Reato di favoreggiamento personale

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 Il delitto di favoreggiamento personale, allorché vi siano tutti i presupposti di legge, è configurabile a carico di chi aiuta taluno a eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche dell’autorità.

 

La norma di riferimento.

Il reato di favoreggiamento personale è previsto e punito dall’art. 378 c.p. ed è integrato allorché “chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche di questa, è punito con la reclusione fino a quattro anni. Quando il delitto commesso è quello previsto dall’articolo 416 bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni”.

La condotta

Ai fini della configurabilità del delitto di favoreggiamento personale, esplicandosi questo in un reato di pericolo, è sufficiente che la condotta dell’agente abbia l’attitudine o possa conseguire lo scopo di aiutare il colpevole a eludere le investigazioni frapponendo un ostacolo, anche se limitato o temporaneo, allo svolgimento delle indagini e delle ricerche che erano in corso o si sarebbero potute svolgere (Cass. Pen., Sez. VI, 16 febbraio 2016 – 7 marzo 2016, n. 9415; Cass. Pen., Sez. VI, sentenza del 9 marzo 2015, n. 9989; si veda anche Cass. Pen., Sez. VI, 3 novembre 1997 – 19 gennaio 1998, n. 539; Cass. Pen, 10 febbraio 2000, Pace, CP 01, 481).

Conseguenza ineludibile di ciò è che – onde integrare la fattispecie delittuosa di cui qui si discorre – l’aiuto ad eludere le investigazioni può manifestarsi con modi e mezzi diversi (Cass. Pen., Sez. VI, 02 dicembre 2014 – 23 dicembre 2014, n. 53593) abbracciando ogni condotta – positiva o negativa, diretta o indiretta – che metta, appunto, in pericolo le investigazioni dell’autorità e sia idoneo ad escludere o fuorviare o intralciare le ricerche degli organi di polizia o più in generale la giustizia (Cass. Pen., Sez. VI, 15 maggio 2019, n.43548; Cass. Pen., Sez. VI, 16 febbraio 2016 – 7 marzo 2016, n. 9415; Cass. Pen., Sez. VI, 28 novembre 2013 – 20 marzo 2014, n. 13086; Cass. Pen., 13 giugno 2013 – 1 luglio 2013, n. 28426; Cass. Pen., 23 settembre 1998 – 21 gennaio 1999, n. 773; Cass. Pen., Sez. VI, 7 ottobre 1982 – 18 dicembre 1982, n. 12050; si veda anche Cass. Pen., Sez. VI, sentenza del 9 giugno 2015, n. 24535).

Onde configurare il reato, tuttavia, non è necessario che le indagini siano effettivamente fuorviate (Cass. Pen., Sez. VI, 3 novembre 1997 – 19 gennaio 1998, n. 539; Cass. Pen, 10 febbraio 2000, Pace, CP 01, 481) e che l’azione dell’agente abbia in concreto realmente raggiunto l’effetto di ostacolare le investigazioni o intralciare le ricerche (Cass. Pen., Sez.VI, 10 aprile 2015 – 9 giugno 2015, n.24535; Cass. Pen., Sez. VI, 7 novembre 2011 – 27 gennaio 2012, n. 3523).

Ai fini dell’integrazione del delitto di cui qui si tratta la giurisprudenza, infatti, non richiede neppure che vi sia la dimostrazione dell’effettivo vantaggio conseguito dal soggetto favorito (Cass. Pen., Sez. VI, 16 febbraio 2016 – 7 marzo 2016, n. 9415; Cass. Pen., Sez. VI, sentenza del 9 giugno 2015, n. 24535), atteso che il reato è ipotizzabile anche allorché l’autorità sia a conoscenza della verità dei fatti ed abbia già conseguito la prova contro la persona aiutata (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza del 23 settembre 1998, n. 773, Rv. 212345).

Altresì il reato è ipotizzabile a carico di colui che aiuti il colpevole di un delitto a sottrarsi a investigazioni ancora non in atto (Cass. Pen., Sez. VI, 16 febbraio 2016 – 7 marzo 2016, n. 9415; Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 16246 del 9 aprile 2013; Cass. Pen., Sez. VI, 30 ottobre 2008 – 21 novembre 2008, n. 43774; Cass. Pen., Sez. VI, 8 marzo – 2007 – 18 luglio 2007, n. 28639; Cass. Pen., Sez. VI, 21 giugno 1990 – 21 novembre 1990, n. 15391), configurandosi anche a carico di chi apporti il suo aiuto con il silenzio, la reticenza e il rifiuto di fornire notizie (ex pluris: Cass. Pen., Sez. VI, 11 luglio 2013 – 15 luglio 2013, n. 30349; Cass. Pen., Sez. VI, 7 ottobre 2010 – 22 ottobre 2010, n. 37757; Cass. Pen., Sez. VI, 18 maggio 2004 – 16 luglio 2004, n. 31436; Cass. Pen., Sez. I, 6 giugno 1977 – 23 settembre 1977, n. 11089).

L’elemento soggettivo.

In tema di favoreggiamento personale non è necessario il dolo specifico giacché l’elemento soggettivo del reato si identifica nel “dolo generico” (Cass. Pen., Sez. II, 9 marzo 2015 – 15 maggio 2015, n. 20195; Cass. Pen., Sez. VI, 24 maggio 2011 – 15 giugno 2011, n. 24035; Cass. Pen., Sez. VI, 29 ottobre 2003 – 20 novembre 2003, n. 44756; Cass. Pen., Sez. I, 6 maggio 1999 – 8 luglio 1999, n. 8786; Cass. Pen., Sez. VI, 19 febbraio 1991 – 20 settembre 1991, n. 9809) il quale consiste nella consapevolezza da parte dell’agente di aiutare qualcuno ad eludere le investigazioni (ex pluris: Cass. Pen., Sez. VI, 24 maggio 2011 – 15 giugno 2011, n. 24035; Cass. Pen., Sez. VI, 29 ottobre 2003 – 20 novembre 2003, n. 44756; Cass. Pen., Sez. I, 06 maggio 1999 – 8 luglio 1999, n. 8786).

Consumazione e tentativo.

La fattispecie delittuosa di cui all’art. 378 c.p. si atteggia quale reato di pericolo a forma libera sicché si consuma nel momento stesso in cui l’agente pone in essere la condotta, attiva o omissiva, favoreggiatrice, id est idonea ad aiutare taluno ad eludere le investigazioni o ricerche ed indipendentemente dal conseguimento di tale effetto (Cass. Pen., Sez. VI, 15 maggio 2019, n.43548; Cass. Pen., Sez. VI, 23 gennaio 2003 – 21 maggio 2003, n.22523; Cass. Pen., Sez. VI, 25 gennaio 1995 – 4 aprile 1995, n. 3575; in merito si veda anche Cass. Pen., Sez. VI, 6 novembre 1981 – 20 marzo 1982, n. 3064).

Si configura, invece, il tentativo di favoreggiamento personale allorché l’azione tipica non si compie per ragioni indipendenti dalla volontà dell’autore il quale ha posto in essere, comunque, atti idonei ed univocamente volti ad aiutare qualcuno ad eludere le investigazioni (Cass. Pen., Sez. VI, 6 dicembre 2016 – 13 febbraio 2017, n. 6662; Cass. Pen., Sez. VI, 23 gennaio 2003 – 21 maggio 2003, n.22523).

 

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