Responsabilità precontrattuale nelle procedure ad evidenza pubblica

Giacomo Cascio 26/01/21
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La responsabilità precontrattuale in ambito civile si configura tutte le volte in cui i contraenti non rispettino obblighi su di essi gravanti durante le trattative e la formazione del contratto. L’art. 1337 c.c. sancisce l’obbligo delle parti, nell’ambito delle predette trattative, di improntare la propria condotta al canone di buona fede e correttezza. Recentemente il Consiglio di Stato con la Sentenza 22/11/2020, n. 7237, ha affrontato la questione in ordine alla responsabilità precontrattaule e alla risarcibilità dei danni patiti nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica.

I canoni comportamentali di cui all’art. 1337 c.c., trovano applicazione anche nel caso in cui una delle parti contraenti sia una Pubblica Amministrazione, nell’ambito di trattative negoziali poste in essere sia nell’ambito di procedure di gara ad evidenza pubblica sia in assenza di gara. Il principio generale è che la Pubblica Amministrazione deve informare il proprio operato alla correttezza e buona fede in modo da evitare di ingenerare nel contraente privato affidamenti ingiustificati e informarlo tempestivamente della eventuale esistenza di cause ostative rispetto alla concreta possibilità di positiva conclusione della trattativa (cfr. Cons. Stato, A.P., 5 settembre 2005, n. 6; Cass., SS.UU., 12 maggio 2008, n. 11656).

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Le responsabilità della pubblica amministrazione

L’opera nasce con l’intento di offrire al lettore (Magistrato, Avvocato, Funzionario pubblico) una guida indispensabile per affrontare un tema cui sono sottese sempre nuove questioni: quello delle ipotesi di responsabilità dell’amministrazione pubblica. Avuto riguardo ai più recenti apporti pretori e alla luce degli ultimi interventi del Legislatore (L. 9 gennaio 2019, n. 3, cd. Legge Spazzacorrotti), il taglio pratico-operativo del volume offre risposte puntuali a temi dibattuti sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto il profilo processuale. L’opera, che si articola in 23 capitoli, tratta i temi della responsabilità della P.A. da provvedimento illegittimo, da comportamento illecito, per l’inosservanza del termine del procedimento, sotto il profilo amministrativo-contabile, in materia urbanistica ed edilizia, per attività ablative, nella circolazione stradale, per danno da illecito trattamento dei dati personali, di tipo precontrattuale, in ambito scolastico. Si affrontano ancora, oltre al tema del danno all’immagine della P.A., i temi della responsabilità: disciplinare del dipendente pubblico; dirigenziale; dei dipendenti pubblici per la violazione delle norme sulla incompatibilità degli incarichi; delle Forze armate; della struttura sanitaria pubblica per attività posta in essere dal medico; delle authorities finanziarie; nell’amministrazione della giustizia. Affiancano la materia dell’amministrazione digitale – i cui profili di novità ne rendono indispensabile la conoscenza – i temi della responsabilità nel diritto europeo, della responsabilità dello Stato per la violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e, infine, della responsabilità penale della pubblica amministrazione. Il lettore che voglia approfondire temi di suo interesse è aiutato nell’attività di ricerca dalla presenza di una “Bibliografia essenziale” che correda ogni capitolo del volume.   Giuseppe CassanoDirettore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato nell’Università Luiss di Roma. Studioso dei diritti della personalità, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato oltre un centinaio di opere in tema, fra volumi, trattati, saggi e note.Nicola PosteraroAvvocato, dottore e assegnista di ricerca in Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano, è abilitato allo svolgimento delle funzioni di professore associato di diritto amministrativo e collabora con le cattedre di diritto amministrativo, giustizia amministrativa e diritto sanitario di alcune Università. Dedica la sua attività di ricerca al diritto amministrativo e al diritto sanitario, pubblicando in tema volumi, saggi e note.

Giuseppe Cassano, Nicola Posteraro (a cura di) | 2019 Maggioli Editore

Nell’alveo della contrattualistica pubblica è possibile ravvisare un sistema istituzionale di diritto comune in cui dei titolari di pubblici poteri applicano regole del diritto privato, dando luogo a rapporti giuridici qualificati tra privato e pubblica amministrazione all’interno dei quali può assumere rilievo l’affidamento, quale situazione di aspettativa giuridica qualificata. Dette regole pubblicistiche e privatistiche operano contemporanemanete, ma con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione. Ne deriva che le regole di correttezza ancorchè applicate a ciascuna delle singole fasi in cui si suddivide una gara, vanno analizzate in maniere unitaria, consequenziale e dinamica. Infatti, ciascuna fase, seppur distinta da quella successiva e da quella precedente, è accomunata teleologicamente alle altre, in quanto finalizzata alla stipulazione del contratto; pertanto  prima della stipulazione del contratto il rispetto dei principi della buona fede e correttezza non può che riguardare le “trattative”. L’applicabilità delle disposizioni civilistiche deriva dalla possibilità di equiparare  l’amministrazione che agisce nella procedura volta alla conclusione di un contratto ad un contraente privato: tutte le fasi della procedura, infatti, si pongono quale strumento di formazione progressiva del consenso contrattuale e, pertanto, il rispetto dei principi di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. non può essere circoscritto al singolo periodo successivo alla determinazione del contraente.

La differenza tra le due tipologie di regole si rileva nel fatto che la violazione delle prime, aventi ad oggetto il provvedimento, ne determina, di regola, l’invalidità; le altre, invece, si riferiscono al comportamento, seppur collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere, complessivamente tenuto dalla stazione appaltante o dall’amministrazione aggiudicatrice nel corso della gara e la loro violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità.

Ne deriva che, anche per la Pubblica Amministrazione le regole di correttezza e buona fede, che non necessariamente inficiano la validità del provvedimento, vanno valutate secondo i predetti canoni in ragione del comportamento complessivamente tenuto, quale fondamento della responsabilità in capo ai titolari dell’esercizio dei pubblici poteri.

Secondo il recente orientamento dell’Adunanza del Consiglio di Stato, decisione n. 5/2018, il dovere di correttezza ha, via via, assunto una dimensione più ampia rispetto all’originaria previsione del codice civile del 1942. Ed invero, il dovere di corretteza non è più considerato strumentale solo alla conclusione di un contratto valido e socialmente utile, ma ha la finalità di tutelare la libertà di autodeterminazione negoziale, garantita dalla costituzione che tutela la libertà di iniziativa economica.

Il dovere di correttezza, garantisce la possibilità di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenze illecite derivanti da condotte di terzi sleali e scorrette, ancorchè poste in essere da parte della Pubblica Amministrazione.

Quanto alla risarcibilità del danno derivante dall’affidamento che il privato abbia riposto nella condotta procedimentale dell’amministrazione, la quale si sia poi determinata in senso sfavorevole per il cittadino, di recente si sono pronunciate le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8236/2020, che hanno ammesso detta risarcibilità indipendentemente da ogni connessione con l’invalidità provvedimentale o con la stessa esistenza del provvedimento.

Il dovere della Pubblica Amminisrazione di comportarsi secondo correttezza e buona fede nei rapporti con i cittadini, è stato di recente positivizzato dal legislatore, con la L. 120/2020, di conversione del D.L. 76/2020. Detta legge ha introdotto all’art. 1 della L. n.241/90, rubricato “Principi generali dell’attività amministrativa”, il comma 2 bis, che testulamente recita “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”.

Si tratta di un principio di carattere generale che investe il procedimento amministrativo lato sensu, e costituisce, in conformità al prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, l’evoluzione di un percorso di adeguamento iniziato con la riforma avviata con la L. 15/2005. Infatti con la L. 15/2005, era stato riformulato l’art. 1 della 241/90, e in particolare con il comma 1, è stata introdotta una disposizione di chiusura che si richiamava ai principi dell’ordinamento comunitario, tra i quali assume un rilievo primario la tutela dell’affidamento legittimo; tale principio, sebbene non espressamente contemplato dai Trattati, è stato più volte affermato dalla Corte di Giustizia (a partire dalla sentenza Topfer del 3 maggio 1978, C-12/77), che lo ha elevato al rango di principio dell’ordinamento comunitario (Cons. Stato, A.P., n. 5 del 2018).

Posto che la Pubblica Amministrazione è obbligata a conformarsi ai canoni di correttezza e buona fede, occorre individuare nell’ambito delle procedure ad evidenza pubbblica, scandite da una articolata sequenza provvedimentale, quale sia il provvedimento idoneo ad ingenerare nel concorrente il legittimo affidamento sulla positiva conclusione del procedimento.

