Corte di Cassazione Civile sez. I 13/2/2009 n. 3646; Pres. Proto V.

Redazione 13/02/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Perugia con sentenza del 17 marzo 2 001 rigettava l’opposizione della s.p.a. Isobloch contro il decreto ingiuntivo del 5 febbraio 1992 con cui il Presidente del Tribunale le aveva intimato il pagamento di un assegno di L. 76.000.000 dovute alla s.r.l. CAME in seguito a scrittura privata con cui Isobloch aveva assunto l’impegno di realizzare una strada e rilasciato un titolo di credito a garanzia di detta obbligazione.

L’appello di quest’ultima società è stato respinto dalla Corte di appello di Perugia con sentenza del 12 novembre 2003, la quale ha osservato: a)che costituendo l’opposizione proposta da Isobloch un giudizio di cognizione ordinaria avente ad oggetto la fondatezza della pretesa creditoria, non aveva alcuna rilevanza stabilire se sussistessero gli elementi giustificativi dell’ingiunzione richiesta dalla CAME (prova scritta); e che tuttavia gli stessi erano individuabili tanto nella menzionata scrittura privata, quanto nell’assegno bancario prodotto da detta società; b)che la scrittura non poteva considerasi nulla per mancanza di causa in quanto attraverso di essa le parti avevano composto i loro contrapposti interessi, di Isobloch al conseguimento di una lottizzazione in relazione alla quale il comune di Perugia pretendeva la costruzione di una strada a totale carico dei lottizzanti, e della CAME che non intendeva aderirvi, a non sottoporsi a tale ulteriore onere; c) che neppure poteva essere ravvisata nella condotta inerte della CAME una violenza nei confronti di Isobloch affinchè sottoscrivesse il relativo accordo, in seguito al fatto che quest’ultima, sul presupposto dell’approvazione della lottizzazione, aveva assunto rilevanti obbligazioni nei confronti di terzi; d) che infine in tale accordo non era configurabile neanche una lesione ultra dimidium in danno di Isobloch, difettandone tutti i requisiti richiesti dall’ art. 1448 c.c., ed avendo quest’ultima società, poi rimasta inadempiente agli obblighi assunti, stipulato la scrittura esclusivamente per condurre a termine un affare per essa particolarmente vantaggioso.

Per la cassazione della sentenza, la soc. Isobloch ha proposto ricorso per 6 motivi; cui resiste la soc. CAME con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso la s.p.a. Isobloch, deducendo violazione degli artt. 132 e 112 c.p.c., addebita alla sentenza impugnata di non aver compreso il motivo di impugnazione inerente alla motivazione della sentenza di primo grado, che non intendeva invocare la regressione del giudizio ai primi giudici ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.; e tuttavia di averlo superato dando risposta alle proprie doglianze a riprova della loro sussistenza e della loro fondatezza.

Con il secondo motivo, deducendo violazione degli artt. 633, 91 e 92 c.p.c., censura la decisione per aver ritenuto superfluo esaminare se sussistevano le condizioni di ammissibilità del procedimento monitorio, una volta accolta nel merito la pretesa della creditrice CAME, senza considerare la giurisprudenza di legittimità che impone il relativo obbligo a carico del giudice di merito, quanto meno al fine di regolare le spese processuali; nè che nella specie dette condizioni non ricorrevano in quanto l’assegno bancario posto dalla controparte a fondamento dell’ingiunzione era stato ottenuto illegittimamente dal depositario a seguito di un abnorme ordinanza – sentenza pronunciata dal Presidente del Tribunale di Perugia, adito esclusivamente per stabilire a quale delle parti il titolo dovesse essere consegnato.

