Ruolo del conciliatore nelle Alternative dispute resolution

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Ruolo del Conciliatore nelle Alternative Dispute Resolutions

La conciliazione quale espressione di un nuovo percorso politico di giustizia, nel secolo della globalizzazione, impone una attenta analisi sul modo di porgersi nel suo momento pratico ed esattamente di pervenire ad una espressione di garanzia ,confidenzialità  e riservatezza unitamente a quella di un miglioramento sociale .

Permettere il mantenimento di relazioni tra le parti e confluire in un risultato non imposto ma condiviso appare una splendida occasione nel panorama della inutile litigiosità dilagante ed per questo che il sereno avverarsi di una seduta di conciliazione apre al conciliatore la possibilità di fare transitare la comunicazione del “entrambi abbiamo ragione”.

In una disancorante e progressiva destrutturazione del welfare focalizzato sulla prevalenza della tutela pubblica è in atto una diversa armonizzazione dei diritti, che non sono più legati solo a principi assolutamente astratti e universali ma a mere esigenze del cittadino nella pienezza del suo essere, quale espressione di un bisogno crescente di benessere.

L’esser umano ha perduto gran parte dei referenti tradizionali di solidarietà collettiva(2) e tende a riappropriarsi dei meccanismi di trasmissione dei bisogni nell’agone istituzionale dei diritti, allargando il ventaglio dei loro contenuti. Ciò in grande rappresentazione che è in atto una forte frammentazione dei diritti che non si presentano più come rivendicazione di valori generali, potremmo dire di origine costituzionale, ma che assumono caratteristiche più determinate, collegate alle condizione di vita di ciascuno(3).

In ciò nasce la necessità della funzione del conciliatore che già in prima battuta dovrà impregnarsi di grande responsabilità.

A seguire della richiesta e della risposta positiva delle parti ad una seduta di conciliazione si diparte lo svolgersi di un percorso di reciprocità a tre o più parti dove nella fase preliminare il conciliatore “profuso di anima quieta” imbastisce una prima comunicazione concordando gli aspetti temporali e logistici nonché economici – seppur quest’ultimi in genere conosciuti – del percorso conciliativo.

Tale fase è fondamentale nella costruzione di un percorso teso a dimostrare la distanza del conciliatore dalle parti unitamente alla sua equa vicinanza ad una soluzione ottimale alle stesse. In essa fase è necessario fare comprendere la neutralità del luogo puntando ad una armonizzazione temporale che permetta di imprimere una pressione psicologica legata allo scadere del tempo per le parti.

Il tempo è importante in una conciliazione essendo esso spesso utilizzato quale espressione di forza “ contrattuale ” da patte di chi subisce l’azione(4) . Nel suo dilungarsi ,tra laltro, si annoverano spesso inutili rappresentazioni “teatrali” delle parti nocive all’accordo che tendono ad una disgregazione della possibilità conciliativa.

In essa prima fase vi è incontro congiunto tra tutti i partecipanti, ossia le parti, i rispettivi eventuali consulenti ed il conciliatore, ove il conciliatore dovrà già in questa fase realizzare la cosiddetta shuttle diplomacy con inviti personali ad ogni parte singolarmente atti all’abbandono della mera litigiosità raccomandando ad ognuno uno spirito scevro da rancori e permettendo ai consulenti il massimo intervento(5).

In tale fase le parole del conciliatore diverranno imperanti nel tentativo di familiarizzare con ognuno definendo con assoluta linearità la impossibilità da parte dello stesso di prendere una decisione vincolante(6).

Tale ultima indicazione impone subito un parallelismo con l’elemento processuale della tentata conciliazione in fase processuale ove certo il giudice non potrà mai affermare la impossibilità dello stesso di potere prendere una decisione vincolante.

Invero l’art. 183 c.p.c. dispone che il G.I. “quando la natura della causa lo consente, tenta la conciliazione”.

Il tentativo di conciliazione è doveroso per il Giudice,pur se non è prescritto né a pena di nullità né a pena d’improcedibilità (Cass. 6-11-96 n.9646; 21-10-95 n. 10958)(7).

