Condono edilizio (TAR Campania, Napoli, n. 2612/2012)

Redazione 01/06/12
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Svolgimento del processo

Con il primo dei ricorsi in epigrafe indicati, notificato il 23 ottobre 2007 e depositato il successivo 22 novembre, la società cooperativa Il Villaggio impugnava il diniego della domanda di condono edilizio, presentata ai sensi della L. n. 326 del 2003 “per il cambio di destinazione d’uso da ufficio ad abitazione, senza opere edilizie” di una mansarda sita al viale Europa, Lotto 2A, sc. D, piano 5, adottato dal Comune di Pollena Trocchia. In particolare, l’amministrazione ha ritenuto insussistenti i presupposti per concedere la sanatoria in quanto “i lavori di ristrutturazione con destinazione ad uffici, realizzati con D.I.A. del 19.12.2003 – prot. 18736 – sono stati eseguiti in epoca successiva alla scadenza imposta dalla L. n. 326 del 2003 per l’accesso al condono edilizio”.

La società ricorrente premetteva in fatto:

-l’immobile in questione fa parte di un intero Parco (Parco Europa) costruito ai sensi della L. n. 167 del 1972 a seguito dell’adozione del piano di zona P.E.E.P.;

-conformemente alla licenza edilizia n. 1435/1992 l’immobile, alla data del 31 marzo 2003, si presentava completo nella sua struttura (volume, superficie, tompagnature);

-in data 24 aprile 2003 al fine di operare il completamento funzionale dell’immobile realizzato da oltre un decennio, veniva presentata una DIA per l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria, senza mutare la destinazione d’uso;

-in data 15 novembre 2004 inoltrava domanda di condono edilizio per il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, senza opere, da ufficio a civile abitazione.

A sostegno del gravame parte ricorrente deduceva i seguenti motivi:

1) violazione della L. n. 326 del 2003, della L. n. 47 del 1985, della L.R. n. 10 del 2004, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, incongruenze e violazione del giusto procedimento in quanto: a) l’amministrazione ha erroneamente ritenuto che a mezzo della DIA sono stati realizzati lavori oltre il termine del 31 marzo 2003 (termine entro il quale l’immobile da condonare doveva essere stato ultimato) e ha condotto un istruttoria carente laddove non ha valutato se la mansarda realizzata, sebbene non completa internamente alla data del 31 marzo 2003, costituiva o meno volume esistente ai fini delle disposizioni in materia di condono; b) essendo decorsi 24 mesi dalla presentazione della domanda di condono, l’amministrazione ha consumato il potere di determinarsi;

2) stessi motivi sub 1) in quanto il provvedimento è stato adottato senza il parere del responsabile del procedimento e della Commissione Edilizia, nonché della Commissione edilizia integrata o quanto meno della Soprintendenza;

3) violazione degli artt. 7, 8, 10 e 10 bis della L. n. 241 del 1990, violazione del D.Lgs. n. 259 del 2003, della L. n. 36 del 2001, eccesso di potere, difetto di istruttoria, omessa e/o insufficiente motivazione, in quanto non è stata data la comunicazione dell’avvio del procedimento.

Con il secondo ricorso, notificato il 13 luglio 2011 e depositato il 15 luglio successivo, il ricorrente S.O., qualificatosi proprietario dell’immobile sito al viale Europa lotto 2/A scala D, 5 piano, int. 10 nel Comune di Pollena Trocchia, impugnava il provvedimento con il quale l’Amministrazione comunale, sul rilievo dell’abusività del cambio di destinazione d’uso, da ufficio ad abitazione, gli aveva ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi per violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, del D.Lgs. n. 42 del 2004 e delle disposizioni in materia di vincolo sismico.

Il ricorrente premetteva in fatto:

– che l’immobile de quo ricade in un complesso edilizio realizzato nell’ambito del programma di edilizia residenziale pubblica;

– che in data 15 ottobre 2004 aveva stipulato con “il Villaggio Cooperativa Edilizia a r.l.” un contratto di assegnazione dell’immobile con acquisto della proprietà superficiaria;

– che in data 15 novembre 2004 la stessa società cooperativa aveva presentato al Comune istanza di sanatoria edilizia straordinaria (cd. condono) ai sensi della L. n. 326 del 2003 per il cambio di destinazione d’uso senza opere dell’immobile da ufficio a civile abitazione;

– che il rigetto della suddetta domanda di condono era stato impugnato con ricorso avanti al T.A.R. (R.G. n. 6564/2007).

A sostegno del gravame il ricorrente deduceva i seguenti motivi:

1) violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per difetto di istruttoria, dei presupposti e di motivazione, omessa ponderazione della situazione contemplata, illogicità, contraddittorietà, perplessità e manifesta ingiustizia in quanto l’amministrazione avrebbe considerato l’esistenza della domanda di condono dalla quale risulta che il cambio di destinazione era già stato effettuato, senza aumenti di volumi e/o superfici, alla data del 31 marzo 2003 e, dunque, non dal ricorrente;

2) violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, del D.M. n. 1444 del 1968, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, incongruenza e violazione del giusto procedimento in quanto il cambio di destinazione d’uso sarebbe avvenuto prima dell’entrata in vigore della L.R. n. 21 del 2003 (in materia di limiti alla edilizia residenziale in zona sismica) tra categorie funzionalmente omogenee in zona C residenziale di espansione e quindi, non richiedeva il rilascio del permesso di costruire;

3) violazione del D.P.R. n. 380 del 2001 (artt. 36 e 37), della L.R. n. 19 del 2001, violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione e manifesta ingiustizia in quanto il ricorrente avrebbe inoltrato istanza di accertamento di conformità urbanistica ai sensi degli artt. 36 e 37 del D.P.R. n. 380 del 2001.

L’istanza cautelare di sospensiva veniva accolta con ordinanza n. 1331 del 28.07.2011.

Alla pubblica udienza del 3 maggio 2012 le cause sono state trattenute in decisione.
Motivi della decisione

Preliminarmente i ricorsi devono essere riuniti per ragioni di connessione oggettiva e parzialmente soggettiva.

Entrambi i ricorsi vertono, infatti, sul cambio di destinazione d’uso dell’immobile, meglio individuato in fatto, da ufficio ad abitazione, che l’amministrazione ritiene essere avvenuto senza titolo e non sanabile ai sensi della L. n. 326 del 2003.

Il primo dei ricorsi riuniti, avente carattere pregiudiziale rispetto all’altro, è infondato e va respinto.

La società ricorrente impugna il provvedimento con il quale il Comune di Pollena Trocchia ha denegato la domanda di sanatoria edilizia straordinaria ai sensi della L. n. 326 del 2003 (cd. condono edilizio) sul rilievo che il cambio di destinazione d’uso della mansarda da ufficio ad abitazione sarebbe intervenuto successivamente alla data del 31 marzo 2003, indicata dalla legge come termine ultimo per l’ultimazione dei lavori per i quali era possibile richiedere la sanatoria. L’amministrazione deduce tale circostanza dal tenore della DIA del 19 dicembre 2003 prot. 18736 presentata dalla società ricorrente avente ad oggetto lavori di ristrutturazione dell’immobile.

Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione che non avrebbe considerato che la mansarda oggetto di causa “seppure non completa internamente alla data del 31 marzo 2003” (pag. 5 del ricorso) era comunque da considerare un volume condonabile.

La prospettazione di parte ricorrente non può essere condivisa.

Nella fattispecie non si discute della sanabilità di un volume di un manufatto ancorché non completo in tutte le sue parti, bensì, del “cambio di destinazione d’uso da ufficio in abitazione senza opere” di una mansarda.

Coerentemente l’istruttoria del Comune si è incentrata sulla verifica del dato fattuale dell’arco temporale in cui il cambio di destinazione in contestazione sarebbe avvenuto. Dal contenuto della DIA presentata dalla società ricorrente nel dicembre 2003 e, in particolare, dal numero e dalla natura dei lavori oggetto della denuncia in parola, l’amministrazione, secondo un percorso logico che va esente da censure, ha tratto gli elementi indiziari che l’hanno condotta ad affermare il cambio di destinazione d’uso si è realizzato solo in un momento successivo alla data del 31 marzo 2003.

Segnatamente la DIA, acclarata al protocollo dell’ente in data 19 dicembre 2003 al n.18736, enumera i seguenti lavori da eseguirsi sull’immobile in contestazione: ” 1. risistemazione delle tramezzature interne; 2. realizzazione degli intonaci interni; 3. posa in opera di pavimenti e rivestimenti; 4. adeguamento e sistemazione degli impianti idrici ed elettrici in conformità alla L. n. 46 del 1990; 5. posa in opera di infissi esterni in tipologia e colore simili a quelli dei piani inferiori; 6. posa in opera di porte interne e delle porte di caposala; 7. demolizione dei tamponamenti esterni, dove questi sono stati realizzati solo con chiusura provvisoria dei vani finestra e/o balcone; 8. tinteggiatura delle parti interne a tinte pastello”.