Le censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’interesse all’impugnazione ancorchè di carattere strettamente processuale, non può considerarsi avulso dall’esigenza di provocare o di far mantenere una decisione attinente al riconoscimento o al disconoscimento di un bene della vita a favore di un determinato soggetto; e che detto interesse va perciò apprezzato in relazione alla utilità concreta che, dall’eventuale accoglimento del gravame, può derivare alla parte che lo propone, onde non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi pratici sulla decisione adottata. E deve per tale ragione ritenersi inammissibile una impugnazione con la quale si deduca la mera violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande od eccezioni proposte, e che sia diretta, quindi, all’emanazione di pronunzia priva di rilevanza pratica. Tanto è accaduto con riguardo al primo motivo, con cui Isobloch, muovendo dalla supposizione che la decisione abbia inteso la propria doglianza inerente alla denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 112 c.p.c., come richiesta di annullamento della sentenza di primo grado e di regressione del giudizio ex art. 354 c.p.c., al primo giudice, le ha addebitato un "esordio" erroneo nella motivazione, per poi riconoscere che la questione era comunque superata e la violazione ininfluente in quanto il giudice di appello aveva risposto completamente ai motivi di impugnazione e rimediato alle asserite carenze motivazionali della prima decisione (pag. 10 ric.).

Si deve aggiungere che anche detta supposizione – premessa si è rivelata inconsistente posto che la Corte territoriale, nel rispondere al primo motivo di appello della società, si è preoccupata soltanto di escludere le ragioni del lamentato difetto di motivazione nella sentenza di primo grado, riassumendole e dimostrando, invece, che la stessa si era avvalsa di una motivazione non soltanto valida e comprensibile, ma anche del tutto logica e non al di sotto "dei limiti del necessario": senza alcun accenno neppur implicito alla possibilità di rimessione del giudizio al primo giudice.

Ma Isobloch difetta di interesse a dolersi anche delle considerazioni della sentenza inerenti alla natura del giudizio di opposizione ed alla irrilevanza delle condizioni di ammissibilità del decreto ingiuntivo, una volta che sia accertata la fondatezza nel merito della pretesa creditoria: posto che la Corte di appello, come del resto finisce per riconoscere la società ricorrente, ha poi affrontato anche detta questione e l’ha risolta, come del resto aveva fatto il Tribunale, in termini sfavorevoli alla Isobloch; per aver ritenuto che nel caso dette condizioni sussistevano, avendo la controparte intrapreso il procedimento monitorio in base alla scrittura privata del 22 marzo 1990 con la quale la soc. ricorrente aveva rilasciato un assegno di L. 76.000.000 (consegnato ad un depositario) a favore della CAME a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni assunte, nonchè al titolo di credito suddetto; e perciò costituenti proprio quella prova scritta richiesta dall’art. 633 c.p.c. e segg., per l’emanazione del decreto ingiuntivo. Ciò in quanto dottrina e giurisprudenza sono fermissime nel principio che per prova scritta deve intendersi qualsiasi documento di sicura autenticità che, sebbene privo di efficacia probatoria assoluta, risulti attendibile in ordine all’esistenza del diritto di credito azionato; per cui, nel caso concreto l’assegno bancario emesso a favore della CAME era già sufficiente a far presumere la sussistenza di un rapporto obbligatorio che, d’altra parte, era altresì documentato con la produzione della scrittura privata proveniente dalla stessa debitrice (Cass. 8515/2003; 13429/2000; 12388/2000).

Non è vero infine che la Corte di appello non abbia compreso il problema della influenza della sentenza 10784/1999 di questa Corte – che aveva cassato (tra l’altro) anche l’abnorme provvedimento del 24 gennaio 1992 con cui il Presidente del Tribunale di Perugia adito per un provvedimento cautelare ex art. 687 c.p.c., aveva ordinato al depositario dell’assegno di consegnarlo alla CAME – sulla legittimità del possesso del titolo di credito da parte di detta società, e quindi sulle condizioni di ammissibilità dell’ingiunzione:posto che la sentenza lo ha esaminato e risolto correttamente, rilevando che ai (soli) fini della prova scritta richiesta in questo giudizio dagli artt. 633 – 635 c.p.c., era sufficiente e nel contempo decisiva unicamente la circostanza che la stessa fosse stata fornita dalla controparte per documentare il rapporto obbligatorio dedotto attraverso la produzione sia del titolo di credito che della scrittura privata; e perciò giustamente confermando la statuizione del primo giudice che aveva ritenuto assolutamente ininfluente la menzionata pregressa pronuncia della Cassazione sul giudizio in oggetto.

