Distanze legali vedute e balconi: le norme non possono essere applicate quando tra i due fondi c’è una pubblica via (Cass. n. 20848/2013)

Redazione 11/09/13
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Svolgimento del processo

N.L. con citazione del 10/1/1993 conveniva in giudizio P.G., proprietaria di un immobile confinante con quello di sua proprietà ed assumeva che la convenuta, a seguito di lavori di ristrutturazione e soprelevazione della mansarda:

– aveva aperto delle vedute balconate sul confine a distanza non regolamentare;

aveva aperto, sempre sul confine, una luce ingrediente senza munirla di idonea inferriata;

– nel tinteggiare le pareti aveva spostato il confine di circa 10 – 15 centimetri;

aveva eseguito altri lavori che avevano provocato infiltrazioni di acqua e aveva sporcato di residui di intonaco la parete dell’immobile dell’attore.

Tanto premesso, chiedeva:

– che fossero dichiarate illegittime le vedute;

– che fosse dichiarato illegittimo il lume ingrediente;

che la convenuta fosse condannata a rimuovere le vedute, a ripristinare l’originario stato della parete posteriore eliminando le cause delle infiltrazioni e a ritinteggiare, sulla facciata anteriore, la linea di confine delle pareti dei due fabbricati arretrandosi per lo spazio arbitrariamente occupato.

La convenuta contestava tutte le domande replicando che i lavori erano ancora in corso e che aveva usufruito della veduta dal terrazzo da oltre 30 anni; in via riconvenzionale chiedeva il riconoscimento della servitù di veduta per usucapione e formulava altre domande non oggetto del presente ricorso per cassazione.

Dopo l’espletamento di CTU il G.O.A. del Tribunale di S. Maria Capua Vetere con sentenza del 13/2/2002:

dichiarava inesistente il diritto di servitù di veduta e condannava la convenuta a eliminare la balconata e la veduta della mansarda, nonchè a eliminare la luce ingrediente della mansarda o a regolarizzarla ai sensi dell’art. 901 c.c.;

condannava la convenuta a eliminare lo strato di tinteggiatura per 23 centimetri, ripristinando lo stato dei luoghi; – rigettava le domande riconvenzionali;

condannava la convenuta al pagamento delle spese, comprese quelle di CTU. La P. proponeva appello al quale resisteva il N..

La Corte di Appello di Napoli con sentenza in data 8/5/2007 in parziale accoglimento dell’appello rigettava le domande del N. dirette alla condanna della P. ad eliminare la veranda- balconata e a eliminare o regolarizzare la luce ingrediente della mansarda; confermava, nel resto, la sentenza appellata e compensava le spese di entrambi i gradi del giudizio ponendo a carico delle parti, in pari misura, le spese di CTU. Per quanto interessa in relazione ai motivi di ricorso, la Corte di Appello:

– accoglieva il sesto motivo di appello rilevando che le costruzioni dei contendenti fronteggiavano la pubblica via e che pertanto non era applicabile il divieto dell’art. 905 c.c. in tema di distanze per l’apertura di vedute dirette in considerazione della deroga dell’art. 905 c.c., comma 3 che esclude il divieto quando tra i due fondi vi sia una via pubblica, non essendo necessario che la via pubblica si frapponga tra le due costruzioni, ma essendo sufficiente che i due fondi si aprano sulla via pubblica seguendone il filo;

– accoglieva il settimo motivo di appello con il quale si censurava la condanna ad eliminare il lume ingrediente, rilevando che non sussisteva un lume ingrediente, ma una venduta consentita.

Le spese di CTU erano poste in egual misura a carico di ciascuna parte in considerazione che la consulenza era stata espletata nel comune interesse di entrambe le parti e le spese dei due gradi erano compensate per giusti motivi e anche la fine della salvaguardia dei rapporti di vicinato.

N.L. propone ricorso affidato a sette motivi e deposita memoria.

P.G. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. sostenendo che, differentemente da quanto ritenuto dalla Corte di Appello, egli aveva anche dedotto che la sopraelevazione della mansarda non era stata autorizzata così introducendo anche il tema della violazione delle norme sull’edilizia; la violazione delle norme edilizie era stata inoltre rilevata dal CTU che aveva riscontrato la difformità dei lavori rispetto alla concessione edilizia.