Ad una considerazione complessiva, è quantomeno difficile contestare che gli indicati lavori siano diretti a rendere ” concretamente utilizzabile” un immobile che, in precedenza, pur essendo edificato con la destinazione di “ufficio”, di fatti non lo era e non poteva esserlo, perché privo di intonaci (opere di cui al n.1 dell’elenco di cui alla DIA), di pavimenti e rivestimenti (n.2: si discorre di posa in opera, non già di sostituzione), di infissi esterni (n.5) e con i vani luce tompagnati (n.7).

In definitiva, l’immobile in questione è stato interessato da un’attività manipolativa necessaria al suo completamento dello stesso. Del resto, è la stessa ricorrente ad affermare in ricorso che la DIA è stata presentata “al fine di operare il completamento funzionale dell’immobile” (pag. 3 del ricorso).

Pienamente condivisibile appare, perciò, la conclusione del Comune secondo la quale la destinazione abitativa è stata verosimilmente impressa alla mansarda in epoca successiva alla data indicata nell’istanza di condono e, contrariamente a quanto in quella sede affermato, mercé il compimento di opere edili.

Peraltro, la difesa attorea sullo specifico punto si limita a dedurre genericamente presunte carenze istruttorie dell’amministrazione senza fornire alcun elemento di segno contrario rispetto a quelli sopra evidenziati i quali – come detto – hanno ragionevolmente condotto il Comune al diniego del condono.

Sul piano prettamente giuridico, si osserva, in accordo con quanto affermato dalla giurisprudenza, che “nel caso di opere interne abusive con ” cambio di destinazione d’uso” ciò che rileva ai fini del rilascio del condono edilizio di cui art. 32 comma 25 D.L. 30 settembre 2003, n. 269, conv. L. 24 novembre 2003, n. 326, è che sia intervenuto il completamento funzionale entro i termini di legge, intendendosi con tale espressione una situazione per cui le opere, pur non perfette nelle finiture, possano dirsi individuabili nei loro elementi strutturali e con caratteristiche necessarie e sufficienti ad assolvere la funzione cui sono destinate; cioè, l’immobile deve risultare già fornito di opere indispensabili a rendere effettivamente possibile un uso diverso da quello asserito, in modo tale da risultare “incompatibile con l’originaria destinazione” (cfr. T.A.R. Pescara Abruzzo sez. I 22 ottobre 2007, n. 837, T.A.R. Lazio, Roma sez. I, 01 dicembre 2005, n. 12734). Infatti, “ai fini dell’applicabilità della normativa in materia di condono edilizio, in caso di mutamento della destinazione d’uso, la locuzione “ultimazione” riferita alle opere abusive va intesa in senso funzionale, con riguardo cioè al momento in cui l’immobile ha acquisito caratteristiche oggettivamente e univocamente idonee alla nuova destinazione, anche se i lavori non risultino completati con gli interventi di finitura” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 gennaio 2009, n.393; Id., sez. V, 23 maggio 2005, n.2578). Nella fattispecie, come visto, il completamento funzionale dell’immobile è avvenuto oltre il termine di legge.

Sempre con il primo motivo la ricorrente deduce, sulla scorta della legislazione regionale (L.R. n. 10 del 2004), l’avvenuta consumazione del potere comunale di determinarsi sull’istanza di condono, essendo trascorsi 24 mesi dalla sua presentazione.

Il motivo è infondato.

