Corte di Cassazione Penale sez. IV 7/4/2010 n. 13069

Redazione 07/04/10
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
OSSERVA

-1- P.G. e P.I. sono state chiamate a rispondere del delitto di cui all’art. 590 c.p. per avere, il primo, quale socio accomandatario con poteri di amministrazione e rappresentanza della società "*************", centro estetico con sede in (omissis), la seconda, quale direttrice dello stesso centro, cagionato per colpa, consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza, ad A.S., sottoposta a trattamento estetico depilatorio, lesioni personali consistite in ustioni di primo grado lungo la fascia posteriore degli arti inferiori.

Il Giudice di Pace di Civitanova Marche, con sentenza del 21 marzo 2008, ha affermato la responsabilità di entrambi gli imputati e li ha condannati alla pena di 1.000,00 Euro di multa ciascuno ed al ristoro, in favore della A., costituitasi parte civile, del danno biologico, del danno morale e del danno esistenziale, liquidati in complessivi 6.368,48 Euro, nonchè del danno patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio.

Su appello proposto dagli imputati, il Tribunale di Macerata, sezione distaccata di Civitanova Marche, con sentenza del 31 ottobre 2008, in parziale riforma della sentenza del giudice di pace, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ha ridotto a 600,00 Euro di multa la pena inflitta dal primo giudice e, in punto di risarcimento del danno, ha escluso il danno esistenziale, confermando nel resto la sentenza impugnata e condannando i due imputati al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione, in favore della parte civile, delle spese del giudizio.

Il giudice del gravame ha quindi ribadito la responsabilità dei due imputati per avere, P.I., partecipato al trattamento estetico, iniziato da altra lavorante, non identificata, e da lei proseguito nonostante i forti dolori comparsi alla A. non appena lo stesso era iniziato, e per non avere, P.G., adeguatamente vigilato circa il corretto funzionamento del macchinario utilizzato.

Avverso tale sentenza ricorrono, per il tramite del comune difensore, i due imputati, che congiuntamente deducono: a) violazione di legge in punto di competenza del giudice di pace in materia di colpa professionale, nella quale deve, a giudizio dei ricorrenti, rientrare la vicenda in esame; b) inammissibilità, D.Lgs. n. 274 del 2000, ex art. 24, del ricorso proposto dalla parte offesa ai sensi dell’art. 21, stesso D.L.; c) vizio di motivazione e nullità della sentenza, ex art. 522 c.p.p., in relazione al profilo di colpa individuato a carico di P.G., ritenuto responsabile per culpa in vigilando, non avendo adeguatamente controllato il funzionamento del macchinario utilizzato per il trattamento estetico – benchè fosse emerso, anche in sede di CTU, che le lesioni erano stata causate da un cattivo utilizzo del predetto macchinario da parte dell’operatrice e dal mancato uso del gel refrigerante – e per l’omesso esame di causali alternative d) travisamento del fatto, mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ex art. 603 c.p.p.; e) eccessività della liquidazione del danno morale; f) violazione di legge, in relazione alla condanna degli imputati alle spese processuali, a fronte dell’accoglimento, da parte del tribunale, di parte dei motivi d’appello proposti, nonchè alla rifusione alla parte civile delle spese del giudizio, pur essendo stato parzialmente accolto l’appello relativo alle statuizioni civili, con l’esclusione del danno esistenziale.

Con memoria prodotta presso la cancelleria di questa Corte, la parte civile chiede il rigetto del ricorso.

-2- Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.

A) Manifestamente infondati e generici sono i motivi relativi alla competenza del giudice di pace ed alla presunta inammissibilità del ricorso D.Lgs. n. 274 del 2000, ex art. 24, con i quali il ricorrente ripropone censure già poste all’attenzione del giudice del gravame e da questi compiutamente esaminate e respinte con motivazione del tutto coerente sul piano logico e rispettosa della normativa di riferimento.

Il giudice del gravame ha, invero, in tema di competenza per materia, sostenuto, richiamando anche la condivisa giurisprudenza di questa Corte, che l’esclusione della competenza del giudice di pace nei casi di lesioni colpose riconducibili a colpa professionale, riguarda le attività che, sia pure professionalmente esercitate, non possano annoverarsi tra le professioni "intellettuali" disciplinate dall’art. 2229 e segg. c.c., tra le quali non può essere ricondotta l’attività di estetista. Questa invero, ha correttamente aggiunto lo stesso giudice, come definita dalla L. n. 1 del 1990, art. 1, ha natura imprenditoriale artigiana, per il cui esercizio è prevista l’iscrizione all’albo provinciale delle imprese artigiane; mentre il riferimento alla professione, contenuto nella stessa legge, ha riguardo alla preparazione teorico pratica di chi eserciti tale attività ed il carattere stabile, non alla natura intellettuale della stessa, nel senso inteso dalla norma sopra richiamata. Oltre che manifestamente, infondata, peraltro, la censura si presenta anche aspecifica, poichè i ricorrenti ne ripropongono, genericamente, i contenuti, senza confrontarsi con le richiamate considerazioni.

