Rimprovero verbale per le infrazioni di minore gravità dei dipendenti pubblici

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Il sistema disciplinare dei dipendenti pubblici è stato oggetto di  attenzione da parte del legislatore e il desiderio di intervenire su una materia inerente alle violazioni degli obblighi comportamentali dei lavoratori ha  determinato  innovazioni e modifiche (a volte necessarie  e altre volte inutili)  che si identificano con il Ministro di turno impegnato in tale attività e spesso interessato anche a lasciare il segno del suo percorso governativo.

A seguito delle innovazioni volute dall’allora  Ministro per la Pubblica Amministrazione Madia, che hanno trovato attuazione nel  d. lgs. 25 maggio 2017, n. 75, il “rimprovero verbale” rappresenta l’unica sanzione che può essere irrogata dal dirigente (o responsabile della struttura), mentre tutte le altre ipotesi sanzionatorie rientrano nella competenza  dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari (U.P.D.).

Riguardo ai responsabili di struttura non dirigenti, sostanzialmente nulla è innovato perché già prima della novella “Madia” avevano eguale competenza, sicché possono continuare ad infliggere la prima sanzione disciplinare di minore gravità (“rimprovero verbale”).

L’impatto determinato dalla stessa riforma “Madia” nei confronti dei dirigenti risulta, invece, riduttivo della loro potestà sanzionatoria: basti pensare che la  precedente competenza  (riconosciuta con la riforma “Brunetta” d. lgs. 27 ottobre 2009, n. 150)  in materia disciplinare consentiva di irrogare le seguenti sanzioni:

  • rimprovero verbale;
  • rimprovero scritto (censura);
  • multa di importo variabile fino a massimo 4 ore di retribuzione;
  • sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a 10 giorni.

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I dirigenti di prossimità si erano resi colpevoli di “buonismo”

E’ evidente, pertanto, che il semplice “rimprovero verbale” rappresenta  ben poca cosa rispetto al passato, ma  piuttosto scoraggianti per i dirigenti sono state le motivazioni che hanno indotto il legislatore ad operare tale falciatura di competenze, considerata dal legislatore come una salutare innovazione ai procedimenti punitivi della pubblica amministrazione, perché i dirigenti di prossimità  si erano resi colpevoli di “buonismo” nei riguardi dei loro dipendenti, con conseguenti inerzie gestionali.

Lo stesso Consiglio di Stato, chiamato ad esprimere il proprio parere sullo schema del decreto legislativo con il quale venivano apportate modifiche e integrazioni al Testo Unico del Pubblico Impiego (d. lgs. 30 marzo 2001, n.165), ha espresso condivisione sulle innovazioni riguardanti la competenza del dirigente, presso cui presta servizio il dipendente, all’irrogazione della sola sanzione di minore entità (“rimprovero verbale”), a differenza della precedente previsione  dell’art. 55-bis, comma 1, del T.U., che, invece, riservava, alla competenza del responsabile della struttura avente qualifica dirigenziale, l’irrogazione del rimprovero verbale e delle tre sanzioni successive, ivi compresa la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione sino al massimo di 10 giorni.

Il legislatore promotore della riforma “Madia” ha, però, introdotto le innovazioni di cui si è detto  operando  valutazioni diverse sulla stessa materia, in quanto  ai dirigenti scolastici, come risulta dall’articolo 55-bis, comma 9-quater, del d. lgs. 165/2001, è stata mantenuta la competenza piena (vale a dire dalla contestazione dell’addebito all’irrogazione della sanzione) a trattare tutti i procedimenti disciplinari dei loro dipendenti cui consegue una sanzione massima della “sospensione fino a dieci giorni”.

Questa differenziazione, creata dal legislatore, tra dirigente scolastico (questo è l’unico caso in cui è stata conservata la previgente competenza dirigenziale) e dirigente di una qualsiasi  pubblica amministrazione, determina una diversità di competenze  tra soggetti chiamati a svolgere le stesse funzioni in una materia tanto delicata che trova massima espressione nella gestione delle risorse umane.