Sulla questione, occorre richiamare, l’indirizzo espresso da questo Tribunale (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 28 gennaio 2011 n. 5075; Sez. II, 2 dicembre 2009 n. 8325; 25 febbraio 2009 n. 1057; 15 maggio 2008 n. 4528) secondo cui in Campania, l’istituto del silenzio-assenso non può trovare applicazione con riferimento al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, ostandovi le contrarie previsioni contenute nella L.R. 18 novembre 2004, n. 10 (“Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269”). Si è difatti osservato che la Corte Costituzionale, con la sentenza 28 giugno 2004 n. 196, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 32, comma 37, del D.L. n. 269 del 2003 per contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., nella parte in cui non prevede che la legislazione regionale possa disciplinare diversamente gli effetti del silenzio protratto oltre il termine ivi previsto dal Comune cui gli interessati abbiano presentato la documentazione richiesta. In tale prospettiva, la L.R. Campania n. 10 del 2004, all’art. 7, dispone testualmente che: “le domande di sanatoria sono definite dai comuni competenti con provvedimento esplicito da adottarsi entro ventiquattro mesi dalla presentazione delle stesse. Il termine può essere interrotto una sola volta se il comune richiede all’interessato integrazioni documentali e decorre per intero dalla data di presentazione della documentazione integrativa. Decorso il termine di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui alla L.R. 28 novembre 2001, n. 19, articolo 4 che disciplinano l’esercizio dell’intervento sostitutivo da parte dell’amministrazione provinciale competente”. Quindi il chiaro tenore letterale della norma regionale non lascia dubbi sulla qualificazione del comportamento inerte tenuto dal Comune nella fattispecie come mero silenzio-inadempimento. Infatti, stante l’inerzia dell’amministrazione comunale, alla scadenza del termine biennale, è stata espressamente prevista l’applicazione dell’articolo 4 della L.R. n. 19 del 2001, che disciplina l’esercizio dell’intervento sostitutivo da parte della Provincia. Dunque, nella Regione Campania, le domande di condono proposte ai sensi della L. n. 326 del 2003 sono assoggettate al regime di cui all’art. 7 della L.R. n. 10 del 2004, sicché devono essere definite con un provvedimento espresso entro il termine di 24 mesi dalla presentazione, il cui decorso non equivale a titolo abilitativo in sanatoria ma configura un mero inadempimento, avverso il quale, oltre al rimedio amministrativo già descritto, è azionabile la tutela giurisdizionale ai sensi degli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo. (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII 14 luglio 2011, n. 3849).

Deve essere disatteso anche il secondo motivo relativo alla omessa acquisizione del parere della Commissione Edilizia Integrata e della Soprintendenza. La giurisprudenza ha, infatti, messo in luce la specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all’ordinario procedimento di rilascio della concessione edilizia, nonché, l’assenza di una specifica previsione della necessaria acquisizione del parere della Commissione Edilizia Integrata. Pertanto l’acquisizione di tale parere ai fini del rilascio del condono non è obbligatoria, bensì facoltativa, mentre il parere dell’autorità preposta alla gestione del vincolo paesaggistico non è necessario laddove l’amministrazione ravvisi, come nella fattispecie, la sussistenza di ulteriori ragioni ostative al rilascio della concessione in sanatoria non connesse alla valutazione di compatibilità dell’abuso con il vincolo paesaggistico (cfr. T.A.R., Campania, Napoli, sez. VII, 14 gennaio 2011, n. 164).

Quanto alla doglianza circa la mancata acquisizione del parere del responsabile del procedimento rileva il Collegio come quest’ultimo abbia sottoscritto l’atto, mostrando così di condividere le conclusioni del Capo Servizio che ha adottato la determinazione finale.

In relazione all’ultimo motivo di ricorso (violazione dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990) il Collegio non può che rilevarne l’infondatezza atteso che la ricorrente è stata posta in grado di partecipare al procedimento essendo stata avvisata con nota del 16 gennaio 2007 (prot. 700) dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda di condono di cui è causa (cfr. motivazione del provvedimento impugnato).

Il primo dei ricorsi riuniti va, pertanto, respinto.

Del pari è infondato il secondo dei ricorsi riuniti.

Esso reca l’impugnazione del provvedimento reso in data 11.04.2011 con il quale il Comune di Pollena Trocchia ha ingiunto al ricorrente S.O. assegnatario dell’immobile in questione, in virtù dell’atto di acquisto della proprietaria superficiaria dello stesso con scrittura privata del 21.10.2004, la riduzione al pristino stato dell’immobile, sul rilievo di un abusivo mutamento della destinazione d’uso, da ufficio ad abitazione, in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001 e delle disposizioni in materia di vincolo sismico.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta che il provvedimento ripristinatorio è stato adottato in pendenza della domanda di condono dalla quale risulta che il cambio di destinazione d’uso è stato effettuato dalla società cooperativa prima della data del 31 marzo 2003, senza aumenti di volumi e/o superfici.

Il motivo non merita di essere accolto.

L’amministrazione ha, infatti, emesso il provvedimento ripristinatorio solo dopo aver espressamente (e legittimamente, secondo quanto innanzi precisato) rigettato la domanda di condono per il cambio di destinazione d’uso da ufficio ad abitazione evidenziando proprio che lo stesso è avvenuto con la realizzazione di opere successivamente alla data del 31 marzo 2003.

Infondato è, altresì, il secondo motivo con il quale il ricorrente deduce la violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, argomentando in merito alla non necessità del rilascio del permesso di costruire per un cambio di destinazione d’uso da ufficio ad abitazione senza opere e posta in essere nell’ambito di categorie funzionalmente omogenee. Detto cambio, che sarebbe, secondo il ricorrente, indifferente dal punto di vista urbanistico, sarebbe poi avvenuto nel 2002, comunque in epoca anteriore all’adozione della L.R. n. 21 del 2003 che ha vietato ogni incremento delle edificazioni a scopo residenziale nella zona ad alto rischio vulcanico ( cd. zona rossa).

Le censure sono infondate.

Dagli atti di causa risulta che il ricorrente ha acquistato, in data 18 novembre 2004, dalla società cooperativa la proprietà superficiaria di un “ufficio” (cfr. copia dell’atto nella produzione di parte ricorrente) e che in data 4 luglio 2007 il Comune ha rigettato la domanda di condono presentata da quest’ultima per il cambio di destinazione d’uso da ufficio ad abitazione, ritenendo, in particolare, che questo era stato realizzato con opere non ultimate alla data del 31 marzo 2003.

In punto di fatto, il Tribunale osserva, sulla base delle considerazioni innanzi formulate circa l’ “ultimazione” dei lavori ai fini dell’applicabilità (come si è visto, esclusa) della L. n. 326 del 2003, che il cambio di destinazione d’uso dell’immobile – allo scopo di renderlo utilizzabile come abitazione – è avvenuto in epoca successiva al 23 dicembre 2003, data della presentazione della DIA, e che il mutamento ha avuto carattere strutturale e non meramente funzionale, poiché è conseguito solo a seguito del compimento di una pluralità delle già enumerate opere edilizie.

Esso va perciò qualificato, in punto di diritto e diversamente da quanto opinato dalla difesa attorea, come un mutamento d’uso strutturale (con opere), che non ha comportato una trasformazione dell’aspetto esteriore dell’immobile, non ha inciso in termine di volumi e superfici e che si presenta, in astratto, compatibile con le categorie urbanistiche consentite nella zona territoriale di riferimento (cfr., sul punto TAR Campania Napoli, sez. VII, 22 febbraio 2012 n.885).

Così qualificato, tale intervento, da un lato, si sottrarrebbe al novero degli interventi edilizi assoggettati a permesso di costruire (secondo il regime desumibile dal compendio della normativa statale e di quella regionale) e, dall’altro, non potrebbe annoverarsi tra le attività edilizie libere alla luce della disciplina rinveniente dal D.P.R. n. 380 del 2001 (in particolare, art.6) e dalla L.R. n. 19 del 2003 (in particolare, art. 2): esso andrebbe ricondotto, in buona sostanza, alla fattispecie regolata dall’art.2, comma 1, lett. f) dell’appena richiamata legge regionale (n.19/2003) e, conseguentemente, assoggettato al regime della DIA ex art.22 D.P.R. n. 380 del 2001 (norma che ha riconosciuto alle Regioni la facoltà di prevedere altri interventi assoggettabili a DIA).

Tuttavia, nel caso di specie, il Comune di Pollena Trocchia ha sanzionato l’intervento edilizio in parola con la misura rispristinatoria (in luogo di quella pecuniaria, invocata da parte ricorrente laddove qualifica l’intervento de quo come attività edilizia, al più, soggetta a DIA), allegando la violazione dell’art.31 del D.P.R. n. 380 del 2001, della normativa antisismica e della disciplina posta a tutela del vincolo paesistico ambientale (D.Lgs. n. 42 del 2004): ciò significa che, secondo quanto correttamente ritenuto dall’Amministrazione intimata, l’abuso in contestazione va ricondotto ad una delle categorie contemplate dal richiamato art.31 del Testo unico sull’Edilizia ovvero “interventi eseguiti in assenza di permessi di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali” e, in particolare, tenuto conto delle caratteristiche dell’intervento (mutamento della destinazione d’uso con opere, da ufficio ad abitazione, a modifica delle destinazione dei locali mansarda contemplata nel permesso di costruire), come intervento eseguito in difformità dell’originario titolo edilizio comportante la realizzazione di un organismo diverso per caratteristiche di utilizzazione (cfr. art.31, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001: “sono interventi eseguiti in totale difformità del permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo diverso per caratteristiche tipologiche, pianovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso di costruire…”) e per il quale è prevista l’adozione della sanzione ripristinatoria (“rimozione o demolizione”). Nel caso di specie, ritiene il Collegio che l’intervento, eseguito in spregio della normativa antisismica statale e regionale (il provvedimento impugnato richiama espressamente la L. n. 64 del 1974 e la L.R. n. 9 del 1983 e, sul punto, parte ricorrente non ha offerto alcun elemento probatorio in contrasto) e della legislazione vincolistica (vi è altresì il richiamo al D.Lgs. n. 42 del 2004), vada qualificato come “variazione essenziale” ai sensi dell’art.32, comma 1 lett. f) e comma 3, D.P.R. n. 380 del 2011 (articolo contenente disposizioni integrative del precedente art.31); il citato comma 3 prevede infatti che “gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo……paesistico e ambientale…sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44”.

