Riflessioni sull’applicazione dell’art. 2467 c.c. alle società per azioni. Nota a Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2018, n. 16291

Redazione 20/02/19
Scarica PDF Stampa

di Emanuele Caimi*

* avvocato

Sommario

I. L’estensione dell’art. 2467 c.c. alle società per azioni di “modeste dimensioni”

II. Quale limite alla discrezionalità applicativa?

I. L’estensione dell’art. 2467 c.c. alle società per azioni di “modeste dimensioni”.

Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2018, n. 16291

Vi è una evidente tensione tra la scelta del legislatore di ridurre il capitale sociale minimo in tema di società di capitali[1] e l’affermazione dell’applicabilità in via analogica dell’art. 2467 c.c. alle società per azioni[2].

In effetti, l’applicabilità della regola della postergazione anche alle società per azioni di “modeste dimensioni” pare contribuire al contenimento del rischio di traslazione dell’insolvenza a danno dei creditori sociali, tenuto conto del fatto che il capitale societario (fatta eccezione per il settore bancario e finanziario[3]) perde progressivamente centralità ed importanza[4].

In senso affermativo all’estensione de qua si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, I Sezione Civile, sentenza 20 giugno 2018, n. 16291, la quale, pur accolta con favore dai primi commentatori[5] e pur nel lodevole intento di tutelare l’adeguatezza del patrimonio netto, suscita qualche riserva.

Già in precedenza, la Suprema Corte aveva affermato che il tipo “di società non può essere di per sé ostativo all’applicazione della norma dettata dell’art. 2467 c.c. ma occorre verificare in concreto se una determinata società esprima un assetto dei rapporti sociali idoneo a giustificarne l’applicazione”[6], ritenendo a tal fine necessario un accertamento sull’assetto “dei rapporti sociali” esistenti nella fattispecie concreta.

Tra i giudici di merito, per la verità, non sono mancate pronunce successive in direzione opposta, fra le quali spicca quella del Tribunale di Milano, che ha addotto argomentazioni piuttosto persuasive avverso l’esistenza dei presupposti per l’applicazione estensiva o analogica dell’articolo trattato alle società per azioni[7].

In ogni modo, nel giugno 2018 la Suprema Corte ha riaffermato, precisandolo, il principio già espresso tre anni prima: l’applicazione estensiva è possibile, salvo dover essere riservata alle società per azioni che presentino peculiari caratteristiche, in specie “dovendosi segnatamente valutare se la società, per modeste dimensioni o per l’assetto dei rapporti sociali (compagine familiare o, comunque, ristretta) sia idonea di volta in volta a giustificare l’applicazione della disposizione citata”.

In altri termini, di per sé la scelta del tipo non determina un’automatica applicazione dell’art. 2467 c.c., dovendosi vagliare la sussistenza di un quid pluris, rappresentato dalla possibilità per il socio di conoscere “le condizioni della società”, con particolare riguardo alla sussistenza delle “modeste dimensioni”, allo “specifico assetto” o alla “posizione da lui concretamente rivestita, quando essa sia sostanzialmente equivalente a quella del socio di una s.r.l.”.

Si noti che nel caso da ultimo esaminato dalla Suprema Corte il socio erogante le risorse era azionista di maggioranza e legale rappresentante della società.

[1] Si pensi all’introduzione della società a responsabilità limitata semplificata con capitale di un euro, ovvero alla società a responsabilità limitata a capitale ridotto ed ancora alla drastica riduzione del capitale sociale minimo della società per azioni operato dal cosiddetto decreto competitività del 24 giugno 2014.

[2] Cfr. Carestia, Sub. 2467 c.c., in Lo Cascio, La riforma del diritto societario, Milano, Giuffrè, 2003, p. 75: “in relazione alla mancata previsione di analoga disciplina per le società per azioni, sicuramente l’interprete sarà chiamato a riempire gli ampi spazi che potranno delinearsi, non trascurando la possibilità di un’applicazione analogica che supplisca alla mancata formulazione di un rinvio della disposizione in commento”.

[3] Ove per esempio il capitale minimo per gli operatori ex art. 106 T.U.B. è lievitato di oltre tre volte, il capitale minimo per una banca di credito cooperativo è più che raddoppiato e raddoppiato è anche il capitale minimo per una banca costituita nella forma della società per azioni: cfr. Circolare Banca d’Italia n. 288/15.

