Possesso, detenzione e tolleranza in relazione all’usucapione

Redazione 17/03/20
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Di seguito un breve disamina sulla disciplina dell’usucapione in relazione al possesso, alla detenzione e alla tolleranza.

Il presente contributo in tema di possesso, detenzione e tolleranza è tratto da “Usucapione di beni mobili e immobili” di Riccardo Mazzon.

Possesso, detenzione e tolleranza: le differenze.

Pur rinviando, per una trattazione generalizzata del confronto, al paragrafo trentaduesimo del presente capitolo, è comunque opportuno, in questa sede, verificare come i differenti concetti di possesso, detenzione e tolleranza vengano utilizzati, anche dalla giurisprudenza, nell’ambito dell’istituto dell’usucapione; infatti, è solo in capo al vero possessore (e non in capo al mero detentore) che può maturare un’eventuale usucapione avente per oggetto il bene posseduto: il detentore infatti, non avendo mai mutato la detenzione in possesso, non può far valere l’usucapione, la cui detenzione è piuttosto da interpretare quale mero comportamento tollerato dal possessore.

Proprio a tal proposito, recentemente è stato notato come, in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non costituisce circostanza idonea a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi, funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem, e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando, per converso, necessario, ai fini dell’usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell’interessato attraverso un’attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova

“su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene” (Trib. Trento, 16 settembre 2016; conforme: Trib. Savona 24 ottobre 2004, www. dejure.it, 2007; cfr. anche Trib. Perugia, 11 marzo 2019, n. 383; C. App. Torino, sez. II, 20 febbraio 2019, n. 332).

Quanto al concetto di tolleranza, ricordato che la stessa non pare configurabile, se non in casi particolari, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa, si rinvia per un approfondimento al paragrafo trentaduesimo del presente capitolo; così, ad esempio, va esclusa ogni efficacia presuntiva alla circostanza che l’attività, svolta sul bene, abbia eventualmente avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, con riferimento alla domanda di usucapione di un terreno che, durante il periodo interessato, sia stato di proprietà di una società per azioni di cui l’attore è uno dei due soci.

Peraltro, naturalmente, in tema di acquisto del possesso ad usucapionem, onde valutare se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale sia compiuta con l’altrui tolleranza e sia, dunque, inidonea all’acquisto del possesso, si rileva come la lunga durata di tale attività possa integrare un elemento presuntivo in favore dell’esclusione di una semplice tolleranza, allorché si verta in rapporti di mera amicizia o di buon vicinato e non di parentela, tenuto conto che in relazione ai primi, di per sé labili e mutevoli, è più improbabile il mantenimento della tolleranza “per un lungo arco di tempo”(Trib. Massa, 14 dicembre 2018, n. 880; conforme: Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2015, n. 16371, CED Cassazione 2015; cfr. anche Cass. civ., sez. II, 27 aprile 2006, n. 9661, GCM, 2006, 4; conforme: Trib. Monza 13 aprile 2007, www.dejure. it, 2009; conforme: Cass. civ., sez. II, 13 settembre 2004, n. 18360, GCM, 2004, 9; GCM, 2004, 9; conforme: Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2009, n. 3404, GCM, 2009, 2, 223).

Quanto, invece, al concetto di detenzione, è importante ribadire come, in presenza di una convenzione esistente tra le parti, sia indispensabile stabilire se la convenzione si concreti in un contratto ad effetti reali o in un contratto ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare, nel soggetto investito del relativo diritto, l’animus possidendi; e, quando la convenzione esistente tra le parti consista in un preliminare di vendita (solitamente si tratta di vendita immobiliare) ed il godimento del bene sia stato concesso, a favore del promissario acquirente, con apposita clausola, si dovrà interpretare quest’ultima, la quale – in effetti – potrà comportare trasmissione del possesso, così come della mera detenzione, essendo il preliminare un contratto ad effetti obbligatori e non reali; peraltro, può senz’altro accadere che la clausola accessoria della consegna immediata del bene, con funzione anticipatoria del successivo trasferimento della proprietà al quale tende il negozio, sia da interpretarsi nel senso di attributiva del possesso e non della mera detenzione della cosa.

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In argomento, anche Trib. Frosinone, sez. I, 16 agosto 2016, ribadisce come il possesso, per essere utile ai fini dell’usucapione, consiste nel rapporto materiale con il bene (c.d. corpus) accompagnato dall’animus rem sibi habendi (quale l’intenzione di esercitare la signoria sul bene come cosa propria), in ciò distinguendosi così dalla mera detenzione, caratterizzata dall’animus detinendi, che “implica il riconoscimento dell’altrui signoria” (Trib. Catania, sez. III, 12 marzo 2018, n. 1131; Trib. Frosinone, sez. I, 16 agosto 2016; conforme: Cass. civ., sez. I, 30 maggio 2000, n. 7142, GCM, 2000, 1142; conforme: Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1987, n. 4698, GCM, 1987, 5; Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2003, n. 11415, GCM, 2003, 7-8; conforme: Cass. civ., sez. II, 13 luglio 1993, n. 7690, GCM, 1993, 1160). (Cass. civ., sez. I, 14 giugno 1996, n. 5500, GCM, 1996, 855; conforme: Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1981, n. 4819, GCM, 1981, 7); si vedano anche: Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1995, n. 945, GCM, 1995, 188; Cass. civ., sez. III, 6 novembre 2008, n. 26610, DeG, 2008; Cass. civ., sez. II, 12 aprile 1995, n. 4193, GCM, 1995, 815; in relazione al contratto di comodato: Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11374, GCM, 2010, 5, 720; conforme: Cass. civ., sez. III, 17 novembre 2009, n. 24222, GCM, 2009, 11, 1600; GDir, 2009, 50, 58; conforme: Cass. civ., sez. II, 26 giugno 1992, n. 7923, GCM, 1992, 6; in relazione al contratto di locazione: Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 2001, n. 2602, GCM, 2001, 302; Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2001, n. 2464, GCM, 2001, 279; conforme: Cass. civ., sez. III, 9 aprile 1985, n. 2356, NGCC, 1986, I, 68; conforme: Cass. civ., sez. III, 9 aprile 1985, n. 2356, GCM, 1985, 4; GI, 1985, I, 1, 992; conforme: Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 1992, n. 1176, GCM, 1992, 10; VN, 1993, 824; Pret. Taranto 25 febbraio 1994, FI, 1995, I, 3618).

Configurano altresì mera detenzione i rapporti nascenti dai contratti di comodato, di locazione o di affitto: per questo, ad esempio, ai fini dell’usucapione ordinaria è inammissibile il cumulo del proprio possesso con la detenzione di colui che, in quanto affittuario dell’immobile, non è autore del trasferimento a titolo particolare della cosa che sarebbe stata usucapita. Ulteriormente, si rammenti che, salvi i casi di interversio possessionis, il compimento di atti di esercizio del diritto di proprietà, anche da più di vent’anni, non determina l’acquisto per usucapione in favore di chi abbia iniziato ad avere la detenzione e non il possesso del bene oggetto del contendere; che non costituisce ipotesi di evizione il caso in cui l’appartenenza a terzi del bene in contestazione deriva da usucapione, perfezionatosi in tempo successivo al contratto di compravendita del bene stesso (infatti, per l’ipotizzabilità dell’evizione è necessario che l’evento che l’ha determinata, anche se verificatosi in concreto successivamente, debba attribuirsi ad una causa preesistente alla conclusione del contratto); che il terzo che abbia usucapito la proprietà della cosa locata, pur legittimato a promuovere le azioni reali – la regola emptio non tollit locatum, infatti, dettata dall’art. 1599 c.c. con specifico riguardo al trasferimento a titolo particolare della cosa locata, in base alla quale si verifica la cessione legale del contratto con la continuazione dell’originario rapporto e l’assunzione da parte dell’acquirente della stessa posizione del locatore, non opera quando il terzo abbia acquistato il bene locato a titolo originario –, per conseguire nei confronti del conduttore la disponibilità dell’immobile, non può esperire l’azione di sfratto, non essendo succeduto nel rapporto di locazione; che chi abbia detenuto un bene (in quanto amministratore) in nome e per conto del proprietario non può pretendere, per ciò solo, di averlo usucapito, in quanto non vale ad integrare gli estremi del possesso ad usucapionem il comportamento di colui che detiene un fondo nomine alieno.

Proprio a tal proposito la recente giurisprudenza ha confermato che la relazione di fatto esistente tra la res e colui che ne abbia conseguito la disponibilità a seguito di contratto di vendita concluso con il falsus procurator è, invece, configurabile in termini di possesso e non di detenzione qualificata (come per la promessa di vendita produttiva solo di effetti obbligatori) giacché, in tal caso il negozio, benché inefficace, è comunque volto a trasferire la proprietà del bene ed è, pertanto, idoneo a far ritenere sussistente, in capo all’accipiens, l’animus rem sibi habendi ai fini dell’usucapione ordinaria; non anche, però, per l’usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c. (cfr., amplius, il capitolo secondo del presente lavoro) che è possibile solo se l’inidoneità del titolo derivi dall’avere alienante disposto di un immobile altrui e “non anche dalla sua invalidità od inefficacia” (Cass. civ., sez. II, 14 marzo 2016, n. 4945, CED Cassazione, 2016).

Di pari interesse Cass. civ., sez. II, 22 aprile 2016, n. 8213, che conferma come la mera mancata riconsegna del bene al comodante, nonostante le reiterate richieste di questi, a seguito di estinzione del comodato è inidonea a determinare l’interversione della detenzione in possesso, traducendosi nell’inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, suscettibile, in sé, di integrare un’ordinaria ipotesi di “inadempimento contrattuale all’obbligo restitutorio gravante per legge sul comodatario” (Cass. civ., sez. II, 22 aprile 2016, n. 8213, CED Cassazione 2016).

Il fenomeno della c.d. interversio possessionis

La presunzione del possesso in colui che esercita un potere di fatto, ex art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario di apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore: in tal caso, infatti, per la trasformazione della detenzione in possesso, occorre un mutamento del titolo, che non può aver luogo mediante un mero atto di volizione interna, ma deve risultare dal compimento di idonee attività materiali di specifica opposizione al proprietario-possessore; a tal fine, ad esempio, non sono, pertanto, sufficienti atti corrispondenti all’esercizio del possesso che, di per sé, denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio, “determinata dalla materiale disponibilità del bene” (così, ex multis, Trib. Pordenone, 13 aprile 2016; conforme: Cass. civ., sez. II, 27 maggio 2010, n. 13008, GCM, 2010, 5, 826; conforme, in caso di donazione: Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2007, n. 9090, GCM, 2007, 4; conforme: Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 2007, n. 144, GDir, 2007, 16, 89; conforme: Cass. civ., sez. II, 12 maggio 2003, n. 7271, GCM, 2003, 5; conforme: Cass. civ., sez. II, 4 aprile 2006, n. 7817, GCM, 2006, 4; conforme: Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2006, n. 5854, GCM, 2006, 3).

È per lo stesso motivo che il soggetto, immesso nella detenzione di un immobile per un titolo che esclude un possesso uti dominus, al fine di iniziare a possedere utilmente ex art. 1158 c.c., deve dimostrare la sussistenza di un atto idoneo ad integrare una interversione nel possesso; l’esposto principio trova certa applicazione nell’ipotesi, ad esempio, in cui tra le parti interessate sussistano rapporti di parentela e il fenomeno della c.d. interversio possessionis (e dei principi ad essa collegati, quali la presunzione di possesso, la prova che il potere di fatto sia iniziato come detenzione nonché, soprattutto, il compimento di idonee attività materiali in opposizione al proprietario) ha, intuitivamente, “particolare rilievo in ambito d’usucapione” (Così Trib. Larino, 22 aprile 2016; conforme, Cass. civ., sez. un., 27 marzo 2008, n. 7930, GDir, 2008, 19, 23; GCM, 2008, 3, 463; RN, 2008, 5, 1082; GC, 2008, 12, 2768; CIV, 2009, 2, 79; VN, 2008, 2, 964; RCP, 2008, 9, 1918; CIV, 2009, 3, 90; FI, 2009, 11, 3156; conforme: Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2010, n. 1296, GCM, 2010, 1, 93; conforme: Trib. Teramo 12 aprile 2010, n. 145, GlocTeramo, 2010; conforme: Cass. civ., sez. I, 1° marzo 2010, n. 4863, GCM, 2010, 3, 296; conforme: Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2010, n. 1296, DeG, 2010). (Cass. civ., sez. II, 17 dicembre 1993, n. 12505, GCM, 1993, 12; cfr. anche Trib. Salerno, sez. I, 26 ottobre 2007, www.dejure.it, 2007).

Ad ogni buon conto, nel rinviare, quanto a una compiuta disamina dell’istituto, al paragrafo trentaduesimo del presente capitolo, è opportuno comunque rimarcare come, ai fini della predetta interversio possessionis non sia necessaria alcuna opposizione del detentore, qualora il mutamento del titolo provenga direttamente dal possessore (a beneficio del detentore medesimo), come è stato recentemente rilevato tanto nel caso di donazione (effettuata dal possessore al detentore) nulla, quanto in una fattispecie avente per oggetto un contratto di compravendita, sia pure nullo per difetto di forma, sempre intercorrente tra possessore e conduttore; così, è corretto affermare l’acquisto di un fondo per usucapione sul presupposto che il mutamento della detenzione in possesso si sia verificato per avere l’ente proprietario, sia pure con atto nullo per difetto di forma, venduto l’immobile al conduttore, accettandone la somma versatagli e senza che l’ente succeduto abbia preteso successivi versamenti o pigioni, considerando tale momento, verificatosi oltre venti anni prima dell’introduzione della domanda, utile ai fini del decorso del termine per l’usucapione: ai fini del mutamento della detenzione in possesso, in altri termini, non è necessaria l’opposizione del detentore nei confronti del possessore, richiesta dal comma 2 dell’art. 1141 c.c., qualora il mutamento del titolo scaturisca da un atto dello stesso possessore a beneficio del detentore; ulteriormente, già s’è riferito (cfr. paragrafo che precede, 1.7.) che, qualora la convenzione esistente tra possessore e mero detentore consista in un preliminare di vendita ed il godimento del bene sia stato concesso, a favore del promissario acquirente, prima della stipula del contratto definitivo, potrà discutersi tanto di trasmissione del possesso, quanto di mera detenzione; in quest’ultimo caso, naturalmente, affinché si possa ipotizzare l’avvenuta usucapione del bene, dovrà provarsi l’esistenza di uno specifico atto di interversio possessionis: costui, infatti, consegue la disponibilità materiale del bene in virtù di un contratto di comodato collegato al preliminare e ha, pertanto, la semplice detenzione qualificata della res, esercitata alieno nomine.

Sempre in argomento, la cessazione, per morte del comodante, del rapporto di comodato, non comporta, a favore del comodatario, perdurando da parte di quest’ultimo il potere di fatto sulla cosa, l’automatico mutamento della detenzione in possesso, utile ai fini dell’usucapione, essendo all’uopo necessario, ai sensi dell’art. 1141 comma 2 c.c., l’interversio possessionis; particolarmente problematica appare, inoltre, l’individuazione di atti idonei all’interversione in ambito locatizio: in essa è chiarito come, ai fini dell’accertamento dell’avvenuta usucapione, avendosi riguardo a conduttori di immobile – i quali pongono in evidenza soltanto di non aver mai corrisposto alcun canone locativo, ovvero adducono l’inerzia dei locatori nel chiedere il rilascio del bene – devono ritenersi pur sempre inidonei a trasformare la detenzione in possesso sia i meri atti di esercizio del possesso dell’immobile stesso, non accompagnati da uno specifico atto d’interversione, sia pure l’effettuazione di spese di manutenzione dell’immobile.

L’interversio possessionis, in altri termini, rilevante ai fini dell’usucapione, non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale si possa desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa nomine alieno e iniziato a esercitarlo esclusivamente nomine proprio; inoltre, tale manifestazione deve essere tale da palesare inequivocabilmente l’intenzione di sostituire al precedente animus detinendi il nuovo animus rem sibi habendi ed essere specificamente rivolta contro il possessore, in modo da porre quest’ultimo in condizione di rendersi conto dell’avvenuto mutamento; così, ad esempio, Trib. Catania, sez. III, 12 marzo 2018, n. 1131 (GDir, 2018, 32, 52) ha recentemente rigettato la domanda di acquisto per intervenuta usucapione della proprietà di un appartamento, in quanto l’attore, nonostante abitasse nell’unità immobiliare dal 1989, non aveva mai posto in essere alcun atto di interversione del possesso ex articolo 1141 del c.c.; altro esempio consueto si ha solo che si pensi al fatto che il decreto di espropriazione è idoneo a fare acquisire la proprietà piena del bene e ad escludere qualsiasi situazione di diritto o di fatto con essa incompatibile e, qualora il precedente proprietario o un soggetto diverso continuino a svolgere sulla cosa attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, la notifica del detto decreto comporta la perdita dell’animus possidendi, con la conseguenza che, ai fini della configurabilità di un nuovo possesso ad usucapionem, è “necessario un atto di interversio possessionis”  (Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 2018, n. 23850, GCM, 2018).

Il presente contributo in tema di possesso, detenzione e tolleranza è tratto da “Usucapione di beni mobili e immobili” di Riccardo Mazzon.

 

 

 

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