Corte di Cassazione Penale sez. IV 30/4/2008 n. 17523; Pres. Brusco C.G.

Redazione 30/04/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 16 ottobre 2007, con la quale veniva condannato per il reato di omicidio colposo, per aver omesso di effettuare o di predisporre il 24 dicembre 1999 un tempestivo intervento chirurgico, che, se effettuato, avrebbe impedito con alta credibilità razionale la morte di M.P., avvenuta il (omissis), a causa dell’omessa operazione e della mancata esatta diagnosi.

Il ricorrente deduceva la violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., perchè il prevenuto era stato condannato per un comportamento imprudente, mentre gli erano state contestate condotte negligenti ed imperite (somministrazione in dosi incongrue ed eccessive di un farmaco e sussistenza di una peritonite da perforazione di ulcera duodenale già dal 24 dicembre 1999), l’illogicità manifesta della motivazione in punto responsabilità sia con riferimento all’esigibilità del comportamento in presenza di una situazione diagnostica complessa, non evoluta con certezza tra il 24 ed il 27 dicembre 1999, data in cui era stato effettuato un intervento chirurgico di urgenza, sicchè neppure la scelta di tipo attendistico poteva essere ritenuta errata, sia con riguardo alla sussistenza del nesso causale, giacchè non è affermata con certezza la natura salvifica dell’operazione tempestivamente effettuata, in quanto avrebbe solo avuto "serie ed apprezzabili possibilità di successo" in contrasto con l’insegnamento contenuto in una nota decisione delle sezioni unite della Corte di Cassazione e l’erronea applicazione della legge penale per violazione degli artt. 2 e 135 c.p. e L. n. 689 del 1981, art. 53 poichè non era possibile effettuare la conversione della pena detentiva in pecuniaria sulla base di Euro 40,00 in virtù della modificazione apportata dalla L. n. 134 del 2003, art. 4 alla L. n. 689 del 1981, art. 53 ad un fatto commesso in epoca precedente, sicchè occorreva applicare quale criterio di ragguaglio quello di Euro 38,00.

Con memoria, depositata il 19 marzo 2008, M., Mu., I.C. e Mu.Mo., in qualità di partì civili, instavano per la dichiarazione di inammissibilità o per il rigetto del ricorso, giacchè non sussisteva il difetto di correlazione tra, accusa contestata e sentenza, poichè l’imputato aveva avuto la possibilità di difendersi, mentre i dedotti vizi motivazionali miravano ad introdurre un terzo grado di giudizio dinanzi ad un’ineccepibile decisione del giudice d’appello, conforme alla giurisprudenza di legittimità in tema di colpa professionale e di nesso eziologico.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Le censure addotte non sono manifestamente infondate, mentre quella relativa ai criteri di conversione della pena detentiva in pecuniaria è fondata, sicchè è possibile rilevare la causa di estinzione del reato della prescrizione, poichè il delitto è stato commesso il 17 settembre 2000 e non il 26 successivo come erroneamente indicato in imputazione, in quanto tale data risulta da tutti gli atti processuali (C.T., perizia, sentenza di primo e di secondo grado e stessa denuncia delle parti offese). Pertanto, in considerazione delle concesse attenuanti generiche, il termine prescrizionale massimo di questo delitto è di anni sette e mesi sei e, in assenza di ogni sospensione della prescrizione, lo stesso è maturato il 17 marzo 2008, sicchè la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per detta causa estintiva.

Per quanto attiene, agli effetti civili, il ricorso deve essere rigettato, perchè non sussiste la violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. e perchè i vizi motivazionali e la pretesa violazione degli artt. 40 e 43 c.p. non sussiste.

Infatti, l’eccezione di nullità per omessa correlazione tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, è infondata, perchè è in contrasto con uniforme giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. un. 22 ottobre 1996 n. 16 rv. 205619).

Ed invero, con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.

Orbene, nella fattispecie, non solo il fatto che fosse dovuto un tempestivo intervento chirurgico è cristallizzato nella fattispecie, ma anche il prevenuto ha avuto piena contezza delle ragioni esposte dai periti di ufficio, sicchè aveva avuto ampia possibilità di difendersi sul punto.

Rilevata l’assoluta inammissibilità di detta censura, occorre notare che si è in presenza di una sentenza di appello, con la quale è stata modificata la pronuncia assolutoria del giudice di primo grado, sicchè occorre richiamare la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 6^ 1 giugno 1999 n. 6839 rv. 214307 e Cass. sez. 3^ u.p. 25 giugno 1999, p. c. ******* c. ***** non massimata), divenuta ormai costante in seguito a due pronunce delle sezioni unite (Cass. sez. un. 24 novembre 2003 n. 45276 riv. 226092 e Cass. sez. un. 20 settembre 2005 n. 33748, Marinino) secondo cui, in caso di difformità di valutazioni nei due gradi di giudizio oppure di diverse soluzioni accolte dai giudici di merito in tema di responsabilità, il giudice deve dar conto degli argomenti di prova sviluppati nella decisione modificata, anche con argomentazioni contrastanti per implicito, e deve delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e confutare specificamente i più rilevanti argomenti motivazionali della prima sentenza con ragionamento logico e coerente.

Orbene, la sentenza della Corte meneghina, pur se si fonda prevalentemente sulle argomentazioni svolte dagli appellanti, pubblica accusa e parti private, risponde a detti requisiti, confutando l’erronea decisione del giudice di prime cure, che si basa su un orientamento giurisprudenziale, quello della certezza e della probabilità prossima ad uno, disatteso dalla pronuncia delle sezioni unite "********", di cui afferma di condividere i principi.

Il ricorrente poi, con un ricorso carente del requisito dell’autosufficienza, riferisce affermazioni dei periti in maniera parziale e decontestualizzata, giacchè, come esattamente dimostra la sentenza impugnata, sin dal 24 dicembre 1999 andava programmato in maniera concreta e ravvicinata un intervento chirurgico, effettuato in via di urgenza con tutti i pericoli e le complicazioni inerenti, tanto più che,con riferimento a questo aspetto, inerente alla colpa, anche il giudice di primo grado non aveva dubitato, giacchè fondava la pronuncia assolutoria sulla carenza del nesso causale.

A tal proposito, la portata di una nota decisione delle sezioni unite (Cass. sez. un. 11 settembre 2002 n. 30328 rv. 222138 e 222139), oggetto di differenti letture da parte della dottrina ed all’interno della quarta sezione (Cass. sez. 4^ 13 febbraio 2003 n. 7026, *** ed altri rv. 223749, Cass. sez. 4^ 21 maggio 2003 n. 19312, ****** rv.

19312 e Cass. sez. 4^ 2 ottobre 2003 n. 37432, ***** ed altri rv.

225988), secondo le voci dottrinali più convincenti, non è da rinvenire nell’affermazione della perdurante validità della teoria condizionalistica e della necessità di procedere al giudizio controfattuale, non poste mai in dubbio, ma nel fatto che il nesso di causalità non può essere accertato con criteri di valutazione diversi da quelli utilizzati per gli altri elementi costitutivi del reato,sostenendo un’argomentazione ovvia, ma, non pacifica in tema di colpa professionale, in cui si faceva riferimento a criteri metagiuridici quali ad esempio il valore della vita umana, e richiamando, altresì, un principio lampante, secondo cui per pronunciare una condanna sono necessarie le prove, che possono essere anche indiziarie e logiche, ed introducendo il criterio della probabilità logica rispetto a quella statistica in modo da ridimensionare "in modo equilibrato" quella teoria seguita da autorevole voce dottrinale della certezza e della probabilità prossima ad uno e l’altra della probabilità statistica e delle serie ed apprezzabili probabilità di successo.

Merito di questa decisione delle sezioni unite è quello di aver rimosso l’equivoco di una diversità di accertamento della causalità omissiva e soprattutto, proprio sotto questo profilo, di aver ritenuto non accettabile la teoria della certezza o della quasi certezza, prossima ad uno, quasi che in questi casi fosse possibile prevedere un differente modo di accertamento del fatto e del rapporto eziologico e fosse possibile una certezza assoluta, contrastata, persino, dalla filosofia della scienza, che, secondo quanto sostenuto dai più accreditati filosofi del ramo, si fonda sulla c.d. "causa probabile", giacchè appartiene "all’innocenza del pensiero scientifico del passato" il riferimento alla certezza assoluta.

