Sanzioni amministrative: non è applicabile la legge 241 del 1990.

Corea Nicola 06/07/06
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LA MASSIMA
Non è applicabile ai procedimenti di irrogazione di sanzioni amministrative – siano esse in materia di circolazione stradale o meno – il termine per la conclusione del procedimento previsto dall’art. 2 della legge sul procedimento amministrativo (legge n. 241 del 1990), sicché l’emissione del provvedimento sanzionatorio oltre detto termne non ne determina automaticamente l’invalidità.
 
Con la sentenza 9591 del 27 Aprile 2006 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, risolvendo un forte contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che “il termine stabilito dall’art. 2 comma 3 della legge 7 Agosto 1990, n. 241, non è applicabile nei procedimenti di irrogazione di sanzioni amministrative”.
Il caso. La Direzione provinciale del lavoro di Ascoli Piceno, con ordinanza del 28 dicembre 1999, irrogava una sanzione pecuniaria a carico di una società in accomandita semplice per la violazione della normativa in materia di tutela del lavoro dipendente. La società sanzionata proponeva opposizione alla citata ordinanza ingiunzione adendo il Tribunale di Ascoli Piceno e sottolineando che il provvedimento sanzionatorio violava l’art. 2 comma 3 della legge 7 Agosto 1990, n. 241 in quanto lo stesso era stato emesso “a distanza di oltre trenta giorni dalla presentazione all’autorità amministrativa di scritti difensivi relativi alle infrazioni contestate”. Il Tribunale di Ascoli Piceno accoglieva il ricorso ritenendo legittime le obiezioni della società sanzionata riguardo alla violazione del termine per la conclusione del procedimento di cui alla citata legge 241 del 1990. La Direzione provinciale del lavoro di Ascoli Piceno proponeva ricorso per Cassazione.
La normativa coinvolta. La sentenza in commento analizza i rapporti fra due importanti leggi del nostro ordinamento. Si tratta della legge 7 agosto 1990 n. 241 recante “Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” e la legge 24 novembre 1981 n. 689 recante “Disciplina generale dell’illecito amministrativamente sanzionato”. La prima prevede regole generali valide per tutti i procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali. Non pretende di codificare compiutamente la struttura ed il funzionamento del procedimento amministrativo, limitandosi a dettare, coerentemente con l’art. 97 della Costituzione, alcune regole generali basate sul principio del giusto procedimento. Taglia trasversalmente ogni ambito dell’attività amministrativa e permette a leggi di settore di derogare alle sue prescrizioni in armonia con il principio lex specialis derogat generali. Da segnalare che l’art. 2 comma 3 della legge 241, nella sua originaria versione prevedeva un termine di conclusione del procedimento pari a soli trenta giorni permettendo, tuttavia, a ciascuna amministrazione la determinazione di un termine più lungo. A seguito della novella operata dall’art. 3 della legge 80 del 2005 di conversione del decreto legge 35 del 2005, il nuovo articolo 2 dispone che il termine per la conclusione del procedimento amministrativo, ove non sia previsto dalla legge, viene determinato non più dalle singole amministrazioni, ma dal Governo, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro della Funzione pubblica, a mezzo di regolamenti adottati ai sensi dell’art. 17 della legge 400 del 1988. In caso di mancata emanazione dei regolamenti, il termine sussidiario non è più di trenta giorni, ma di novanta.
La legge 689 del 1981, invece, regola l’illecito amministrativo e l’applicazione delle relative sanzioni. Si ispira a principi di derivazione penalistica e suddivide il procedimento per l’applicazione della sanzione in diverse fasi prevedendo, tra l’altro, una rigida sequenza cronologica che ha l’obiettivo di garantire gli interessi dell’incolpato, in modo da evitare l’applicazione di termini troppo brevi da parte dell’amministrazione.
