n. 309/86, non è indispensabile ai fini della nullità del contratto, la stessa presenza certamente non rileva in senso opposto allorché si intenda eludere la normativa espressamente inderogabile, come quando nello stesso contratto si inserisce una clausola come quella in esame.
Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza Vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200/00 di cui Euro 200 per spese, oltre accessori come per legge.

Redazione