Commercio di autovetture d’importazione intracomunitaria: frode fiscale internazionale (Cass. pen. n. 19023/2013)

Redazione 02/05/13
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Ritenuto in fatto

1. – Con sentenza del 15 ottobre 2009, il Tribunale di Bergamo ha ritenuto gli imputati B. e M. responsabili dei reati loro ascritti e, in particolare: A) del reato di cui all’art. 416 cod. pen., perché, allo scopo di commettere frodi fiscali nel commercio di autovetture d’importazione intracomunitaria mediante l’interposizione apparente tra il venditore estero e l’acquirente italiano di un soggetto economico cui imputare obbligazioni tributarie destinate a essere inadempiute, promuovevano, costituivano e organizzavano un’associazione tra loro e insieme ad altri soggetti, nella quale il M. svolgeva le funzioni di acquirente nazionale e il B. di soggetto interposto; B) del reato di cui all’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto, quali legali rappresentanti (B. dal 17 novembre 2003 al 9 gennaio 2004 e M. dal 23 luglio 2001 al 17 novembre 2003), nonché amministratori di fatto (dal 23 luglio 2001 al 17 novembre 2003) della A.M.S. s.r.l., al fine di consentire ad altri di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, emettevano, nell’anno 2003, le fatture per operazioni inesistenti elencate nell’imputazione nei confronti della International Trading s.r.l.; C) del reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto, nella qualità indicata al capo precedente, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, al fine di evadere o consentire ad altri di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, occultavano e distruggevano parte considerevole delle scritture e documenti da conservare obbligatoriamente, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari; D) il solo B. , del reato di cui all’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, nella sua qualità di legale rappresentante dal 2 aprile 2004 al 1 luglio 2004, nonché di amministratore di fatto fino al 30 giugno 2005, della Effegi & **********, al fine di consentire a terzi di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emetteva e rilasciava nell’anno 2004 le fatture per operazioni inesistenti nei confronti dell’International Trading s.r.l. elencate nell’imputazione; E) il solo B. , per analoga condotta commessa nella veste di amministratore di fatto e legale rappresentante della M.N. Trading s.r.l., quanto a fatture per operazioni inesistenti emesse nell’anno 2004 nei confronti dell’International Trading s.r.l.; F) il solo B. , del reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale rappresentante e amministratore di fatto della Effegi & **********, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, al fine di evadere e consentire di evadere ad altri le imposte sui redditi, occultava o distruggeva parte considerevole delle scritture contabili da conservare obbligatoriamente; G) il solo B. , del reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, per analoga condotta di occultamento e distruzione, nella sua veste di legale rappresentante e amministratore di fatto della M.N. Trading s.r.l.; H) il solo M. , per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, in qualità di amministratore unico della International Trading s.r.l., in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, a fini di evasione fiscale, ometteva di presentare la dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi dell’anno 2004; I) il solo M. , per il reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto, in concorso con altro soggetto, in qualità di amministratore unico della International Trading s.r.l., al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava, nella dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto per l’anno 2003, elementi passivi fittizi, avvalendosi delle fatture per operazioni inesistenti elencate nell’imputazione ed emesse dalla A.M.S. s.r.l..
Il Tribunale, ha ritenuto: la qualificazione degli imputati come semplici partecipanti all’associazione a delinquere di cui al capo A; la recidiva semplice per B. e la recidiva ex art. 99, quarto e secondo comma, nn. 1), 2) e 3), cod. pen. per M. ; la concessione al solo B. delle attenuanti generiche equivalenti alla recidiva stessa; la continuazione, considerato più grave il reato di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000.
2. – Con la sentenza del 9 gennaio 2012, qui impugnata, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere a carico degli appellanti in ordine al reato di cui al capo B, nonché, nei confronti del solo B. , in ordine al reato di cui al capo E, per i fatti commessi fino all’11 aprile 2004, perché estinti per prescrizione; ha, inoltre, assolto M. del reato di cui al capo H, per non avere commesso il fatto; ha, per il resto, confermato la sentenza di primo grado, rideterminando conseguentemente le pene in diminuzione.
3. – Avverso la sentenza l’imputato B. ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
3.1. – Con un primo motivo di doglianza, il ricorrente lamenta l’erronea applicazione degli art. 157, comma 8, e 161, comma 4, cod. proc. pen., sul rilievo che il decreto che aveva disposto il giudizio davanti al Tribunale era stato notificato a mezzo posta al domicilio dichiarato dall’imputato, ma la notificazione non era andata a buon fine. Pur in presenza di una nuova tempestiva dichiarazione di domicilio, il decreto era stato allora notificato ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen. Un mese dopo l’udienza, l’imputato riceveva il decreto che dispone il giudizio in mani proprie.
Secondo la prospettazione difensiva, la notificazione al difensore ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen. non avrebbe dovuto essere eseguita, perché l’imputato non era irreperibile, ma aveva dichiarato alla cancelleria precedentemente il suo nuovo domicilio, producendo, insieme con tale dichiarazione, il certificato di residenza.
3.2. – Si deducono, in secondo luogo, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, perché non si sarebbe considerato che l’imputato era stato amministratore della società A.M.S. per un mese, della società Effegi per tre mesi, della società M.N. trading per un solo giorno, sempre alla fine della vita di dette società e prima del loro trasferimento all’estero. Tutto ciò avrebbe dovuto far ritenere che l’imputato si fosse occupato soltanto delle pratiche relative al trasferimento all’estero della società e che potesse, al più, essere chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000.
3.3. – Si lamenta, in terzo luogo, la mancata dichiarazione di prescrizione in relazione ai reati di cui ai diversi capi dell’imputazione. In particolare: il reato di cui al capo E sarebbe prescritto il 16 gennaio 2012; il reato di cui al capo D sarebbe prescritto il 3 settembre 2012; i reati di cui ai capi C, F e G sarebbero prescritti, rispettivamente, il 9 gennaio 2012, il 1 agosto 2012, il 9 gennaio 2012, in quanto avrebbero dovuto essere considerati commessi fino alla dichiarazione di cessazione dell’attività delle società e a loro trasferimento in (omissis), e cioè il 9 gennaio 2004 (capo C), il 15 novembre 2004 (capo F), il 16 marzo 2004 (capo G).
4. – Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, anche l’imputato M. .
4.1, – Si deduce, in primo luogo, la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla condanna per il reato di associazione a delinquere di cui al capo A. Si sostiene, in particolare, che sarebbe stato erroneamente considerato l’arco temporale delle condotte e si sarebbe erroneamente affermato che vi era una complessa struttura organizzativa, a fronte di società completamente prive di strutture aziendali. Non si sarebbe considerato, inoltre, che le società si erano succedute nel tempo nell’emettere le presunte fatture false a favore della International Trading: dapprima la A.M.S. (anno 2003) poi la M.N. ******* (gennaio-aprile 2004) e, infine, la Effegi (aprile-dicembre 2004). Né la rotazione nelle cariche degli imputati potrebbe essere considerata sintomatica dell’esistenza di un vincolo associativo, perché proprio l’intreccio societario dimostrerebbe la scarsa dimestichezza degli imputati stessi con questo tipo di reati.
4.2. – Con un secondo motivo di doglianza si denunciano la manifesta illogicità della motivazione e l’erronea interpretazione della norma incriminatrice, quanto al reato di cui al capo C. La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che la sentenza di primo grado aveva reputato di escludere la sussistenza di ruoli apicali in capo all’imputato in seno alla ritenuta associazione a delinquere. A fronte di ciò, sarebbe contraddittorio – secondo la difesa – ritenere che l’imputato possa aver rivestito un ruolo primario nella vicenda relativa al reato di cui al capo C. Né l’imputato avrebbe potuto essere ritenuto responsabile della conservazione delle scritture contabili, essendo stato amministratore della società A.M.S. per un breve periodo. In punto di diritto, non si sarebbe valutata l’impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o del volume degli affari, presupposto necessario per la sussistenza del reato.
4.3. – Con un terzo motivo di doglianza, si denunciano la manifesta illogicità della motivazione e l’erronea interpretazione della disposizione incriminatrice, quanto al capo I, relativo all’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale della International Trading s.r.l., della quale l’imputato era amministratore nello stesso periodo in cui era amministratore anche della a M.N., s.r.l.; società, quest’ultima, che avrebbe messo, secondo l’ipotesi accusatoria, le fatture per operazioni inesistenti. Rileva la difesa che la contemporanea presenza del medesimo soggetto sia quale amministratore della cartiera sia quale amministratore della società importatrice dimostrerebbe che egli non aveva intenzione di sgravarsi di oneri fiscali e responsabilità penale. Inoltre, la Corte d’appello non avrebbe puntualmente esaminato ogni singola fattura, ma si sarebbe limitata a indicare in sentenza solo alcune fatture per le quali ravvisava profili di fittizietà della transazione sottostante; con la conseguenza che si dovrebbero ritenere non fittizie le restanti fatture. Sarebbe, poi, erroneo considerare, come ha fatto la Corte territoriale, tra le fatture fittizie anche la n. 182, che era stata interamente stornata dalla nota di credito del 22 marzo 2003.
4.4. – Si rileva, in quarto luogo, l’erronea applicazione dell’art. 9 del d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione ai capi B e I contestati. Lamenta la difesa che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che la disposizione in questione esclude che l’emittente possa rispondere una seconda volta, a titolo di concorso, nel reato commesso dall’utilizzatore e che tale esclusione deve operare anche quando l’emittente e l’utilizzatore di fatture inesistenti coincidano. Per l’ipotesi in cui la Corte di cassazione dovesse ritenere condivisibile la prospettazione del giudice di merito, si eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 9 richiamato, per contrasto con l’articolo 3 della costituzione, dal momento che al soggetto che risulti essere sia emittente sia utilizzatore delle false fatture è riservato, ingiustificatamente, un trattamento più severo rispetto al soggetto che, rivolgendosi un terzo per l’emissione di fatture fittizie, ovvero offrendo a un terzo fatture per operazioni inesistenti, risponde alternativamente solo della condotta di annotazione o di quella di emissione.
4.5. – Con un quinto motivo di doglianza, si rileva la carenza della motivazione in relazione alla mancata concessione le circostanze attenuanti generiche, perché non si sarebbe considerata la natura dei precedenti penali e la loro lontananza nel tempo.

Considerato in diritto

5. – Il ricorso di B.L.E. è parzialmente fondato, quanto alla prescrizione, dei reati di cui ai capi B, C, D, E dell’imputazione.
5.1. – Con un primo motivo di ricorso si sostiene, in sostanza, che non essendo andata a buon fine la notificazione del decreto che dispone il giudizio davanti al Tribunale presso il domicilio dichiarato dall’imputato, questa avrebbe dovuto essere ripetuta con la procedura di cui all’art. 157, comma 8, cod. proc. pen. e non avrebbe potuto essere effettuata – come invece è avvenuto – presso il difensore ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen..
Il motivo è infondato.
Come chiarito da questa Corte (sez. un. 28 aprile 2011, n. 28451, Rv. 250120; sez. 4, 4 ottobre 2012, n. 47052; sez. 2, 16 ottobre 2012, n. 45781; sez. 2, 17 ottobre 2012, n. 45789), il sistema delineato dagli artt. 161, 162, 163 e 164 cod. proc. pen. per le notificazioni da eseguirsi presso il domicilio dichiarato o eletto, ovvero mediante consegna dell’atto al domiciliatario, rappresenta un complesso di disposizioni esaustivo, che si pone come alternativa rispetto a quello previsto dall’art. 157 cod. proc. pen. per la prima notificazioni all’imputato non detenuto; sistema che non può essere integrato con l’applicazione di ipotesi con esso incompatibili. Detto sistema è fondato essenzialmente sul dovere dell’imputato, che ne sia stato adeguatamente adotto, di dichiarare o eleggere un domicilio idoneo e di comunicare all’autorità giudiziaria ogni successiva variazione del domicilio stesso; con la conseguenza che il richiamo dell’art. 163 all’art. 157 per le notificazioni eseguite nel domicilio dichiarato o eletto deve essere ritenuto limitato alla individuazione dei soggetti potenziali consegnatari dell’atto e non, invece, riferito al luogo o alle modalità della notificazione. Il sistema in questione, dunque, non richiama l’art. 157, comma 8, cod. proc. pen., il quale si riferisce solamente al verificarsi delle situazioni ipotizzate dal comma 7 del medesimo articolo. Pertanto, nell’ipotesi in cui la notificazione presso il domicilio dichiarato o eletto risulti impossibile per una delle cause previste dall’art. 157, comma 7, cod. proc. pen., la notificazione deve essere eseguita non ai sensi dell’art. 157, comma 8, cod. proc. pen., ma ai sensi dell’art. 161, comma 4, dello stesso codice.
Questo è ciò che è avvenuto nel caso di specie, in cui, constatata l’impossibilità di effettuare la notificazione nel domicilio dichiarato, correttamente non si è proceduto a depositare l’atto nella casa comunale né agli ulteriori adempimenti di cui all’art. 157, comma 8, ma si è proceduto, invece, alla notificazione mediante consegna al difensore, ai sensi dell’art. 161, comma 4, secondo il quale si procede in tal modo quando – come nel caso di specie – la dichiarazione di domicilio è insufficiente o inidonea.
5.2. – Inammissibile, per genericità, è il secondo motivo di ricorso. Con esso, l’imputato si limita, infatti, ad asserire, senza formulare puntuali critiche alla motivazione della sentenza impugnata, che, essendo stato amministratore delle società indicate nel capo di imputazione solo per brevi periodi, non avrebbe potuto commettere i reati contestati.
Così facendo, il ricorrente, mostra di non tenere conto della puntuale e circostanziata motivazione delle sentenze di primo e secondo grado sul punto, dalle quali emerge che egli era stato delegato a operare sui conti correnti della società Effegi, effettuando proprio le operazioni oggetto di contestazione, ed aveva analogamente agito per le società e M.N. e ****** (v., in particolare, le pagine 21 e 22 della sentenza d’appello).
5.3. – Fondato è, invece, con riferimento ai soli reati di cui ai capi B, C, D, E dell’imputazione, l’ultimo motivo di ricorso con cui si eccepisce l’estinzione degli stessi per prescrizione. Tenuto conto dei 2 mesi e 29 giorni di sospensione della prescrizione maturati e tenuto conto che il termine prescrizionale complessivo è di 7 anni e 6 mesi, trattandosi di soggetto gravato da recidiva semplice, devono ritenersi prescritti, alla data odierna, sulla base di quanto emerge dal capo di imputazione, i fatti commessi precedentemente al 22 marzo 2005 e, dunque: quelli di cui al capo B, riferito a fatture per operazioni inesistenti emesse nel 2003; quelli di cui al capo C, riferito all’occultamento e distruzione di scritture contabili fino al 2004; quelli di cui al capo D, riferito all’emissione di fatture per operazioni inesistenti nell’anno 2004; quelli di cui al capo E, anch’essi riferiti a fatture per operazioni inesistenti nell’anno 2004.
6. – Il ricorso di M. è infondato e deve essere rigettato.
6.1. – Il primo motivo di ricorso, riferito alla motivazione della sentenza impugnata circa la sussistenza del reato di associazione a delinquere di cui al capo A dell’imputazione è genericamente formulato e, comunque, manifestamente infondato.
Il ricorrente non deduce, in particolare, elementi sufficientemente specifici diretti a contrastare la determinazione dell’arco temporale delle condotte contenuta nelle sentenze di primo grado e d’appello, limitandosi a una mera asserzione secondo cui tale arco temporale sarebbe stato breve.
Deve, peraltro, rilevarsi che la sentenza impugnata, che si pone in sostanziale continuità con quella di primo grado, ha accertato che sussisteva un vincolo associativo continuativo fra gli imputati, finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di delitti fiscali, con la predisposizione comune dei mezzi occorrenti per la realizzazione del programma delinquenziale e con la permanente consapevolezza da parte di ciascuno di far parte del sodalizio criminoso e la correlata disponibilità ad operare per l’attuazione del programma. E ciò, sulla base di una serie di elementi correttamente ritenuti univoci e concordanti, quali: l’intervento di diverse società interposte, che facevano tutte capo ai coimputati; l’acquisto di società che originariamente operavano in settori merceologici diversi, in modo da incrementare il giro d’affari, evitando che l’attività potesse essere formalmente ricondotta ad un unico soggetto; la rotazione nelle cariche tra i coimputati.
