Responsabilità da atto lecito (Cons. di Stato N.00689/2012)

Lazzini Sonia 15/06/12
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La legittimità della revoca è il presupposto del diritto all’indennizzo, previsto dall’art. 21 quinquies l. n. 241/1990, atteso che il risarcimento del danno da responsabilità civile dell’amministrazione si fonda sul diverso presupposto della illegittimità del provvedimento.

deve ritenersi consentito nello stesso processo il cumulo delle azioni di risarcimento, sul presupposto dell’illegittimità della revoca, e di indennizzo, in via subordinata, in caso di infondatezza della domanda risarcitoria.

in carenza di alcuna affermazione e men che meno allegazione di alcun vizio attingente gli atti asseritamente lesivi, non può certo ravvisarsi una autonoma prospettazione (se non labiale) di una responsabilità di natura risarcitoria da atto illegittimo, ma, semmai, di una supposta “responsabilità da atto lecito”, il che costituisce, sostanzialmente, il nucleo della domanda prospettata in via subordinata

a fini classificatori e dogmatici “l’indennizzo, previsto dall’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 introdotto dalla l. n. 15 del 2005, nel caso di revoca del provvedimento amministrativo “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario” non può confondersi con il risarcimento del danno.”

Commenti presenti nel testo

decisione numero 4138 del 19 giugno 2009 emessa dal Consiglio di Stato

decisione numero 7334 del 6 ottobre 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

decisione numero 1554 del 17 marzo 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

Passaggio tratto dalla decisione numero 689 del 9 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

Ferma la proponibilità, pertanto, nell’odierno giudizio del duplice titolo di responsabilità dell’Amministrazione, la infondatezza della domanda risarcitoria (non a caso ipotizzata facendo richiamo alle medesime disposizioni che fondano, nella prospettazione appellatoria, anche la richiesta di liquidazione dell’indennizzo) va ribadita sia alla luce della circostanza che nessuna illegittimità è stata neppure prospettata con riferimento agli atti amministrativi (approvazione del progetto del trattato autostradale) “fonte” dell’abbandono del progetto imprenditoriale, sia alla stregua della condivisibile giurisprudenza sovranazionale secondo cui l’ingerenza statuale che finisca con incidere sui beni del privato è consentita, purché realizzi un corretto equilibrio tra diritto sacrificato e interesse generale.

Si è detto in proposito, infatti, che “un’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve realizzare un giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo. La preoccupazione di assicurare un tale equilibrio si riflette nella struttura dell’art. 1 del Protocollo n. 1 considerato complessivamente, quindi anche nella seconda frase che deve essere letta alla luce del principio consacrato nella prima. In particolare, deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito attraverso qualsiasi misura che privi una persona della sua proprietà. Al fine di determinare se la misura contestata soddisfi il giusto equilibrio voluto e, soprattutto, se non faccia gravare sui ricorrenti un onere sproporzionato, si devono prendere in esame le modalità d’indennizzo previste dalla legislazione interna. Senza il versamento di una somma ragionevolmente proporzionata al valore del bene, una privazione della proprietà costituisce normalmente un pregiudizio eccessivo, e un’assenza totale di indennizzo può giustificarsi sul piano dell’art. 1 del Protocollo n. 1 solo in circostanze eccezionali.”(Corte europea dir. uomo , sez. grande chambre, 06 ottobre 2005 , n. 1513).

Lo “statuto proprietario”, cioè (anche a volere considerare equiparata la posizione dell’appellante, a tal fine, seppur questi fosse soltanto attributario di una posizione derivata di natura ampliativa discendente dal provvedimento concessorio comunale) può essere tutelata soltanto allorché l’equilibrio con il sacrificio imposto non sussista, ovvero in ipotesi di riscontrata illegittimità dell’azione amministrativa (si rammenta in proposito l’orientamento comunitario – Corte Europea Diritti Uomo, 6 marzo 2007, n.43662 – che preclude di ravvisare una “espropriazione indiretta” o “sostanziale” in assenza di un idoneo titolo previsto dalla legge.).

Si legga anche

decisione numero 4138 del 19 giugno 2009 emessa dal Consiglio di Stato

Quanto al risarcimento del danno, la pretesa non può essere accolta poiché in presenza di una revoca legittima non è configurabile alcuna colpa della p.a.

In più, nessuno dei danni asseritamene patiti è sorretto da elementi probatori, né risulta che l’impresa abbia richiesto all’Università la restituzione della polizza fideiussoria che assume di avere stipulato e abbia ricevuto un diniego.

Inoltre, secondo l’insegnamento della Ad. pl. n. 6 del 2005, in caso di revoca dell’aggiudicazione da parte della stazione pubblica appaltante, va presunta la restituzione all’aggiudicatario tanto della cauzione provvisoria quanto di quella definitiva, le cui pertinenti voci non possono come tali essere conteggiate in sede di risarcimento del danno invocato dall’aggiudicatario ex art.1337 cc.

