Amministratori locali, è di chiusura la norma del Tuel che disciplina le cause ostative alla candidatura (Cons. Stato n. 2485/2012)

Redazione 28/04/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che:

– il presente giudizio trae origine dall’impugnazione del provvedimento deliberato dalla Sottocommissione Elettorale Circondariale del Comune di Martina Franca di cui al verbale n. 39 del 17.4.2012, notificato in pari data, con il quale il sig. M. P. è stato escluso dalla candidatura alla carica di consigliere comunale per la lista dell’U.D.C. per essere lo stesso incorso nella causa di incompatibilità di cui all’art.58,primo comma lett. c), del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, in relazione alla condanna riportata, per effetto di sentenza definitiva, alla pena della reclusione di un anno e 10 mesi per i reati, integrati in concorso con altri e unificati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cp., di tentata truffa aggravata,falso ideologico commesso da privati in atto pubblico, abuso d’ufficio;

– con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno respinto il ricorso proposto avverso detta esclusione dai ricorrenti in epigrafe specificati, pervenendo alla conclusione dell’integrazione, per effetto della citata sentenza di condanna, della fattispecie di cui all’art. 58, primo comma, lett. c), del D.Lgs. n. 267 del 2000, norma a tenore della quale non possono essere candidati alle elezioni comunali “coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati nella lettera b)”;

Ritenuto che sul tema della giurisdizione si è formato un giudicato implicito che impedisce la delibazione di questo Consiglio alla stregua della regola dettata dall’art. 9 del codice del processo amministrativo;

Ritenuto che l’appello in epigrafe non è meritevole di accoglimento alla stregua delle seguenti considerazioni:

-non è fondata la censura volta a dedurre l’estraneità, rispetto all’ambito della contestazione contenuta nella comunicazione di avvio del procedimento, della fattispecie di reato di tentata truffa aggravata presa in esame nel provvedimento finale, in quanto, da un lato, il soggetto ha avuto modo di difendersi compiutamente nel corso della procedura anche con riguardo alla rilevanza di detta ultima condotta delittuosa e, in ogni caso, alla stregua della regola di cui all’art. 21 octies, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241, la determinazione negativa costituisce determinazione vincolata sorretta, in modo autonomo, ai fini dell’integrazione della fattispecie legale, dal richiamo alla condanna per gli altri due reati menzionati nella suddetta comunicazione;

– sono altresì infondate le censure di carattere sostanziale volte a contestare la qualificazione, come fattispecie ostative, dei reati di falso ideologico e tentata truffa in ragione dell’insussistenza del presupposto della commissione delle condotte in esame con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio;

– secondo il condivisibile orientamento ermeneutico assunto dalla Corte di legittimità (Cass. Civ. Sez. I, 27 luglio 2002, n. 11140 e 14 febbraio 2004, n. 2896), l’ art. 58, comma 1, lett. c), D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 contiene una norma di chiusura, volta ad includere nell’area della norma inabilitante, aperta e residuale, tutti i comportamenti non specificamente previsti, ma ugualmente lesivi dell’interesse protetto, con la conseguenza che la predetta causa ostativa impedisce l’assunzione di pubblici uffici elettivi da parte di soggetti che a qualsiasi titolo siano rimasti implicati, con una condotta penalmente rilevante, nella commissione di illeciti penali commessi con abuso di poteri e violazione di doveri inerenti ad una pubblica funzione e ad un pubblico servizio;

-in caso di unificazione dei reati nel vincolo della continuazione, l’unicità del disegno criminoso che avvince le singole condotte ai sensi del capoverso dell’art. 81 del codice penale impedisce una valutazione atomistica delle singole fattispecie criminose e mette in luce il collegamento di tutti i comportamenti criminosi con l’abuso di poteri e la violazione dei doveri che connotano, alla stregua di elemento costitutivo, l’integrazione del reato proprio di abuso d’ufficio;

-detta connessione è sancita con nettezza dalla sentenza penale di condanna nel passaggio (pagina 46) che, a giustificazione dell’applicazione per il reato base di una pena superiore al minimo edittale, evidenzia la “strumentalizzazione a fini del tutto personali e privatistici di una delicata funzione (implicante apprezzabili ricadute sociali) quale quella svolta presso l’ufficio di collocamento, con correlativo e non trascurabile danno di altri lavoratori onesti”;

– con riferimento al più grave reato di tentata truffa aggravata la sentenza penale di condanna mette in luce la stretta connessione delle condotte contestate con la qualità di pubblico ufficiale abusata dal ricorrente mediante il compimento di atti tipici e dovuti dell’ufficio cui lo stesso era addetto, quali la ricezione delle domande, la loro protocollazione e la successiva trasmissione all’INPS in una con la sottoscrizione del certificato di disoccupazione;

-Reputato, in definitiva, che, alla luce della connessione di tutte le condotte di reato unitariamente intese all’esercizio deviato della funzione pubblica, l’appello merita reiezione e che le spese debbono seguire la regola della soccombenza nella misura in dispositivo specificata;

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio che liquida nella misura complessiva di Euro 4.0000/00 (quattromila//00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione