Responsabilità per cose in custodia: la prova della conoscenza da parte del danneggiato del dissesto stradale esclude la responsabilità del Comune

Redazione 08/10/19
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di Mattia Polizzi

Sommario

1. Massima

2. Vicenda e contenuto della decisione

3 Questioni

4. Osservazioni. Sintetici riferimenti alle principali teoriche in merito alla responsabilità derivante da cose in custodia ed ai relativi riscontri istruttori

5. (segue) Cenni alla responsabilità della P.A. quale custode delle strade pubbliche

6. (Segue) Il «caso fortuito» può essere integrato anche dal comportamento negligente del danneggiato, ma senza alcun automatismo

1. Massima

Il comportamento di un soggetto che, pur essendo a conoscenza della situazione di grave dissesto in cui versa una strada, tenga una condotta imprudente all’atto del percorrerla, costituisce una condotta idonea ad integrare il «caso fortuito» di cui all’art. 2051 c.c.: ciò in quanto, anche in ragione del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso all’art. 2 Cost., quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione (da parte del danneggiato) delle cautela appropriate in rapporto alle circostanze fattuali, tanto più il comportamento imprudente risulta incidente nella dinamica causale del fatto, fino al punto di poter interrompere il nesso eziologico tra cosa in custodia ed evento dannoso.

(Cassazione civile, Sez. III, 28 giugno 2019, n. 17443)

2. Vicenda e contenuto della decisione

Mentre percorreva una strada comunale, un soggetto cadeva a causa di una buca presente sul manto stradale e riportava delle lesioni. Al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti, citava in giudizio il Comune. Il Tribunale adito accoglieva la domanda, condannando l’Ente al risarcimento del danno.

Quest’ultimo impugnava la decisione ed il gravame veniva accolto. La Corte d’Appello affermava in primo luogo che la violazione del dovere di cautela da parte del danneggiato in presenza di una cosa potenzialmente pericolosa integra il caso fortuito idoneo, ai sensi dell’art. 2051 c.c., ad interrompere il nesso di causalità tra la res e l’evento dannoso. Con precipuo riferimento alla vicenda concreta i giudici di secondo grado osservavano poi che da un lato la situazione di dissesto della strada era legata alla sua stessa natura (trattandosi di una mulattiera) ed era percepibile immediatamente a chi vi transitasse; dall’altro, tale circostanza era da considerarsi ancor più significativa per chi, come il danneggiato, era ben a conoscenza dello stato dei luoghi. Sicché, la causa del sinistro veniva identificata unicamente nel comportamento imprudente del danneggiato.

Quest’ultimo propone ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo. Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. in quanto la Corte d’Appello avrebbe erroneamente valutato le risultanze istruttorie, alla luce delle quali era emerso in primo luogo che la frequentazione della strada teatro del sinistro era da ricondursi a solamente una volta all’anno ed in secondo che le buche presenti sulla strada (non illuminata) erano coperte da foglie e piene d’acqua.

La Corte di Cassazione respinge le doglianze, dichiarando inammissibile il ricorso: ciò in quanto il ricorrente ha inteso, «sotto le spoglie della denuncia della violazione di legge», proporre una «revisione del giudizio di fatto, senza passare peraltro attraverso la denuncia del vizio motivazionale, giudizio la cui valutazione è preclusa nella […] sede di legittimità» (pag. 4 della decisione). I giudici di Piazza Cavour osservano inoltre che la decisione impugnata risulta conforme alla giurisprudenza consolidatasi nel tempo, la quale ha affermato che il comportamento negligente del danneggiato può integrare il «caso fortuito» di cui all’art. 2051 c.c.: in altri termini, la Corte ricorda che, anche alla luce del «dovere generale di cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.», deve essere (ri)affermato il principio in forza del quale «quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale» (così pag. 5 della sentenza).

3 Questioni

La pronuncia della Suprema Corte interviene in una tematica di ordine per così dire «quotidiano» nella aule di giustizia, che ha dato adito ad un nutrito gruppo di decisioni[1] e che, al contempo, non risulta esente da profili di rilevante criticità: ci si riferisce alla questione dell’esatta individuazione del caso fortuito di cui all’art. 2051 c.c. che, come noto, consente al custode di liberarsi della responsabilità derivante dai danni cagionati dalle cose poste nella propria sfera di controllo; più nello specifico, la sentenza afferma che è possibile identificare il caso fortuito (anche) nella conoscenza che il soggetto abbia del dissesto dello stato dei luoghi[2].

[1] Cfr., ex pluribus, anche con precipuo riferimento alla responsabilità della P.A., Cass. Civ., Sez. VI, 16 maggio 2017, n. 12027; Cass. Civ., Sez. VI, 27 marzo 2017, n. 7805; Cass. Civ., Sez. III, 23 marzo 2016, n. 5695; Cass. Civ., Sez. III, 22 marzo 2016, n. 5622; Cass. Civ., Sez. III, 11 marzo 2016, n. 4768; Cass. Civ., Sez. III, 12 marzo 2013, n. 6101; Cass. Civ., Sez. III, 18 ottobre 2011, n. 21508; Cass. Civ., Sez. III, 18 luglio 2011, n. 15720, in Resp. civ. e prev., 2012, II, pagg. 522 e ss., con nota di Balucani, Condotta omissiva dell’Ente pubblico e prevedibilità dell’evento dannoso nella responsabilità ex art. 2051 c.c.: due casi a confronto; Cass. Civ., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24529; Cass. Civ., Sez. III, 19 novembre 2009, n. 24419; Cass. Civ., Sez. III, 3 aprile 2009, n. 8157; Cass. Civ., Sez. III, 6 giugno 2008, n. 15042.

[2] Per analoghe pronunce in tal senso si v., a titolo di esempio Cass. Civ., Sez. III, 1° febbraio 2018, n. 2482; Cass. Civ., Sez. III, 1° febbraio 2018, n. 2481; Cass. Civ., Sez. III, 1° febbraio 2018, n. 2480, in Resp. Civ. Prev., 2018, V, pagg. 1558 e ss., con nota di Leonardi, (L’accidentato terreno del) danno da cose in custodia: la Cassazione offre una ricognizione completa e puntuale dei principi di diritto operanti in tema di responsabilità degli Enti proprietari/gestori delle strade; Cass. Civ., Sez. III, 1° febbraio 2018, n. 2477; Cass. Civ., Sez. III, 1° febbraio 2018, n. 2479, in Diritto&Giustizia, 2 febbraio 2018, con nota di Marotta, La condotta colposa del danneggiato non integra ex se il caso fortuito; Cass. Civ., Sez. III, 1° febbraio 2018, n. 2478; Cass. Civ., Sez. III, 1° febbraio 2018, n. 2477; Trib. Bergamo, Sez. III, 26 novembre 2018, n. 2477, in DeJure.

4. Osservazioni. Sintetici riferimenti alle principali teoriche in merito alla responsabilità derivante da cose in custodia ed ai relativi riscontri istruttori

Come noto, l’attuale sistema codicistico della responsabilità extracontrattuale segue la logica di un – per così dire – doppio binario. Da un lato si trova il generale principio del neminem laedere, positivizzato nel disposto dell’art. 2043 c.c., a norma del quale «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». Dall’altro si pongono svariate ipotesi di responsabilità aquiliana speciali, che presentano elementi di differenza rispetto allo schema generale. Con riferimento a queste ultime casistiche spesso è il sistema di imputazione soggettiva della responsabilità che viene ad essere mutato, in quanto il Legislatore ha reputato, nell’operazione di allocazione della responsabilità, di privilegiare la situazione del danneggiato piuttosto che quella di altri consociati.

Tra tali ipotesi peculiari rientra la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c.: la norma, che disciplina la responsabilità di danno cagionato da cose in custodia, dispone che «ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito»[3]. La lettera della legga, invero piuttosto scarna, non consente di evincere con certezza la natura di tale forma di responsabilità e tale incertezza getta ombre pure sulla natura della relativa prova liberatoria. Diverse e plurime sono le teoriche sviluppatesi in conseguenza del dettato normativo: in questa sede, si intende richiamare, pur sinteticamente, le principali tre prospettive emerse al riguardo[4].