L’eventuale indennizzo, previsto dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 introdotto dalla legge n. 15 del 2005, per il caso di revoca del provvedimento amministrativo “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario” – e per la cui liquidazione il legislatore ha opportunamente previsto che si tenga conto “dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico” – non è dovuto sia ratione temporis, sia soprattutto perché non è stato richiesto dalla società; né tale indennizzo può confondersi con il risarcimento del danno nella presente fattispecie non dovuto, in disparte la configurazione della eventuale responsabilità (se contrattuale o precontrattuale o extra contrattuale) e il ricorrere dell’elemento della colpa che qui non rilevano

decisione numero 7334 del 6 ottobre 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

nell’esercizio del c.d. jus poenitendi l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità, non può ritenersi inadeguata la motivazione posta a fondamento della revoca in esame

Va condivisa quindi la doglianza con la quale l’appellante sostiene che il provvedimento di revoca era adeguatamente motivato con riferimento alla rinnovata valutazione dell’interesse pubblico ostativo alla realizzazione dell’opera

Nella delibera di giunta sono evidenziati alcuni profili di illegittimità dell’affidamento (criticità tecnico-economica del progetto scelto, sopravvenienza di normativa ) e altri aspetti riguardanti una nuova valutazione dell’interesse pubblico alla non realizzabilità dell’opera.

Tale motivazione rende prevalenti le ragioni di opportunità della nuova scelta, rispetto a quelle derivanti all’interesse a rimuovere un vizio di illegittimità, con conseguente qualificazione del provvedimento in termini di revoca.

Al riguardo, si osserva che con l’entrata in vigore dell’art. 21-quinques della l. n. 241/90 il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi, che legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto; c) per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).

La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, consentita non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (Cfr. Cons. St. , Sez. VI, 17 marzo 2010, n.1554).

Nel caso di specie, la motivazione del provvedimento di revoca è costituita essenzialmente da una nuova valutazione dell’interesse pubblico rivolto a dettare organica e diversa pianificazione del territorio comunale.

Va aggiunto che la mancata liquidazione dell’indennizzo unitamente alla disposta revoca non costituisce un vizio dell’atto di autotutela, ma consente al privato di agire per ottenere l’indennizzo (Cfr. la decisione di questa Sezione, 21 aprile 2010, n.2244) , come in concreto avvenuto in questo caso .

4.5.Va condivisa anche la doglianza con la quale si sostiene che nella specie non vi è stata violazione dell’art. 7 L. n.241/1990 per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca.

Occorre considerare da una parte che vi è stata una certa partecipazione al procedimento delle ricorrenti originarie che hanno predisposto anche una proposta riorganizzativa della sosta in superficie, anche se non ha avuto seguito.

Inoltre, l’Amministrazione comunale ha fornito sufficienti elementi di prova, alla stregua dell’art. 21 octies L. n.241/1990 e successive modificazioni, sul fatto che il contenuto del provvedimento impugnato non poteva essere diverso da quello adottato in considerazione dell’ intento perseguito, anche recentemente, di allontanare la circolazione dei veicoli dal centro storico (ove era prevista la realizzazione del parcheggio in contestazione).

SI LEGGA ANCHE

la decisione numero 2244 del 21 aprile 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

Tale motivazione_ accertata convenienza e opportunità di effettuare un intervento tecnicamente e qualitativamente diverso da quello previsto in precedenza_ rende prevalenti le ragioni di opportunità della nuova scelta, rispetto a quelle derivanti all’interesse a rimuovere un vizio di illegittimità, con conseguente conferma della qualificazione del provvedimento in termini di revoca.

l’entrata in vigore dell’art. 21-quinques della l. n. 241/90 ha risolto il problema del fondamento del potere di revoca degli atti amministrativi: la revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, possibile non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi)..

l’atto di autotutela sia stato legittimamente adottato dal Comune sulla base di una adeguata motivazione.

La Ricorrente s.n.c. di D’E. Sabato, già aggiudicataria dei lavori di costruzione dei loculi nel nuovo cimitero del comune di Visciano, otteneva l’affidamento, a trattativa privata, anche dei lavori di rifacimento del muro di confine del cimitero, ritenuti complementari rispetto a quelli già assegnati.

Successivamente, con deliberazione di G.C. n. 84 del 4.12.2007 veniva disposto l’annullamento d’ufficio della deliberazione di G.C. n. 8 del 23.01.2007, relativa all’affidamento dei secondi lavori.

La Ricorrente impugnava tale deliberazione davanti al Tar per la Campania, proponendo anche domanda risarcitoria e, con atto di motivi aggiunti, chiedeva l’annullamento del provvedimento n. 95/2008 del 15.04.2008, con il quale il responsabile dell’area tecnica del comune di Visciano aveva annullato la determinazione n. 31/2007 del 30.01.2007 di affidamento dei lavori.

Con sentenza n. 20237/08 il Tar ha respinto la domanda di annullamento degli atti, qualificando gli stessi come esercizio del potere di revoca e ha accolto la domanda di riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art. 21-quinques della legge n. 241/90, condannando il comune di Visciano al rimborso in favore della ricorrente della complessiva somma di euro 21.129,00.

La Ricorrente ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.

Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo di appello del Consiglio di Stato?

L’oggetto del giudizio è costituito dalla contestazione dell’esercizio da parte del comune di Visciano del proprio potere di autotutela in ordine a un provvedimento di affidamento di pubblici lavori e dalle connesse pretese patrimoniali, di carattere risarcitorio o indennitario, avanzate dall’impresa privata.

Con un primo gruppo di censure l’appellante contesta – sotto i seguenti due principali profili – la statuizione con cui il Tar ha respinto la domanda di annullamento:

a) era stata oggetto di contestazione anche la sussistenza dei presupposti per esercitare il potere di revoca con riguardo all’assenza di ragioni di pubblico interesse, alla omessa valutazione dell’affidamento delle parti destinatarie del provvedimento da rimuovere e del tempo trascorso, all’obbligo di motivazione;

b) non sussistevano comunque i vizi di legittimità su cui è stato fondato l’annullamento d’ufficio.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono privi di fondamento.

