Revoca della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena (l. 1.8.2003 n°207) tra dubbi di costituzionalita’ e violazione del principio di tassativita’

Pagano Filippo 13/04/06
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SOMMARIO: 1. PREMESSA. 2. NATURA GIURIDICA DELL’ISTITUTO DELLA SOSPENSIONE CONDIZIONATA DELL’ESECUZINE DELLA PENA. 3. LE IPOTESI DI REVOCA DELLA SOSPENSIONE. CENNI SUL PROCEDIMENTO 4. IPOTESI DI REVOCA E DUBBI DI COSTITUZIONALITA’ 5. CONFLITTI INTERPRETATIVI E VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI TASSATIVITA’ IN MATERIA PENALE. 6. CONCLUSIONI
 
1. Premessa. La legge 1 agosto 2003 n°207[1], intitolata “sospensione condizionata della pena detentiva nel limite massimo di due anni”, meglio conosciuta come “indultino”, emanata in esito ad un travagliato iter parlamentare, ha introdotto nel nostro ordinamento un istituto nuovo, e per certi versi sui generis.
Il provvedimento normativo prevede infatti la possibilità per il condannato con sentenza definitiva a pena detentiva, che abbia scontato almeno metà della pena con un residuo non superiore a due anni per talune specie di reati “non ostativi”, di ottenere la sospensione della pena in esecuzione “a condizione” che non incorra in una delle ipotesi di revoca ivi previste.
Contrariamente alle iniziali intenzioni del legislatore, che erano quelle di “svuotare” gli istituti penitenziari (si parlò di provvedimento cd. sfollacarceri), l’istituto non ha avuto quella portata sperata, anche perché qualche disposizione contenuta nella legge, che ne ha limitato inizialmente il campo di applicazione[2] è stata espunta dall’ordinamento solo con sentenza della Corte delle leggi a distanza di ben due anni dall’entrata in vigore.
Tale “ritardo” ha comportato, di fatto, una ridotta applicazione dell’istituto, posto che dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 comma 3 lett. d) della legge, ben pochi erano rimasti i condannati che potevano ancora chiedere l’indultino.
 
2. Natura giuridica dell’istituto della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena e l’art. 79 della Costituzione.
 
Il problema della natura giuridica dell’istituto in esame è strettamente connesso con quanto previsto nella disposizione costituzionale dell’art. 79[3].
Nel corso dell’iter parlamentare di approvazione della legge si sono delineate due tesi.
Secondo la prima, l’indultino è inquadrabile tra le misure alternative alla detenzione. Secondo altra tesi, invece, il beneficio è un atto di clemenza.
A sostegno della prima tesi militano le seguenti considerazioni: a) il beneficio è concesso dal magistrato di sorveglianza, e non dal giudice dell’esecuzione, e ciò secondo quanto avviene per le misure alternative alla detenzione (affidamento in prova, detenzione domiciliare, ecc,); b) in caso di concessione dell’indultino, vengono imposte delle prescrizioni al condannato che egli è tenuto ad osservare, sotto pena di revoca del beneficio, e tale particolarità è estranea alla figura dell’indulto vero e proprio; c) il beneficio viene revocato in determinate ipotesi normativamente previste, contrariamente a quanto avviene per i provvedimenti aventi natura meramente clemenziale; d) l’estinzione della pena avviene soltanto dopo cinque anni dalla sua applicazione, così come avviene per la sospensione condizionale della pena e contrariamente a quanto avviene per i provvedimenti di grazia e indulto[4].
A sostegno della seconda tesi militano invece le seguenti considerazioni: a) a seguito della concessione dell’indultino, il condannato non è ammesso ad una misura alternativa alla detenzione, che dovrebbe pur sempre essere restrittiva della libertà personale; b) l’indultino comporta una sospensione dell’esecuzione della pena che come tale “interrompe” l’ulteriore corso dell’esecuzione della pena, e ciò in analogia a quanto avviene per l’indulto.
Quanto sopra fa comprendere perché qualcuno[5] ha definito l’indultino un escamotage per aggirare la previsione costituzionale in materia di indulto, posto che secondo il richiamato articolo 79 della Carta, occorre una maggioranza qualificata per l’emanazione di un provvedimento di indulto.
Secondo qualche Autore[6], l’istituto dell’indultino mutua un poco dalle misure alternative alla detenzione, un poco dall’indulto, rimanendo “una misura, dai contorni incerti, in cerca di definizione”.
E ciò in quanto da un lato l’indultino viene concesso mediante un procedimento che non importa valutazioni sulla meritevolezza del beneficio, così come accade per l’indulto, anche se viene concesso su istanza di parte e non d’ufficio. Dall’altro, però, il magistrato è chiamato, mediante l’esercizio di un potere tipicamente discrezionale, ad imporre tutta una serie di prescrizioni, di fatto limitative della libertà personale del condannato, in nome di esigenze di prevenzione speciale, giungendo persino a revocare il beneficio nel caso in cui il condannato stesso sia incorso in una delle violazioni che legittimano, anzi impongono, la revoca del beneficio concesso. “Il beneficiario del provvedimento non è, quindi, un soggetto sottratto all’esecuzione carceraria e posto in libertà, sia pure a condizioni, come avviene nei casi di grazia e indulto condizionato, ma è un condannato sottoposto, in sostituzione del regime carcerario, ad un regime di prescrizioni ed obblighi, assistito e controllato dal servizio sociale, che rappresenta un sostanziale stato di detenzione alternativa, non diversamente da quello al quale è sottoposto l’affidato in prova al servizio sociale”[7].
 
3. Le ipotesi di revoca della sospensione. Cenni sul procedimento.
 
Le ipotesi di revoca sono disciplinate dall’art. 2 della legge citata. La norma in questione prevede che la sospensione può essere revocata se chi ne ha usufruito non ottempera senza giustificato motivo della prescrizioni di cui all’art.4 o commette, entro 5 anni dalla sua applicazione, un delitto non colposo per il quale riporti una condanna a pena detentiva non inferiore a 6 mesi.
Dalla norma contenuto nell’art. 2 comma 4[8] si ricaverebbe poi che il PM può inoltrare richiesta di revoca dell’indultino[9].
Competente a pronunziare la revoca è il Tribunale di sorveglianza. Tale criterio privilegia le garanzie che vengono offerte al condannato rispetto ad un giudizio che avrebbe potuto essere celebrato innanzi lo stesso giudice che ha concesso la misura.
Le ipotesi di revoca, come disciplinate ex lege, richiamano, per analogia, l’istituto dell’affidamento in prova ai servizi sociali da un lato (nella parte in cui si prevede la revoca qualora il condannato non ottemperi senza giustificato motivo le prescrizioni imposte) e l’istituto della sospensione condizionale della pena dall’altro (nella parte in cui si prevede la revoca per il caso che il condannato riporta una condanna a pena detentiva non inferiore a 6 mesi per delitto non colposo).
 
4. Ipotesi di revoca e dubbi di costituzionalità.
 
Prendendo le mosse da tale ultima ipotesi di revoca, c’è chi ha sostenuto[10] che tale previsione presenta forti dubbi di legittimità costituzionale.
Invero, secondo tale Autore, nel vigente ordinamento penitenziario, da un raffronto tra le norme che prevedono la concessione delle misure alternative e quelle che dettano le ipotesi idonee a provocarne la revoca, è ravvisabile, quale dato comune, il potere discrezionale del giudice che deve accertare i fatti e valutare la eventuale sopravvenuta incompatibilità della misura rispetto agli scopi della stessa.
Determinati meccanismi di revoca cd. automatica, già previsti dall’art. 47-ter comma 9 ord. penit[11], per il caso di denuncia per evasione nel corso della detenzione domiciliare; dall’art. 54 comma 3 ord. penit[12]. per il caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso della successiva esecuzione dopo la concessione della liberazione anticipata; dall’art.177 comma 1° c.p. in tema di liberazione condizionale, sono caduti sotto la scure della Corte Costituzionale[13] [14] [15].
Ecco perché sorprende, sul punto, il dettato del legislatore del 2003, che di fatto ha emanato una norma destinata sicuramente a soccombere di fronte al vaglio della compatibilità con i principi costituzionali.
  