E’ semmai proprio l’Isobloch a confondere le problematiche relative alle modalità con cui la CAME era pervenuta in possesso dell’assegno ed alla responsabilità per averne conseguito la detenzione in base ad un provvedimento giurisdizionale poi annullato, estranee al presente giudizio, con quella specificamente introdotta dalla società ricorrente relativa esclusivamente alla ricorrenza delle condizioni di ammissibilità dell’ingiunzione; per risolvere la quale era sufficiente dare atto, come ha fatto la sentenza impugnata, che sussisteva la prova scritta richiesta dalle menzionate norme: non senza aggiungere (sia pure ad abundantiam) anche le ragioni per cui il possesso dell’assegno da parte della società creditrice dovesse considerarsi legittimo.

Ed una volta che la Corte di appello non solo ha esaminato dette condizioni, ma le ha ritenute sussistenti nel caso concreto per la concessione del decreto ingiuntivo, divengono del tutto in conferenti anche le considerazioni della società ricorrente in merito al proprio interesse ad ottenerne la revoca sia pure ai soli fini di evitare il pagamento delle spese dell’ingiunzione: necessariamente poste a suo carico sia dal Presidente del Tribunale che da entrambi i giudici di merito attesa l’accertata legittimità dell’intero procedimento monitorio.

Con il terzo motivo del ricorso la soc. Isobloch, deducendo violazione degli artt. 1418 e 1325 c.c., art. 782 c.c. e segg., nonchè L. n. 1150 del 1942, art. 28 e segg.; L. n. 89 del 1913, artt. 47 e 48, addebita alla sentenza impugnata di aver considerato valida e fornita di causa la scrittura privata stipulata con la controparte senza considerare: a) che soltanto essa ricorrente aveva assunto un’obbligazione, quella di realizzare la strada richiesta dal comune per la conclusione della convenzione di lottizzazione senza alcuna controprestazione assunta dalla CAME; b) che, d’altra parte anche quest’ultima società traeva innegabili vantaggi dall’approvazione della lottizzazione da parte del comune potendo chiedere le concessioni edilizie e provvedere ad edificare sui propri fondi; c) che la sola ragione della conclusione della scrittura dalla stessa risultante doveva considerarsi l’assunzione di detta obbligazione da parte di essa società; laddove sulla CAME gravava l’obbligo di dimostrare che costituisse una controprestazione, piuttosto che un vantaggiosa propria adesione alla convenzione di lottizzazione stipulanda con il comune. E non attenevano alla causa del contratto le ragioni ed i motivi di bisogno per cui essa aveva assunto l’onere di costruire da sola la strada; d)che conseguentemente la lottizzazione si era trasformata in una sorta di donazione a favore della controparte, peraltro nulla perchè priva della forma solenne prevista per tale negozio.

Con il quarto motivo, deducendo violazione degli artt. 1427 e 1438 c.c., censura la sentenza impugnata per aver disatteso anche la propria impugnativa della scrittura per vizi del consenso, malgrado vi fosse la prova che lo stesso era frutto di violenza da parte della CAME che lo aveva estorto, per non aver compreso, da un lato che la convenzione di lottizzazione con l’assunzione delle relative obbligazioni da parte di ciascun lottizzante avrebbe dovuto essere stipulata da tutti e che giovava a tutti; e che d’altra parte la CAME aveva rifiutato di stipularla proprio per approfittare del suo stato di bisogno ed ottenere un ingiusto profitto (l’assunzione dell’obbligazione di realizzare la strada a carico della sola società ricorrente, e nel contempo la possibilità di edificare).

Per cui il proprio consenso era stato conseguito attraverso la minaccia di esercitare un diritto come previsto dalla giurisprudenza di questa Corte, e come documentato nella specie dalla prova testimoniale offerta da essa società.

Anche questi motivi sono del tutto infondati in quanto parificano e confondono situazioni nettamente distinte derivanti ora dalla convenzione di lottizzazione che le parti avrebbero dovuto stipulare con il comune, ora dalla scrittura privata; nonchè istituti assolutamente diversi sul piano della fenomenologia giuridica.