Alla luce di una prima impostazione dottrinale, in analogia con quelli che sono i criteri penalistici di imputazione soggettiva della condotta, la norma introdurrebbe un’ipotesi di responsabilità per colpa presunta: corollario di questa premessa è che resta ineludibile la necessità di ravvisare e provare una, pur presunta, forma di collegamento soggettivo e psicologico tra condotta ed evento dannoso; onere, quest’ultimo, posto a carico del danneggiato.

Altri, invece, ricordano che la causalità civilistica risulta ispirata dall’esigenza di allocare (la responsabilità per) un danno e non da quella, tipica del sistema penalistico, di punire un comportamento antigiuridico[5]: alla luce di questa premessa, si ritiene che l’art. 2051 c.c. altro non rappresenterebbe se non una ipotesi (tra le tante prese in considerazione dal sistema della responsabilità aquiliana) di responsabilità oggettiva, ispirata al brocardo per cui cuius commoda, eius et incommoda. Ne consegue, sotto il profilo probatorio, che la responsabilità risulta superabile dalla (sola) dimostrazione dell’intervento del caso fortuito nell’eziologia causale. Si tratta, come sarà possibile osservare meglio infra, dell’impostazione dogmatica maggiormente condivisa in dottrina e giurisprudenza e, probabilmente, di quella che appare maggiormente aderente al dato normativo.

Infine, una terza opinione individua nella fattispecie de qua una forma di responsabilità semi-oggettiva: la prova liberatoria, dunque, sarebbe raggiunta non solo attraverso l’identificazione di una causa estranea alla sfera di potere custode (il vero e proprio «caso fortuito»), ma anche attraverso la prova e la dimostrazione della condotta diligente del custode stesso.

La giurisprudenza, dal canto proprio, ha per diverso tempo focalizzato la propria attenzione sull’obbligo di diligenza gravante sul custode, in tal modo asseverando la prima delle tesi sopra citate, quella che individua nell’art. 2051 c.c. un’ipotesi di responsabilità per colpa presunta.

Questa impostazione è stata pero superata dalle Sezioni Unite che, con la sent., 11 novembre 1991, n. 12019, hanno invece optato per una ricostruzione in termini oggettivi della responsabilità del custode, sulla scorta di un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo è stata affermata l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. al solo c.d. fatto della cosa: ne consegue che, nel caso in cui il danno sia dovuto al c.d. fatto dell’uomo, residua esclusivamente l’applicabilità dell’art. 2043 c.c. (ed il relativo onere probatorio). In secondo luogo si è affermata la necessità di tenere presente che il requisito della custodia deve essere inteso non tanto come obbligazione di custodire in termini tecnico-legali, quanto – piuttosto – come mera situazione di fatto: consegue da tal premessa (alla quale, invero, non tutta la giurisprudenza successiva ha aderito) la sufficienza, per l’attore, di fornire la prova del solo nesso causale tra cosa e pregiudizio subito, gravando invece sul custode l’onere di fornire la prova (liberatoria) del fortuito.

[3] Sul tema della responsabilità per cose in custodia si rimanda, pur senza pretesa di esaustività alcuna, a Anelli, Granelli, Schlesinger, Torrente, Manuale di diritto privato, 2017, Milano pagg. 931 e ss.; Bianca, Qualche spunto critico sugli attuali orientamenti (o disorientamenti) in tema di responsabilità oggettiva e di danni da cose, in Giust. civ., 2010, I, pagg. 19 e ss.; Bocchini, Quadri, Diritto privato, 2018, Torino, pagg. 1312 e ss.; Chinè, Fratini, Zoppini, Manuale di diritto civile, 2018, Roma, pagg. 2454 e ss.; Gazzoni, Manuale di diritto privato, 2019, Napoli, pagg. 729 e ss.