5. Conflitti interpretativi e violazione del principio di tassatività in materia penale.
 
Altro problema si è posto con riferimento all’ipotesi di revoca riguardante l’inottemperanza alle prescrizioni imposte al condannato.
Le ipotesi di revoca contemplate nel primo inciso del comma 5 dell’art. 2 della legge sono tassative o esemplificative?
Per rispondere alla domanda, prendiamo le mosse da un caso pratico. Un imputato, mentre scontava la parte finale della sua pena in regime di indultino era stato raggiunto da un provvedimento restrittivo della libertà personale ed il magistrato di sorveglianza, in via provvisoria, ed il tribunale, successivamente, avevano revocato la sospensione sul presupposto che il condannato non fosse più meritevole del beneficio concessogli.
La Suprema Corte, con sentenza n.15308 del 7.4.2005[16] ratificava l’operato della magistratura di sorveglianza sul presupposto che, pur non rientrando l’emissione di una ordinanza cautelare nel novero delle ipotesi di revoca della sospensione di cui all’art. 2 della legge 207 del 2003, ben poteva il tribunale di sorveglianza revocare l’indultino secondo criteri di meritevolezza tutte le volte in cui, secondo un margine discrezionalità, ravvisava che i nuovi fatti risultavano incompatibili con la prosecuzione del beneficio.
Tale più ampia possibilità di revoca risiedeva, sempre secondo la suprema Corte, nel richiamo, contenuto nell’art.4 comma 2 della legge 207/2005, alle disposizioni regolatrici dell’affidamento in prova al servizio sociale, diguisaché l’indultino concesso poteva essere revocato legittimamente non solo nelle ipotesi previste dall’art.2 legge citata, ma anche tutte le volte in cui era possibile revocare l’affidamento in prova.
Senonchè, dopo appena 40 giorni da tale decisione, ed ancor prima che la dottrina potesse verificarne la fondatezza, la medesima sezione della Corte, con sentenza n.19053 del 17.5.05[17] mutava rotta stabilendo che “alla stregua della chiara formulazione letterale del comma 5 dell’art. 2 della legge 207/2003 sono configurabili, in via tassativa e non meramente esemplificativa soltanto due cause specifiche e tipiche di revoca della sospensione dell’esecuzione della pena: la sopravvenuta condanna (tradizionalmente a pacificamente intesa come condanna irrevocabile e definitiva) a pena detentiva inferiore a 6 mesi per un delitto non colposo e l’ingiustificata violazione delle prescrizioni elencate nell’art. 4”.
La stessa Corte questa volta ribadisce che in base all’attuale quadro normativo non risulta attribuito al tribunale di sorveglianza la potestà di valutare discrezionalmente ai fini della revoca la condotta illecita o criminosa realizzata dal condannato nel corso dell’applicazione del beneficio.
Le richiamate pronunce della Suprema Corte sollevano non poche perplessità e seri dubbi soprattutto in relazione alla funzione nomofilattica che è demandata per tradizione giuridica alla Corte di cassazione.
Che possa sussistere contrasto fra le decisioni di sezioni diverse della Corte è un dato frequente. Meno frequente, anzi abbastanza raro è il caso di una stessa sezione che dopo appena quaranta giorni muta il proprio orientamento.
In base a quanto delineato non v’è   dubbio che sia largamente preferibile (rectius: unicamente accettabile) l’interpretazione del “numero chiuso” delle ipotesi di revoca dell’indultino.
Ciò non solo è aderente al chiaro ed inequivoco dato letterale della norma, ma risulta altresì più rispettoso del principio di tassatività vigente nel sistema penale sostanziale, come elaborato dalla migliore dottrina italiana[18].
Diguisaché, l’interpretazione ampliativa delle ipotesi di revoca, eludendo principi irrinunciabili in materia penale, pone in serio pericolo la certezza della norma e le garanzie di libertà del condannato a vantaggio di una discrezionalità giudiziale, inammissibile in siffatta materia.
 
6. Conclusioni.
 
Un istituto relativamente nuovo, come quello dell’indultino, ha sollevato non pochi problemi applicativi già all’indomani della sua entrata in vigore. Emblematico è l’intervento della Corte costituzionale di cui si è detto.
Non minori problemi interpretativi e dunque applicativi ha sollevato la disciplina delle ipotesi di revoca del beneficio. Anzi, a distanza di oltre due anni, l’alternarsi di orientamenti confonde il giurista e non rende certamente tranquillo chi si affida ad una legge per riacquistare la libertà.
D’altronde, gli interventi registrati sotto il profilo ermeneutico non si muovono in direzione univoca, ma sembrano rispondere più ad esigenze contingenti, legate agli effetti che la concreta applicazione della legge ha avuto sul sistema penitenziario e sull’opinione pubblica, che ad esigenze di ricostruzione dogmatica dell’istituto.
Il perché di detti contrasti non è dato desumere nemmeno leggendo la motivazione delle decisioni, che appare oltremodo contenuta o forse sarebbe più corretto definire scarna. Non potrebbe dunque stupire un ritorno ad un orientamento più datato, oppure, chissà, la nascita di altro orientamento.
E se ciò deve avvenire, che avvenga al più presto, prima ancora che l’indultino, non potendo via via più essere invocato dalle nuove “generazioni” di detenuti, sia messo definitivamente in soffitta.
 
Filippo Pagano – avvocato
 
 
 
 
 


[1] La legge è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n°182 del 7.8.2003.
 
