Legittima la critica “aspra” di una trasmissione televisiva (Cass. n. 38971/2013)

Redazione 20/09/13
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Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 15 giugno 2012 in riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 24 febbraio 2011, ha prosciolto perchè il fatto non costituisce reato, P. G. dal reato di diffamazione in danno di R.A. per aver diffuso, a mezzo di agenzie di stampa, un comunicato relativo alla trasmissione “(omissis)” nel quale si affermava “La trasmissione (omissis) si dimentica di denunciare i ciarlatani appartenenti alla sua parrocchia, pubblicizzati in ben duecento pagine di teletext di Mediaset…Non è azzardato affermare che parte dei compensi degli autori e conduttori di (omissis) la notizia derivi dai compensi dei sedicenti maghi”.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte offesa R., costituita parte civile, ai soli effetti civili, attraverso il proprio difensore e procuratore speciale, il quale lamenta quale unico sebbene articolato motivo una violazione di legge e una motivazione illogica in merito all’affermazione della sussistenza dell’esimente del diritto di critica, sia sotto il profilo della verità dei fatti che della liceità delle espressioni adoperate.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

2. Giova premettere come la libertà di manifestazione del proprio pensiero, garantita dall’art. 21 Cost., così come dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, includa la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee o critiche su temi d’interesse pubblico, dunque soprattutto sui modi d’esercizio del potere qualunque esso sia, senza ingerenza da parte delle autorità pubbliche.

La natura di diritto individuale di libertà ne consente, in campo penale, l’evocazione per il tramite dell’art. 51 c.p., e non v’è dubbio che esso costituisca diritto fondamentale in quanto presupposto fondante la democrazia e condizione dell’esercizio di altre libertà.

Inoltre, secondo principi che possono ormai ritenersi definitivamente acquisiti in giurisprudenza, l’esercizio del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione delle idee, sancito dall’art. 21 Cost., rende pienamente legittime anche forme di disputa polemica, nel corso di dibattiti politici, storici e scientifici nonchè nelle campagne giornalistiche, che pure risultino caratterizzate dall’uso di espressioni di dura disapprovazione o riprovazione e dall’asprezza dei toni usati, purchè l’esercizio della critica non trasmodi in attacchi personali, con i quali s’intenda esclusivamente colpire la sfera privata dell’offeso e non sconfini nell’ingiuria, nella contumelia e nella lesione della reputazione dell’avversario.

La prospettiva recepita al riguardo dalla giurisprudenza si articola essenzialmente nella differenziazione tra il diritto di cronaca, che si concreta nella narrazione di fatti che come tali non possono che essere obbiettivamente riferiti e riportati, ed il diritto di critica, che si esplica nell’espressione di un giudizio o di un’opinione personale dell’autore, che non può che essere, invece, inevitabilmente soggettiva.

La conseguenza è che, in tema di diffamazione i limiti sostanziali del diritto di critica e di quello di cronaca non sono coincidenti ma risultano invece differenziati, essendo i primi meno elevati dei secondi; con la precisazione che, quanto più è eminente la posizione o la figura pubblica del soggetto, quanto più è socialmente, storicamente o scientificamente rilevante la materia del contendere, tanto più ampia deve essere la latitudine della critica.

In particolare, la giurisprudenza più avvertita ha da tempo sottolineato l’esigenza della ricerca di un opportuno bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione personale, con l’interesse generale a che non siano introdotte limitazioni alla manifestazione del pensiero costituzionalmente garantita (v.a partire da Cass. Sez. 5, 8 aprile 1998 n. 761 e poi 16 novembre 2004 n. 6416, 6 luglio 2006 n. 29436, 13 giugno 2007 n. 27339, 18 dicembre 2007 n. 13880 e di recente 17 novembre 2010 n. 1914).

Bilanciamento da individuarsi nel fatto che la critica, diversamente dalla cronaca, soggiace al limite dell’interesse pubblico o sociale ad essa attribuibile, quando si rivolge a soggetti che tengono comportamenti o svolgano attività che richiamano su di essi l’attenzione dell’opinione pubblica.

In sostanza, come rilevato anche in dottrina, dal concetto di critica esula il requisito dell’obbiettività e della serenità, perchè essa consiste sempre in un’attività essenzialmente valutativa, destinata sovente a tradursi nella manifestazione di un dissenso.

Necessariamente, la critica si risolve nell’interpretazione soggettiva dei fatti ed è, pertanto, manifestazione di una lettura individuale degli accadimenti da cui trae origine.

D’altronde, non può prescindersi dal rilievo che nell’esercizio del diritto di critica è logicamente inserita un’intrinseca valenza aggressiva nei confronti del destinatario, che può eventualmente dar luogo ad una compressione del diritto alla reputazione della persona e che può articolarsi nell’espressione di valutazioni d’ordine eminentemente soggettivo.

E’ proprio nell’ambito della scriminante del diritto di critica, che non può essere limitata a quella politica ma che può riguardare, altresì, l’esercizio della giurisdizione ovvero un’attività scientifica o, ancora, un avvenimento sportivo o, infine, la diffusione di trasmissioni televisive o radiofoniche, che deve essere inquadrata la fattispecie di cui al presente procedimento.

Tale esimente è indubbio che debba soggiacere, in senso qualitativo, agli stessi limiti del diritto di cronaca nel senso che, anche con riferimento all’esercizio di tale espressione di diritti costituzionalmente garantiti, debbano osservarsi i limiti del pubblico interesse, della verità dei fatti e della continenza delle espressioni adoperate; ma, del pari, non può negarsi che, questa volta in senso quantitativo, tali limiti debbano essere valutati con maggiore elasticità proprio per le considerazioni esposte in apertura di motivazione.

Si è, ancora, rilevato come sia configurabile la scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca e di quello di critica quando, pur non essendo obbiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto l’onere di esaminare, controllare e verificare la notizia, in modo da superare ogni dubbio, non essendo, a tal fine, sufficiente l’affidamento ritenuto in buona fede sulla fonte (v. da ultimo, in tema di cronaca giudiziaria ma con principio valido anche per la cronaca normale, Cass. Sez. 5, 5 marzo 2010, n. 23695, Sez. 5, 9 aprile 2010 n. 27106 e Sez. 5, 27 ottobre 2010 n. 3674).

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’erronea convinzione circa la rispondenza al vero del fatto riferito non può, dipoi, mai comportare l’applicazione della esimente del diritto di cronaca e di quello di critica (sotto il profilo putativo) quando l’autore dello scritto diffamante o il direttore della pubblicazione non abbiano proceduto a verifica, compulsando la fonte originaria; ne consegue che nell’ipotesi in cui una simile verifica sia impossibile (anche nel caso in cui la notizia possa essere ritenuta verosimile in relazione alle qualità personali dell’informatore) il giornalista che intenda comunque pubblicarla e il direttore che consenta tale pubblicazione accettano il rischio che essa non corrisponda a verità (v. Cass. Sez. 5, 18 febbraio 2010 n. 19046, Sez. 5, 17 dicembre 2010 n. 13708 e Sez. 5, 4 dicembre 2012 n. 5760).

3. Tutto ciò premesso, in punto di diritto, l’esame, questa volta, del fatto sottoposto al giudizio di questa Corte consente di poter condividere quanto affermato dal Giudice a quo.

Infatti, la conformità al vero degli assunti diffamatori risulta dimostrata, così come vi è traccia di un’attività dell’imputato diretta a riscontrare o a fare quanto in suo potere per riscontrare la verità dell’affermazione circa la mancata effettuazione da parte della trasmissione (omissis) la notizia di inchieste sugli inserzionisti di Mediavideo, servizio di teletext appartenente al medesimo gruppo societario dell’emittente televisiva che trasmette la citata trasmissione.

La motivazione sul punto della Corte territoriale è del tutto logica e coerente in quanto riposa sull’asserzione dibattimentale dell’imputato di “aver controllato che, sino al momento del fatto, non risultavano effettuati da (omissis) la notizia analoghi servizi sul tema d’interesse”, corroborata dalla produzione documentale della stessa parte civile, relativa a un servizio realizzato, nonchè alla luce delle dichiarazioni rese in dibattimento dal R. che, per l’appunto, riferiva di inchieste, ma in epoca successiva a quella dei fatti per cui è causa.

4. Quanto al limite della continenza è appena il caso di ricordare che tale limite, nel diritto di critica, è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato (v. Cass. Sez. 5, 4 maggio 2010 n. 29730 e Sez 5, 23 febbraio 2011 n. 15060.).

In questa prospettiva, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica; ma non può in alcun modo scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale.

Il riconoscimento del diritto di critica tollera, in altre parole, giudizi anche aspri sull’operato del destinatario delle espressioni, purchè gli stessi colpiscano quest’ultimo con riguardo a modalità di condotta manifestate nelle circostanze a cui la critica si riferisce; ma non consente che, prendendo spunto da dette circostanze, si trascenda in attacchi a qualità o modi di essere della persona che finiscano per prescindere dalla vicenda concreta, assumendo le connotazioni di una valutazione di discredito in termini generali della persona criticata.

Nella specie, la correlazione tra le inserzioni pubblicitarie e i compensi degli autori della trasmissione non appare attacco ad hominem, bensì espressione di quella critica, dianzi evidenziata come legittima anche se espressa in forme alquanto aspre, circa la scelta della diffusione di trasmissioni poste in essere dalla parte offesa.

5. Il ricorso va, in conclusione, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2013.

Redazione