Progettazione in materia di lavori pubblici tra potere gestorio e potere politico

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La progettazione.

Ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici), la progettazione in materia di lavori pubblici si articola attraverso il succedersi di tre fasi scandite da differenti peculiarità, corrispondenti a differenti livelli di approfondimento (progettazione di fattibilità tecnica ed economica, progettazione definitiva e progettazione esecutiva).

I detti livelli costituiscono, di fatto, una suddivisione di contenuti che interagiscono tra di loro e che si sviluppano con continuità. I passaggi da un livello all’altro sono in qualche modo vincolati, il che impedisce uno stravolgimento o una sostanziale dispersione dei caratteri originali del progetto nel transito da una fase all’altra. Tanto allo scopo di assicurare, siccome prescritto dalla detta norma, primariamente “il soddisfacimento dei bisogni della collettività”.

Tanto premesso occorre rammentare, per quel che qui interessa, che è nel progetto “preliminare” (di fattibilità tecnica ed economica) che debbono essere definite le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire. Esso consiste in una relazione illustrativa e comparativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alle valutazioni delle diverse soluzioni possibili in termini di costi e benefici per la collettività (parere Cons. Stato n. 855/1.04.2016). E’ nel progetto di fattibilità, allora, che deve enuclearsi la prospettiva dell’ accettazione  sociale  dell’opera” poiché in esso è trasfusa l’esigenza collettiva dell’opera stessa ed il contemperamento degli interessi cittadini coinvolti. Sicché l’approvazione di questo primo livello di progettazione è, e diversamente non potrebbe essere, di competenza della Giunta Comunale atteso che in questa sede si enucleano gli obiettivi ed i programmi politico –amministrativi dell’Ente.

Diversamente, il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto di fattibilità. Esso, pure approvato dalla Giunta comunale, salvo che comporti una variante allo strumento urbanistico, contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni (art. 24 DPR n. 207/2010).

Il progetto esecutivo, da ultimo, pur non compiendo alcuna “scelta politica – amministrativa” (TAR Emilia Romagna, Sezione II Bologna – Sentenza 22/03/2004 n. 409), va redatto in conformità del progetto definitivo. In tale “ultimo” livello progettuale si determinano, difatti, in dettaglio i lavori da realizzare e il relativo costo previsto, onde consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo.  Esso costituisce la ingegnerizzazione di tutte le elaborazioni progettuali ed ha la funzione di definire compiutamente l’intervento da realizzare già approvato e scelto nelle precedenti fasi. Non v’è, pertanto, nel ridetto ultimo livello di progettazione, espressione del medesimo potere esercitato in sede di approvazione del progetto preliminare o definitivo, poiché esso si colloca nella fase della mera esecuzione degli stessi.

Legittimamente, allora, il progetto esecutivo dell’opera è approvato dal Dirigente di settore in quanto espressione di un potere gestorio/esecutivo da esplicarsi nel rispetto” delle esigenze, dei criteri, dei vincoli e degli indirizzi stabiliti nel progetto preliminare (TAR Cagliari 29/12/1998 n. 1431).

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2. Gestione politica e gestione amministrativa.

Ebbene, appare chiaro come lo svolgimento delle ridette procedure di progettazione risulti attuativo del più generale principio ispirato alla “separazione” tra gestione politica e gestione amministrativa.  Alla prima compete di imporre gli indirizzi politico-amministrativi e formulare programmi ed alla seconda spetta di tradurre obbligatoriamente, e senza “deviazioni”, i medesimi obiettivi.

In ossequio al detto principio la potestà di indirizzo politico e di controllo è tipicamente di pertinenza degli organi di governo, mentre la rispettiva potestà di attuazione e di scelta degli strumenti tecnici, finanziari e giuridici è esclusiva dei dirigenti, che la esercitano mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.

Sicché, l’attività gestionale (esecutiva), non può che operare nel rispetto di una corretta e minuziosa opera di programmazione che consenta ai tecnici di agire in autonomia, nei limiti e vincoli della detta programmazione definita dagli organi politici.  Questi ultimi hanno l’onere di effettuare le scelte strategiche e di controllare l’operato della funzione di gestione.

Tale riserva di competenza, come detto, delinea un confine tra attività politica e attività gestionale nell’intento di evitare indebite commistioni tra due distinti soggetti: uno di estrazione politica ed elettiva, l’altro titolare di un potere tecnico – gestionale, potere avulso da valutazioni che non siano fondate su regole di legittimità.

3. Il giudizio di conformità.

Dal complesso di quanto cennato, quel che emerge è che tutti gli “eventi di progettazione” afferiscano “per competenza” ad una delle due sfere “di potere” (politico e gestionale) e che essi, pur se distinti, rimangano indissolubilmente legati tra loro da un giudizio “di conformità”.

Allorquando, quindi, esista “conformità” tra i livelli di progettazione, il “più basso” dovrà intendersi meramente esecutivo del “più alto” e dunque di competenza gestoria. Liddove, diversamente, non si possano riconoscere elementi di conformità, l’idea progettuale dovrà essere rivalutata in sede politico-amministrativa poiché non più conforme alla scelta originaria, legata alla esigenza territorialmente ritenuta primaria. Tanto perché, siccome espresso in giurisprudenza, la realizzazione delle opere pubbliche deve avere luogo in ossequio all’inderogabile principio che impone il rispetto dei ridetti tre livelli di progettazione (aventi una definizione tecnica crescente e con molteplici effetti), “senza possibilità di accorpamenti o contrazioni di sorta né alterazione dei rispettivi contenuti “(Consiglio Stato, sez. IV, 10 gennaio 2002, n. 112; T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 31 marzo 2003, n. 1415; Consiglio Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3519; T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 26 settembre 2007, n. 2206, TAR Catanzaro, Sezione I – Sentenza 01/02/2010 n. 56).

Occorre allora cogliere il significato di tale relazione di conformità tra i livelli di progettazione, onde chiarire l’ambito di esercizio del potere politico e di quello dirigenziale, nonché la necessaria interrelazione tra gli stessi.

Esiste, anzitutto, una “conformità funzionale” che affonda le sue radici nella progettazione preliminare, liddove, come detto, si definisce la “funzione” del progetto ovvero, in altri termini, i bisogni, le esigenze che la nuova opera è deputata a soddisfare. Pertanto, se nei successivi livelli di progettazione v’e uno “sviamento” dall’idea progettuale originaria, la “riprogettazione” non può che ritornare alla competenza politico-amministrativa.

Altro “parametro” di conformità, a mente di chi scrive, appare essere quello “estetico-ambientale”, ovverosia una sorta di quality progettuale da valutarsi a livello di progettazione “definitiva”, che determinerebbe (sempre) la competenza provvedimentale in capo all’organo giuntale.

Infine, nel novero dei giudizi “di conformità”, va pure indicata la “conformità finanziaria”: non può, difatti, consentirsi che l’alterazione complessiva del quadro economico, in sede di progettazione esecutiva o di perizia di variante, possa rientrare nel potere gestorio della dirigenza comunale.

Ciò emerge con chiarezza alla pagina 4 dell’indirizzo operativo di cui alla nota prot. n. 307472/2019, a firma del Segretario Generale, con esplicito riferimento all’art. 106 del Codice dei Contratti.

Nel rammentare che la norma disciplina le ipotesi di modifica del contratto in corso di esecuzione, che non necessitano di una nuova procedura di affidamento, appare singolare, per quel che qui interessa, il regime di pubblicità delle dette varianti (commi 8 e 14).

Ebbene con delibera n. 112 del 13 febbraio 2019 il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ha approvato l’Atto di Segnalazione n. 4 con cui formula alcune proposte di modifica normativa circa gli obblighi di comunicazione delle modifiche al contratto in corso di efficacia. La segnalazione muove, tra gli altri, dall’intento di disciplinare l’acquisizione dei dati e delle informazioni necessarie a svolgere una efficace attività di vigilanza sul corretto utilizzo delle varianti e degli strumenti di modifica del contratto in corso di esecuzione, in conformità al principio di economicità, efficacia e trasparenza.

L’Anac, ritenendo primaria l’esigenza di rendere pubbliche e conoscibili le variazioni del contratto rispetto alle iniziali previsioni progettuali, propone di riconoscere per tutte le tipologie di modifica il regime di trasparenza, anche con riferimento alle varianti in corso d’opera propriamente dette.  Questo regime, siccome proposto in modifica, contempla, dunque, diverse finalità: trasparenza, pubblicità e controllo.

Se ne può dedurre, in conseguenza, che l’onere di informazione, finalizzato a creare forme diffuse di monitoraggio sull’ attività delle istituzioni e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, debba essere adempiuto ogniqualvolta si realizzi una “riprogettazione” dell’opera, anche nelle ipotesi in cui non vi sia “spostamento” alcuno di competenza all’approvazione del progetto.

A parere di chi scrive, pertanto, la medesima esigenza di trasparenza ed informazione pare imporsi non solo nei rapporti tra cittadini ed istituzioni, come richiesto dall’Anac per tutte le tipologie di modifica, ma anche (e ugualmente) tra operatori amministrativi e referenti politici, allorquando sussista una “modifica” progettuale e finanche quando la stessa non imponga una riprogettazione da parte dell’organo politico. 

Sotto il profilo soggettivo, la detta verifica “di conformità” non potrà che appartenere in prima istanza al dirigente competente che potrà condividerne le risultanze con l’Assessore, in ragione del particolare munus espletato dallo stesso. Tanto allo scopo di delineare un sistema in cui la netta demarcazione delle competenze, benché assolutamente non scalfita, si accompagni ad una stretta interrelazione e “comunicazione” tra le stesse.

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Monica Impedovo

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