In primo luogo, si osserva che l’appellante non ha interesse a sostenere una diversa qualificazione dell’atto impugnato, in quanto qualificando lo stesso come annullamento vedrebbe pregiudicata la sua pretesa ad ottenere l’indennizzo, riconosciuto invece dal Tar e, del resto, la stessa Ricorrente sostiene che l’amministrazione “ha inteso mascherare la revoca per motivi di opportunità con l’annullamento per vizi di legittimità del precedente provvedimento per evitare la gravosità finanziaria di un provvedimento di revoca”.

Ciò premesso, l’appellante ha certamente interesse a dimostrare l’illegittimità del potere di autotutela esercitato dall’amministrazione per ottenere il pieno risarcimento dei danni, in luogo dell’indennizzo.

A prescindere dalla questione della possibilità di rimettere in discussione in questa sede la qualificazione dell’atto come revoca in assenza di appello del comune, si rileva che nei due provvedimenti impugnati è effettivamente presente una commistione tra i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento di ufficio e del potere di revoca. Tuttavia, sono prevalenti gli elementi della revoca e ciò conduce a confermare la qualificazione degli atti, effettuata dal Tar.

Ai fini della qualificazione si deve, in primo luogo, tenere conto del fatto che la Giunta ha annullato la precedente deliberazione con cui aveva fornito direttive al responsabile di area per l’affidamento dei lavori in questione e che il provvedimento di affidamento dei lavori è stato poi annullato con la determinazione del responsabile dell’area tecnica.

Nella delibera di giunta sono evidenziati alcuni profili di illegittimità dell’affidamento (assenza del carattere di complementarietà dei lavori e di pregiudizio derivante da un eventuale sovrapposizione dei cantieri) e alcuni altri aspetti inerenti una nuova valutazione dell’interesse pubblico (interesse alla conservazione del contesto di notevole interesse storico, affettivo e architettonico rappresentato dal vecchio cimitero).

Tali indicazioni sostituivano le precedenti direttive impartite al responsabile dell’area tecnica, il quale, con il provvedimento del 14.4.2008, ha dato maggiore rilievo alla “opportunità” di rimuovere la precedente decisione sulla base della “accertata convenienza e opportunità di effettuare un intervento tecnicamente e qualitativamente diverso da quello previsto in precedenza, ritenendosi conveniente operare attraverso il rifacimento del muro di confine tra vecchio e nuovo cimitero invece che con la sua totale demolizione e ricostruzione ex novo”.

Tale motivazione rende prevalenti le ragioni di opportunità della nuova scelta, rispetto a quelle derivanti all’interesse a rimuovere un vizio di illegittimità, con conseguente conferma della qualificazione del provvedimento in termini di revoca.

L’appellante contesta sotto vari profili la sussistenza dei presupposti per procedere alla revoca.

Al riguardo, si osserva che l’entrata in vigore dell’art. 21-quinques della l. n. 241/90 ha risolto il problema del fondamento del potere di revoca degli atti amministrativi.

L’art. 21-quinques ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi, che legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto; c) per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, possibile non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).

Nel caso di specie, la già citata motivazione del provvedimento di revoca è costituita appunto da una nuova valutazione dell’interesse pubblico al fine di procedere ad un intervento di carattere tecnico differente.

Tenuto che nell’esercizio del c.d. jus poenitendi l’amministrazione gode di ampia discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a fondamento della revoca non sia affetta da vizi di legittimità.

Nell’atto contenente le direttive della Giunta è stato anche valutato l’affidamento dell’impresa privata nell’atto da rimuovere, ritenendo tale affidamento comunque affievolito dalla mancata consegna dei lavori.

Viene anche valorizzata l’esigenza di evitare il consolidamento della precedente situazione e, anche volendo valutare l’elemento temporale (pur essendo questo richiamato dal solo art. 21-nonies della legge n. 241/90), il tempo trascorso (circa dieci mesi per l’atto della giunta; poco di più per l’atto del responsabile dell’area tecnica) non è tale da precludere l’esercizio del potere di revoca.

Deve, quindi, ritenersi che l’atto di autotutela sia stato legittimamente adottato dal Comune sulla base di una adeguata motivazione.

l’atto di autotutela è stato legittimamente adottato dal Comune sulla base di una adeguata motivazione.

La confermata legittimità del provvedimento di autotutela fa venire meno il presupposto su cui è stata fondata la domanda risarcitoria, costituito appunto dall’illegittimità provvedimentale

Va precisato che anche in caso di revoca legittima si può ipotizzare che al privato derivino danni risarcibili, e non meramente indennizzabili, ma ciò discende dal fatto che tali danni conseguono non già direttamente dall’atto di revoca, ma da altre illegittimità (procedimentali o di altro tipo) commesse dall’amministrazione, ma non riscontrate né dedotte nel caso di specie, in cui alcun addebito può essere mosso all’amministrazione sotto il profilo della correttezza della condotta._Ciò comporta che l’amministrazione è tenuta a corrispondere il solo indennizzo (sempre se il privato abbia subito un pregiudizio), e non l’integrale risarcimento del danno.

Il Tar ha quantificato l’indennizzo, computando il rimborso della somma di € 1.137,00 per diritti di segreteria versata in data 12 febbraio 2007 e di quella pari ad € 19.992,00 per l’acquisto di n. 170 loculi (bollettino di c.c.p. e fatture in atti).

Tale statuizione non è stata contestata dal Comune, mentre l’appellante ha lamentato il mancato riconoscimento delle spese di cauzione definitiva, di quelle generali e dei costi di noleggio del mezzo e di mano d’opera per le operazioni di carico dei 170 loculi.

L’assenza di idonei elementi probatori, rilevata dal Tar, permane anche in sede di appello, non essendo sufficiente una mera attestazione proveniente dalla stessa impresa appellante e priva di riscontri.

5. E’ infondata anche la censura con cui è stata contestata la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, in quanto, anche prescindendo dai limiti entro cui detto profilo può essere esaminato in appello, va rilevato che la reciproca soccombenza (dell’impresa rispetto all’azione di annullamento e di risarcimento e del comune con riguardo alla questione dell’indennizzo) ha giustificato la compensazione.

6. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto.

LA REVOCA LEGITTIMA COMPORTA IL RICONOSCIMENTO DELL’INDENNIZZO ( E NON DEL RISARCIMENTO) PER DANNO EMERGENTE, ADEGUATAMENTE PROVATO

la confermata legittimità del provvedimento di autotutela fa venire meno il presupposto su cui è stata fondata la domanda risarcitoria, costituito appunto dall’illegittimità provvedimentale.

Ciò comporta che l’amministrazione è tenuta a corrispondere il solo indennizzo ex art. 21-quinquies L. n.241/1990 , e non l’integrale risarcimento del danno.

L’indennizzo spettante al soggetto direttamente pregiudicato dalla revoca di in provvedimento va circoscritto al “danno emergente”

Va osservato in via preliminare che non pregiudica il diritto dell’impresa a conseguire il risarcimento del danno la clausola dell’avviso in cui si stabilisce che “la presentazione della proposta, peraltro, non vincola in alcun modo l’Amministrazione, nemmeno sotto il profilo della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.; essa quindi resterà libera di decidere di realizzare l’opera in maniera diversa, senza cioè ricorrere al project financing, di non riconoscere il pubblico interesse nei confronti di tutte le proposte pervenute, di non dar corso alla successiva fase di aggiudicazione della concessione, ovvero di non realizzare l’opera, e ciò senza che i privati promotori possano nulla pretendere a qualsiasi titolo o ragione nei confronti di questo Comune”. Detta clausola, come precisato dal TAR, deve considerarsi nulla ai sensi dell’art. 1355 c.c. (condizione meramente potestativa) poiché subordina qualsiasi responsabilità dell’Amministrazione alla mera volontà dell’amministrazione medesima (Cfr. la decisione di questa Sezione 7 settembre 2009 n. 5245; Cass. S.U 16 ottobre 2007 n. 8951).

Come è noto, fino ad epoca recente l’orientamento prevalente era nel senso di escludere qualsiasi indennizzo per il soggetto nei cui confronti intervenisse la revoca in modo legittimo di un precedente provvedimento amministrativo vantaggioso per il privato (V. la decisione di questo Consiglio, sez. VI, 6 giugno 1969, n. 266) o per lo meno un indennizzo veniva ammesso solo in casi particolari (V. Cass. S. U. 2 aprile 1959, n. 672).

Attualmente la materia è regolata dall’articolo 21 quinquies legge 7 agosto 1990, n. 241, aggiunto dall’art. 14 legge 11 febbraio 2005, n.15, ed integrato dal comma 1bis introdotto dall’art. 13 D. L. 31 gennaio 2007, n. 7, (convertito dalla legge 2 aprile 2007, n.40) , sulla cui base il presupposto dell’attribuzione dell’indennizzo a favore del soggetto che direttamente subisce il pregiudizio presuppone innanzitutto la legittimità del provvedimento di revoca (c.d. responsabilità della P.A. per atti legittimi), come nella fattispecie in esame, atteso che in caso di revoca illegittima subentra eventualmente un problema di risarcimento del danno (V. le decisioni di questo Consiglio, sez. V, 14 aprile 2008, n. 1667; sez. VI, 8 settembre 2009, n.5266).

Inoltre, non venendo in rilievo nel menzionato art. 21-quinquies un risarcimento del danno per responsabilità contrattuale, precontrattuale o extracontrattuale, ove la colpa del danneggiante è comunque essenziale salvo un diverso regime probatorio in relazione a ciascun tipo di responsabilità civile (V. le decisioni di questo Consiglio, sez. V, 20 ottobre 2008, n. 5124; Sez. VI, 21 maggio 2009, n.3144; Cass. Sez. Lav. , 14 aprile 2008, n. 9817), non occorre neppure accertare la presenza di colpa nell’apparato amministrativo (Cfr. la decisione della Sezione 10 febbraio 2010 n. 671) , contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante.

4.7.4.L’indennizzo spettante al soggetto direttamente pregiudicato dalla revoca di in provvedimento va circoscritto al “danno emergente”, come espressamente stabilito nel comma 1 bis dell’art. 21-quinquies L. n.241/1990, ma nel danno emergente debbono essere indubbiamente incluse le spese di partecipazione alla procedura per lesione della pretesa a non essere coinvolto in trattative inutili (V. le decisioni di questo Consiglio, sez. IV, 4 ottobre 2007, n.5179; Sez. VI 21 maggio 2009, n.3144).

Dette spese, che sono state indicate nel ricorso originario in euro 215.000,00, per essere rimborsabili debbono essere adeguatamente documentate, essere necessarie in relazione alla specifica procedura e rispettose dei correnti prezzi di mercato.

Sulle singole spese rimborsabili, che sono debiti di valore, spettano altresì la rivalutazione monetaria compete la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, dalla data di effettuazione della spesa fino alla data di deposito della presente decisione; sulla somma così rivalutata si computeranno gli interessi legali calcolati dalla data di deposito della presente decisione fino all’effettivo soddisfo (Cfr. Cons. Stato,Sez, VI, 21 maggio 2009, n. 3144).