La giurisprudenza amministrativa ha individuato nell’aggiudicazione definitiva il momento qualificante della relazione tra privato e pubblica amministrazione, che incanala in via tendenzialmente definitiva le aspettative più o meno intense del privato concorrente nelle precedenti fasi della gara, in una posizione diversificata di possibile contraente e conseguente esecutore dei lavori”.

L’aggiudicazione definitiva, infatti, pur attenendo al piano delle “trattative”, essendo precedente alla stipula del contratto, costituisce il punto di “massima forza”, al di là del quale nasce il sinallagma contrattuale e gli obblighi tra le parti si connotano della vicendevolezza riconducibile allo stesso.

La rilevanza attribuita all’aggiudicazione definitiva, travalica pertanto anche gli ostacoli ravvisati dai fautori di una visione più restrittiva dell’ambito di operatività della responsabilità precontrattuale nelle procedure ad evidenza pubblica nella formulazione letterale dell’art. 1337 c.c., che pone il dovere di correttezza in capo alle “parti” di una “trattativa” nell’ambito del “procedimento di formazione del contratto”. Non vi è dubbio, infatti, che essa esemplifichi tradizionalmente quella che viene comunemente definita una “trattativa affidante”, contenendo in sé l’avvenuta individuazione del futuro contraente privato (cfr. C.d.S., sentenza, 20/11/2020, n. 7237).

Con l’aggiudicazione definitiva il partecipante alla gara può fare un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto, e può dolersi del recesso ingiustificato dalle trattative che la stazione appaltante abbia posto in essere attraverso l’esercizio dei poteri di autotutela pubblicistici sugli atti di gara.

Si rileva inoltre, che ogni singolo provvedimento adottato durante la gara è astrattamente idoneo ad ingenerare nel concorrente il legittimo affidamento sulla positiva conclusione del procedimento, ma solo la definitiva individuazione del contraente, atto connotato da stabilità, da luogo alla responsabilità precontrattuale. Del resto, non viene riconociuta la stessa portata “potenzialmente affidante all’aggiudicazione provvisoria in quanto un atto endoprocedimentale ad effetti ancora instabili e del tutto interinali che si inserisce nell’ambito della scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 luglio 2014, n. 3449).

A ciò si aggiunga che, la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione si configura anche a prescindere dall’avvenuto annullamento, in via giurisdizionale o per autotutela, di un provvedimento favorevole al privato, in quanto la responsabilità va ricercata nel comportamento, contrario ai canoni di buona fede e correttezza, tenuto dalla Pubblica Amministrazione  (cfr. Cass. civ., sez. un., ordinanze “gemelle” 23 maggio 2011, nn. 6594, 6595 e 6596; Cass. civ., sez. un., 22 gennaio 2015, n. 1162, e Cass. civ., sez. un., 4 settembre 2015, n. 17586).

Ne deriva che la responsabilità, emerge, allorchè, successivamente alla rimozione del provvedimento favorevole, il privato beneficiario dell’atto poi annullato, dimostri di aver subito un danno ingiusto per avere confidato nella legittimità dello stesso ed aver compiuto atti in conseguenza del detto provvedimento. Si tratta di una respnsabilità da comportamento in violazione del diritto soggettivo all’integrità patrimoniale ovvero alla libertà di autodeterminazione negoziale. In siffatte ipotesi, il privato, lamenta che l’agire scorretto dell’Amministrazione ha ingenerato un affidamento incolpevole sulla legittimità del provvedimento attributivo del beneficio e, quindi, sulla legittimità della conseguente attività negoziale, onerosa per il suo patrimonio, posta in essere in ragione del provvedimento stesso. Attività che, invece, una volta venuto meno il provvedimento, si rivela, perché anch’essa travolta dalla sua illegittimità, come inutile, conseguentemente fonte di perdite o mancati guadagni.

Come precisato dalle Sezioni Unite della Cassazione, il provvedimento viene in considerazione come elemento di una più complessa fattispecie che è fonte di responsabilità solo se e nella misura in cui risulti oggettivamente idonea ad ingenerare un affidamento incolpevole, sì da indurre il privato a compiere attività e a sostenere costi incidenti sul suo patrimonio, nel positivo convincimento della legittimità dell’atto.

Ma vi è di più! La tutela dell’affidamento del contraente nell’ambito della responsabilità precontrattuale si configura anche nel caso in cui sia stato stipulato un contratto valido, ma svantaggioso (cfr. Cass., SS.UU., 19 dicembre 2017, n. 26725) nel quale si è ritenuto che il comportamento sleale non ha reso la trattativa inutile, ma il contraente ha comunque subito la scorrettezza economicamente pregiudizievole.

Per quanto sopra, la sussistenza di un legittimo affidamento ingenerato nel concorrente di una procedura di gara è costituita dall’atteggiamento complessivamente tenuto della pubblica amministrazione nel corso delle trattative: infatti “ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivo tenuto dall’amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 2014, n. 142).

A ciò si aggiunga che, ai fini dell’accertamento della responsabilità precontrattuale nell’ambito delle procedure ad evidnza pubblica, a prescindere delle modalità di annullamento dell’aggiudicazione definitiva, il giudice è chiamato a verficare le singole scansioni procedurali e ciò anche al fine di valutare il danno secondo le indicazioni dell’art. 1227 c.c., secondo cui “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.

Quato al danno, la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto comporta l’impossibilità di parametrare il danno subito alla conclusione del contratto medesimo, venendo in rilievo soltanto il c.d. interesse contrattuale negativo, che copre sia il danno emergente, ovvero le spese sostenute, che il lucro cessante, da intendersi tuttavia non come mancato guadagno rispetto al contratto non eseguito, ma in riferimento alle altre occasioni di contratto che la parte dichiara di avere perso (cfr. Cass. civ., sez. I, ord. 25 luglio 2018, n. 19775; id., 27 ottobre 2017, n. 25644; cfr. anche Cons. Stato, sez. III, 18 gennaio 2013, n. 279).

Quindi il danno risarcibile per responsabilità precontrattuale è commisurato al pregiudizio subito ovvero alla lesione del c.d. interesse negativo effettivamente sofferto dall’aggiudicatario, la cui liquidazione non cambia a seconda della tipologia o della gravità della condotta contraria a buona fede in capo alla pubblica amministrazione.

La Suprema Corte di Cassazione ha distinto i parametri del risarcimento, affermando che “in tema di responsabilità ex articolo 1337 del c.c., l’ammontare del danno va determinato tenendo conto della peculiarità dell’illecito e delle caratteristiche della responsabilità stessa, la quale, nel caso d’ingiustificato recesso dalle trattative, postula il coordinamento tra il principio secondo il quale il vincolo negoziale sorge solo con la stipulazione del contratto e l’altro secondo il quale le trattative debbono svolgersi correttamente. Pertanto, non essendo stato stipulato il contratto e non essendovi stata la lesione dei diritti che dallo stesso sarebbero nati, non può essere dovuto un risarcimento equivalente a quello conseguente all’inadempimento contrattuale; mentre, essendosi verificata la lesione dell’interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative, il danno risarcibile è unicamente quello consistente nelle perdite che sono derivate dall’aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute” (cfr. Cass. civ., Sez. III, 10 giugno 2005, n. 12313).

Per quanto sopra, non possono essere risarciti a titolo di danno da responsabilità precontrattuale tutte le voci di danno commisurate all’esecuzione dell’opera, ovviamente determinate in ragione dell’offerta nonché la lesione curriculare. Quest’ultima infatti, derivando dalla mancata esecuzione dell’appalto, e non dall’inutilità della trattativa, attiene più propriamente all’interesse positivo, in quanto tale non risarcibile nei casi di responsabilità precontrattuale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 2013, n. 633).

Va invece risarcito il danno da c.d. perdita di chance che va rapportato all’utile di impresa non conseguito, ed ancora vanno risarciti i costi finalizzati alla stipula del contratto, nonché i costi sostenuti per gli studi progettuali, relazione di fattibilità nonché i costi riconducibili alla gestione dell’instaurando rapporto contrattuale, e ciò in quanto all’aggiudicazione definitiva poi annullata, ne ha fondato l’aspettativa in capo al contraente ed è pertanto evidente la indebita onerosità ed inutilità, che deve essere posta in capo all’Amministrazione che ne ha ingerato l’affidamento (cfr. C.d.S., sentenza, 20/11/2020, n. 7237).

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