Quanto, poi, all’affermazione difensiva secondo cui mancherebbe una sufficiente organizzazione dell’associazione perché le società utilizzate erano prive di vere e proprie strutture, è sufficiente rilevare che la mancanza di struttura organizzativa in capo alle società nulla può avere a che vedere, neanche in linea teorica, con l’organizzazione diretta alla commissione dei reati. Quest’ultima organizzazione, infatti, prescinde dalla struttura delle società perché consiste – come correttamente ricordato dalla Corte d’appello – nell’insieme degli strumenti utilizzati dagli imputati, tra cui la falsa fatturazione e la creazione o la modificazione di compagini sociali, nonché la rotazione delle cariche sociali, che dimostrano inequivocabilmente la stabilità del vincolo e dell’intento criminale.
6.2. – Quanto alla motivazione circa la sussistenza del reato di cui al capo C -oggetto di contestazione con il secondo motivo di ricorso – deve rilevarsi che la stessa risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove esclude in radice che possano avere rilevanza, da un lato, la formale insussistenza di ruoli apicali in capo all’imputato nell’ambito dell’associazione a delinquere, dall’altro, il fatto che l’imputato sia stato amministratore della società per un breve periodo.
Su entrambi tali profili, la Corte d’appello rileva, infatti, che la funzione di controllo dell’imputato sulla società ****** emerge dal fatto che questo era delegato a operare sui conti anche in presenza del nuovo amministratore; elemento da cui si desume che egli aveva di fatto mantenuto il controllo della società.
Quanto, poi, alla circostanza se l’occultamento o la distruzione delle scritture contabili abbiano effettivamente reso gravosa la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari della società, la sentenza impugnata risulta, del pari, adeguatamente motivata, perché evidenzia che una parziale ricostruzione è stata possibile solo grazie al rinvenimento aliunde delle fatture di acquisto dagli operatori esteri e alla minuziosa analisi della documentazione bancaria.
Ne deriva l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.
6.3. – La terza doglianza – con cui si denunciano la manifesta illogicità della motivazione e l’erronea interpretazione della disposizione incriminatrice, quanto al capo I, relativo all’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale della International Trading Srl, della quale l’imputato era amministratore nello stesso periodo in cui era amministratore anche della A.M.S. s.r.l., che avrebbe emesso le fatture per operazioni inesistenti – è anch’essa infondata.
La circostanza che l’imputato fosse contemporaneamente amministratore della società “cartiera” e della società acquirente non esclude, infatti – come ampiamente evidenziato nella sentenza impugnata – che questo abbia svolto un’attività chiaramente finalizzata a impedire o rendere particolarmente difficile la ricostruzione delle operazioni di importazione, anche attraverso l’occultamento e la distruzione della documentazione della società ******, allo scopo di ostacolare l’accertamento della fittizietà degli elementi passivi indicati nella dichiarazione annuale della International Trading s.r.l. Dalla stessa sentenza emerge, del resto, con chiarezza che gli imputati avevano un programma criminoso che si basava in larga parte su un meccanismo di rotazione delle cariche sociali e, al contempo, sulla partecipazione di ciascuno, nei diversi ruoli di volta in volta assunti, alla commissione dei reati-scopo.
Quanto, poi, all’argomento difensivo secondo cui sarebbe erroneo considerare, come ha fatto la Corte territoriale, tra le fatture fittizie anche la n. 182, che era stata interamente stornata con nota di credito, deve rilevarsi che questo non può essere preso in considerazione in questa sede, in mancanza di una adeguata prospettazione circa la sua decisività, essendo riferito ad una sola tra le molte fatture oggetto di contestazione. Del tutto generico risulta, poi – a fronte dell’analitica motivazione della sentenza di primo grado sul punto, con la quale quella della sentenza di primo grado
si pone in totale continuità – il rilievo secondo cui la Corte d’appello non avrebbe preso in considerazione le single fatture.
