Il ricorso cumulativo: differenze con il ricorso collettivo
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La tutela giurisdizionale nei confronti dell’Amministrazione finanziaria si attua introducendo con ricorso il processo innanzi alle Commissioni tributarie, secondo le regole dettate dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ispirate al principio sancito dall’articolo 99 della legge processuale civile, secondo il quale “Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente”.
Il petitum, ossia l’oggetto della domanda, è rappresentato dal provvedimento che si chiede al giudice per ottenere l’accertamento negativo della pretesa tributaria.
Tale pretesa può scaturire da un solo atto ma anche da più atti impositivi, ragion per cui accade spesso che ci si interroghi, prima di intraprendere un contenzioso nei confronti del fisco, sulla possibilità e/o opportunità di proporre, nell’interesse del medesimo contribuente, un unico ricorso contro più atti impositivi.
Ci sono, invero, ipotesi in cui la scelta di proporre un unico ricorso, accorpando varie impugnazioni, presenta notevoli pregi, soprattutto quando il valore della controversia non è elevato: il ricorso cumulativo e quello collettivo possono rappresentare un valido strumento per ridurre i costi di assistenza tecnica nel processo tributario, in quanto da un lato gli adempimenti da parte del professionista si riducono e dall’altro lato la ripartizione delle spese tra tutti gli interessati potrebbe indurre questi ultimi ad adire la giustizia tributaria invece di accettare la pretesa del fisco al solo fine di evitare un lungo e costoso contenzioso.
Detta forma di impugnazione può ritenersi oggi, soprattutto alla luce delle recenti pronunce dei giudici di Piazza Cavour, che sembrano allargare ancor di più le maglie di ammissibilità (anche) del cosiddetto ricorso cumulativo/collettivo o ricorso cumulativo improprio, pacificamente proponibile.
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Il ricorso cumulativo si differenzia in ricorso cumulativo “proprio” ed in ricorso cumulativo “improprio”. Il ricorso cumulativo in senso proprio è quello con cui il contribuente impugna contestualmente più atti impositivi emessi nei suoi confronti dall’Amministrazione finanziaria. È, volendo essere maggiormente precisi, il ricorso con il quale si propongono più azioni contestualmente; azioni che possono essere diverse tra loro (di annullamento, di accertamento) o tipologicamente identiche (ad esempio due azioni di annullamento), ma comunque collegata dall’interdipendenza logica fra gli atti e dall’identità dell’oggetto. Il ricorso cumulativo improprio, invece, è quello con cui più soggetti/contribuenti impugnano con un unico ricorso più atti; è il ricorso presentato da più soggetti contro atti diversi dell’Amministrazione finanziaria.
Il ricorso cumulativo si distingue dal ricorso collettivo, con il quale più soggetti impugnano con un unico ricorso uno stesso provvedimento impositivo che li riguarda tutti. Il ricorso collettivo, in altri termini, è un unico ricorso presentato da più soggetti, con identità di petitum e di causa petendi: esso dà luogo ad una ipotesi di cumulo soggettivo ed è ammissibile se le posizioni dei vari ricorrenti sono sostanzialmente omogenee e non in contrasto tra loro.
L’ammissibilità del ricorso cumulativo
Molto controversa è stata invece la questione dell’ammissibilità del cosiddetto ricorso collettivo/cumulativo o cumulativo improprio, che, come testé anticipato, è quello con cui più soggetti contribuenti impugnano con un unico ricorso atti diversi dell’Amministrazione finanziaria.
La teoria dell’inammissibilità assoluta di tale forma di impugnazione poggiava le proprie basi su una rigida interpretazione letterale del combinato disposto degli articoli 18 e 29 del decreto legislativo n. 546 del 1992, che, rispettivamente, prevedono, da una parte (articolo 18), che il ricorso debba indicare “l’atto impugnato” e non “gli atti impugnati” e, dall’altra, che il potere (e la valutazione dei presupposti per l’ammissibilità) di riunione dei ricorsi sia attribuito al Presidente della sezione della Commissione tributaria (articolo 29).
In altri termini, il primo argomento posto a fondamento della tesi di inammissibilità del ricorso cumulativo/collettivo è fondato sul disposto dell’articolo 18 del d.lgs. n. 546 del 1992. Poiché tale norma stabilisce che il ricorso debba indicare “l’atto impugnato”, il legislatore, secondo tale teoria, avrebbe inteso escludere la possibilità di utilizzare una unica domanda per più atti impugnabili (in tal senso, ad esempio, Comm. trib. prov. Milano n. 214 del 19 luglio 2000).
Argomentazione, quella appena ricordata, che non è andata esente da severe critiche, soprattutto attraverso l’analisi dell’analoga questione nell’ambito del processo amministrativo.
L’articolo 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nel disciplinare – nell’ambito del processo amministrativo – il ricorso quale atto introduttivo del processo faceva riferimento all’atto oggetto di impugnazione usando il singolare. Ciò nonostante, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente ammesso la possibilità, nel processo dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali, di presentare ricorsi cumulativi qualora fra i provvedimenti impugnati esista una connessione di carattere oggettivo (per tutte, Cons. Stato 30 marzo 1982, n. 170; Cons. Stato 12 novembre 1990, n. 955; Cons. Stato 11 febbraio 1999, n. 146).
I giudici di Palazzo Spada hanno affermato, in particolare, che “la sussistenza della connessione quale presupposto per la proponibilità del ricorso cumulativo deve essere assunta in termini di ragionevolezza e di giustizia sostanziale, senza quindi formalismi privi di fondamento logico e comunque inidonei di per sé a giustificare una maggiore gravosità degli oneri procedurali posti a carico di chi vuole tutelarsi avverso atti della pubblica amministrazione ritenuti non legittimi”.
Il secondo argomento è fondato, invece, sul disposto dell’articolo 29 del medesimo provvedimento normativo che, nel disciplinare la riunione dei ricorsi, attribuisce tale potere al presidente della sezione della Commissione tributaria, escludendo in tal modo che tale riunione possa essere determinata dagli stessi contribuenti con la presentazione di un unico ricorso.
Anche con riferimento a tale diversa prospettazione è stato (correttamente) evidenziato che se la riunione corrisponde a ragioni di utilità processuale a processo già iniziato, non si comprende perché tale riunione, in caso di identità o connessione, non possa più utilmente avvenire nello stesso momento introduttivo. Le ragioni di economia processuale, di concentrazione, di celerità, che valgono in corso di causa, valgono altresì all’instaurazione del processo, determinando l’ammissibilità del ricorso cumulativo alla Commissione tributaria provinciale se gli atti impugnati sono tra di loro connessi.
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