47.5.La somma dovuta a titolo di indennizzo, secondo i criteri sopra indicati, dovrà essere liquidata ai sensi dell’ 35 comma 2, d. leg.vo. 31 marzo 1998 n. 80, sostituito dall’art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, entro il termine di 90 giorni dalla comunicazione o notificazione, ove anteriore della presente decisione.

5.Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere accolto nei limiti indicati, con riforma parziale della sentenza del TAR.

Le spese di entrambi i gradi di giudizio possono essere compensate in relazione alla complessità della vicenda .

decisione numero 1554 del 17 marzo 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

va affrontata la questione dell’azione di accertamento dell’esistenza del contratto spiegata dalla ditta appellata con ricorso di primo grado.

In proposito – in accoglimento del primo motivo di appello proposto da TRENITALIA – va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per esservi su tale domanda di accertamento giurisdizione del giudice ordinario.

L’accertamento dell’ esistenza o meno del contratto di appalto – con efficacia di giudicato – esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo.

Il processo amministrativo è pur sempre , secondo una lettura costituzionalmente orientata della giurisdizione del giudice amministrativo – al di fuori dei casi di giurisdizione esclusiva – un processo su interessi legittimi, incentrato sull’azione di annullamento, di talché sull’ azione di accertamento su un rapporto giuridico paritetico come il rapporto giuridico contrattuale sia pur nascente da una procedura di evidenza pubblica, sussiste giurisdizione del giudice ordinario.

Né si tratta in questo caso di giudicare della sorte del contratto in dipendenza della validità degli atti della procedura di gara, quanto piuttosto dell’inverso dell’accertamento dell’esistenza del contratto dal quale ( nella prospettazione della ricorrente ) dovrebbe desumersi l’inesistenza e/o l’illegittimità dell’esercizio del potere amministrativo di autotutela amministrativa di revoca degli atti di gara.

L’oggetto della controversia – a tenore di questa parte della domanda del ricorrente – non è quindi la gara ma l’esistenza ed il dovere di esecuzione del contratto.

Correttamente è stato ritenuto nella giurisprudenza amministrativa di primo grado che “la controversia attinente alla validità ed efficacia del contratto di garanzia e, quindi, all’accertamento dell’esistenza o meno dell’obbligazione di restituzione in capo al garante ha una natura tipicamente civilistica, con la conseguenza che competente a conoscerla è il giudice ordinario.” (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 09 ottobre 2009 , n. 9848).

In senso analogo si è ritenuto che le controversie aventi ad oggetto la risoluzione o la cessazione del contratto con l’appaltatore, ovvero l’accertamento del diritto di quest’ultimo a proseguire il rapporto con l’Amministrazione committente, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, cui spetta di verificare la conformità alla normativa positiva delle regole attraverso cui i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi e delle relative condotte attuative, e ciò anche nelle ipotesi in cui l’atto rescissorio della P.A. sia rivestito della forma dell’atto amministrativo. (T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 14 luglio 2009 , n. 511).

Nella giurisprudenza del Consiglio di Stato si è ritenuto che appartenga alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia il cui petitum sostanziale concerne l’accertamento relativo all’intervenuta cessazione di un contratto stipulato iure privatorum (nella specie trattavasi di convenzione per lo svolgimento di attività di riabilitazione), e coinvolge quindi posizioni di diritto soggettivo, e cioè il bene della vita consistente per il ricorrente nella prosecuzione della convenzione e nella validità della clausola contrattuale, e il diritto di recesso dell’Amministrazione (Consiglio Stato , sez. V, 19 marzo 2009 , n. 1623).

Si del pari ritenuto che la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere identificata alla stregua del petitum sostanziale, con la conseguenza che la definizione della controversia, che verte sull’accertamento relativo all’intervenuta cessazione di un contratto stipulato iure privatorum dalla pubblica amministrazione e sul diritto di recesso da questa esercitati, attenendo a posizioni di diritto soggettivo (la prosecuzione della convenzione e la validità della clausola contrattuale) spetta al giudice ordinario (Consiglio Stato , sez. V, 07 gennaio 2009 , n. 8).

Ritiene tuttavia il Collegio che il giudizio possa continuare innanzi al g.a. per la domanda di annullamento ( e di risarcimento e/o di corresponsione dell’indennizzo da revoca ) degli atti impugnati.

Va infatti ritenuto fuorviante l’impostazione che vorrebbe far derivare dall’esistenza del contratto l’insussistenza del potere di revoca o non aggiudicazione ( con conseguente pregiudizialità del giudizio sull’esistenza del contratto rispetto a quello sulla legittimità del controllo esercitato sugli atti di gara ).

Il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica infatti sussiste anche in caso di esistenza del contratto, fermo restando che in tal caso sorge , per effetto della revoca legittima ( art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 ) un diritto all’indennizzo derivante dai principi generali sulla tutela dell’affidamento nei rapporti di durata ed affidato alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre , in caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria o non approvazione della stessa ( arg. ex art. 12 del d.lgs. n. 163 del 2006 ), tale diritto all’indennizzo – come si vedrà – non sussiste né è configurabile.

Sull’esercizio di tale potere di controllo in autotutela sugli atti di gara sussiste sempre la giurisdizione del giudice amministrativo indipendentemente dall’azione di accertamento sull’esistenza del contratto.

Inoltre sul punto dell’esistenza del contratto è sempre possibile una cognizione incidentale del giudice amministrativo per quanto necessario all’esercizio del proprio sindacato sulla legittimità dell’esercizio del potere amministrativo.