Al riguardo il collegio deve premettere che la società Isobloch ha impugnato esclusivamente la scrittura privata inter partes 22 marzo 1990, interamente trascritta nel ricorso (e non anche la bozza di, convenzione di lottizzazione intercorsa con il comune);

sicchè del tutto correttamente la Corte di appello si è limitata ad esaminare detto contratto concluso tra le parti al fine di stabilire se lo stesso è affetto dalla mancanza dei requisiti (art. 1325 c.c.), nonchè dai vizi della volontà lamentati dalla ricorrente:perciò non ricavabili da ipotetici vantaggi che la CAME avrebbe potuto trarre dalla futura convenzione di lottizzazione, nè tanto meno dalle ragioni che avrebbero dovuto indurla a aderirvi, ovvero a rifiutarne la stipula.

Dottrina e giurisprudenza, infatti, hanno sempre distinto i negozi a titolo gratuito da quelli a titolo oneroso a seconda che importino una diminuzione patrimoniale senza corrispettivo come esemplificativamente avviene nella donazione; ovvero presentano una diminuzione patrimoniale per un contraente accompagnata (o preceduta) da un corrispondente vantaggio (e così pure per l’altro soggetto). Per cui, in conformità a questa ripartizione la sentenza impugnata non poteva che inquadrare la scrittura nella seconda di dette categorie in base alla sua semplice lettura, posto che le parti nella premessa avevano dato atto della sussistenza di contrastanti interessi in ordine alla conclusione di una lottizzazione per insediamenti di attività direzionali commerciali, per approvare la quale il comune di Perugia pretendeva la costruzione a totale carico dei lottizzanti di una strada comunale esterna alla lottizzazione: mentre, infatti, la società ricorrente trovava rispondente ai propri interessi anche questa condizione soprattutto in conseguenza degli impegni assunti con soggetti terzi, la CAME riteneva eccessivamente gravosa la richiesta (anche perchè la stessa era titolare della quota più elevata corrispondente al 45%) e preferiva rinunciare alla lottizzazione, all’evidenza ritenuta in forza di tale condizione contraria ai propri interessi.

Da qui la genesi della scrittura con cui le parti composero il contrasto addivenendo, come rilevato dalla sentenza impugnata e confermato dalla stessa Isobloch, ad un accordo in forza del quale CAME assumeva l’obbligo di aderire alla lottizzazione e di sottoscrivere l’atto convenzionale predisposto dal comune, di fronte al quale conseguentemente assumeva tutte le relative obbligazioni peraltro nella misura maggiore, trattandosi del quotista di maggioranza: posto che nei confronti di detta amministrazione erano irrilevanti i patti interni intercorsi tra le parti; sicchè Isobloch, che era quotista nella minor misura del 25% per effetto del consenso si avvantaggiava di detta assunzione in capo alla controparte e quindi della certa conclusione della lottizzazione che la stessa ricorrente dichiarava nella scrittura assolutamente urgente per i propri interessi e ad essi corrispondente. Per converso detta società assumeva a sua volta l’obbligazione di realizzare la strada a sue spese e di tenere indenne la CAME che acquistava in tal modo il relativo vantaggio, tuttavia rinunciando a scomputare a favore di Isobloch dagli oneri di urbanizzazione il costo totale o parziale delle spese afferenti alla strada gravante esclusivamente (nei rapporti interni) su quest’ultima società.

Pertanto le relative (e contrapposte) obbligazioni a carico di ciascuna delle parti non soltanto escludono la gratuità del negozio, ma rendono palese la sussistenza della causa di cui agli artt. 1325 e 1343 c.c., che non si identifica affatto, come mostra di ritenere la ricorrente, con l’opinione di ciascuna circa la convenienza ed i vantaggi che l’altra possa trarre dal negozio (il cui apprezzamento è peraltro devoluto dall’art. 1322 c.c., esclusivamente alla parte interessata e non all’altra); bensì con la funzione economico – sociale che il negozio obiettivamente persegue e il diritto riconosce rilevante ai fini della tutela apprestata: perciò ontologicamente distinta dallo scopo particolare che ciascuna delle parti persegue, rappresentando lo scopo obiettivo del negozio (Cass. 5324/2003; 982/2002).Pertanto nessuna valutazione poteva essere compiuta, per di più in astratto dalla Corte territoriale sui possibili futuri vantaggi che dalla lottizzazione e dalla edificabilità dei suoi terreni la CAME avrebbe potuto trarre dall’ adesione alla lottizzazione:in quanto per identificare la causa della scrittura privata 22 maggio 1990 occorreva avere riguardo esclusivamente alla funzione dell’accordo suddetto che era ivi espressamente indicata e consisteva nell’attribuzione di ciascuna delle obbligazioni di cui si è detto a carico delle parti stipulanti.