6.4. – Infondato è il quarto motivo di ricorso, con cui si deduce l’erronea applicazione dell’art. 9 del d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione ai capi B e I contestati. Lamenta, in particolare, la difesa che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che la disposizione in questione esclude che l’emittente possa rispondere una seconda volta a titolo di concorso nel reato commesso dall’utilizzatore e che tale esclusione deve operare anche quando l’emittente e l’utilizzatore di fatture inesistenti coincidono, come nel caso di specie.
Deve rilevarsi, sul punto, che nel presente procedimento si verte nell’ipotesi di un soggetto che, da un lato, ha direttamente prodotto le fatture false, quale legale rappresentante della società ****** s.r.l., e, dall’altro, ha direttamente indicato nella dichiarazione annuale della International Trading s.r.l. tali fatture quali elementi passivi fittizi. L’ipotesi in esame è, dunque, differente da quelle del concorso, la cui configurabilità è esclusa dall’art. 9 del d.lgs. n. 74 del 2000. La ratio del richiamato articolo 9 è, infatti, quella di evitare che l’emittente di una fattura per operazioni inesistenti possa essere punito a titolo di concorso nell’utilizzazione di detta fattura e, corrispondentemente, che l’utilizzatore della fatture per operazioni inesistenti possa essere punito a titolo di concorso nell’emissione di detta fattura. L’esclusione posta dalla norma fa salva, invece, l’ipotesi in cui uno stesso soggetto direttamente provveda a emettere fatture false e, sempre direttamente, utilizzi tali fatture false ai fini dell’indicazione nella dichiarazione annuale di elementi passivi fittizi. Diversamente opinando, del resto, si genererebbe l’inconveniente di dover determinare quale dei due reati – la dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 o l’emissione di fatture false di cui all’art. 8 – debba essere punito e quale, invece, debba essere ritenuto non punibile. Non è un caso, infatti, che manchi, nel sistema sanzionatorio del d.lgs. n. 74 del 2001, una disposizione che indirizzi su come effettuare una tale scelta, essendo, anzi, tale mancanza un’ulteriore conferma dell’impossibilità di ricomprendere nella deroga stabilita dall’art. 9 al principio di cui all’art. 110 cod. pen. fattispecie diverse da quella del concorso di persone.
Né tale interpretazione può essere considerata – come ritiene invece il ricorrente – contraria al principio costituzionale di ragionevolezza, perché è evidente il maggiore disvalore della condotta di chi contemporaneamente sia emittente (ad esempio quale legale rappresentante della società) di fatture false ed utilizzatore (ad esempio quale legale rappresentante di una diversa società) di tali fatture rispetto alla condotta di chi non svolga direttamente entrambe tali operazioni, ma si avvalga della collaborazione di un terzo, con il quale concorra, per lo svolgimento di una delle due.
La questione di legittimità costituzionale proposta dal ricorrente sul punto deve, dunque, essere ritenuta manifestamente infondata.
6.5. – Infondato è anche il quinto motivo di doglianza, con cui si rileva la carenza della motivazione in relazione alla mancata concessione le circostanze attenuanti generiche, perché non si sarebbe considerata la natura dei precedenti penali e la loro lontananza nel tempo.
Deve, infatti, ritenersi adeguata la motivazione della sentenza sul punto, laddove – in coerenza con quanto già affermato nella pronuncia di primo grado – esclude la concedibilità di dette circostanze, per la presenza di precedenti penali ostativi, ampiamente evidenziati dalla sussistenza della recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale.
7. – La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata, limitatamente ai reati di cui ai capi B, C, D, E, dell’imputazione contestati a B.L.E., per essere gli stessi estinti per prescrizione, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia per la rideterminazione della pena per B.L.E. . In tale sede la stessa Corte d’appello verificherà, ovviamente, l’eventuale maturazione della prescrizione di altre fattispecie. Il ricorso di B. deve essere, nel resto, rigettato. Deve essere rigettato il ricorso di M.A., con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi B, C, D, E dell’imputazione contestati a B.L.E., per essere gli stessi estinti per prescrizione, e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia per la rideterminazione della pena per B.L.E. . Rigetta nel resto il ricorso di B. . Rigetta il ricorso di M.A. , che condanna al pagamento delle spese processuali.

Redazione