E’ quindi il Giudice a dovere promuovere la conciliazione svolgendo nella stessa un ruolo attivo, significando ciò il formulare varie proposte di accordo, pian piano avvicinando le posizioni delle parti ed adeguando progressivamente le proposte stesse, senza giungere ad alterare l’utilità della conciliazione.

In questo caso la tecnica conciliativa è diversa. Invero il giudice dovrà puntare essenzialmente sulla utilità e l’equilibrio della prospettata soluzione conciliativa in termini di celerità, minori costi, realizzazione immediata del diritto pur se in parte sacrificato rispetto a quello vantato.

La conciliazione dovrà comunque essere tentata dal Giudice previa approfondita conoscenza degli atti di causa, al fine di evitare la solita soluzione al 50%, che è inappagante per le parti e dannosa per le stesse (cultura della conciliazione e non del compromesso).

Tornando comunque al conciliatore esso deve condurre le parti attraverso un “percorso”psicologico di cui deve mantenere il controllo e del quale deve gestire le fasi: si dovrà  ausiliare ogni parte a visionare il problema nella sua essenza, disancorato dalla persona, a manifestare il proprio pensiero, dando libero sfogo anche alle emozioni – private della teatralità -, a considerare la possibilità  di avere ragione in un contenzioso processuale, ma anche a giungere al punto di considerare la controversia non risolvibile e valorizzare in modo estremistico le conseguenze peggiori che potranno derivare da un procedimento giudiziale, portarla a definire in modo realistico le sue richieste, a proporre soluzioni diverse da quelle eventualmente indicate dalle stesse parti (8).

Si dovranno valutare elementi e soluzioni nuove prospettando positività dell’accordo e rinascita di visioni relazionali utili alle parti.

La disamina della contrapposizione tra individui , la categoria amico-nemico, nelle sue infinite variazioni, categoria portante delle culture del passato ha conosciuto scambi profondi, mantenendo, alle volte di più alle volte di meno, la dinamica dell’antagonismo.
La repulsione alla cultura del “nemico” percepito come minaccia dovrà sempre più sfociare alla cultura dell’amico percepito come possibile ausilio nella vita.

La dinamica conflittuale che ha la sua remota radice nel sentimento di repulsione dell’altro nell’età moderna si è consolidata dando luogo al fenomeno dell’io ho ragione su tutto e tutti. Ogni individuo costruisce il senso di sé nello stretto nucleo cui appartiene e lo esprime nella repulsione dell’altro che appare come una minaccia(9).

La spinta oscura che il conciliatore deve combattere è la ripulsa dell’altro è, in tutti i casi, la paura della perdita della propria sicurezza quale portatore di diritti certi rispetto agli altri
Il conciliatore dovrà indicare il percorso di integrazione, assimilazione e vita sociale in modo assolutistico ed indefettibile al raggiungimento di una piena armonia.
Dovrà far comprendere che il riconoscimento dell’uguale dignità si fa punto di appoggio per l’eliminazione della diversità nel vedere i propri diritti. Comunicare quindi come già detto è necessario da parte del conciliatore ascoltando e educando ad un percorso di pace e concordia. Guadagnati gli estremi concettuali dell’educazione che comunica e della comunicazione in ascolto, non è difficile chiudere il cerchio proponendo la sintesi di un ascolto che, riscoprendosi atto comunicativo nel suo stesso carattere di incondizionata apertura, si vede esso stesso investito di dignità e di responsabilità sociale . Il Conciliatore dovrà quindi comunicare con fermezza che l’educazione alla vita in comune nel rispetto dell’altrui diritto deve svelare le prerogative di quell’ascolto che della comunicazione è certamente una parafrasi del magistero conciliare – fons et culmen (10).