Tanto premesso il ricorrente sostiene che la Corte di Appello avrebbe dovuto verificare la legittimità o illegittimità delle vedute/balconate sotto il profilo della violazione delle norme edilizie.

Formulando il quesito ex art. 366 bis c.p.c. ora abrogato ma applicabile ratione temporis, il ricorrente chiede se l’omesso esame di profili difensivi ritualmente introdotti dall’attore, funzionali all’accoglimento della domanda integri la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’obbligo del giudice di pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti della stessa.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione con riferimento all’erronea interpretazione della domanda.

Il ricorrente sostiene di avere dedotto che la sopraelevazione non era stata autorizzata e di avere chiesto la rimozione della veduta/balconata, mentre la Corte di Appello, aveva invece ritenuto non dedotta anche la violazione delle norme edilizie con motivazione illogica e insufficiente.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 872 c.c., commi 1 e 2 perchè la Corte di Appello non aveva considerato che la deroga alle distanze delle vedute di cui all’art. 905 c.c., comma 3 non era applicabile perchè le pretese del proprietario del fondo contiguo derivavano anche dalla violazione di norme edilizie che disciplinano e limitano lo ius aedificandi.

Formulando il quesito di diritto chiede se il rigetto della domanda volta ad ottenere la rimozione di veduta/balconata costruita in difformità della concessione edilizia e a distanza non regolamentare dal confine, essendo inapplicabile la deroga di cui al 905 comma integri violazione dell’art. 872 c.c., comma 1 e 2.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 905 c.c., commi 1 e 2 sostenendo che dovevano trovare applicazione le disposizioni dei primi due commi in materia di distanza per le vedute dirette e i balconi in quanto non poteva trovare applicazione la deroga del terzo comma del medesimo articolo essendo stato dedotta la violazione delle norme di edilizia.

Formulando il quesito di diritto chiede se il rigetto della domanda volta ad ottenere la rimozione di veduta/balconata costruita a distanza non regolamentare dal confine integri la violazione dei primi due commi dell’art. 905 c.c. in caso di veduta diretta o, in alternativa, in presenza di veduta laterale od obliqua, dell’art. 906 c.c..

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione sostenendo che il CTU aveva accertato che i lavori di realizzazione della mansarda erano difformi dalla concessione edilizia e che la P. esercitava una veduta non regolamentare; pertanto il giudice di appello, disattendendo le conclusioni del CTU, avrebbe dovuto fornire adeguata motivazione.

6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dei primi due commi dell’art. 905 c.c. e il vizio di motivazione.

Il ricorrente sostiene che l’irregolarità della luce ingrediente era stata accertata dal CTU per irregolarità della grata posta a protezione della luce e che, siccome la veduta non era consentita perchè in violazione delle norme di edilizia, anche la domanda di eliminazione di lume ingrediente doveva essere accolta. Formulando il quesito di diritto chiede se il rigetto della domanda volta ad ottenere l’eliminazione di lume ingrediente irregolare integri la violazione dei primi due commi dell’art. 901 in assenza dell’ipotesi di veduta consentita.

7. Con il settimo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1 e il vizio di motivazione.

Il ricorrente, sul presupposto dell’integrale soccombenza della P. per effetto dell’accoglimento dei motivi di ricorso, sostiene che la Corte di Appello non avrebbe dovuto compensare le spese, ma porle integralmente a carico della soccombente.

Formulando in quesito di diritto chiede se la compensazione delle spese per effetto di assunta ricorrenza di giusti motivi, integri violazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1 in presenza di vizi suscettivi di indurre la cassazione della sentenza.

8. I sette motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto i primi sei si fondano sul presupposto, in fatto e in diritto, che l’odierno ricorrente avesse dedotto violazioni di norme edilizie con riferimento alla distanza regolamentare dal confine (non si assume che siano state dedotte anche violazioni di norme in materia di ornato) e la difformità della costruzione rispetto alla concessione edilizia e che in presenza di tali violazioni e difformità non sarebbe applicabile la deroga dell’art. 905 c.c., comma 3.

8.1 Tali presupposti sono infondati con la conseguente infondatezza dei motivi che sugli stessi si fondano.

La Corte di Appello ha correttamente applicato la deroga di cui all’art. 905 c.c., u.c. secondo la quale le norme che prescrivono determinate distanze per l’apertura di vedute dirette e balconi non possono trovare applicazione, per la espressa previsione del terzo comma, quando tra i due fondi vicini vi sia, come accertato dalla Corte di Appello, una via pubblica; gli stessi principi valgono anche quando la strada non separa i due fondi, non essendo necessario che i due fondi si fronteggino essendo sufficiente che essi siano confinanti con la via pubblica, indipendentemente dalla loro reciproca collocazione (Cass. 2390/1994; Cass. 4222/2009). E’ pacifico che l’esenzione dall’obbligo delle distanze legali, prevista dall’art. 905 c.c., u.c. per il caso in cui tra i due fondi intercorra una strada pubblica, si riferisce alle distanze stabilite dai precedenti commi della norma medesima per l’apertura di vedute dirette e di balconi e non può, quindi, interferire, nei rapporti fra proprietari di fondi contigui o frontistanti rispetto alla pubblica strada, sulle pretese che all’uno derivino, ai sensi degli artt. 871 ed 872 cod. civ., dall’inosservanza da parte dell’altro delle disposizioni dei regolamenti edilizi che disciplinano e limitano lo “ius aedificandi” (Cass. S.U. 1508/1982) o anche delle norme in materia di distanze tra pareti finestrate di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, laddove sia consentito l’affaccio (v. Cass. 19092/2012). Tuttavia, come rilevato dalla Corte di Appello, non è mai stata dedotta dall’attore, la specifica violazione di norme edilizie in materia di distanze tra costruzioni o tra costruzioni e confine non avendo, l’attore, indicato quali norme edilizie sarebbero state violate, nè ha indicato gli elementi di fatto astrattamente idonei ad integrare la violazione delle norme edilizie in materia di distanze tra costruzioni o tra la costruzione e il confine.

La motivazione è adeguata e ciò comporta l’infondatezza del secondo motivo con il quale è censurata la non corretta interpretazione della domanda nonchè di tutti i motivi nei quali è dedotta la violazione di norme edilizie.

Questo tema di indagine, che postula il richiamo, in diritto, a specifiche norme edilizie, non può ritenersi introdotto con la semplice deduzione dell’avvenuta sopraelevazione non autorizzata della mansarda (peraltro, secondo quanto riferito dal CTU, invece oggetto di concessione edilizia anche se realizzata in difformità), tenuto conto che la deduzione, genericamente formulata, è del tutto irrilevante in mancanza dell’indicazione delle ragioni per le quali la costruzione non risponderebbe alle prescrizioni del codice civile e delle norme speciali.

Infatti, in tema di distanze nelle costruzioni, il principio secondo cui la rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, senza estendersi ai rapporti tra privati, va inteso nel senso che il conflitto tra proprietari interessati in senso opposto alla costruzione deve essere risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi anche quelle concernenti la licenza e la concessione edilizia, perchè queste riguardano solo l’aspetto formale dell’attività costruttiva; di conseguenza, così come è irrilevante la mancanza di licenza o concessione edilizia allorquando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le prescrizioni del codice civile e delle norme speciali senza ledere alcun diritto del vicino, così l’aver eseguito la costruzione in conformità della ottenuta licenza o concessione non esclude di per sè la violazione di dette prescrizioni e quindi il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento dei danni (Cass. 7563/2006; Cass. 17286/2011).

Nella specie, non risulta che nel giudizio di merito siano state indicate le specifiche ragioni per le quali la costruzione non risponderebbe alle prescrizioni del codice civile e delle norme speciali.

Occorre aggiungere che la violazione delle norme urbanistiche non consentirebbe, comunque, ai sensi dell’art. 872 c.c., una tutela ripristinatoria con specifico riferimento alle vedute, ma esclusivamente, in materia di luci e vedute e ai sensi dell’art. 905 c.c., una tutela risarcitoria.