L’intervento di cui trattasi, pertanto, è senz’altro sanzionabile con la misura ripristinatoria irrogata.

Ciò posto, non può revocarsi in dubbio che alcuna efficacia abilitativa e legittimante poteva assegnarsi alla DIA presentata dalla società cooperativa dante causa del ricorrente nel dicembre 2003 e che sia rimasto intatto, nonostante il tempo trascorso, il potere sanzionatorio dell’Amministrazione (la quale ha, infatti agito, richiamando a presupposto una nota informativa redatta dalla Polizia Locale in data 19.03.2011 e acclarata al protocollo dell’ente in data 21.03.2011 al n.4996)

La difesa parte ricorrente, in ultimo, deduce l’inapplicabilità “ratione temporis” della L.R. n. 21 del 2003 recante “norme urbanistiche per i comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell’area vesuviana”, con la quale è stato posto il divieto di rilascio di titoli edilizi abilitanti la realizzazione di interventi finalizzati all’incremento dell’edilizia residenziale nelle zone interessate dal rischio vulcanico (cd. zona rossa, cfr. artt. 2 e 5).

Invero, tale normativa non è stata richiamata dal Comune di Pollena Trocchia a fondamento del provvedimento impugnato, ma ciò nonostante e in forza del principio espresso nel brocardo “jura novit curia”, il Tribunale non può non rilevare che nessuna prova è stata in concreto offerta da parte istante a dimostrazione del fatto che la destinazione abitativa sia stata impressa al cespite in epoca anteriore alla vigenza del divieto di incremento delle destinazioni residenziali nella zona rossa, anzi la DIA presentata dalla società dante causa del ricorrente (in data 19 dicembre 2003), più volte richiamata, è stata presentata nell’imminenza dell’entrata in vigore della L.R. n. 21 del 2003, di tal che, non avendo essa dispiegato alcuna efficacia abilitativa per le ragioni poco innanzi illustrate, le opere oggetto della stessa e finalizzate a rendere il cespite utilizzabile come abitazione sono state poste in essere concretamente, tenuto conto del termine dilatorio tra la presentazione della denuncia e l’inizio dei lavori, al più presto nel gennaio 2004, allorquando cioè quel divieto era già operante.

In proposito, questo Tribunale non può che ribadire quanto di recente affermato circa l’ambito applicativo del divieto di cui all’art.5 L.R. n. 21 del 2003: va escluso che “lo scopo vietato dall’art.5 possa essere raggiunto mediante la richiesta di un permesso di costruire riferito alla realizzazione di un deposito agricolo e la richiesta successiva, in corso d’opera, di una D.I.A. avente ad oggetto il cambio di destinazione d’uso da deposto agricolo a dimora rurale, comunque vietato ai sensi dell’art.6 della L.R. n. 21 del 2003” (T.A.R. Napoli, sez. III. 12 marzo 2012, n.1236).

In ultimo (terzo motivo) la presentazione dell’istanza ex art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 in data successiva a quella in cui è stato adottato il provvedimento di ripristino non influisce in alcun modo sulla legittimità ed efficacia di quest’ultimo non essendo rinvenibile nella norma in esame alcuna indicazione in tal senso.

In conclusione anche il ricorso iscritto al n. di R.G. 4131/2011 deve essere respinto.

2. Non essendosi costituita l’amministrazione resistente nulla va disposto in ordine alle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando, riunisce i ricorsi, come in epigrafe proposti, e li rigetta entrambi.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione