Questioni sulla verifica di legittimità del rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato. Problemi risolti in astratto, ma non in concreto

Dario Masini 10/09/20
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Nota a sentenze.

Cass. pen. sez. I,  sent. 13 maggio 2019 n. 20495

Nella valutazione che il giudice del dibattimento e quello di appello devono eseguire per verificare la legittimità del rigetto della richiesta presentata in primo grado dall’imputato il giudice deve verificare <<alla luce della prospettazione operata dal richiedente la ricorrenza dei requisiti di novità e decisività della prova richiesta, secondo una valutazione <<ex ante>>, in considerazione della situazione esistente al momento della valutazione negativa, provvedendo ad applicare la diminuente prevista per il rito solo se tale rigetto non risulta fondato>> utilizzando solo <<come criterio ausiliario, e di per sé non risolutivo, anche le indicazioni sopravvenute dell’istruttoria espletata>>”

Cass. pen. sez. II, sent. 29 gennaio 2020, n.  3807

“in tema di giudizio abbreviato condizionato, il giudice dibattimentale deve sindacare il provvedimento di rigetto, assunto nell’udienza preliminare, secondo una valutazione “ex ante”, di verifica della ricorrenza dei requisiti di novità e decisività della prova richiesta dall’imputato alla luce della situazione esistente al momento della valutazione negativa, tenendo tuttavia conto, come criterio ausiliario, e di per sè non risolutivo, anche delle indicazioni sopravvenute dall’istruttoria espletata”

L’art. 438 co. 5  c.p.p.  prevede che l’imputato possa richiedere al Giudice per l’udienza preliminare di essere ammesso all’istituto del giudizio abbreviato, alle condizioni dell’assunzione di una prova che abbia un carattere “integrativo” rispetto al materiale già acquisito nella fase delle indagini preliminari e che abbia il carattere della “decisività”.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito il senso da dare alla locuzione “integrativo” e ha precisato che la prova di cui si richiede l’assunzione non possa riguardare fatti e circostanze già risultanti dagli atti, a meno che “concernano lacune investigative o aspetti importanti non valorizzati nella indagini preliminari  (cfr. Cass. Sez. 1, nun. 20496 anno 2019).

Il provvedimento del giudice per l’udienza preliminare che respinge la richiesta di un giudizio abbreviato condizionato sull’assunto che la prova richiesta non appare “integrativa” rispetto al compendio già acquisito nella fase delle indagini preliminari, o comunque “non decisiva”, può essere sottoposto a nuova valutazione da parte del Tribunale, sia a seguito di  una nuova richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia all’esito del giudizio di primo grado, con la sentenza di condanna.

Le due sentenze in commento ci forniscono i parametri sul come orientarsi a trattare tutti quei casi in cui il Tribunale, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, si sia reso conto che quella prova che era stata richiesta al Giudice per l’Udienza Preliminare era  effettivamente decisiva e idonea ad integrare le lacune investigative e rispondono alla seguente domanda:  il Tribunale deve operare sempre ed in ogni caso una riduzione della pena di 1/3  o deve  anche individuare nel provvedimento originario del Giudice per l’Udienza Preliminari ulteriori condizioni, al cui verificarsi operare una riduzione della pena  ?

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La Cassazione fornisce una risposta all’apparenza molto semplice

il Tribunale dovrà, in primo luogo, mettersi  nella stessa prospettiva in cui era trovato a giudicare il Giudice per l’Udienza Preliminare e  verificare se, sulla base degli stessi elementi che tale giudice aveva avuto a disposizione, lui stesso sarebbe arrivato alla conclusione di rigettare la domanda di giudizio abbreviato condizionato;

dovrà comunque considerare, ma come se fosse un criterio “ausiliario”, le indicazioni fornitegli dagli elementi di prova che sono sopraggiunti alla sua cognizione nel corso dell’istruttoria dibattimentale.

La giurisprudenza maggioritaria della Cassazione supera, dunque, quell’orientamento minoritario, posto dalla sentenza n. 17687 del 2014, della sesta sezione, per cui doveva ritenersi sempre “incongruo” il rigetto della richiesta condizionata a fronte dell’emergere, nel corso del giudizio dibattimentale, di elementi che confermavano il carattere di novità e decisività della prova richiesta di giudizio abbreviato condizionato e che quindi imponeva sempre la riduzione della pena di 1 / 3 per il rito abbreviato non concesso.

I criteri dell’orientamento maggioritario sono quindi, in astratto, del tutto chiari ed espliciti : il Tribunale potrà operare la riduzione della pena, solo dopo, e alla luce della prospettazione originaria dell’imputato, essersi posto dal punto di vista del Giudice per l’Udienza Preliminare, e quindi essersi calato nelle sue stesse “carte”; dopo di che rispondersi se si sarebbe determinato in maniera simile o diversa, e poi ancora, e in ultimo,  tener conto di  quel che è avvenuto dopo, davanti ai suoi stessi occhi, in cui quella prova  è effettivamente risultata “rivoluzionaria” e davvero “decisiva”.

Ma se si leggono le due sentenze per esteso, e se ne esaminiamo le dinamiche processuali che esse hanno risolto, residua l’impressione che i confini che esse tracciano per le due situazioni concrete, non coincidono perfettamente, se si procede a ritroso, verso quello stesso  confine astratto delle massime sopra richiamate, che sono tra loro identiche: come se, da un generale, si possa giungere a “particolari” diversi, che conducono ad altri “generali”.

La prima difficoltà sta nello stabilire cosa significhi il proporsi in quel giudizio “ex ante” in cui si era ritrovato ad operare il Giudice per l’Udienza Preliminare :

Come è possibile mettersi nei panni del GUP, se solo si considera che questi si era trovato a leggere gli atti delle indagini preliminari (che non confluiscono naturalmente nel fascicolo del dibattimento), mentre il Tribunale, principalmente, le emergenze dell’istruttoria dibattimentale (su cui si forma il fascicolo del dibattimento) ?

E come potersi astrarre da quel che è avvenuto in dibattimento? Si può dimenticare la fine di un film giallo, sol perché si è riavvolto il nastro della videocassetta e, quindi, calarsi nella psiche di un altro spettatore a metà del primo tempo?

L’elemento sopravvenuto ed ausiliario, ma non risolutivo di per sè ?  Altre e gravi difficoltà per l’interprete.

Quale dimensione concreta dare a quell’”elemento sopravvenuto”,  che pur non risolutivo, deve essere  di “ausilio” al Tribunale, per sostenere che, appunto, resta ora dimostrato che la prova a cui si era subordinato il giudizio abbreviato era decisiva ed innovativa, e quindi occorre ora ridurre la pena di 1 / 3 ?

Se poi ci si deve mettere dall’angolo visuale di quanto era stato prospettato dal richiedente”, come potere considerare mai irrilevante che in questa prospettazione ci può essere l’avere indicato la fallacità del contenuto di un atto delle indagini preliminari ?

La lettura per esteso delle due sentenze evidenzia tutte queste problematiche: le dinamiche processuali che vengono risolte non appaiono troppo dissimili, eppure l’una sentenza respinge il ricorso dell’imputato, mentre l’altra lo accoglie.

Si consideri la sentenza che ha respinto il ricorso dell’imputato, la n. 20495 del 2019. Questa si dedica ad un caso in cui il Tribunale aveva, all’esito del dibattimento,  accertato che l’imputato fosse effettivamente affetto da una patologia che lo aveva reso parzialmente incapace di intendere e volere al momento del fatto, e per il cui accertamento, già in udienza preliminare, era stata richiesta una consulenza tecnica, come condizione alla richiesta di giudizio abbreviato condizionato.

Ed invero, il materiale raccolto nel corso delle indagini preliminari era “controverso”: risultava inserito in atti un certificato medico, che negava l’incapacità mentale dell’imputato, ma vi erano altri documenti di segno opposto, indicati dal difensore dell’imputato, che appunto aveva evidenziato (tra l’altro) come, dalla stessa denuncia – querela della persona offesa e al figlio della persona offesa si poteva cogliere il disturbo mentale dell’imputato: “che avevano fatto ampio riferimento non solo ad accuse farneticanti dell’imputato ma anche a condotte tenuto nell’ultimo periodo chiaramente rilevatrici di ideazioni persecutorie e di disturbi paranoidi .”.

Orbene, anche se il Tribunale, proprio per le emergenze dell’istruttoria dibattimentale,  aveva poi concesso all’imputato la diminuente di cui all’art. 89 cod. pen. (vizio parziale di mente), si era comunque determinato a non operare la ulteriore riduzione di 1/3 della pena per il giudizio abbreviato condizionato, ritenendo legittimo il precedente provvedimento del GUP.

La Corte di Cassazione ha condiviso quanto deciso, e che era stato confermato dalla Corte di Appello, valutando favorevolmente che detti giudici si erano messi nell’ottica del GUP, in un giudizio ex ante rispetto alla luce dei documenti a disposizione di detto giudice.

Scrive la sentenza: “non era nemmeno ragionevolmente prevedibile che un  accertamento tecnico sull’incapacità di intendere e volere dell’imputato sarebbe pervenuto alle conclusioni favorevole, anche solo parzialmente, alla prospettazione difensiva posta a fondamento dell’integrazione probatoria”.

Ci si avvede che il Giudice per l’Udienza Preliminare era stato tratto in inganno dal certificato medico: ma, per quale ragione, non gli si poteva allora obiettare di avere trascurato di leggere le incongruenze emerse dalle stesse dichiarazioni della persona offesa e del figlio, che facevano tracollare la sicurezza della sanità mentale dell’imputato ?

Si consideri, adesso, la sentenza della sez. seconda della Cassazione, la n. 3807 del 2020, che ha accolto il ricorso dell’imputato.

Nel caso che essa tratta, l’imputato aveva richiesto di essere ammesso ad un giudizio abbreviato condizionato all’assunzione della persona offesa, la quale risultava avere sporto la sua denuncia in lingua italiana davanti alla locale stazione dei Carabinieri, quand’era emerso che la stessa persona offesa non sapesse l’italiano, e che nessun interprete l’aveva assistita nel tradurre dalla lingua originaria il contenuto della denuncia che andava ad esporre.

Il Tribunale e la Corte di Appello avevano ritenuto legittimo il provvedimento del Giudice per l’Udienza Preliminare, ma la Cassazione è stata questa volta di contrario avviso, riducendo, essa stessa, la riduzione di 1/3 della pena a favore del ricorrente imputato.

Ebbene, la Cassazione così si esprime: “deve essere richiamato, al riguardo, l’insegnamento giurisprudenziale … secondo cui in tema di giudizio abbreviato condizionato il giudice dibattimentale deve sindacare il provvedimento di rigetto, assunto nell’udienza preliminare, secondo una valutazione ex ante, di verifica della ricorrenza dei requisiti di novità e decisività della prova richiesta dall’imputato alla luce della situazione esistente al momento della valutazione negativa, tenendo tuttavia conto, come criterio ausiliario, e di per sé non risolutivo, anche delle indicazioni sopravvenute dall’istruttoria espletata”. Orbene, conclude la Cassazione: “proprio la necessità di far riferimento a tale criterio ausiliario non sembra esser stata tenuta in adeguata considerazione dalla Corte territoriale, nel momento in cui  ha disatteso il motivo di appello ritenendolo meramente reiterativo; infatti la non piena padronanza della lingua italiana da parte della persona offesa, al momento della denuncia, è emersa nel corso della deposizione dibattimentale”.

Quali le reali differenze tra i due casi ?

La situazione di incapacità di intendere e di volere, parziale, era “situazione esistente”, di cui il Giudice per le indagini preliminari poteva rendersi conto, o di cui poteva già dubitare, tra l’altro leggendo le dichiarazioni della persona offesa e del figlio, che deponevano in tal senso, piuttosto che un certificato medico che si sarebbe rilevato errato.

Era stata  piuttosto  la propensione ad un maggior approfondimento che aveva spinto  il Tribunale ad accorgersi che l’imputato aveva realmente quella condizione di minorazione psichica prontamente lamentata in sede di udienza preliminare al suo collega che si era trovato a confrontarsi  con un atto che segnava proprio, l’incompletezza e l’insufficienza, sul punto dolente, delle indagini preliminari.

Ma invero questa propensione non poteva non mancare allo stesso Giudice per l’Udienza Preliminare, a cui non era ignota la “tensione” tra due elementi di prova tra loro contrapposti, di cui l’uno, per forza di cose, dava indicazioni fuorvianti : nello specifico il certificato medico, aveva contenuti non conformi alla verità processuale successivamente accertata.

Come ha scritto la stessa Corte di Cassazione, la richiesta di abbreviato condizionato può fondarsi su quell’elemento che vale a colmare lacune investigative, : “poiché l’imputato mantiene comunque il diritto al necessario grado di completezza del compendio di informazioni necessario all’esercizio della funzione giurisdizionale” e certo le due informazioni, a contenuto tra loro difforme, non poteva essere trascurate già dal giudice per l’udienza preliminare.

L’insegnamento  delle massime sopra citate, che invitano i Tribunali a proporsi con quegli stessi occhi del giudice, lascia quindi marginare dubbi sull’eccessivo e non determinato spazio interpretativo su quel giudizio “ex ante”, con cui dovrebbero cimentarsi.

Concretamente le vicende processuali erano simili, e si presentava il caso in cui il giudice non aveva visto non tanto quel che poteva, ma quel che doveva vedere e quel non visto, gli era stato  evidenziato dall’imputato che, con l’approfondimento istruttorio comunque negato, altro non aveva fatto che chiedere che si desse luce chiara alle oscurità delle indagini preliminari.

E’ forse più ragionevole seguire dunque l’insegnamento di  quella giurisprudenza minoritaria che fa discendere la riduzione di 1/3 della pena per il rito abbreviato condizionato, a tutte le ipotesi in cui le sopravvenienze dibattimentali abbiano comunque smentito il giudice (Cass. Sez. 6, sebt 17687 del 2014), perché in essa giurisprudenza risultano contemplati tutti i casi in cui è emerso che l’occhio del primo giudice è risultato miope o astigmatico, ed è risultato che l’imputato aveva “visto meglio” ed aveva integrato quel che le indagini preliminari non avevano raccolto, chiedendo che si allungasse il campo visivo (di un panorama probatorio incompleto), o se ne correggessero le distorsioni (di un panorama probatorio opaco e contraddittorio) con l’assunzione di quella prova decisiva e comunque nuova che fonda la possibilità di proporre l’accesso all’istituto di cui all’art. 438 co. 5 c.p.p..

Quali sono i rischi di applicazione della giurisprudenza ancora dominante, raccolti nelle due sentenze in commento ?

è come far sopravvivere, per qualche ipotesi,  un sogno o  un miraggio che, le luci del mattino, o l’ombra di un’oasi  del deserto,  hanno sperso nel nulla, sol perché, quel sogno, quel miraggio, sembravano piuttosto veri, tanto veri che il Tribunale, messo nelle stesso condizioni, li avrebbe considerato tali.

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