Tutti i motivi nei quali è introdotto, a sostegno della tesi dell’inapplicabilità dell’art. 905 c.c., comma 3 l’argomento della difformità rispetto alla concessione edilizia sono infondati perchè la costruzione in difformità della concessione edilizia non integra di per sè la violazione di norme edilizie sostanziali.

8.2 Tanto premesso, passando all’esame di ogni singolo motivo, si osserva (richiamandosi le considerazioni di cui sopra) quanto segue.

8.2.1 Non può essere accolto il primo motivo perchè con la domanda non si deduceva la violazione di norme edilizie e la violazione della concessione edilizia non è di per sè rilevante.

8.2.2 Non può essere accolto il secondo motivo (in relazione alla deduzione di avvenuta ristrutturazione e sopraelevazione della mansarda) perchè attiene all’interpretazione della domanda da parte del giudice del merito che, come già riferito, è adeguatamente motivata dalla Corte di Appello con il rilievo, non contrastato dal ricorrente, dell’omessa indicazione, da parte dell’attore, di norme edilizie o di ornato pubblico.

8.2.3 Non può essere accolto il terzo motivo sotto il profilo dell’erronea applicazione della deroga di cui all’art. 905 c.c., comma 3 in presenza della deduzione di violazione delle norme di edilizia, non essendo stata idoneamente proposta la domanda di accertamento della violazione delle norme edilizie, presupposto per la condanna alla riduzione in pristino ai sensi dell’art. 872 c.c.; la eventuale difformità dalla concessione edilizia non integra di per sè la violazione di norme di edilizia.

8.2.4 Non può essere accolto il quarto motivo sotto il profilo della violazione dei primi due commi dell’art. 905 c.c. o, in alternativa, dell’art. 906 c.c. quanto alle vedute laterali o oblique per le ragioni già esposte sub 8.2.1, ossia perchè non era stata dedotta la violazione di norme di edilizia; in ogni caso, la violazione di queste non consentirebbe, ai sensi dell’art. 872 c.c., una tutela ripristinatoria in materia di vedute, ma solo risarcitoria; la censura di violazione dell’art. 906 c.c. in tema di vedute laterali od oblique è altresì inammissibile in quanto non risulta che ai giudice del merito sia mai stata posta la questione di vedute laterali od oblique.

Con la memoria ex art. 378 c.p.c. e con riferimento alla violazione dell’art. 905 c.c. viene inammissibilmente ampliata, con valutazioni di puro merito, per giunta mai avanzate nei due gradi del giudizio, la materia del contendere, estendendola alla questione, di mero fatto, sulla possibilità di prospectio e inspectio dalla strada pubblica.

8.2.5 Non può essere accolto il quinto motivo per vizio di motivazione (omessa specificazione delle ragioni per le quali la Corte di Appello ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del CTU quanto alla irregolarità della veduta e alla difformità della costruzione dalla concessione edilizia) per le ragioni esposte in precedenza: la difformità dalla concessione di per sè non integra violazione di norme edilizie e tale violazione mai era stata dedotta; pertanto la motivazione per la quale non sono state nè dedotte nè indicate violazioni di norme edilizie e di ornato pubblico è assorbente sia rispetto alla valutazione del CTU di irregolarità della veduta, sia rispetto all’affermazione di difformità della costruzione rispetto alla concessione edilizia.

8.2.6 Infine il sesto motivo (relativo al mancato accoglimento della domanda di regolarizzazione della luce ingrediente per violazione dei primi due commi dell’art. 901 c.c., sul presupposto che la veduta non fosse consentita) non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata secondo la quale l’apertura non costituisce un lume ingrediente, ma una veduta consentita ex art. 905 c.c., comma 3.

8.2.7 Il settimo motivo, relativo alla disciplina delle spese processuali e alla mancata applicazione del principio della soccombenza, risulta assorbito per effetto dell’integrale rigetto del ricorso e la conferma della sentenza di appello che ha correttamente individuato nell’odierno ricorrente la parte soccombente; la norma asseritamente violata è stata, quindi, correttamente applicata.

9. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna N.L. a pagare a P.G.E. le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.500,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2013.

Redazione