Tutto ciò ha valore, tuttavia, se la circolarità in questione è interpretabile in senso biunivoco: se, in altri termini, l’ascolto stesso – per il medium della comunicazione, di cui è sostanza – può e vuole accogliere l’onere di essere veicolo educativo alla concordia, apertura che, per il suo stesso essere disponibile al mondo, esprime una verità su di esso.

 

Invero il conciliatore dovrà sempre plasmare il pensare delle parti al comprendere che la ideologia giuridica non è l’unico modo possibile per regolare i conflitti sociali. Sono svariati vari i modi con cui, in tempi e spazi diversi, i sistemi sociali regolano e gestiscono i conflitti con un modus che muta continuamente e velocemente, col mutare delle relazioni sociali e della tipologia dei conflitti.

Esso dovrà far transitare che è sorta una nuova via rispetto ad un processo giurisdizionale che nasce come strumento monopolistico del potere statuale di gestione della conflittualità sociale, segnando un netto confine tra la sfera pubblica e quella privata del diritto, e consegnando la risoluzione dei conflitti all’ambito pubblico attraverso la costruzione di un sistema di garanzie.

Nella verità che nel tempo, il diritto ha operato una selezione dei conflitti che potevano essere considerati quali inneschi di disordine sociale e che dovevano essere definiti e risolti attraverso la giurisdizione, lasciando ad altri meccanismi di regolazione sociale, quali la comunità sorretta da tradizioni nella gestione di un ampio raggio di fenomeni conflittuali e pur vero che ciò poteva definirsi in ambiti culturali circoscritti. Nell’ultimo secolo, le complesse modificazioni sociali, legate all’industrializzazione e all’urbanizzazione, hanno portato alla crisi di quelle modalità di regolazione, e canalizzato la domanda di giustizia verso la giurisdizione, che si trova spesso a dover gestire conflitti che dovrebbero essere risolti in ambito sociale con modalità e obiettivi diversi da quelli processuali.

In ciò rileva la massima importanza per l’istituto il ruolo del conciliatore che pur privo di capacità impositive dirimenti dovrà dare un suo imprimatur culturale ad ogni parte per condurla alla soluzione ottimale di una lite.

Tale formidabile ruolo atto a consentire di affiancare al diritto e al processo i metodi della “giustizia informale”, connotata da forti caratteristiche culturali aggiuntive al diritto è certamente un raggiungimento di maggiori speranze per la coesione sociale.

La vera grande sfida del conciliatore è quella di convincere le parti sostanziali e i propri consulenti della bontà del tentativo di risoluzione alternativa delle controversie in ogni momento, ricordando inoltre, ad ognuno, che la mancata ipotesi di accordo dovrà comunque sempre essere vista quale premessa di aiuto ad una ,semplicemente rinviata,ripresa di negoziato.

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(2)Abel R, (ed.), The Politics of Informal Justice, Los Angeles, Academic Press, 1982;

American Bar Association, Report on the National Conference on minor dispute resolution, Dispute Resolution, numero monografico di The Yale Law Journal, 1979;

(3)Berger P.L., The Limits of Social Cohesion. Conflict and Mediation in Pluralist Societies, Oxford-Boulder (Col.), Westview Press, 1998;

(4)Bertoluzzo M., La mediazione sociale come soluzione dei conflitti, in ASPE, 1995, 10 ss.;

(5)Buzzi I, Pinna S.(a cura di), Esperienze pratiche per mediare i conflitti, Cagliari, Punto di Fuga, 1999;

(6)Castelli S., La mediazione. Teorie e tecniche, Milano, Raffaello Cortina, 1996;

(7) Cass. 6-11-96 n.9646; 21-10-95 n. 10958 ;

(8)Giacomelli S. (a cura di), La via della conciliazione, Milano, IPSOA, 2003;

(9)Haynes J., Fong L., Haynes G., La mediazione: strategie e tecniche per la risoluzione positiva dei conflitti, Roma,.Edizioni Carlo Amore, 2003;

(10)SINODO DEI VESCOVI-L’omelia di Benedetto XVI per l’apertura della XI Assemblea Generale Ordinaria

Giuffrida Giovanni

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