Intermediazione finanziaria e obblighi informativi (Cass. n. 18140/2013)

Redazione 26/07/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 5.7.2005 E.E. e B.M. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Genova la Banca Carige s.p.a., per sentir dichiarare la nullità degli atti con i quali in data 19.10.1999 e 17.10.2000, tramite la banca convenuta, avevano acquistato titoli emessi dalla Repubblica Argentina, per un rispettivo controvalore di Euro 26.000 e di Euro 26.682,07.

Al riguardo esponevano che, a seguito della grave crisi finanziaria che aveva colpito lo Stato argentino, il capitale investito si era sostanzialmente azzerato; che nella negoziazione indicata sarebbero state ravvisabili diverse irregolarità, più precisamente consistenti: nell’essere stati indotti ad effettuare gli acquisti dei titoli in questione dalle indicazioni in tal senso dei dipendenti della banca; nel non aver ricevuto né il prospetto informativo relativo all’operazione in oggetto, né le indicazioni relative ai rischi connessi; nell’omessa formalizzazione per iscritto dei conseguenti ordini di acquisto; nell’aver la banca agito in conflitto di interessi, essendo detentrice dei titoli ceduti.

La banca, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda, che viceversa il tribunale accoglieva limitatamente al secondo ordine, rispetto al quale rilevava che nell’occasione l’istituto di credito aveva ritenuto inadeguato l’acquisto di bond argentini, omettendo tuttavia di provare di aver comunicato, come avrebbe dovuto, le informazioni specifiche circa le ragioni dell’inadeguatezza.

La decisione, impugnata da entrambe le parti (in via principale dalla banca e in via incidentale dagli originari attori), veniva riformata dalla Corte di appello, che segnatamente rigettava la domanda anche con riferimento al secondo ordine di acquisto, per il fatto che la violazione dei doveri di informazione del cliente non avrebbe mai potuto dar luogo alla nullità del contratto di intermediazione. Analogamente infondate sarebbero state poi: la domanda di nullità del contratto per conflitto di interessi, non essendo a tal fine sufficiente la semplice presenza di titoli nel patrimonio dell’istituto di credito; la domanda di annullamento del contratto per vizio del consenso, cadendo l’errore lamentato esclusivamente sulla convenienza economica dell’affare; la deduzione circa l’ipotesi di risoluzione del contratto, o comunque di un obbligo risarcitorio della banca, non risultando configurabile, nella fattispecie oggetto di esame, alcun inadempimento.

Avverso la decisione E.E. ed Er. , il primo in proprio ed entrambi quali eredi di M..B. , proponevano ricorso per cassazione affidato a otto motivi, cui resisteva con controricorso la Banca Carige.

Entrambe le parti hanno infine depositato memoria. La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 14.6.2013.

 
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi di impugnazione i ricorrenti hanno rispettivamente denunciato:

1) violazione degli artt. 2722 c.c., 21 d.lgs. 58/98, 28 e 29 delibera Consob n. 11522/98, in relazione all’apprezzamento delle deposizioni testimoniali dei dipendenti della banca in ordine all’avvenuto rispetto degli obblighi informativi circa l’adeguatezza degli acquisti in questione, informazioni che avrebbero dovuto essere acquisite per iscritto e rispetto alle quali sarebbe stata inammissibile la prova orale;

2) vizio di motivazione in relazione all’omessa comparazione fra le dichiarazioni dei dipendenti della banca ed il contenuto dell’audizione informale del presidente Consob sul tema della diffusione in Italia di obbligazioni pubbliche argentine (audizione svoltasi il 27.4.2004, davanti alla Commissione finanze della Camera dei Deputati), al fine di verificare l’effettivo adempimento degli obblighi informativi;

3) vizio di motivazione in relazione al rilievo probatorio attribuito alle dichiarazioni testimoniali in tema di assolvimento dell’obbligo informativo atteso che, al contrario, le deposizioni sarebbero state generiche;

4) analogo vizio con riferimento alla pretesa qualità di operatore esperto attribuita a E.E. , e ciò semplicemente per effetto della sua qualità di ex dipendente della banca, senza alcuna ulteriore specificazione circa le mansioni effettivamente svolte;

5) identico vizio in ragione della constatata diversificazione degli investimenti da parte degli acquirenti, a torto interpretata come un sintomo della loro avvedutezza;

6) violazione degli artt. 21 TUF, 28 e 29 del. Consob n. 11522/98 e vizio di motivazione, per il giudizio di avvedutezza emesso sulla base del precedente acquisto di titoli brasiliani;

7) violazione dell’art. 21, comma I lett. b) TUF e vizio di motivazione, rispetto all’affermazione secondo la quale non vi sarebbe in capo alla banca un obbligo di informazione successivo all’acquisto del titolo;

8) violazione degli artt. 21 d.lgs. 58/1998, 27 delibera Consob n. 11522/1998 e vizio di motivazione, per la mancata rilevazione del conflitto di interessi.

Per ragioni di priorità logica va innanzitutto esaminato quest’ultimo motivo di impugnazione, che risulta infondato.

In proposito si osserva che identica questione era stata sottoposta alla Corte dì appello, che l’aveva risolta in termini negativi per l’appellante in ragione del fatto che, ai fini della configurabilità del denunciato conflitto, non sarebbe stata sufficiente “la mera presenza dei titoli in questione nel patrimonio della banca”, essendo al contrario necessaria la sussistenza di ulteriori requisiti (quali, a titolo esemplificativo, “la presenza di titoli esuberanti rispetto all’esigenza di soddisfare le richieste dei clienti”), nella specie non provata e neppure dedotta.

Si tratta di valutazione di merito sufficientemente motivata (quindi sotto questo aspetto non sindacabile), indirettamente confortata dal tenore della legislazione vigente (artt. 1 e 21 d.lvo 1998/58), in linea con la giurisprudenza di questa Corte (C. 11/28432), e pertanto da condividere. È viceversa fondato il primo motivo di impugnazione, nei termini appresso precisati. In proposito si rileva che la Corte di appello ha escluso che nella specie fosse ravvisabile un inadempimento della banca in relazione alla contestata operazione di titoli argentini, per le seguenti concorrenti ragioni: a) i ricorrenti avrebbero ricevuto il documento sui rischi generali degli investimenti finanziari; b) non avrebbero inteso fornire informazioni circa la loro propensione al rischio, i loro obiettivi di investimento, la loro situazione finanziaria, la loro esperienza di investimenti; c) le deposizioni dei testi escussi avrebbero confermato l’adempimento, da parte della banca, degli obblighi informativi relativi al rendimento ed al rischio dei titoli oggetto di negoziazione.

I ricorrenti hanno tuttavia denunciato l’erroneità della statuizione, lamentando la violazione degli obblighi informativi al cui adempimento la Carige sarebbe stata tenuta, violazione segnatamente ravvisata nel fatto che le prescritte comunicazioni necessarie ai potenziali acquirenti di titoli non erano state date in forma scritta, mentre la prova relativa era stata acquisita con deposizioni testimoniali di dipendenti della banca, che sarebbero state per di più generiche e poco attendibili.

La controversia risulta dunque focalizzata esclusivamente sul profilo sub e ), ed in proposito osserva il Collegio che, evidentemente sollecitato dall’esigenza di tutelare adeguatamente la posizione del risparmiatore, il legislatore ha posto particolare attenzione al profilo concernente il trasferimento delle informazioni tra l’intermediario ed il cliente: prevedendo per il primo moduli comportamentali che consentano ai secondi di essere sempre adeguatamente informati (art. 21 d.lvo 98/58); subordinando inoltre l’effettuazione delle operazioni alla preventiva segnalazione delle informazioni adeguate sulla natura, i rischi e le implicazioni dell’iniziativa (art. 28 delib. Consob 1.7.98, n. 11522); stabilendo infine un ulteriore specifico obbligo di informativa, nel caso di operazione ritenuta non adeguata (art. 29 delib. Consob sopra citata). Ed è proprio quest’ultima disposizione che appare di peculiare rilevanza in quanto specificamente attuativa dei principi generali dettati con il d.lvo 98/58 (sul valore normativo della delibera in questione si richiama C. 10/22147), nel cui ambito l’adempimento degli obblighi informativi assumono una rilevanza centrale, al fine di assicurare la corretta definizione degli accordi negoziali in tema di prestazione di servizi di investimento.

In particolare l’art. 29 in questione stabilisce che gli intermediari si devono astenere dall’effettuare operazioni non adeguate tenendo conto, a tale scopo, delle informazioni acquisite e disponibili.

Nel caso di ricezione di ordini per l’esecuzione di operazioni non adeguate, gli intermediari devono poi informare l’investitore della circostanza e, nell’ipotesi in cui quest’ultimo intendesse comunque eseguire l’operazione, l’acquisto può intervenire soltanto “sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su un nastro magnetico, o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”. L’analiticità della disposizione, che costituisce attuazione della prescrizione generale dettata nell’art. 21 d.lvo 98/58, per la quale i soggetti abilitati alla prestazione di servizi di investimento devono operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati, deve essere interpretata, da un lato, come espressione dell’intento del legislatore di assicurare una effettiva conoscenza dei termini dell’operazione da parte del risparmiatore acquirente e, dall’altro, come rappresentativa delle modalità attraverso le quali l’intermediario autorizzato può ottenere l’effetto liberatorio dell’obbligo di informativa posto a suo carico.

Da ciò dunque si desume che, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, il profilo di erroneità riscontrabile nella specie non è tanto quello consistente in un vizio di forma delle informazioni fornite dall’intermediario relativamente ad operazioni di investimento, in quanto non trasmesse con atto scritto.