Ancora : va considerato che la stessa società TRENITALIA , dopo avere concluso per il difetto di giurisdizione, ha sostenuto in giudizio , per motivare sulla legittimità della non approvazione dell’aggiudicazione, che il contratto non è stato stipulato e che il provvedimento impugnato andava inquadrato come atto imperativo di ritiro dell’aggiudicazione provvisoria (e/o di revoca della gara), con allegazioni difensive pienamente riportabili alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Né può ritenersi sussistente – a ben vedere – alcuna pregiudizialità fra l’ accertamento eventuale dell’esistenza del contratto ( che attiene al piano civilistico del rapporto e della sua esecuzione ) e la domanda di annullamento dell’atto di revoca della gara che può essere scrutinata anche indipendentemente dalla questione relativa all’esistenza del rapporto.

Va affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia in ordine alla domanda di indennizzo per revoca dell’atto di aggiudicazione e dello stesso bando di gara ai sensi dell’art. 21 quinquies, comma 1, ultima parte, l. n. 241 del 1990, sia con riguardo alla pretesa di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 7, comma 3, l. n. 1034 del 1971; il giudice amministrativo è infatti investito della riparazione patrimoniale del pregiudizio cagionato dall’esercizio del potere amministrativo sia attraverso un provvedimento legittimo di revoca, sia attraverso la lesione di una situazione soggettiva degradata con provvedimento poi caducato con effetti “ex tunc”.

La giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che afferma la giurisdizione del giudice ordinario quando, contestandosi gli effetti della revoca dopo il sorgere del rapporto contrattuale, la controversia non investirebbe più il momento genetico del rapporto , ma solo i pretesi danni conseguenti alla sua cessazione, riguarda i casi nei quali la cessazione sia disposta iure privatorum nell’esercizio di un diritto di recesso e non iure imperii nell’esercizio di un potere di autotutela o di controllo della serie degli atti di evidenza pubblica ( della loro legittimità o rispondenza al pubblico interesse ).

La giurisdizione del giudice amministrativo sussiste sempre sulla revoca autoritativa degli atti di gara, in quanto l’esame della domanda risarcitoria non può che investire pregiudizialmente la legittimità dell’esercizio del potere discrezionale operato dell’amministrazione, ciò anche a seguito del comma 1 bis dell’art. 21 quinquies l. n. 241, come introdotto dal d.l. n. 7 del 2007, conv. in l. n. 40 del 2007, che fa salvo il potere di revoca del provvedimento successivamente alla nascita del vincolo negoziale.

Il riparto di giurisdizione come sopra delineato è perfettamente coerente con il criterio della separazione fra giudizio sull’efficacia del contratto e giudizio sulla validità degli atti di gara una volta prevalente in giurisprudenza ( prima del recepimento della recente direttiva ricorsi n. 66 del 2007 da trasporsi entro il 20 dicembre 2009 nell’ordinamento interno ) .

Ma anche alla luce del recente revirement della Cassazione sul punto ( Cass. Sez. Un. ord. n. 2906 del 2010 ), dovuto proprio alla valutazione della portata della predetta Direttiva, la conclusione non muta poiché proprio la riaffermazione della giurisdizione del giudice amministrativo sulla sorte del contratto se non si estende alla domanda di accertamento del contratto su cui si declina la giurisdizione ( non trattandosi di valutare della sorte del contratto in dipendenza dell’annullamento dell’aggiudicazione ), per altro verso conferma la pregiudizialità delle valutazioni amministrative in ordine alla serie procedimentale.

Nella specie – in definitiva – sussiste una controversia che esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo essendo in questione l’esistenza ( non l’inefficacia o l’invalidità conseguente all’annullamento della gara ) del contratto non la domanda di un concorrente di essere reintegrato in forma specifica nell’esecuzione del contratto in dipendenza dall’annullamento della gara.

Tale questione – ossia la questione di fatto della conclusione del contratto ( che non può che essere scrutinata dal giudice civile ) – non influisce tuttavia sul giudizio che può svolgersi separatamente, innanzi al giudice amministrativo, sulla legittimità del ritiro ( o revoca ) dell’aggiudicazione provvisoria ( fermo restando che , una volta che, eventualmente , nel giudizio civile, fosse giudicato comunque esistente il contratto si porrà la questione della sua validità o efficacia in relazione all’esito del giudizio amministrativo sull’atto di revoca dell’aggiudicazione e sull’eventuale risarcimento dovuto al contraente per aver fatto incolpevolmente fatto affidamento su un contratto invalido o inefficace).

Va, per quanto qui rileva, condiviso quanto incisivamente rilevato anche nella sentenza di primo grado, ossia che il fatto che il provvedimento di annullamento o revoca di atti dell’aggiudicazione incida ( secondo il tradizionale collegamento fra provvedimento e contratto ricorrente nelle procedure di evidenza pubblica ) su un vincolo contrattuale eventualmente già formato non modifica la natura sostanziale del potere esercitato, che si sostanzia nel riesame del provvedimento di aggiudicazione e non nell’esercizio di un presunto diritto di recesso ( in realtà inesistente e non prospettato dall’amministrazione ) e , conseguentemente, non determina il venir meno, sul resto della domanda di annullamento e risarcimento , della giurisdizione del giudice amministrativo essendo in questione la serie procedimentale degli atti di evidenza pubblica ( sia pure nel prisma del potere di controllo sugli stessi ) ed al limite l’indennizzo da revoca ( su cui c’è giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 dl 1990 ) o il risarcimento da annullamento dell’atto di autotutela ( spettante alla cognizione del g.a come qualsiasi azione risarcitoria da lesione di interessi legittimi ).

Ne consegue che va dichiarata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla sola domanda di accertamento dell’esistenza del contratto.

La motivazione della revoca è articolata e circostanziata, né può il giudice amministrativo sostituirsi all’amministrazione nella valutazione dei presupposti che hanno portato i responsabili del servizio a ritenere non più utile l’esternalizzazione a favore dell’autoproduzione.

Va quindi rigettata anche la domanda risarcitoria proposta a fronte di un atto legittimo dell’amministrazione costituente specifica espressione del suo potere di controllo sugli atti di gara.

La scelta a favore dell’autoproduzione è sempre una possibilità per l’amministrazione valutabile in sede di controllo sull’aggiudicazione provvisoria ed idonea a sostenere la decisione di non aggiudicare.

Né l’amministrazione doveva provare di aver effettuato la manutenzione altrove, essendo sufficiente la decisione di internalizzare il servizio.

Tanto è avvenuto nella specie poiché l’amministrazione ha deciso di internalizzare il servizio né vi è prova che abbia poi contraddetto tale intento.

Residuano i motivi proposti avverso la revoca che ne denunciano l’illegittimità diretta sostanzialmente sotto due profili:

a) per mancata previsione dell’ indennizzo ;

b) per insussistenza di effettivi sopravvenuti motivi di pubblico interesse.

Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo di appello del Consiglio di Stato?

In ordine al primo profilo va rilevato che la revoca senza indennizzo non è illegittima, poiché la mancata previsione dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 in un provvedimento di revoca, non ha efficacia viziante o invalidante di quest’ultima, ma semplicemente legittima il privato ad azionare la pretesa patrimoniale innanzi al giudice amministrativo che potrà scrutinarne i presupposti .

In particolare tale indennizzo spetta sempre che la revoca , legittima ( altrimenti vi sarebbe materia per il risarcimento ) incida su rapporti di durata ( su un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole ) , che sia determinata da sopravvenuti motivi di pubblico interesse, dal mutamento della situazione di fatto o da una nuova valutazione dell’interesse pubblico.

Se il ritiro dell’atto è dipeso unicamente da un palese errore materiale o il danno è stato prodotto da un colpevole comportamento del privato allora nessun indennizzo può ritenersi dovuto.

Né l’indennizzo è dovuto per il caso di non approvazione dell’aggiudicazione provvisoria oggetto di una specifica disciplina nell’ambito della normativa sull’evidenza pubblica ( arg, ex art. 12 del codice dei contratti pubblici d.lgs. n. 163 del 2006).

Ne deriva l’infondatezza del motivo 2.a del ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado e riproposti in appello con ricorso incidentale ( pag. 29-35 del controricorso e ricorso incidentale in appello) trattandosi di fatto non avente effetto invalidante dell’atto amministrativo.

Circa l’adeguatezza delle giustificazioni fornite dalla società TRENITALIA e poste a base dell’atto impugnato osserva il Collegio che la società ha allegato ragioni sufficienti e non sindacabili nel merito perché espressione di una scelta discrezionale non irragionevole né tecnicamente erronea.

In particolare il provvedimento è basato su una motivazione ampia, che sottolinea che, dopo l’aggiudicazione provvisoria a favore di CONTROINTERESSATA, si è determinata una significativa e non prevedibile carenza di disponibilità di vetture di I classe della tipologia a 200 km/h ( Z1 e Gran Confort ) per l’esercizio commerciale dei treni IC plus , determinata da ritardi nella restituzione all’esercizio delle carrozze della suddetta tipologia comprese in progetti di ristrutturazione in corso”.

Tale criticità – secondo la società appellante – avrebbe comportato ripercussioni sulla qualità dell’offerta per i treni IC plus causando la soppressione di servizi, ovvero avrebbe costretto TRENITALIA ad utilizzare per i servizi in questione , carrozze con un minor grado di confort e con arredi interni non rispondenti alla tipologia del servizio.

Inoltre TRENITALIA evidenziava, quanto alla consegna del materiale rotabile, che essi dovevano essere consegnati al punto di raccolta rolling più vicino allo stabilimento designato ad eseguire le operazioni di bonifica e che i rotabili dovranno essere riconsegnati , a cura e spese dell’appaltatore, al punto di raccolta, almeno 90 minuti prima della partenza del treno dedicato ( punto 6.9.2 ).

Lamentava il pericolo di ritardi nelle consegne delle carrozze revisionate e rappresentava la necessità di esercitare la propria attività nei ristretti e tassativi termini imposti dalle esigenze dle servizio ferroviario.

Rilevava che il Piano di qualità trasmesso da CONTROINTERESSATA conteneva alcune rilevanti difformità rispetto a quanto richiesto contrattualmente ( per la prevista consegna dei rotabili a Trepuzzi e non a Torre Annunziata ).

Comunicava che per tali ragioni aveva deciso di internalizzare le attività richieste presso il proprio stabilimento di S.Maria la Bruna.

La motivazione della revoca è articolata e circostanziata, né può il giudice amministrativo sostituirsi all’amministrazione nella valutazione dei presupposti che hanno portato i responsabili del servizio a ritenere non più utile l’esternalizzazione a favore dell’autoproduzione.

Si è ritenuto che in materia di revoca dell’aggiudicazione, ancorchè intervenuta nel corso dell’esecuzione del contratto, e quindi quando il rapporto è ormai giunto alla fase meramente privatistica, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atto di esercizio di poteri pubblicistici di matrice provvedimentale (C. Stato, sez. V, 28/5/2001, n. 2895).

Appurata l’esistenza di ragioni giustificatrici della mancata aggiudicazione definitiva alla impresa appellata e dell’adottato atto di revoca

In via generale va anche ricordato che in materia di contratti della p.a., il potere di negare l’approvazione dell’aggiudicazione per ragioni di pubblico interesse ben può trovare fondamento, in via generale, in specifiche ragioni di pubblico interesse e non trova ostacoli nell’esistenza dell’avvenuta aggiudicazione definitiva o provvisoria; pertanto è illegittimo l’atto di revoca dell’aggiudicazione di un appalto di lavori che non sia motivato in base ad un pubblico interesse idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto diritto dell’aggiudicatario nei confronti dell’amministrazione (C. Stato, sez.V, 30/11/2000, n. 6365).

In sostanza l’aggiudicazione di un appalto pubblico è suscettibile di riesame nell’esercizio della potestà di autotutela della p.a., fermo restando che alla revoca può pervenirsi con atto successivo, adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico (C. Stato, sez.V, 20/9/2001, n. 4966).

Nella specie, il Collegio osserva che : 1) l’atto denominato revoca ( poi vedremo avente quale natura ) è motivato in modo specifico; 2) l’amministrazione si era limitata ad aggiudicare provvisoriamente l’appalto ( non avendo la nota del 28 agosto 2006 valore di aggiudicazione definitiva in quanto in essa era precisato che si trattava di comunicazione di aggiudicazione provvisoria ); 3) la e mail del 31 ottobre 2006 non ha valore decisivo ed incontrovertibile nel provare l’avvenuta esecuzione del contratto ( sia perché essa si riferisce con sicurezza sia pure parzialmente, a carrozze non comprese nell’appalto sia perché per il resto non v’è certezza alcuna che si riferisca alla procedura in contestazione cfr. indicazioni della matricola dei rotabili) ed appare proveniente da un soggetto non legittimato a concludere il contratto ; 4) non risulta adottato un provvedimento formale di aggiudicazione definitiva ai sensi dell’art.8.4 delle C.G.C.

In tali condizioni va considerato assolutamente fisiologico che all’aggiudicazione provvisoria, naturalmente temporanea, possa non far seguito, in ragione della valutazione negativa sulla permanente utilità del contratto, l’affidamento definitivo del contratto.

Ciò perché il controllo sull’aggiudicazione provvisoria è un evento del tutto fisiologico e positivamente disciplinato dagli artt. 11 comma 11, 12 e 48 comma 2, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, inidoneo di per sé a ingenerare un qualunque affidamento tutelabile – qualora difetti, ovviamente, l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione aggiudicatrice – e un obbligo risarcitorio. (Consiglio Stato , sez. V, 15 febbraio 2010 , n. 808).

Va quindi accolto sul punto l’appello principale e , nel contempo, vanno rigettati i motivi dell’appello incidentale condizionato concernenti la questione della esistenza di ragioni giustificatrici della mancata aggiudicazione definitiva alla impresa appellata e dell’adottato atto di revoca.

Va quindi rigettata anche la domanda risarcitoria proposta a fronte di un atto legittimo dell’amministrazione costituente specifica espressione del suo potere di controllo sugli atti di gara.

Revoca di un’aggiudicazione:invero l’impresa appellata ha chiesto, cumulando le azioni, sia il risarcimento che l’indennizzo.

Sul punto della legittimità del cumulo delle azioni di risarcimento e di indennizzo per gli effetti della revoca nello stesso processo va osservato che esso deve ritenersi consentito.

L’azione risarcitoria è fondata sul presupposto dell’illegittimità dell’azione amministrativa (nella specie non sussistente ).

Ovviamente, dopo la novellazione della legge n. 241 del 1990 con l’introduzione dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies per la revoca, in caso di revoca ( supposta ) illegittima possono darsi due casi :

1)il privato inciso dalla revoca ( supposta illegittima ) la contesta in sede giurisdizionale e chiede il risarcimento;

2) il privato non la contesta e chiede l’indennizzo ( in tal caso non deve provare né illegittimità , né dolo né colpa ).

Se il privato – come nella specie – contesta la legittimità della revoca e chiede il risarcimento, tuttavia può anche formulare ,in via subordinata, una domanda per l’indennizzo , in caso di infondatezza della domanda risarcitoria, avendo l’indennizzo natura residuale.

Ne consegue l’ammissibilità del cumulo delle domande nello stesso processo ( risarcitoria sul presupposto dell’illegittimità della revoca e indennitaria sul presupposto dell’avvenuta lesione da fatto lecito dannoso).

Nella specie la domanda di liquidazione dell’indennizzo è stata proposta con motivo 3.B 6 dei motivi aggiunti che non risulta specificamente riproposto in sede di appello.

Tuttavia, anche a voler considerare tale domanda riproposta ( implicitamente nel primo dei motivi del ricorso incidentale condizionato ) essa è infondata poiché si è , nella specie, di fronte al mero ritiro di un’aggiudicazione provvisoria ( atto avente per sua natura efficacia interinale e non idonea a creare affidamenti ) e non ad una revoca di un atto amministrativo ad effetti durevoli come previsto dall’art. 21 quinquies per l’indennizzabilità della revoca.

Sussistono gravi ed eccezionali motivi per la compensazione delle spese processuali attesa la complessità della controversia.

Riportiamo qui di seguito il testo integrale della decisione numero 689 del 9 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato.

Sentenza collegata

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Lazzini Sonia

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