Ripreso in commissione giustizia al Senato l’esame del disegno di legge sull’affidamento condiviso

Redazione 15/06/12
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Anna Costagliola

Nei giorni scorsi è ripreso il dibattito parlamentare del disegno di legge sull’affidamento condiviso (ddl 957), che intende portare a compimento la piena equiparazione, non solo a livello formale, degli ex coniugi, in funzione del superiore interesse del figlio o dei figli minori di coniugi separati e divorziati. Invero, la L. 54/2006, pur molto avanzata nei contenuti, avendo finalmente portato in auge il principio della «bigenitorialità», ovvero dei pari diritti dei genitori nella relazione con il figlio minore, tuttavia richiede alcuni necessari aggiustamenti di cui si è avvertita l’esigenza in fase di applicazione della stessa nel corso di questi primi sei anni di vita.

In sede applicativa della legge sull’affidamento condiviso, infatti, la giurisprudenza prevalente ha ritenuto che questo non determina un’automatica parificazione di modalità e tempi di svolgimento del rapporto tra i figli e ciascuno dei genitori, bensì comporta l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi e l’impegno a concordare e attuare un progetto per l’educazione, la formazione, la cura e la gestione della prole, nel rispetto delle esigenze e delle richieste dei minori.

Alla parità di poteri e doveri di entrambi i genitori nei confronti dei figli non si è dunque accompagnata una sostanziale pariteticità dei tempi di trascorrenza con essi, nonché degli impegni economici dei genitori medesimi, e ciò anche in forza di una formula legislativa che sembra rimettere al giudice una certa discrezionalità nel determinare i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore (art. 155, co. 2, c.c.), unitamente alla clausola finale di salvaguardia che fa riferimento, in ogni caso, all’«interesse del minore». Si è contestato, pertanto, alla legge di aver disatteso lo spirito della riforma, essendosi di fatto limitata a recepire in via meramente nominale la regola dell’affido condiviso, con l’adozione di provvidenti che, nel disporlo, hanno, nella sostanza, continuato a prevedere la «unicità del contesto abitativo», e dunque la «residenza prevalente» presso uno dei genitori, una regolamentazione delle visite dell’altro genitore secondo criteri pressocché analoghi a quelli vigenti in passato e, dal punto di vista economico, un onere di mantenimento indiretto a carico del genitore non collocatario mediante il versamento di un assegno periodico, ad onta della previsione del mantenimento diretto dei figli di cui all’art. 155, co. 4, c.c., che avrebbe, se attuato nella pratica, coinvolto entrambi i genitori co-affidatari in via immediata, attraverso la diretta fornitura di beni e servizi di cui abbisognano i figli.

Tali osservazioni critiche sono alla base del disegno di legge di riforma dell’istituto, i cui punti salienti vanno rinvenuti nei seguenti:

a) abolizione del collocamento del figlio presso un genitore e sua domiciliazione presso entrambi i genitori (cd. doppio domicilio); il tempo della sua presenza presso ciascun genitore sarà «paritetico»;

b) mantenimento dei figli in forma diretta e per capitoli di spesa, in misura proporzionale alle risorse economiche di ciascun genitore;

c) in via residuale, determinazione di un assegno perequativo posto a carico di un genitore o di entrambi, da versare su un conto corrente comune intestato al figlio, anche se minore;

d) versamento diretto dell’assegno al figlio maggiorenne, che, con questo, deve contribuire alle spese familiari.

Aspetti cruciali appaiono, in sintesi, la introduzione del concetto di «pariteticità» tra gli ex coniugi, con la previsione del doppio riferimento abitativo e della tendenzialmente paritetica permanenza dei figli presso ciascun genitore, e, sotto il profilo economico, la consacrazione della forma del mantenimento diretto dei figli, che implica la partecipazione diretta dei genitori, sulla base del proprio reddito al sostentamento economico della prole, ciascuno per i capitoli di propria spettanza.

Ulteriori aspetti in discussione riguardano, infine, la legittimazione attiva dei nonni a proporre, nel giudizio di separazione, domanda relativa al loro autonomo diritto di visita, nonché l’eventuale possibilità di mediazione familiare obbligatoria.

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