Obbligazioni che senza la scrittura nessuna di esse avrebbe assunto e che tendevano al risultato, del tutto lecito, di conseguire da un lato la convenzione di lottizzazione (in cui CAME doveva assoggettarsi agli oneri maggiori), vantaggiosa per gli interessi di Isobloch; e dall’altro di tenere indenne la controparte dalle spese della costruzione della strada pretesa dal comune, da CAME ritenuta non conforme ai propri interessi.

Le considerazioni svolte sono già sufficienti ad escludere che la società ricorrente si sia indotta a sottoscrivere la scrittura in seguito a "violenza" (in qualsiasi forma intesa) esercitata dalla CAME: anzitutto perchè la stessa deve comunque consistere per il disposto dell’art. 1435 c.c., in una pressione o minaccia sulla volontà di ********; che detta società, come osservato dalla sentenza impugnata non ha invece neppure prospettato (anche in questo grado di legittimità), nuovamente confondendola con l’asserita conoscenza da parte della CAME della sua assoluta necessità di ottenere l’approvazione della lottizzazione. Quindi perchè l’asserita violenza non è ricavabile neppure dalle risultanze istruttorie invocate dalla società ricorrente, con particolare riguardo alle deposizioni testimoniali, avendo le stesse documentato esclusivamente la mera scienza che la CAME aveva della difficile situazione della controparte e "dell’estrema necessità per ******** che non saltasse la convenzione". Laddove "l’estorsione" del consenso altrui postula quanto meno un atto di volontà del suo autore, e quindi un comportamento necessariamente attivo di lui, consistente in ogni caso, secondo la menzionata norma, nella prospettazione di un male ingiusto di per sè: nel caso, invece, escluso perfino dal contenuto della scrittura ove si legge che fu proprio la società ricorrente a convocare le altre parti avanti al Notaio per il giorno 22 marzo 1990, e ad invitarle a sottoscrivere la convenzione per conseguire l’approvazione della lottizzazione, nonchè a convocare la CAME per la stipulazione dell’accordo ora impugnato.

A maggior ragione difettava nella fattispecie l’altro elemento costitutivo stabilito dall’art. 1435 c.c., che la relativa minaccia sia specificamente diretta al fine di estorcere il consenso per l’atto di cui si chieda l’annullamento, non ricavabile dalla prospettazione dei pregressi rapporti di affari assunti da ******** con l’impresa incaricata della realizzazione del centro commerciale, nonchè con i singoli acquirenti di detto centro e/o dei possibili futuri vantaggi che anche la CAME avrebbe potuto ricavare in futuro dalla lottizzazione soprattutto se ottenuta senza affrontare le spese della strada:in quanto dette circostanze potevano al più influire (in astratto) sulla ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 1448 c.c., (infatti invocata dalla società con il successivo motivo del ricorso), ma non certamente sostituire o dimostrare il requisito indefettibile per la rilevanza di ogni forma di violenza richiesto dalla norma, che resta il male minacciato. E che nel caso non era neppure ipotizzabile nel comportamento tenuto dalla CAME, quanto meno perchè neanche la controparte le ha mai attribuito una qualsiasi iniziativa nè in ordine alla lottizzazione, nè in ordine alla scrittura; e dal contenuto di questa risulta soltanto che la società contro ricorrente si limitò ad aderire alla convocazione ed a recarsi dal notaio per sottoscriverla.

Nessuna possibilità sussisteva, infine, di inserire detta situazione nella fattispecie regolata dall’art. 1438 c.c., di minaccia di far valere un diritto, pur essa invocata dalla Isobloch quale causa di annullamento della scrittura, mostrando di non comprenderne presupposti e finalità: in quanto, a tacere di ogni altra condizione, la norma richiede anzitutto la sussistenza di un (preesistente) diritto dell’autore nonchè la possibilità di farlo valere nei confronti del soggetto passivo. E quindi la ricorrenza della minaccia di esercitarlo; la quale costituisce, peraltro, causa invalidante del negozio giuridico soltanto quando l’autore di essa se ne serva per conseguire, non già il risultato ottenibile con l’esercizio del diritto, ma vantaggi ingiusti, ossia abnormi o diversi da detto risultato o obiettivamente iniqui ed esorbitanti rispetto al dovuto.

Nel caso, invece, mancava perfino il diritto della CAME nei confronti di ******** che la stessa avrebbe minacciato di esercitare; e che la società ricorrente ancora una volta ha erroneamente identificato con la facoltà riconosciuta alla prima società, così come ad ogni altro lottizzante, di valutare i propri interessi in merito alla lottizzazione stipulanda, nonchè con quella conseguente, di aderirvi o meno (Cass. 4630/1990). Le quali attenevano alla sola sfera giuridica della sua titolare, si esaurivano in tale ambito, e non creavano rapporti giuridici a favore e contro gli altri lottizzanti:perciò non potendo (per quanto qui interessa) attribuire alla CAME diritti o pretese di alcun genere nei confronti della società ricorrente.

E non essendo la CAME titolare di alcun diritto, non ne era all’evidenza configurabile l’abuso, se non confondendolo con il pregiudizio di fatto ai propri interessi che a ciascuno degli aspiranti alla lottizzazione poteva derivare dalle decisioni adottate dagli altri in senso non rispondente alle proprie aspettative; che resta estraneo non soltanto alla fattispecie disciplinata dal menzionato art. 1438 c.c., ma alla stessa nozione di comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto indispensabile onde integrare la nozione di violenza morale, che diviene causa di esclusione del consenso negoziale.

Con il quinto motivo del ricorso la soc. Isobloch, deducendo violazione dell’art. 1448 c.c., e art. 116 c.p.c., si duole che la Corte di appello abbia escluso sia la sproporzione tra le due prestazioni assunte dalle parti nella scrittura, nonchè il proprio stato di bisogno di cui aveva approfittato la controparte sotto un duplice profilo risultato erroneo, in quanto: a) la sproporzione tra le due prestazioni non abbisognava di essere dimostrata risultando in re ipsa per il fatto che nessuna obbligazione era stata assunta dalla CAME; b) lo stato di bisogno è condizione che prescinde dalle cause che lo hanno determinato del tutto irrilevanti per il disposto dell’art. 1448 c.c., e sulle quali invece si era soffermata la motivazione della sentenza impugnata; e nel caso lo stesso risultava per tabulas dalla scrittura impugnata, nonchè dall’istruttoria svolta nei giudizi di merito; c) vi era altresì la prova del profitto realizzato da CAME che aveva potuto usufruire del terreno edificatorio senza affrontare gli oneri richiesti dal comune per la realizzazione della strada godendone i vantaggi.

Anche queste censure sono infondate.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’azione generale di rescissione per lesione prevista dall’art. 1448 c.c., richiede la simultanea ricorrenza di tre requisiti, e cioè l’eccedenza di oltre la meta della prestazione rispetto alla controprestazione, l’esistenza di uno stato di bisogno, inteso non come assoluta indigenza ma come una situazione di difficoltà economica che incide sulla libera determinazione a contrattare e funzioni, cioè come motivo della accettazione della sproporzione fra le prestazioni da parte del contraente danneggiato; ed, infine, l’avere il contraente avvantaggiato tratto profitto dall’altrui stato di bisogno del quale era consapevole (Cass. 12116/2003; 9374/1991; 531/1990).

Nel caso concreto la Corte di appello in ordine al primo requisito ha accertato che ******** non aveva neppure prospettato in che cosa consistesse la sproporzione tra le due prestazioni offerte dalle parti;e la società ricorrente ha impugnato questa ratio decidendi assumendo che la lesione ultra dimidium derivava proprio dal fatto che la CAME non avesse assunto alcuna obbligazione; per cui una volta stabilita nella disamina del terzo e quarto motivo di ricorso, l’erroneità di detto assunto e confermato l’accertamento della sentenza impugnata che nella scrittura ciascuno dei contraenti aveva offerto specifiche obbligazioni, resta ferma la statuizione in ordine alla mancanza del primo dei menzionati requisiti dell’azione di cui all’art. 1448 c.c.: perchè neppure allegato da ********.

Si deve aggiungere per completezza che la società ha mostrato di non comprendere le considerazioni della Corte di merito sul secondo dei requisiti indicati dalla norma, costituito dallo stato di bisogno nonchè sulla sua stessa nozione. La quale secondo la dottrina e la giurisprudenza ricorre quando il soggetto che subisce il contratto si trovi, anche per cause transitorie, in obiettive difficoltà economiche cagionate da temporanea mancanza di denaro liquido, in quanto aventi riflesso sulla sua libertà di negoziazione e, quindi, suscettibili di determinarlo con rapporto di causa ad effetto, ad accettare un corrispettivo non proporzionato alla sua prestazione.

Nel caso, invece, non soltanto siffatta circostanza non è stata neppure dedotta dalla società, ma la Corte territoriale ha accertato con motivazione adeguata e peraltro neppure specificamente contestata, che ******** stipulò la scrittura privata non certamente per la difficile situazione economica in cui versava, bensì per portare a compimento un affare particolarmente vantaggioso con la realizzazione del centro commerciale di cui si è detto, richiedente l’approvazione della lottizzazione. Per cui la società ha finito per identificare erroneamente la particolare situazione richiesta dall’art. 1448 c.c., e la sostanziale coartazione della volontà che la stessa determina nel contraente che la subisce con la libera scelta dei mezzi onde assicurarsi la realizzazione più conveniente del fine da lui perseguito che è presente in ogni negozio.

E poichè fra i tre elementi predetti dell’azione di rescissione non intercede alcun rapporto di subordinazione od alcun ordine di priorità o precedenza, una volta accertata la mancata dimostrazione dell’esistenza di uno o di taluno dei tre elementi, diviene superflua l’indagine circa la sussistenza dell’altro o degli altri, e l’azione deve essere senz’altro respinta.

Con l’ultimo motivo del ricorso, infine, Isobloch, deducendo violazione dell’art. 1218 c.c., e art. 116 c.p.c., addebita alla sentenza impugnata di aver erroneamente valutato le prove soprattutto testimoniali in merito al proprio inadempimento all’obbligazione di realizzare la strada, cui invece si era sottratta la controparte non provvedendo all’acquisizione dell’area:come dimostravano le deposizioni dei testi escussi non esaminate dalla Corte di appello che aveva invece ritenuto decisiva quella di uno solo di essi, peraltro erroneamente interpretandola.

Questa censura è parte inammissibile ed in parte infondata.

Nella sentenza impugnata, infatti, vi è una congrua e logica motivazione: a) sulle risultanze istruttorie da cui era stato tratto il convincimento dell’inadempienza di Isobloch, costituite soprattutto dalle dichiarazioni del Notaio davanti al quale le parti avrebbero dovuto comparire, nonchè dalla sua stessa deposizione testimoniale; b) sulla interpretazione e sul contenuto della scrittura privata 22 marzo 1990 laddove la stessa aveva inteso esonerare la soc. CAME dagli oneri economici inerenti alla costruzione della strada, che invece la contro ricorrente avrebbe dovuto sopportare per l’inadempimento della controparte; c) sul conseguente danno subito da detta società nonchè sulla documentazione, già esaminata dal primo giudice che ne attestava la sussistenza.

Non è riscontrabile, quindi, la lamentata valutazione parziale delle risultanze istruttorie, e neppure la incomprensibilità od insufficienza di motivazione lamentata dalla ricorrente; mentre le diverse valutazioni in fatto prospettate con la doglianza non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità, perchè spetta soltanto al giudice del merito di individuare, le fonti del proprio convincimento e all’uopo valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti per la legge. E perchè d’altra parte le valutazioni operate da detto giudice dei fatti e delle risultanze probatorie non sono censurabili, ove il convincimento dello stesso giudice sia – come nel caso di specie – sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore della s.n.c. CAME in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 5.000,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Redazione