[2] Ci si riferisce all’art.1 comma 3 lettera d) della legge, che impediva la concessione dell’indultino se la persona condannata era stata ammessa alle misure alternative alla detenzione, dichiarato incostituzionale con sentenza della Corte Costituzionale n°278 del 15.7.2005.
[3] Art. 79 Cost. “L’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. La legge che concede l’amnistia o l’indulto stabilisce il termine per la loro applicazione. In ogni caso l’amnistia e l’indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge”.
[4] Comitato permanente per i pareri del Senato della Repubblica, seduta del 22 dicembre 2002.
[5] Senatore Anedda.
[6] Felice Pier Carlo Iovino, in Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva. Prime note alla legge 1° agosto 2003 n°207 – Cass. Pen.. 2003, 12, 3662.
[7] Felice Pier Carlo Iovino, op cit..
 
[8] Secondo cui “dell’applicazione della misura di cui all’art.1 è data immediata comunicazione all’autorità di polizia competente, che vigilia sull’osservanza delle prescrizioni di cui all’art. 4 e fa rapporto al pubblico ministero di ogni infrazione”.
[9] A. Fusi.- Manuale dell’esecuzione penale. Aspetti normativi. Casi pratici. Schemi e giurisprudenza. – Giuffrè editore
[10] Felice Pier Carlo Iovino, op cit..
[11]La denuncia per il delitto di cui al comma 8 importa la sospensione del beneficio e la condanna ne importa la revoca”
[12]La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca”
[13] La Corte costituzionale, con sentenza 13 giugno 1997, n. 173, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 9 dell’art. 47-ter ord. penit.(detenzione domiciliare) , nella parte in cui fa derivare automaticamente la sospensione della detenzione domiciliare dalla presentazione di una denuncia per il reato previsto dal comma 8 di questo articolo.
[14] La Corte costituzionale, con sentenza 23 maggio 1995, n. 186, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.54 comma 3 ord. penit, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione anticipata nel caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio anziché stabilire che la liberazione anticipata è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio.
[15] È costituzionalmente illegittimo, perché in contrasto con una ragionevole applicazione del principio rieducativo della pena, l’art. 177 comma 1 c.p., nella parte in cui prevede la revoca della liberazione condizionale nel caso di condanna per qualsiasi delitto o contravvenzione della stessa indole, anziché stabilire che la liberazione condizionale è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio (la Corte, richiamata la propria giurisprudenza che ha in più occasioni censurato istituti di revoca automatica di benefici penitenziari, ha osservato che, seppure non può dirsi preclusa in senso assoluto al legislatore la potestà di assumere determinate condanne come criteri per escludere l’ammissione del condannato a determinati benefici o per sancire la revoca di benefici già ottenuti, occorre tuttavia che tali criteri siano sufficientemente circoscritti, in modo da non dar luogo a irragionevoli parificazioni e da non escludere, nelle ipotesi meno gravi, la funzione rieducativa della pena). Corte costituzionale, 23 dicembre 1998 n°418.
 
[16] È legittima la revoca della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena (cosiddetto "indultino" introdotto dalla l. n. 207 del 2003) anche fuori dei casi espressamente previsti quando ne risulti incompatibile la prosecuzione per violazione del principio di meritevolezza, come ad esempio qualora il condannato venga raggiunto da misura cautelare in carcere per grave reato. Infatti, pur non essendo previsto tale caso tra quelli espressamente indicati dall’art. 2 comma 5 l. cit. come causa di revoca, l’incompatibilità con la prosecuzione della sospensione condizionata della pena discende dal richiamo operato dall’art. 4 alle disposizioni regolatrici dell’affidamento in prova al servizio sociale e quindi anche al giudizio del magistrato di sorveglianza che conserva un certo margine di discrezionalità, oltre ai casi di revoca obbligatoria del beneficio.
[17] La sospensione condizionata dell’esecuzione della pena può essere revocata solo in presenza di una delle cause tassativamente previste dall’art. 2.5 l. 207/03, e cioè la sopravvenienza di sentenza di condanna irrevocabile e definitiva a pena detentiva non inferiore a sei mesi per un delitto non colposo e l’ingiustificata violazione delle prescrizioni imposte con il provvedimento di sospensione, con esclusione di qualsiasi valutazione negativa di comportamenti del beneficiato, anche criminosi, non riconducibili alle condizioni predette.
 
[18] LICCI, Ragionevolezza e significatività come parametri di determinatezza della norma penale, Milano, 1989. – RONCO, Il principio di tipicità della fattispecie penale nell’ordinamento vigente – Torino 1979; ZANOTTI, Principio di determinatezza e tassatività in AA.VV., Introduzione al sistema penale, Milano 1989; VISCONTI, Determinatezza della fattispecie e bilanciamento degli interessi, in Foro italiano, 1995, I, 2773 s.s.

Pagano Filippo

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