Locazione, Deposito cauzionale, accessorietà con le obbligazioni che intende garantire, diritto di seguito (Cass. n. 23164/2013)

Redazione 11/10/13
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Svolgimento del processo

I coniugi P. con atto di citazione del 18 marzo 2002 convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Cuneo B.A. e C.C. esponendo di essere proprietari di un immobile sito in (omissis) avendone acquistato metà dal Fallimento … e la restante metà dai convenuti quali eredi di C.G. , che tale immobile era stato locato alla società Spiraflex, la quale aveva a sua tempo versato nelle mani del C. un deposito cauzionale pari ad Euro. 5.624,44 e che tale somma mai era stata dai precedenti proprietari a loro rimessa. Chiedevano pertanto che i convenuti fossero condannati ad attribuire tale somma, ovvero, in subordine la metà della stessa oltre accessori.
Si costituivano i convenuti eccependo che gli attori al momento dell’acquisto erano a conoscenza dell’esistenza del deposito cauzionale e che, a tutto concedere, essi non potevano esser tenuti a corrispondere più della metà di loro spettanza.
Il Tribunale di Cuneo con sentenza n. 214 del 2004 condannava i convenuti tra loro in solido al pagamento della somma di Euro 5.624,44 oltre interessi legali dal 18 marzo 2002 al saldo, li condannava, inoltre, al pagamento delle spese di lite.
Questa sentenza veniva confermata dalla corte di Appello di Torino con sentenza n. 382 del 2007. Secondo la Corte torinese, dal fatto che i coniugi P. al momento dell’acquisto conoscessero la situazione locativa dell’immobile acquistato non discendeva sic et simpliciter la prova dell’imputazione della cauzione in conto prezzo, considerato, per altro, che il prezzo veniva determinato a corpo e che (con tipica clausola di stile) l’immobile veniva venduto nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava nel rispetto di tutti i pesi ed oneri. L’azione proposta dagli originali attori era da ritenersi strumentale all’adempimento da parte loro dell’obbligo di restituzione della cauzione, ex art. 11 della legge 392/1978, gravante sul locatore al momento della consegna dei locali e ferma restando la verifica d’integrità dei beni locati.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da B.A. e da C.C. per tre motivi, illustrati con memoria.
I coniugi P. e G. hanno resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1.- B.A. e C.C. lamentano:
a) Con il primo motivo la violazione/o falsa applicazione degli artt. 1362 – 1367 e 2697 cc. Secondo i ricorrenti la Corte di merito non avrebbe correttamente applicato la normativa di cui agli artt. 1262 – 1367 e 2697 cc, dato che non avrebbe ritenuto fosse onere dei coniugi P. provare che nella determinazione del prezzo della vendita non si fosse tenuto conto della cauzione oggetto della controversia. In particolare la Corte torinese concordava con gli appellanti che i coniugi P. fossero a conoscenza della sussistenza del contratto di locazione, ma riteneva che non sussistesse la prova che la cauzione fosse imputata in conto prezzo. E, di più la Corte di merito concordava con gli appellanti che il contratto di compravendita stabiliva che i coniugi P. avevano acquistato l’immobile di cui si dice nello stato di fatto in cui si trovava e “con ogni diritto accessione e pertinenza”, ma riteneva che quella clausola fosse una clausola di stile.
Epperò, le affermazioni della Corte di merito, prescindendo da una indagine in ordine alla volontà delle parti, sarebbero apodittiche e indimostrate.
Ciò posto, concludono i ricorrenti, dica l’Ecc.ma Corte se nel caso in cui un contratto di compravendita immobiliare dia atto che l’acquisto sia effettuato nello stato di fatto in cui si trova, come visto ed accettato dalla parte acquirente, e con ogni diritto, accessione e pertinenza e servitù, si possa reputare tale clausola di stile senza alcuna indagine circa la volizione effettiva delle parti e senza che ciò sia mai stato dedotto in giudizio, ovvero, se da tale clausola possa invece derivare la presunzione che il prezzo della compravendita sia stato determinato, anche tenendo presente la situazione locativa dell’immobile, con conseguente gravare dell’onere della prova su chi intenda provare il contrario.
b) Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l’insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. Secondo i ricorrenti, la Corte di merito avrebbe errato nell’aver escluso che il deposito cauzionale di cui si dice non fosse stato considerato nella determinazione del prezzo, atteso che insufficiente sarebbe la motivazione secondo la quale “(•…), va anzi detto che ancor più in radice la prova della conoscenza dello stato locativo dell’immobile compravenduto non sia ancora a rigore la prova della conoscenza da parte degli acquirenti di tutte indistintamente le clausole contrattuali, segnatamente di quelle concernente il deposito cauzionale di lire 3.800.000: Deposito al quale la perizia fallimentare non fa cenno alcuno”, atteso che la Corte di merito non avrebbe considerato che le controparti erano già proprietarie di una quota dell’immobile e che il deposito cauzionale, soprattutto, quando si tratti di uso commerciale sia clausola del tutto usuale nella pratica. Né può ritenersi, specificano, altresì, i ricorrenti, tardiva la relativa eccezione in quanto sin dalla comparsa costitutiva di primo grado i convenuti avevano eccepito che gli attori al momento dell’acquisto della quota erano “a conoscenza dell’esistenza del deposito cauzionale”.
1.1.- Entrambi i motivi vanno esaminati congiuntamente vista l’innegabile connessione che esiste tra gli stessi, tanto che la seconda censura sembra essere una specificazione della prima, ed entrambi sono infondati.
Va qui precisato che il deposito cauzionale è considerato solitamente come un pegno irregolare in relazione alla sua funzione di garanzia ed alla fungibilità dei beni che ne formano oggetto (il denaro). Da questa sua natura deriva non solo l’accessorietà con le obbligazioni che intende garantire ma anche il diritto di seguito; il che significa che il trasferimento dell’immobile comporta automaticamente il trasferimento del deposito cauzionale. L’acquirente dell’immobile locato subentra nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione (art. 1602 Codice Civile) e, così, anche nell’obbligazione accessoria di restituire il deposito cauzionale versato dall’inquilino. Con l’ulteriore precisazione che il bene dato in pegno (nel caso in esame una somma di denaro) rimane ed è di proprietà del soggetto che ha concesso il pegno con il divieto per il creditore pignoratizio di disporre del bene. Normalmente, dunque, il venditore ( che vende un bene locato) trasferisce, per così dire, non solo il rapporto locativo, ma anche il possesso del pegno, ovvero della cauzione. Normalmente, cioè, il. venditore non può trattenere per sé il pegno ( cioè la cauzione), se ciò non sia stato concordato “esplicitamente” e/o espressamente, con il compratore.
1.1.a) Piuttosto il venditore può trattenere per se la cauzione di cui si dice, o quella cauzione gli appartiene definitivamente, se dal contratto risulti che il mancato trasferimento della cauzione al compratore è dovuto: o ad una compensazione tra il dare del compratore e l’avere dello stesso, trattandosi di rispettivi crediti di denaro e simultaneamente esigibili; oppure al prezzo della vendita concordato in misura ridotta (pari al valore della cauzione) rispetto a quello che avrebbe dovuto essere, cioè, in altri termini, dal contratto risulti una compensazione, per così dire, “virtuale”.
Ora, nel caso in esame, i dati considerati dalla Corte torinese escludono una qualunque ipotesi di compensazione reale, o per così dire virtuale. Come specifica la sentenza impugnata, il prezzo della vendita era stato concordato a “corpo”, la cui indicazione, pertanto, non consente di ritenere che il prezzo sia stato determinato in misura ridotta, pari al valore della cauzione di cui si dice.
Né tale risultato appare raggiungibile avendo le parti concordato che l’immobile veniva venduto “con ogni diritto accessione, pertinenza e servitù” non solo perché, come bene chiarisce la Corte torinese, quella è una clausola di stile, ma, e, soprattutto, perché in nessuna di quelle espressioni è imputabile la considerazione che la cauzione locativa abbia comportato una diminuzione del prezzo della vendita, cioè, per così dire una “compensazione virtuale” o “preventiva”.
1.1.a).- Pertanto, sono coerenti ai principi qui indicati, e, comunque, non sono errate, le affermazioni della Corte torinese secondo cui in assenza di altri elementi, dalla circostanza che il compratore conoscesse l’esistenza del rapporto locativo di cui si dice non avrebbe potuto desumersi la prova dell’imputazione della cauzione locativa in conto prezzo proprio perché come si è detto non essendo quell’imputazione un effetto immediato del contratto di compravendita e neppure della conoscenza del compratore che esisteva un contratto di locazione, l’eventuale imputazione in conto prezzo avrebbe dovuto essere prevista esplicitamente. Così, come appare del tutto convincente, perché coerente con i principi di cui si è detto la motivazione contenuta in sentenza secondo cui “in tale situazione l’affermazione secondo cui l’ammontare della cauzione sarebbe stato per comune accordo inglobato nel prezzo di acquisto non può che risultare assolutamente apodittica, né potrebbe negarsi che l’onere di provare un siffatto accordo gravasse per regola generale ex art. 2697 cc. sul C. (cioè sul venditore) che ne ha fatto oggetto di una specifica eccezione”.
2.- Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1292 e 1298 cc. Secondo i ricorrenti la Corte torinese avrebbe errato nell’aver considerato che l’obbligazione gravante sugli odierni ricorrenti fosse un’obbligazione solidale., considerato che nel caso di specie non vi è stato un unico contratto di compravendita tra più proprietari venditori ed acquirente, ma questi, già proprietario di una quota di proprietà ha acquistato quella residua e, pertanto, difetterebbe tanto l’eadem causa obligandi, quanto l’unitarietà della prestazione dovuta. Piuttosto, gli acquirenti in quanto già proprietari di una quota dell’immobile erano al momento dell’acquisto già tenuti alla restituzione del deposito cauzionale del conduttore per l’intero, cosicché questo in nulla ha mutato della loro posizione.
Dica, pertanto la Corte di cassazione se nell’ipotesi di immobile locato la vendita della residua quota a soggetto già comproprietario di altra quota comporti una presunzione di solidarietà passiva non solo nei confronti del conduttore, ma anche degli originali proprietari-locatori.
2.1.- Anche questo motivo è infondato.
Come ha evidenziato correttamente la Corte torinese ab origine il rapporto locativo di cui si dice era unitario ed essendoci due comproprietari dell’immobile XXXXX e C. a, il conduttore avrebbe avuto già in partenza titolo per richiedere da qualunque dei locatori la restituzione dell’intero importo versato in cauzione al termine della locazione, sempre che l’immobile locato non fosse stato danneggiato. Con la conseguenza che nell’ipotesi in cui la cauzione fosse stata chiesta e restituita da un uno dei coobbligati, questi avrebbe potuto chiedere la corresponsione della cauzione se la stessa fosse rimasta nella sfera patrimoniale dell’altro coobbligato, considerato che la cauzione, comunque, come chiarisce la dottrina più accreditata, assolve una funzione di garanzia ed identifica un’ipotesi di pegno irregolare. Epperò, come ha chiarito la Corte torinese, quando il subentro nel rapporto locativo dei coniugi P. è stato integrale, essendo diventati locatori unici dell’immobile, gli stessi coniugi erano diventati unici legittimati ad ottenere il possesso della cauzione, perché unici titolari della garanzia, ovvero, del diritto di pegno irregolare o, in altri termini, del diritto a possedere la cauzione e, sotto altro aspetto, unici obbligati a restituire al conduttore, la cauzione al termine della locazione in presenza dei presupposti di legge. Pertanto, come correttamente ha chiarito la Corte torinese i coniugi P. non hanno fatto valere un rapporto interno tra plurimi locatori né il regresso per somme già corrisposte ma il loro diritto, in quanto titolari del rapporto locativo e dunque della garanzia ad esso accessoria, di possedere, e dunque di ottenere, il bene (la cauzione) oggetto del pegno irregolare, al fine di restituirlo al conduttore alla fine della locazione o di trattenerlo, se si fossero riscontrati dei danni all’immobile locato. Insomma, i coniugi P. avevano fatto valere correttamente un credito strumentale all’adempimento di un obbligo attinente il rapporto esterno della locazione (la restituzione della cauzione al conduttore sempre che il bene locato non fosse stato danneggiato dal conduttore).
In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio della soccombenza condannati in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Redazione