Volendo ricercare elementi a giustificazione di siffatta differenza si devono considerare verosimilmente  l’autonomia riconosciuta agli istituti scolastici e soprattutto le dimensioni dei soggetti interessati, trattandosi di migliaia di docenti e personale ATA delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, con conseguenti difficoltà ad esercitare tale compito da parte degli Uffici Procedimenti Disciplinari istituiti presso gli Ambiti Territoriali.

Il rimprovero verbale è l’unica sanzione che non necessita della contestazione dell’addebito

Dopo questa doverosa premessa riguardo all’operato del legislatore in una materia collegata alla potestà sanzionatoria della parte datoriale, si fa rilevare preliminarmente  che il “rimprovero verbale” è l’unica sanzione disciplinare che non ha bisogno della contestazione scritta dell’addebito.

Riguardo alle norme che disciplinano tale sanzione il riferimento legislativo lo troviamo nel 1° comma dell’art. 55-bis del d. lgs. 165/2001 laddove è detto: “Per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l’irrogazione della sanzione del rimprovero verbale, il procedimento disciplinare è di competenza del responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente. Alle infrazioni per le quali è previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal contratto collettivo”.

Per quanto concerne la natura sostanziale del provvedimento si è posto il problema se esso debba essere necessariamente verbale, considerato che la sanzione viene denominata “rimprovero verbale”, oppure possa essere formalizzata per iscritto, senza trasformarsi nella maggiore diversa sanzione del “rimprovero scritto”.

Volendo ricercare una soluzione al dubbio sollevato si può affermare che  l’indirizzo prevalente è nel senso di ammettere che la prassi di trascrizione per iscritto del rimprovero verbale non ne muta l’essenza.

A sostegno di tale tesi concorre una valutazione  di natura sostanziale: la necessità che  sia lasciata una traccia scritta del rimprovero verbale, in quanto, anche se  inflitto per lievi trasgressioni, è pur sempre una sanzione disciplinare.

Trattandosi di una vera sanzione, essa potrà determinare anche successivi effetti, soprattutto per quanto concerne l’istituto della recidiva, sicché un verosimile nuovo illecito commesso nei due anni successivi dovrà tener conto di comportamenti trasgressivi già posti in essere e sanzionati.

Anche nel fascicolo personale del dipendente punito devono risultare l’inadempienza rilevata e la conseguente sanzione, il che sarà possibile solo se vi sia un atto formale (che potrà essere anche un semplice verbale ) dal quale risulti l’adozione del provvedimento.

Riguardo ai tempi che il dirigente (o responsabile della struttura non dirigente) dovrà considerare per l’adozione della sanzione del “rimprovero verbale”, va subito detto che essi  non sono specificatamente previsti  e il riferimento legislativo, di cui al comma 1° dell’art.  55-bis del d. lgs. 165/2001, nulla dice in tal senso, ma dispone che  “Alle infrazioni per le quali è previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal contratto collettivo”.

L’ultimo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro  – Funzioni Centrali biennio 2016-2018 – nel titolo VI relativo alla “Responsabilità Disciplinare” dei dipendenti pubblici privatizzati non contempla nulla in merito al rimprovero verbale, sicchè la norma di rinvio di cui si è detto innanzi non contribuisce alla fissazione di un termine.

E’ evidente, quindi, che, in assenza di specifiche disposizioni, si potrebbe far ricorso ai principi di carattere generale  e, pertanto, considerare che l’adozione del provvedimento della sanzione del “rimprovero verbale” debba essere tempestiva, in quanto eventuali ritardi potrebbero determinare omissioni in capo al responsabile della struttura.

Va anche aggiunto che, dopo la riforma Madia (d. lgs. 25 maggio 2017, n.75), così come stabilito dal comma 9-ter dell’art. 55-bis del d. lgs. 165/2001, sono da considerare perentori unicamente il termine per procedere alla formale contestazione dell’addebito (trenta giorni) e il termine per la conclusione del procedimento (centoventi giorni), pertanto, allorquando trattasi di rimprovero verbale, per il quale non è neanche richiesta la contestazione dell’addebito, non sono specificatamente previsti termini il cui mancato rispetto possa determinare la decadenza dell’azione disciplinare. Ma l’intempestivo esercizio delle funzioni dirigenziali, con conseguente impunità del dipendente che si è reso autore di, sia pur lievi, violazioni, determina comportamenti omissivi a carico dei dirigenti lenti o restii a perseguire gli illeciti disciplinari che potrebbero risultare  censurabili in altra sede.

In conclusione, pur non essendo previsto un termine decadenziale, è necessario essere tempestivi nell’esercizio delle azioni disciplinari e ciò è richiesto sia per il rimprovero verbale  sia per tutte le altre sanzioni di maggiore gravità.

Riguardo agli strumenti di tutela avverso il rimprovero verbale è evidente che, pur se il procedimento è molto snello, non richiedendo eccessive formalità (ad esempio la contestazione dell’addebito), è comunque una sanzione disciplinare, sicché, al pari di tutte le altre, può essere impugnata nelle forme e nei tempi per esse previste.

Anche il rimprovero verbale deve essere comunicato all’Ispettorato per la funzione pubblica

Trattandosi, in ogni caso,  di una sanzione disciplinare, anche il “rimprovero verbale” deve essere comunicato, in via telematica (mediante il sistema integrato “PERLAPA”), all’Ispettorato per la Funzione pubblica, entro 20 giorni dall’adozione del provvedimento,  avendo cura di sostituire il nominativo del dipendente con un codice per tutelarne la riservatezza.

Riguardo all’obbligo di comunicare all’Ispettorato per la funzione pubblica tutti i procedimenti disciplinari e, quindi, come si è detto, anche il rimprovero verbale, si fa rilevare che essi vengono inseriti in un’apposita banca dati e distinti per tipologia, per amministrazione di provenienza, per esito del procedimento, distinguendo tra quelli avviati e quelli definiti, avendo cura anche di specificare le sanzioni inflitte e i casi di archiviazioni.

Volendo scendere nei dettagli e analizzare alcuni dati relativi all’intero anno 2019 si rileva quanto qui di seguito riportato.

ANNO 2019

Nell’anno 2019 sono stati avviati nei confronti dei dipendenti pubblici 12.051 procedimenti disciplinari, di cui 143 per false attestazioni della presenza in servizio (furbetti del cartellino).

L’esito di tali procedimenti è risultato il seguente:

  1. 7.656 procedimenti conclusi.
  2. 1.728 procedimenti sospesi per avvio procedimento giudiziario.
  3. 2.667 procedimenti in corso.

(Rispetto all’anno precedente vi è stato un significativo incremento dei procedimenti avviati, che sono passati da 10.000, relativi all’anno 2018,  a 12.051 per l’anno 2019).

I PROVVEDIMENTI ADOTTATI NELL’INTERO ANNO 2019 SI SONO COSI’ CONCLUSI:

43% conclusi con adozione di sanzioni minori;

22% conclusi con sospensione dal servizio;

7%  conclusi con licenziamento;

28% conclusi con archiviazione/proscioglimento.

NUMERO PROCEDIMENTI AVVIATI NELL’INTERO ANNO 2019 DISTINTI PER AMMINISTRAZIONE

  1. 1.336 – Ministeri e Agenzie
  2. 3.299 – Enti Locali
  3. 3.503 – ASL e Aziende Ospedaliere
  4. 204 – Università
  5. 3.079 – Scuole
  6. 600  – Altri Enti pubblici

Interessante risulta anche il dato relativo ai 143 procedimenti avviati nell’anno 2019 per falsa attestazione della presenza in servizio accertata in flagranza  (furbetti del cartellino) e conclusi nel modo seguente:

  1. 70 conclusi con licenziamento
  2. 42 conclusi con la sospensione dal servizio
  3. 3 conclusi con l’archiviazione
  4. 24 sono sospesi per procedimento penale
  5. 4 sono in corso

Sempre relativamente a questi cosiddetti “furbetti del cartellino” va fatto rilevare, infine, che nel 2019 i licenziamenti per falsa attestazione della presenza accertata in flagranza sono aumentati del 3% rispetto all’anno precedente.

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Dott. Silvestro Pezzuto

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