Il contrasto giurisprudenziale. In materia di applicabilità della legge 241 del 1990 ai procedimenti per l’applicazione di sanzioni amministrative, la giurisprudenza si è pronunciata ripetutamente proponendo soluzioni contraddittorie. L’evidente contrasto ha reso necessaria l’assegnazione della causa alle Sezioni Unite che, come vedremo, hanno composto lo stesso. La giurisprudenza maggioritaria si è generalmente espressa nel senso dell’inconciliabilità della legge 241 del 1990 con i procedimenti relativi all’applicazione delle sanzioni amministrative, giacchè la materia è specificatamente disciplinata dalla legge 24 novembre 1981, n. 689 (in questo senso, tra le pronunce più recenti, si segnalano Cass. 16 aprile 2003 n. 9680, Cass. 11 luglio 2003 n. 10920, Cass. 22 novembre 2003 n. 17779, Cass. 22 dicembre 2003 n. 19617, Cass. 29 gennaio 2004 n. 874, Cass. 30 marzo 2004 n. 6337, Cass. 6 aprile 2004 n. 6762, Cass. 6 aprile 2004 n. 6769, Cass. 10 novembre 2004 n. 21406, Cass. 28 dicembre 2004 n. 24053, Cass. 26 agosto 2005 n. 17386). Altro orientamento, invero minoritario, suggerisce una soluzione che si pone agli antipodi di quella precedentemente segnalata, affermando che l’art. 2 comma 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 è, senza dubbio, applicabile ai procedimenti relativi a sanzioni amministrative giusto il carattere generale della citata disciplina legislativa, che come tale si riferisce indistintamente a tutti i procedimenti amministrativi compresi quelli sanzionatori (vedi Cass. 15 giugno 1999 n. 5936, Cass. 21 marzo 2001 n. 4042, Cass. 4 settembre 2001 n. 11390, Cass. 23 luglio 2003 n. 11434, Cass. 6 marzo 2004 n. 4616).
La soluzione delle Sezioni Unite. Il collegio aderisce all’indirizzo giurisprudenziale maggioritario ritenendo, che è erronea la decisione del Tribunale di Ascoli Piceno nel punto in cui ha considerato applicabile anche all’emissione delle ordinanze ingiunzione che irrogano sanzioni amministrative, il termine stabilito dall’art. 2 comma 3 della legge 241 del 1990. Pur confermando la natura universale della legge 241 che ha regolamentato i procedimenti amministrativi, le Sezioni Unite sottolineano che, per il principio di specialità, la legge 689 del 1981 prevale sulla legge 241 del 1990 poiché detta una disciplina specifica delle sanzioni amministrative e del relativo procedimento prevedendo, peraltro, una peculiare scansione cronologica del procedimento sanzionatorio e delle sue diverse fasi. Stante l’esistenza di una disciplina normativa peculiare, è giustificata la mancata applicazione della legge 241 del 1990 pur essendo questa temporalmente più recente della legge 689 del 1981. Le norme previste dalla legge 689 danno vita ad un sistema organico e completo che non necessita di eterointegrazioni. Questa eventualità è stata, infatti, esclusa anche riguardo ad altre norme della legge 241 come quelle previste in tema di partecipazione al procedimento e quelle relative al diritto di accesso ai documenti (vedi Cass. 27 novembre 2003 n. 18114, Cass. 15 dicembre 2005 n. 27681). In particolare l’art. 2 comma 3 della legge 241 del 1990 come modificato dall’art. 36 bis del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con legge 14 maggio 2005, n. 80, è incompatibile con il procedimento di carattere contenzioso previsto dalla legge 689 del 1981. La segnalata inconciliabilità non può essere aggirata applicando il termine di cui alla legge 241 alle singole fasi in cui è suddiviso il procedimento sanzionatorio oggetto di analisi. Operando secondo questa direttrice si determinerebbe una illegittima manipolazione dell’art. 2 comma 3 della legge 241 del 1990, che considera il procedimento amministrativo unitariamente e prevede che il termine per la sua conclusione inizia il suo decorso non dall’esaurimento di ogni singola fase che lo compone, ma dall’inizio d’ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda se il procedimento è ad iniziativa di parte.
Inoltre, la mancata osservanza del termine di cui all’art. 2 comma 3 della legge 241 del 1990, non determina l’invalidità del provvedimento emesso tardivamente, in quanto anche dopo la scadenza non viene a mancare il potere-dovere della P.A. di attivarsi per il soddisfacimento degli interessi pubblici che gli sono affidati dalla legge. In questo senso si pronuncia la giurisprudenza amministrativa maggioritaria (CdS sez. V 3 giugno 1999 n. 621, CdS sez. V 19 settembre 2000 n. 4844, CdS sez. VI 13 maggio 2003 n. 2533, CdS sez. IV 10 giugno 2004 n. 3741, contra CdS sez. VI 19 dicembre 1997 n. 1869). E’ questo uno dei punti deboli più evidente della decisione del Tribunale di Ascoli Piceno, in quanto, anche accogliendo la tesi minoritaria che vuole l’applicazione dell’art. 2 comma 3 della legge 241/90 ai procedimenti disciplinati dalla legge 689/81, il mancato rispetto del termine non avrebbe comunque prodotto l’annullamento dell’ordinanza-ingiunzione. Va da sé che rimane salva la necessità che la pretesa sanzionatoria venga esercitata entro il termine di prescrizione di cinque anni dalla commessa violazione ai sensi dell’art. 28 della legge 689 del 1981. Tale termine non ha natura procedimentale, ma sostanziale per cui il suo inutile decorso genera l’estinzione del diritto alla riscossione.
 
Avv. Nicola Corea

Corea Nicola

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