Al riguardo è infatti sufficiente considerare che il legislatore non ha disposto alcunché in ordine alla modalità di trasmissione delle dette notizie, e ciò conseguentemente comporta che, pur prescindendo dalla considerazione che la comunicazione dei dati informativi costituisce soltanto un elemento prenegoziale, non è comunque correttamente ipotizzabile in proposito un vincolo normativo nelle relative formalità di comunicazione.

Il punto oggetto di attenzione, e sul quale è basato il giudizio di non condivisione della impugnata statuizione della Corte di appello di Genova, va viceversa individuato nell’omessa considerazione degli effetti che, sul piano negoziale, derivano dall’avvenuta trasmissione verbale a potenziali acquirenti dei dati informativi concernenti operazioni di investimento. Al riguardo va premesso che, come in precedenza già ricordato, il legislatore, nel dettare i criteri generali da seguire nello svolgimento dei servizi di investimento, ha stabilito che i soggetti abilitati alla relativa prestazione devono fra l’altro “acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che questi siano sempre adeguatamente informati” (art. 21, lett. b, d.lvo 98/58).

Il dato informativo nel senso sia passivo che attivo, come sopra anticipato, assume dunque una rilevanza centrale nell’ambito nelle negoziazioni aventi ad oggetto prodotti finanziari, e riprova di ciò si trae anche dalla disciplina attuativa del citato decreto legislativo, e segnatamente dal contenuto della delibera Consob 1 luglio 1998, n. 11522.

In particolare si intende fare riferimento agli artt. 28 e 29 della citata delibera, che rispettivamente prevedono: a (art. 28) la preventiva richiesta all’investitore di notizie circa la sua situazione finanziaria, gli obiettivi di investimento, la sua propensione al rischio; la consegna agli investitori del documento sui rischi generali degli investimenti; la necessità di subordinare l’effettuazione di operazioni alla comunicazione di adeguate informazioni, indispensabili per “consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”; l’obbligatorietà di trasmissione per iscritto degli esiti negativi delle operazioni, quando le perdite registrate siano pari o superiori al 50% del valore dei titoli ovvero il patrimonio dato in gestione si sia ridotto in misura pari o superiore al 30% del controvalore; b (art. 29) l’obbligo di astensione, per gli intermediari autorizzati, dall’effettuazione di operazioni non adeguate per gli investitori, giudizio di inadeguatezza da formulare tenendo conto delle informazioni acquisite; l’obbligo per l’intermediario di provvedere ad avvertire l’investitore della inadeguatezza dell’operazione sollecitata; la necessità comunque, per gli intermediari, di dare corso alle operazioni richieste dagli investitori, previa debita notizia dell’inadeguatezza dell’operazione, soltanto “sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente”.

Dal contenuto delle citate disposizioni si evince dunque che il legislatore ha inteso formalizzare un effettivo rapporto fra le iniziative dell’intermediario e le esigenze dell’investitore, quali correttamente interpretate sulla base dei dati informativi preventivamente trasmessi ed acquisiti, e solo laddove si fosse poi registrata una divergenza di posizioni fra le dette parti circa l’opportunità di dare corso ad una specifica operazione ritenuta dal primo inadeguata, l’obbligatoria esecuzione dell’ordine da parte dell’intermediario avrebbe dovuto essere preceduta da atto scritto o da registrazione su nastro magnetico.

Ed è proprio quest’ultima precisazione – che va interpretata in sintonia con il complesso delle disposizioni dettate sul punto, dalle quali si evince il generale obiettivo perseguito dal legislatore – che lascia intendere come la detta specificazione non sia riconducibile al manifestato intento di prescrivere una forma predeterminata dell’atto (appunto quella scritta) ai fini della sua validità, ma che al contrario la detta forma sia prescritta al fine di garantire l’operatore dall’esonero da ogni responsabilità in ordine all’operazione da compiere.

Se si trattasse infatti di previsione incidente sulla validità dell’atto non avrebbe alcun senso la previsione di un obbligo di registrazione nel caso di ordini telefonici, mentre quest’ultima prescrizione trova all’evidenza fondamento, da una parte, nell’intento di favorire soluzioni meditate e non determinate dall’impulso di un momento e, dall’altra, nell’obiettivo di pervenire ad una più corretta semplificazione dell’onere probatorio sul punto.

Deve conclusivamente ritenersi che il ricorso è fondato nei termini indicati, conclusione da cui discende la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Genova in diversa composizione, perché accerti se rispetto agli ordini di acquisto per i quali è giudizio si è verificato l’effetto liberatorio per la Banca nel senso sopra precisato, per effetto dell’intervenuto ordine di acquisto per iscritto a seguito di precedente segnalazione dell’inadeguatezza dell’operazione da compiere e delle ragioni per cui questa si presenti tale e perché, nell’ipotesi positiva, provveda ad una nuova delibazione al riguardo.

Il giudice del rinvio provvederà infine anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta l’ottavo, dichiara assorbiti i rimanenti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte dì Appello di Genova in diversa composizione.

Redazione