[4] Autorevolmente e chiaramente illustrate in Chinè, Fratini, Zoppini, op. cit., pagg. 2338-2341.

[5] Cfr. Garofoli, Manuale di diritto penale. Parte generale, 2017, Roma, pagg. 557 e ss.

5. (segue) Cenni alla responsabilità della P.A. quale custode delle strade pubbliche

Ulteriore questione inerente il tema in parola e ripreso dalla sentenza in nota è quello dell’applicabilità o meno dell’art. 2051 c.c. alla P.A. Con riguardo a tale questione, una parte della giurisprudenza ha escluso l’operatività della norma citata nel caso di danno causato da beni di rilevanti dimensioni appartenenti alla P.A.[6]. Altro orientamento, invece, ammette l’applicazione dell’art. 2015 c.c. ma limitatamente alle ipotesi in cui la res possa essere oggettivamente governata, presumendosi (iuris tantum) la controllabilità delle strade comunali incluse nel perimetro del centro abitato[7]. Infine, una terza – e ad oggi prevalente – impostazione opera un distinguo tra il pericolo «immanentemente comune alla struttura o alla pertinenza» del bene ed il pericolo «provocato dagli stessi utenti [della strada] ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa»: nel primo caso si reputa applicabile il disposto dell’art. 2051 c.c. mentre nel secondo si afferma l’operatività del solo rimedio di cui all’art. 2043 c.c., con il relativo (e maggiormente gravoso per l’attore) onere della prova[8].

Con precipuo riferimento al caso di specie è opportuno rimarcare che secondo la giurisprudenza non esiste alcun automatismo tra la presenza di una buca sulla sede stradale e la responsabilità dell’Ente proprietario della medesima. Certamente grava sulla P.A. l’obbligo incontrovertibile di conservare il bene demaniale, ma è altresì vero che eventuali buche presenti sul manto stradale possono costituire vere e proprie insidie per l’utenza solo qualora non risultino visibili, prevedibili ed evitabili: pertanto, buche nascoste da foglie e coperte d’acqua integrano il concetto astratto di «insidia»[9], ma solo nel caso in cui non intervenga, ad interrompere il nesso causale, la circostanza per cui il danneggiato sia edotto dello stato (di dissesto) dei luoghi (sul comportamento imprudente del danneggiato si v. infra).

[6] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 26 settembre 2006, n. 20827; Cass. Civ., Sez. III, 23 luglio 2003, n. 11446; Cass. Civ., Sez. III, 4 dicembre 1998, n. 12314.

[7] Si v., in tal senso, Cass. Civ., Sez. III, 21 luglio 2006, n. 16770; Cass. Civ., Sez. III, 12 luglio 2006, n. 15779; Cass. Civ., Sez. III, 6 luglio 2006, n. 15383

[8] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 19 maggio 2011, n. 11016, in Diritto&Giustizia, 2 giugno 2011, con nota di Villa, Volpe in carreggiata: l’autostrada deve rifondere i danni se non prova il caso fortuito; Cass. Civ., Sez. III, 23 marzo 2011, n. 6677; Cass. Civ., Sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4495

[9] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 18 febbraio 2014, n. 3793; Cass. Civ., Sez. III, 21 marzo 2013, n. 7112.

6. (Segue) Il «caso fortuito» può essere integrato anche dal comportamento negligente del danneggiato, ma senza alcun automatismo

Riprendendo quanto anticipato supra, è possibile ricordare che sotto il profilo più strettamente processuale, il meccanismo probatorio di cui all’art. 2051 c.c. si articola secondo un duplice ragionamento. In primo luogo, la prova del nesso eziologico e causale tra la res custodita ed il danno incombe sull’attore-danneggiato. Specularmente, la prova dell’interruzione del nesso causale ad opera del caso fortuito (che può essere integrato, come si è detto, dalla condotta del danneggiato) spetta al custode-convenuto.

In varie e recenti pronunce la Cassazione ha altresì ricordato che dalla lettera dell’art. 2051 c.c. è possibile ricavare due ulteriori corollari[10]: è irrilevante il comportamento del custode, in quanto la norma in parola delinea un’ipotesi di responsabilità oggettiva ove il custode negligente e quello prudente si trovano a fronteggiare la medesima responsabilità qualora la cosa abbia provocato danni a terzi[11] e inoltre la res non deve rappresentare una circostanza meramente «neutra» nell’economia causale della vicenda. In altri termini l’evento dannoso deve essersi verificato nell’ambito del dinamismo proprio della res o dell’evento dannoso sorto da essa: la res, benché inerte, deve avere un ruolo nel processo causale. Tale circostanza non si verifica nel caso in cui la res costituisca un elemento neutro (o passivo), ossia nel caso in cui – come quello nella specie occorso – essa sia mero teatro o occasione dell’incidente[12].

L’eventuale condotta imprudente del danneggiato, dunque, è di per sé idonea ad integrare il caso fortuito ed è sufficiente ad interrompere il nesso eziologico tra la res (ossia la strada dissestata) e l’evento dannoso (la caduta). Certo non è sufficiente qualsiasi comportamento negligente o imprudente, ma è onere del custode dimostrare che debba essere escluso qualunque collegamento tra il modo di essere della res e l’evento dannoso in modo tale che la condotta del danneggiato risulti unica ed esclusiva causa del danno[13]. Peraltro, anche nel caso in cui l’agere del danneggiato non assuma caratteri tali da integrare il caso fortuito, è possibile che la sua condotta si ponga a fondamento di un’ipotesi di concorso causale colposo: difatti, il disposto del primo comma dell’art. 1227 c.c., a norma del quale «se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate», sebbene precipuamente dettato con riguardo al sistema della responsabilità contrattuale, risulta applicabile al caso di responsabilità aquiliana, stante il richiamo operato dall’art. 2056 c.c. Merita al riguardo di essere richiamato il passeggio della pronuncia in nota ove la Cassazione afferma che «quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del medesimo nel dinamismo causale del danno» (pag. 5 della sentenza).

Ciò che si vuole rimarcare è che la condotta negligente del danneggiato non appare foriera di alcun automatismo. Sarà il giudice del merito a dover ricostruire l’esatta dinamica della vicenda e ad apprezzare «in concreto» l’apporto della condotta negligente dell’economia della fattispecie che risulta pertanto suscettibile di un certo margine di gradazione in quanto, se da un lato può essere dotato di una forza tale da escludere in toto la responsabilità, dall’altro lato può integrare la minor conseguenza di un concorso colposo del danneggiato. Sul piano più squisitamente processuale, peraltro, è stato osservato dalla giurisprudenza di legittimità che l’eventuale concorso colposo del danneggiato può essere valutato anche in via officiosa, al pari del caso fortuito[14]: il fatto del danneggiato, difatti, «non rappresenta un’eccezione in senso proprio, ma integra una semplice difesa, che deve essere esaminata anche d’ufficio dal giudice, attraverso le opportune indagini» in merito alla eventuale sussistenza di una incidenza causale derivante dal «comportamento colposo del danneggiato, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste della parte, purché risultino prospettati gli elementi di fatto su cui si fonda l’allegazione del fortuito»[15].

[10] Cfr. in particolare Cass. Civ., Sez. III, 13 febbraio 2019, n. 4161; Cass. Civ., Sez. III, 13 febbraio 2019, n. 4160.

[11] Si v. al riguardo anche Cass. Civ., Sez. III, 6 luglio 2006, n. 15383.

[12] Sul punto cfr. Cass. Civ., Sez. III, 29 maggio 2018, n. 13392.

[13] Cass. Civ. 2479/2018 cit..

[14] Così Cass. Civ., Sez. VI, 20 settembre 2014, n. 20619.

[15] Cass. Civ., Sez. III, 22 marzo 2011, n. 6529; Cass. Civ., 6529/2011; cfr. anche Cass. Civ., Sez. III, 10 novembre 2009, n. 23734

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