La citata pronuncia, inoltre, afferma esattamente che "il processo penale .. appare .. sonetto da ragionamenti probatori di tipo prevalentemente inferenziale – induttivo che partono dal fatto storico, e dalla formulazione della più probabile ipotesi ricostruttiva di esso secondo lo schema argomentativo dell’"abduzione".

Aggiunge, anche, che si può fare questione di modalità di accertamento della sussistenza del nesso causale tra omissione ed evento solo qualora esistano condotte eterogenee ed interagenti, ma non quando il fatto sia sicuramente attribuibile, secondo le varie tipologie delle normali valutazioni probatorie (prova diretta, critica ed indiziaria), al soggetto come proprio.

Inoltre, chiarisce che "nulla esclude che (coefficienti medio – bassi di probabilità c.d. frequentista per tipi di evento, rivelati dalla legge statistica) se corroborati dal positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico – legale, circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento".

Pertanto, escluso che "si elevino a schemi di spiegazione del condizionamento necessario solo leggi scientifiche universali e quelle statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico prossimo a 1 cioè alla certezza".

Occorre riferirsi al ragionamento inferenziale dettato in tema di prova indiziaria dall’art. 192 c.p.p., comma 2 ed alla regola generale in tema di valutazione della prova di cui al comma 1 della medesima disposizione ed alla ponderazione, ma non all’acritico accoglimento, delle ipotesi antagoniste, prevista dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) in modo che "esclusa l’interferenza di decorsi alternativi, la condotta omissiva dell’ imputato, (risulti) condizione "necessaria" dell’evento, attribuibile per ciò all’agente come fatto proprio", sicchè è ben presente nella citata pronuncia la consapevolezza del carattere probabilistico delle leggi scientifiche, ma le stesse servono in uno con quelle statistiche e le massime generalizzate di comune esperienza a dare credibilità razionale all’accertamento del nesso eziologico.

Infatti, interessa il diritto l’individuazione della condizione necessaria dell’evento e non di quella sufficiente cioè dell’insieme delle condizioni che rendono inevitabile un determinato risultato, condizione che nemmeno le leggi scientifiche sono in molte ipotesi in grado di esprimere, senza che per questo si dubiti della loro intrinseca razionalità.

Le leggi statistiche ed i correlati studi costituiscono uno strumento revisionale utile ai fini della prevenzione dei rischi ed ipotizzano un rapporto causale tra fenomeni senza che provino di per sè un nesso di causalità tra fenomeni cioè costituiscono un indizio da poter valorizzare, insieme ad altri, nell’accertamento di detto rapporto ex post.

Inoltre, con specifico riferimento a quanto possa occorrere per il caso in esame, nella predetta sentenza delle sezioni unite si legge che "il giudice dovrà sempre fare ricorso, in esito al giudizio controfattuale compiuto in base alle leggi scientifiche di copertura, ad una valutazione di tipo probabilistico logico, e quindi non soltanto statistico o meramente probabilistico, pervenendo ad affermare l’esistenza di un nesso di condizionamento non solo in caso di certezza, vera o presunta, ma altresì nei casi in cui questa conclusione sia assistita da un elevato grado di credibilità razionale.

Il giudice deve quindi abbandonare l’illusione di poter ricavare deduttivamente la conclusione sull’esistenza del rapporto di causalità da una legge scientifica (anche se a carattere universale) che riproduca in laboratorio la sua ipotesi di ricostruzione dell’evento e dovrà fare ricorso, sempre, alla ricerca induttiva, verificando l’applicabilità delle leggi scientifiche eventualmente esistenti alle caratteristiche del caso concreto portato al suo esame; tenendo in considerazione tutti gli specifici fattori presenti e quelli interagenti e pervenendo quindi ad un giudizio di elevata credibilità razionale, secondo i criteri di valutazione della prova previsti per tutti sii elementi costitutivi del reato". "Infine non deve chiedersi al giudice di spiegare l’intero meccanismo dell’evento; il nesso di condizionamento deve ritenersi infatti provato non solo (caso assai improbabile) venga accertata compiutamente la concatenazione causale che ha dato luogo all’evento ma, altresì, in tutti quei casi nei quali, pur non essendo compiutamente descritto o accertato il complessivo succedersi di tale meccanismo, l’evento sia comunque riconducibile alla condotta colposa dell’agente sia pure con condotte alternative: e purchè sia possibile escludere l’efficienza causale di diversi meccanismi eziologici" (nella fattispecie esaminata dalle sezioni unite si trattava di omessi e ritardati accertamenti, la cui tempestiva adozione avrebbe fatto verificare l’evento in tempi significativamente più lontani ovvero avrebbe rallentato o escluso i tempi di latenza di una malattia, anche se provocata da altre cause, neppure accertate e, comunque, non ricollegabili eziologicamente alla condotta omessa).Orbene, nella fattispecie, mentre il giudice di primo grado aderisce alla tesi della probabilità prossima ad uno e della certezza quasi assoluta, la Corte territoriale si sofferma sulle elevate probabilità dell’intervento chirurgico, non attuato con procedura di urgenza, programmato ed attentamente considerato, alcuni giorni prima di quello effettuato in una situazione di impellente necessità ed urgenza, di incidere sul meccanismo perverso che ha portato al progressivo ed inesorabile deterioramento del quadro di salute del paziente, escludendo anche la presenza di fattori causali alternativi tali da poter offrire una diversa e plausibile spiegazione dell’evento.

Il ricorrente, invece, si fonda sull’utilizzo di espressioni nella sentenza impugnata e da parte dei periti ("aumento di probabilità" "criterio di serie ed apprezzabili probabilità di successo") non confacenti al caso concreto senza considerare che da tutto il contesto il giudizio conclusivo è quello "di elevata credibilità razionale (al di là di ogni ragionevole dubbio) sulla riconducibilità dell’evento morte" alla condotta omissiva del sanitario" (pag. 16-17 della sentenza impugnata). Peraltro, riferisce in maniera parziale le spiegazioni dei periti, i quali, però, come si evince dall’ integrale trascrizione dei brani, riportati in maniera monca e parziale, hanno giudicato la condotta omissiva "censurabile in un certo momento" ed il nesso causale "ininterrotto, che però si dipana nel volgere di diversi mesi con il subentrare di diverse complicanze, per cui anche questo, aumenta, la complessità interpretativa", sicchè se "non (è) .. affatto possibile scientificamente fornire delle certezze…ed è "a chiunque .. affronti con strumenti logico – scientifici l’argomento .. difficilissimo, "sicchè (non possono essere date) certezze .. in assoluto, perchè non (è possibile) dire che sarebbe stato possibile due giorni prima, tre giorni prima risolvere e portare a guarigione il paziente", ma "l’omissione dell’intervento e l’intervento era sicuramente volto al problema, "ascessuale" e certamente avrebbe consentito .. in una situazione di.. massima allerta (dovuta ad un’ulcera che aveva sanguinato).. nel momento in cui si inserisce un fenomeno nuovo, non banale, un ascesso in un paziente in decima giornata, postchirurgica .. una cosa di una certa sravità .. intanto di risolvere tre giorni prima quel problema che ha sicuramente contribuito ad osservare il problema ulceroso, per cui avrebbe interrotto con ogni probabilità un motivo di sostentamento dell’altro fenomeno" senza considerare, in maniera fin troppo prudente, gli ulteriori interventi, chirurgici e radiologici, fattibili attraverso l’osservazione diretta del duodeno.

Perciò, sotto questi profili (colpa, nesso di causalità e causalità colposa), la sentenza impugnata appare motivata in conformità con i principi espressi dalle sezioni unite "********", sicchè il ricorso deve essere rigettato con riferimento agli effetti civili con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili e liquidate come da dispositivo, tenuto conto della natura e dell’importanza della causa.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata ai fini penali per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso ai fini civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Redazione