[4] Si veda: F. Denozza, A che serve il capitale sociale, in Giur. Comm., 2002, I, 585; G. Olivieri, Investimenti e finanziamenti nelle società di capitali, Torino, 2008, 101.

[5] Papini, La postergazione del finanziamento dei soci è applicabile anche alle s.p.a. chiuse, in ilsocietario.it, 2018; Finocchiaro, Principio di postergazione del rimborso del finanziamento de soci: applicabilità anche alle società per azioni, in Guida al diritto, 2018, 31, 24.

[6] Così Cass. I Sez. Civ. 7 luglio 2015, n. 14056 in ilsocietario.it, 3 novembre 2015.

[7] Cfr. Trib. Milano, Sezione Imprese, 16 novembre 2017, n. 11552, per cui, “al di fuori del caso previsti dall’art. 2497-quinquies c.c., il disposto dell’art. 2467 c.c. non è applicabile alle società azionarie”, in Riv. not., 2018, 4, II, 824 con nota di Ruotolo, La questione dell’applicabilità dell’art. 2467, c.c. alle s.p.a.. In particolare, il Tribunale di Milano si è interrogato sulla possibilità astratta dell’applicazione estensiva o analogica della norma nel quadro della riforma del diritto societario che ha inteso, in modo chiaro, attribuire alla società a responsabilità limitata una disciplina del tutto autonoma e non più modella sulla società per azioni: “la pronuncia che rispettosamente si critica sembra invece aver invertito senza dar adeguato conto del perché i termini del procedimento, partendo dal sottolineare il posterius (vale a dire la supposta finalità dell’art. 2467 c.c.) per poi inferirne che tale regola si applicherebbe ogni qual volta sia in concreto ravvisabile una società anche azionaria avente le sostanziali caratteristiche di una s.r.l. (supposta, fra l’altra, sempre e comunque come tipo logicamente chiusa), ma senza tuttavia dimostrare prima l’esistenza del necessario prius, vale a dire della lacuna normativa: lacuna che per definizione non sussiste, dal momento che ai finanziamenti effettuati dagli azionisti alle s.p.a. da essi partecipate si applica ove di reali prestiti (feneratizi) si tratti, e non di apporto di patrimonio assoggettabili alla regola del capitale sociale la disciplina generale del mutuo e quella particolare che le parti vi abbiano dato in sede di stipulazione del relativo contratto” individuando, tra l’altro, nell’art. 2497-quinquies c.c. la conferma al condivisibile ragionamento svolto.

II. Quale limite alla discrezionalità applicativa?

Assodato che, allo stato dell’arte, l’applicazione dell’art. 2467 c.c. viene limitata ad alcune s.p.a., non si può che constatare l’assenza di parametri oggettivi e certi cui poter ancorare l’elemento qualificante della dimensione (modesta) della società per azioni, ovvero della “specificità degli assetti”. Rimaniamo nell’alveo della discrezionalità soggettiva[8].

D’altro canto, i termini enunciati dalla Suprema Corte portano ad escludere senz’altro un’applicazione indiscriminata dell’art. 2467 c.c. a tutte le società per azioni cosiddette “chiuse”[9] rendendosi necessaria piuttosto una specificazione ulteriore, volta a ricomprendere solo quelle di modeste dimensioni ovvero caratterizzate da rapporti familiari peculiari o che presuppongano conoscenze specifiche in relazione alla posizione rivestita in seno all’amministrazione della società; circostanza quest’ultima concretamente riscontrabile addirittura in società a capitale diffuso e financo quotate.

Non v’è chi non veda l’impossibilità di stabilire se una s.p.a. con dieci soci sia da considerarsi “ristretta” o di “modeste dimensioni”, parendo necessaria l’indagine riguardo la presenza o meno, tra i soci stessi, di sole persone fisiche; e ulteriormente: oltre al requisito del “ristretto numero”, si richiede che tra le persone partecipanti corra un vincolo di parentela aut similia?

Resta inoltre aperta la domanda circa l’espressione “specifico assetto” usata dalla Suprema Corte nella motivazione della sentenza 16291/2018, nel senso che, a prescindere dalla posizione concreta rivestita da un socio in seno all’organo amministrativo, non è chiaro a quali elementi essa vada riferita.