Anche con riguardo alla presunta inammissibilità D.Lgs. n. 274 del 2000, ex art. 24 il giudice del gravame è stato del tutto coerente con le emergenze processuali ed ha dato atto della manifesta infondatezza della censura, rilevando come il ricorso della parte offesa contenesse tutti i requisiti previsti dalla legge con riguardo sia alla ricostruzione della vicenda, sia alle persone coinvolte, sia alle fonti di prova, documentali e testimoniali. Queste ultime, come ha direttamente accertato questa Corte, nominativamente indicate con i relativi capitoli di prova. Anche tale censura, d’altra parte, oltre che manifestamente infondata, si presenta aspecifica, in quanto in nessun modo correlata alle argomentazioni poste dal giudice del gravame a sostegno della decisione contestata.

B) Infondata è anche la censura relativa al mancato esame dell’eccezione, proposta da P.G., di nullità della sentenza ex art. 522 c.p.p.. In realtà, a fronte dell’ampia descrizione, nel capo d’imputazione, della condotta omissiva dell’imputato – al quale sono stati attribuiti elementi generici di colpa per non avere verificato che il trattamento di laser terapia, al quale era stata sottoposta la A., fosse eseguito in maniera corretta – palesemente infondata, e non meritevole di particolare approfondimento, si presentava l’eccezione di nullità ex art. 522 c.p.p., evidentemente proposta per un inesistente difetto di correlazione tra l’imputazione contestata e quella ritenuta in sentenza – viceversa perfettamente coincidenti – e teso a rappresentare un’altrettanto inesistente violazione del diritto di difesa.

Appare evidente, infatti, che la condotta di omesso "controllo del corretto funzionamento dei macchinari del centro estetico", al quale si fa riferimento nel capo d’imputazione, altro non è che il mancato controllo diretto a verificare che gli operatori del centro adottassero le "ordinarie precauzioni volte ad evitare eventi di quel tipo" (ustioni) alla quale fa riferimento il giudice del merito trattando il tema del nesso causale. Proprio attraverso l’analisi del nesso di causalità, lo stesso giudice ha espresso, sia pure implicitamente, un chiaro giudizio di inconsistenza dell’eccezione in questione.

C) Inammissibili, perchè afferenti a valutazioni in fatto, non deducibili nella sede di legittimità, sono i riferimenti, peraltro generici, a fattori causali alternativi, ad esigenze di approfondimenti testimoniali, a dubbi di attendibilità delle accuse della A., peraltro ampiamente riscontrate dalla documentazione sanitaria dalla stessa prodotta e dagli esiti della consulenza in atti, ed il cui rilievo probatorio, ha legittimamente ritenuto il giudice del gravame, non rendeva necessario il ricorso ad ulteriori approfondimenti istruttori.

D) Generico, e dunque inammissibile, è il motivo riguardante la liquidazione del danno morale. I ricorrenti, invero, si limitano alla generica contestazione del "quantum" liquidato, senza tuttavia indicare le ragioni per le quali la somma di 2.000,00 Euro assegnata a tal titolo dovrebbe ritenersi "sproporzionata" rispetto ai gravi disagi ed alle sofferenze patiti dalla parte offesa.

E) Fondata è, viceversa, sia pure in parte, l’ultima delle censure proposte.

In realtà, non appare legittima la condanna, inflitta agli imputati, al pagamento delle spese del giudizio d’appello, ove si consideri che, sia pure parzialmente, l’impugnazione dagli stessi proposta è stata accolta. Legittima è, viceversa, la condanna alla rifusione, in favore della parte civile, delle spese processuali relative allo stesso grado di giudizio, essendo state in gran parte confermate le statuizioni civili del primo giudice.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, limitatamente alla condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali del giudizio di appello; condanna che elimina. Per il resto, i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida, equitativamente, in Euro 1.000,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al pagamento delle spese processuali in grado di appello, che elimina. Rigetta nel resto i ricorsi e pone a carico dei ricorrenti la rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida equitativamente in Euro 1.000,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Redazione