L’espressione sembrerebbe evocare la struttura societaria, desumibile dallo statuto adottato. L’individuazione di un possibile limite alla discrezionalità applicativa (estensiva o analogica che sia) dell’articolo in commento si risolverebbe nella valutazione in concreto del contenuto dello statuto sociale della s.p.a. e ciò al fine di accertare la presenza di specifiche previsioni che rafforzino, al di là della mera situazione contingente o fattuale, la possibilità del singolo socio di monitorare l’andamento economico e la salute finanziaria della società, mediante l’attribuzione di prerogative ulteriori rispetto all’ordinaria e limitata informativa di bilancio.

L’avverbio contenuto nell’art. 2380-bis c.c. “la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori” evidenzia, quale elemento caratterizzante l’odierna s.p.a., l’accentuazione dell’autonomia dell’organo amministrativo e la conseguente restrizione dell’ambito di rilevanza dell’assemblea dei soci; è altresì noto che la riforma del 2003 ha accentuato la natura “finanziaria” della partecipazione diminuendo le prerogative dei singoli soci[10].

E’ quindi ragionevole ritenere che ogni qualvolta si individui nei patti sociali un allontanamento dai connotati tipologici naturali del contratto costitutivo di s.p.a., realizzando un assetto peculiare a cui corrisponde un rafforzamento della posizione del socio, ciò potrebbe giustificare l’applicazione dell’art. 2467 c.c.

Tale rafforzamento della figura del socio può essere rappresentato dalla facoltà di limitare la circolazione delle azioni, di cui all’art. 2355-bis c.c., sia con riferimento al divieto, al più quinquennale, di trasferimento, sia in relazione alla previsione statutaria di clausole di prelazione, di gradimento, di riscatto, ecc.

Un secondo indice può ravvisarsi nella previsione, nell’ambito del modello “tradizionale” di amministrazione e controllo, dell’obbligo per gli amministratori di richiedere autorizzazioni all’assemblea dei soci per il compimento di determinati atti, secondo l’interpretazione preferibile ammissibile ex art. 2364 comma 1 n. 5 c.c.[11]. In effetti, la presenza in seno allo statuto di specifiche previsioni, vincolanti per gli amministratori, che impongano l’autorizzazione dell’assemblea dei soci, valorizza il ruolo di quest’ultimo organo e la possibilità di conoscenza tempestiva della situazione economico-finanziaria della società da parte dei soci. Si pensi ad esempio alla preventiva autorizzazione assembleare per contrarre debiti con istituti creditizi ovvero per concedere ipoteche su beni immobili della società o, ancora, per prestare garanzie.

Ma al di fuori di questo possibile tracciato, rimane concreto il timore espresso dal Tribunale di Milano: l’area d’incertezza va a tutto discapito degli investitori e non trova esauriente contraltare nell’esigenza di rafforzamento patrimoniale.

[8] Trib. Milano 16 novembre 2017 n. 11552, già menzionata, rileva l’”incertezza interpretativa della rimessione caso per caso all’interprete della verifica del carattere ristretto di questa o di quella S.p.A.”.

[9] Sul punto, D. Santosuosso, Commento sub. art. 2325 – 2325 bis, in D. Santosuosso, Della società – dell’azienda – della concorrenza, in E. Gabrielli, Commentario del codice civile, Utet, Torino, 2015, pp. 595 e ss.

[10] Cfr. D. Corapi, La s.p.a. in generale, in Bonfante, Corapi, De Angelis, Codice commentato delle società, Ipsoa, 2011, 352 e ss; G. Grippo – Bolognesi, L’assemblea della società per azioni, in Rescigno, Trattato di diritto privato, Torino, Utet, 2011, t.16***, 5 e ss.: “l’evoluzione progressiva del diritto societario ha determinato una parabola discendente delle prerogative assembleari ed un corrispondente incremento dei poteri degli altri organi sociali, tanto maggiore quanto più venga sfruttata l’autonomia statutaria nel trasferimento, ove consentito dalla legge, a questi ultimi, delle competenze delegabili … in questo contesto si è inserito il d.lgs. n. 6/2003… sancendo la competenza esclusiva e inderogabile del management in materia di gestione dell’impresa sociale”.

[11] Cfr. S. Cerrato, Il ruolo dell’assemblea nella gestione dell’impresa: il sovrano ha veramente abdicato? in Riv. dir. civ., 2009, 133; Civerra, sub art. 2364, in Bonfante, Corapi, De Angelis, cit., 602 s., per il quale gli “assetti legali in materia non consentono di sostenere la tesi di una rigida demarcazione di compiti tra amministratori ed assemblea, quasi a voler rimarcare una ontologica insipienza gestionale a tale ultimo organo”.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento