Permesso di soggiorno ‘per motivi umanitari’
La norma (art. 5, c. 6, d. lgs. 286/998)
1) Istituzione: Legge 6 marzo 1998, n. 40 (c.d. legge Turco-Napolitano), Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, art. 5, c. 6: “Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”.
2)Trasfusione nel T.U. Immigrazione: Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, art. 5, c. 6: “Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”.
3)Modifica (meramente procedurale): Decreto legge 23 giugno 2011, n. 89, Disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari, (convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 129): art. 3, c. 1, lett. a): aggiunta del periodo finale: “Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal questore secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione”.
4)Testo vigente: Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, art. 5, c. 6: “Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal questore secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione”.
Le decisioni
Il diniego di rilascio del permesso di soggiorno, richiesto per asilo politico, non consegue automaticamente al mancato riconoscimento dello status di rifugiato politico, posto che il questore deve verificare se non siano vietati proprio l’espulsione o il respingimento verso lo Stato di appartenenza a causa dei motivi ostativi previsti dall’art. 19, c. 1, del d. lgs. 286/1998 e, quindi, se sia possibile rilasciare il permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell’art. 5, comma 6, del citato decreto legislativo e dell’art. 28, comma 1, lett. d), del regolamento di esecuzione (Cons. di Stato maggio 2006).
Il provvedimento del questore, di diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari e di allontanamento dal territorio nazionale, emesso all’esito della decisione negativa della Commissione Centrale sul riconoscimento dello status di rifugiato, è assoggettato alla giurisdizione del giudice amministrativo, non costituendo atto meramente consequenziale del procedimento introdotto con la domanda di asilo ma, al contrario, avendo ad oggetto una valutazione politico-amministrativa autonoma del Questore, riguardante l’esistenza delle ragioni di protezione indicate negli artt. 5, comma 6, e 19, comma 1, del d.lgs. 186/1998 (Fattispecie cui non è applicabile ratione temporis la l. 189/2002 e il d.P.R. 303/2004) [Cass., Sez. Un., marzo 2008].
E’ sindacabile dinanzi al giudice ordinario il diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari, da concedere in ipotesi subordinata rispetto alla concessione del – negato – permesso di soggiorno per asilo, ai sensi dell’art. 5, c. 6, del TU immigrazione, per effetto del richiamo ex art. 32, c. 3, del d. lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 [Cass., Sez. Un., maggio 2009].
Il diniego di rilascio del permesso di soggiorno, richiesto per asilo politico, non consegue automaticamente al mancato riconoscimento dello status di rifugiato politico, perché il questore è tenuto a verificare se non siano vietati l’espulsione o il respingimento verso lo Stato di appartenenza a causa dei motivi ostativi previsti dalla normativa e, quindi, se sia possibile rilasciare il permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell’art. 5, comma 6, del TU immigrazione e dell’art. 28, comma 1, lett. d), del regolamento di esecuzione [Cons. di Stato, luglio 2009].
La situazione giuridica dello straniero che richiede il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali, con la conseguenza che la garanzia apprestata dall’art. 2 Cost. esclude che dette situazioni possano essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidato solo l’accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservate al legislatore [Cass., Sez. Un., settembre 2009].
La giurisdizione sui diritti fondamentali, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente, spetta al giudice ordinario [Cass., Sez. Un., settembre 2009].
La fattispecie di cui all’art. 5, c. 6, TU immigrazione è assolutamente generica e si riempie di contenuti solo mediante rinvio a norme, interne o di diritto internazionale generale o convenzionale, aventi un oggetto più preciso. Nell’ambito di queste, si colloca l’art. 19 TU immigrazione, che esclude un potere discrezionale della P.A., dovendo, questa, solo accertare l’esistenza delle circostante di fatto indicate dalla norma. Ne consegue che i ricorsi avverso i provvedimenti che negano i permessi di soggiorno nelle fattispecie di cui all’art. 19 TU immigrazione devono essere proposti davanti al giudice ordinario [Cass., Sez. Un., settembre 2009].
Una volta negato il diritto di asilo da parte della competente commissione, il Questore continua a non avere un potere di ufficio, di accertare un pericolo di persecuzione nello Stato di provenienza, o la sussistenza dei motivi umanitari. Entrambi i presupposti vengono valutati dalla competente commissione, per accordare, ove sussista il primo presupposto, la c.d. protezione sussidiaria (art. 17, d.lgs. n. 251/2007), e per segnalare, ove sussista il secondo presupposto, i motivi umanitari al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari [Cons. di Stato, settembre 2009].
Secondo la disciplina oggi vigente, il Questore non ha un potere di ufficio, una volta negato il diritto di asilo da parte della competente commissione, di accertare un pericolo di persecuzione nello Stato di provenienza, o la sussistenza dei motivi umanitari. Entrambi i presupposti vengono valutati dalla competente commissione, per accordare, ove sussista il primo presupposto, la c.d. protezione sussidiaria (art. 17, d.lgs. n. 251/2007), e per segnalare, ove sussista il secondo presupposto, i motivi umanitari al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari [Cons. di Stato, settembre 2009].
Sebbene in materia di permessi di soggiorno per motivi umanitari la Corte regolatrice nelle pronunce più recenti tenda ad affermare la giurisdizione del giudice ordinario, qualora i primi giudici si siano pronunciati nel merito della controversia – così implicitamente affermando la giurisdizione del giudice amministrativo – e nulla sia stato eccepito dall’appellante in appello, la relativa questione deve ritenersi coperta da giudicato implicito interno [Cons. di Stato, aprile 2010].
Per effetto della tipicità dei titoli di permesso di soggiorno e dell’onere per chi lo chiede di indicare con chiarezza il tipo di permesso richiesto, una volta chiesto il permesso di soggiorno per asilo politico e negato quest’ultimo, il diniego di tale tipo di permesso è un atto dovuto e consequenziale; dal che la conseguenza che l’Amministrazione non può indagare d’ufficio, in difetto di domanda di parte, se sussiste la possibilità di rilasciare il permesso di soggiorno ad altro titolo; e questo sulla base della considerazione che soltanto l’interessato è in grado di indicare quali sono i titoli di legittimazione a conseguire un diverso tipo di permesso di soggiorno (I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto di non potersi pronunciare sulla – preliminare – questione di giurisdizione, in quanto, nel caso deciso, doveva ritenersi formato il giudicato interno, dal momento che i primi giudici, decidendo nel merito, avevano implicitamente ritenuto sussistente la propria giurisdizione, e tale implicita statuizione doveva ritenersi passata in giudicato, in mancanza di espresso appello sulla questione di giurisdizione da parte dell’interessato) [Cons. di Stato, aprile 2010].
Il nuovo sistema di protezione internazionale dello straniero, instaurato dalle Direttive CE 2004/83 e 2005/85, così come recepite nei d.lgs. 19 novembre 2007 n. 251 e 28 gennaio 2008, n. 25, ha introdotto una nuova misura tipica, la protezione sussidiaria, che può essere riconosciuta anche quando sussista il rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti. (art. 3 CEDU). Ne consegue che il positivo riscontro di tali condizioni non costituisce più una condizione idonea soltanto al rilascio del permesso di natura umanitaria, già previsto nell’art. 5 sesto comma e 19 primo comma d.lgs. n. 286 del 1998, ma dà diritto ad un titolo di soggiorno stabile, triennale ed alla fruizione di un ampio quadro di diritti e facoltà (accesso al lavoro, allo studio, alle prestazioni sanitarie). Tuttavia, tale coincidenza di requisiti, pur essendo riconosciuta espressamente dalla previsione della convertibilità, al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa, dei permessi umanitari preesistenti in protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. n. 251 del 2007, non esclude, nell’attuale sistema delle misure di protezione internazionale, la tutela residuale costituita dal rilascio di permessi sostenuti da ragioni umanitarie o diverse da quelle proprie della protezione sussidiaria o correlate a condizioni temporali limitate e circoscritte, come previsto dall’art. 32, terzo comma, del d.lgs. n. 25 del 2008, ai sensi del quale le Commissioni territoriali, quando ritengano sussistenti gravi motivi umanitari (evidentemente inidonei ad integrare le condizioni necessarie per la protezione sussidiaria) devono trasmettere gli atti al Questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno [Cass. febbraio 2011].
Il sistema di protezione internazionale dello straniero, instaurato dalle Direttive CE 2004/83 e 2005/85 così come recepite nei d. lgs n. 251/2007 e 25/2008, ha introdotto una nuova misura, la protezione sussidiaria, che può essere riconosciuta anche quando sussista il rischio effettivo della sottoposizione a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti (art. 3 CEDU). Tale misura dà diritto ad un titolo di soggiorno stabile, triennale ed alla fruizione di un ampio quadro di diritti e facoltà (accesso al lavoro, allo studio, alle prestazioni sanitarie), non escludendo l’applicabilità della tutela residuale costituita dal rilascio di permessi per ragioni umanitarie o ancora diverse o correlate a condizioni temporali limitate e circoscritte, come previsto dall’art. 32, c. 3, del d. lgs. n. 25/2008, ai sensi del quale le Commissioni territoriali, quando ritengano sussistenti gravi motivi umanitari (evidentemente inidonei ad integrare le condizioni necessarie per la protezione sussidiaria), devono trasmettere gli atti al Questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno [Cass. marzo 2011].
L’identità di natura giuridica del diritto alla protezione umanitaria, del diritto allo status di rifugiato e del diritto costituzionale di asilo, quali situazioni tutte riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali, deve essere affermata sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina interna vigente ed ha trovato espressa conferma nelle norme di attuazione delle direttive 2004/83/CE e 2005/85/CE, di cui, rispettivamente, ai dd. lgs. 251/2007 e 25/2008 [Cass. giugno 2011].
Sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina interna vigente, in particolare nelle norme di attuazione delle direttive 2004/83/CE e 2005/85/CE, deve essere affermata l’identità di natura giuridica del diritto alla protezione umanitaria, del diritto allo status di rifugiato e del diritto costituzionale di asilo, in quanto situazioni tutte riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali [Cass. giugno 2011].
Tutti i provvedimenti che negano il permesso di soggiorno per protezione internazionale [da quella diretta al conseguimento della protezione maggiore fino a quella residuale di cui all’art. 5, c. 6, T.U. Immigrazione (id est: permesso di soggiorno per motivi umanitari)] rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la posizione giuridica azionata dall’interessato ha consistenza di diritto soggettivo [Cons. di Stato, luglio 2011].
La competenza del giudice ordinario si estende alle vicende sorte sulla base della precedente disciplina legislativa che attribuiva integralmente al Questore la competenza relativa al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie di cui agli artt. 5 e 19 del TU Immigrazione [Cons. di Stato, settembre 2011].
In tema di protezione internazionale dello straniero, quando, in sede di valutazione giudiziale delle condizioni necessarie ai fini della concessione della misura della protezione sussidiaria, venga accertata l’esistenza di gravi ragioni di protezione, reputate astrattamente idonee all’ottenimento della misura tipica richiesta ma limitata nel tempo, (ad esempio, per la speranza di una rapida evoluzione della situazione del paese di rimpatrio o per la stessa posizione personale del richiedente, suscettibile di un mutamento che faccia venire meno l’esigenza di protezione), deve procedersi, da parte del giudice, al positivo accertamento delle condizioni per il rilascio, della minore misura del permesso umanitario, che si configura come doveroso da parte del Questore [Cass. novembre 2011].
Il conseguimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie è un vero e proprio diritto, la cui tutela compete al giudice ordinario, previa valutazione affidata, in sede amministrativa, alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che valuta d’ufficio anche la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tale forma di protezione, ove non sussistano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, e, in caso affermativo, trasmette gli atti – per il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, c. 6, del TU Immigrazione – al questore, cui non spetta alcuna discrezionalità circa la verifica della sussistenza delle condizioni per accedere alla protezione umanitaria, ma soltanto la verifica dei requisiti ulteriori per il rilascio del permesso umanitario nell’ambito della previsione di cui all’art. 28, c. 1, lett. d), del regolamento di esecuzione del TU citato. Ove la Commissione territoriale non abbia riconosciuto la protezione umanitaria, la sua decisione è ricorribile davanti al giudice ordinario, che, in caso di negativo riscontro di legittimità, provvede egli stesso al riconoscimento della tutela umanitaria assumendo il provvedimento omesso dalla Commissione, cioè la trasmissione degli atti al questore perché provveda ai sensi del citato art. 5, c. 6; per altro verso, il provvedimento negativo che sia stato irritualmente assunto dal questore indipendentemente dalla decisione della Commissione è, a sua volta, sottoposto alla giurisdizione del giudice ordinario, incidendo su diritti soggettivi [Cass. dicembre 2011].
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sull’impugnazione del provvedimento del Questore recante il diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari [Cons. di Stato, febbraio 2012].
“…Il riconoscimento della protezione umanitaria è consentito solo in presenza dei presupposti previsti dalla legge, fra i quali non rientra la situazione di instabilità di un paese o la generica limitazione delle libertà civili, mentre anche la previsione generale di cui all’art. 19, c. 1, del TU Immigrazione richiede la riscontrata sussistenza del pericolo di persecuzione, ai danni del richiedente, “per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali”, nei limiti in cui tale persecuzione non giustifichi addirittura il riconoscimento dei più favorevoli status di rifugiato o di protezione sussidiaria…” [Cass. maggio 2012].
“…la richiesta di status di rifugiato o di asilo politico o comunque di protezione internazionale sussiste nel caso in cui il cittadino di un determinato Paese, a causa delle persecuzioni o dei pericolo che lo minacciano, non può restare nel proprio Paese e si indirizza quindi verso un altro Paese che lo possa ospitare. Nel caso però della doppia cittadinanza quel soggetto, che non può restare in uno dei due Paesi di cui è cittadino, deve dirigersi verso l’altro paese di cui ha la cittadinanza se colà non corre pericolo alcuno. In altri termini, la valutazione della esistenza dei requisiti della protezione internazionale deve necessariamente tenere conto della situazione complessiva in cui si trova una persona munita di doppia cittadinanza perché solo la presenza in entrambi i paesi di cui si è cittadini delle condizioni per l’ottenimento della protezione internazionale consente lo scrutinio positivo delle sue richieste in tal senso nello Stato italiano…” [Cass. giugno 2012].
“…questa Corte, che ritiene di superare la giurisprudenza di cui a Cass 18940 del 2006, per la quale il diritto di cui all’art. 19, c. 3, Cost, degraderebbe a mera posizione processuale o strumentale (propria di chi ha diritto all’esame della sua domanda alla stregua delle vigenti norme sulla protezione), ha già affermato, ed il Collegio qui ribadisce, che il diritto di asilo è oggi (e quindi dopo la menzionata pronunzia) interamente attuato e regolato, attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti di protezione, ad opera della esaustiva normativa di cui al d. lgs. 251/2007 (adottato in attuazione della direttiva 2004/83/CE) e dell’art. 5, c. 6, d. lgs, 286/1998, sì che non si scorge alcun margine di residuale diretta applicazione della norma costituzionale….” [Cass. giugno 2012].
Il dovere di cooperazione del giudice non riguarda solo le misure tipiche del rifugio politico e della protezione sussidiaria, ma si estende anche alle misure residuali di protezione umanitaria, desumibili dall’interpretazione coordinata degli artt. 5, c. 6, e 19, c. 1, del TU Immigrazione. Ne consegue che sia la Commissione territoriale, alla quale spetta la prima valutazione della domanda di protezione internazionale, sia gli organi della giurisdizione ordinaria di merito, sono tenuti a valutare l’esistenza delle condizioni poste a base delle misure tipiche e della misura residuale del permesso umanitario, utilizzando il potere-dovere d’indagine, scandito dall’art. 8, c. 3, del d. lgs. 25/2008 [Cass. settembre 2012].
Le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato sono diverse da quelle poste a base del riconoscimento della protezione sussidiaria; i requisiti della protezione sussidiaria, in particolare, non coincidono con quelli che consentono l’adozione di una misura atipica di protezione umanitaria, ai sensi dell’art. 5 del TU Immigrazione [Cass. febbraio 2013].
“…Ugualmente necessario, l’accertamento anche officioso delle attuali condizioni del paese d’origine, si rivela al fine di valutare se sussistono le condizioni per il rilascio di un permesso umanitario, alla luce dei requisiti indicati dall’art. 5, comma sesto del d.lgs n. 286 del 1998 (seri motivi di carattere umanitario risultanti da obblighi costituzionali od internazionali) e del principio di non refoulement fissato dall’art. 19 primo comma d.lgs n. 286 del 1998, tenuto conto dell’autonomia di tale misura atipica rispetto alla protezione sussidiaria ed alla conseguente necessità di una specifica valutazione giudiziale nell’ipotesi, corrispondente al caso di specie, di formulazione della domanda fin dal primo grado del procedimento giurisdizionale…” [Cass. aprile 2013].
E’ del giudice ordinario la giurisdizione anche qualora venga lamentato, anziché l’illegittimo esercizio di un potere discrezionale concernente il procedimento di valutazione della posizione dello straniero richiedente la protezione internazionale, la mera inerzia della Questura nel porre in essere adempimenti meramente strumentali (convocazione per rendere dichiarazioni su apposito formulario) finalizzati all’esercizio di detto potere da parte della Commissione competente [Cons. di Stato, maggio 2013].
“quella offerta dall’istituto in discorso (…permesso di soggiorno per motivi umanitari .. ndA) è una tutela residuale … non casualmente correlata ad un predeterminato arco di tempo, che spetta quando le gravi ragioni di protezione accertate, ed aventi gravità e precisione pari a quelle sottese alla tutela maggiore, siano sol temporalmente limitate (ad esempio per la speranza di una rapida evoluzione del paese di rimpatrio o per la stessa posizione personale del richiedente, suscettibile di un mutamento che faccia venir meno l’esigenza di protezione). E si rammenta altresì come anche la pertinenza del pericolo ad una sola area del paese, quella di residenza dell’interessato, possa integrare nella nostra legislazione la minaccia rilevante …” [Cass. maggio 2013].
Per effetto dell’art. 32, c. 3, del d. lgs. 25/2008, ai sensi del quale, “nei casi in cui non accolga la domanda di protezione e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”, al questore non spetta alcuna discrezionalità circa la verifica della sussistenza delle condizioni per accedere alla protezione umanitaria, ma soltanto la verifica dei requisiti ulteriori per il rilascio del permesso umanitario nell’ambito della previsione di cui all’ art. 28, comma 1, lett. d), del d.P.R. 394/1999 [Cass. maggio 2013].“…il diritto di asilo è ora interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d. lgs. 251/2007, adottato in attuazione della direttiva 2004/83/Ce del Consiglio 29 aprile 2004, e di cui all’art. 5, c. 6, del T.U. Immigrazione; ne consegue che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10, comma 3, Cost., in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione…” [Cass. ottobre 2013].
Poiché il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d. lgs. 251/2007 e di cui all’art. 5, c. 6, del T.U. Immigrazione, l’autonomia delle condizioni per il rilascio di un permesso per motivi umanitari è del tutto coerente anche con l’interpretazione della norma costituzionale fornita dalla giurisprudenza di legittimità e non costituisce la conseguenza dell’esistenza di un “generico” diritto d’asilo [aggiunge il S.C. che “la natura giuridica ed il contenuto delle misure di carattere umanitario, non può trarsi dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 34 che ha esclusiva funzione di norma transitoria. La pronuncia n. 4139 del 2012, superando un precedente orientamento ha infatti affermato in ordine alla sostanziale in distinzione tra le condizioni della protezione sussidiaria e del permesso umanitario : “Tale coincidenza di requisiti, pur essendo riconosciuta espressamente dalla previsione della convertibilità, al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa, dei permessi umanitari preesistenti in protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34 non esclude, nell’attuale sistema delle misure di protezione internazionale, la tutela residuale costituita dal rilascio di permessi sostenuti da ragioni umanitarie o diverse da quelle proprie della protezione sussidiaria o correlate a condizioni temporali limitate e circoscritte, come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ai sensi del quale le Commissioni territoriali, quando ritengano sussistenti gravi motivi umanitari (evidentemente inidonei ad integrare le condizioni necessarie per la protezione sussidiaria) devono trasmettere gli atti al Questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno. In conclusione le situazioni di vulnerabilità che possono dar luogo alla richiesta di rilascio di un permesso per motivi umanitari da parte delle Commissioni territoriali o del giudice in sede di giudizio d’impugnazione, costituiscono un catalogo aperto non necessariamente fondato sul fumus persecutionis o sul pericolo di danno grave per la vita o l’incolumità psicofisica secondo la declinazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14”] [Cass. novembre 2013].
“…La protezione sussidiaria e la misura residuale atipica di protezione internazionale del permesso umanitario sono fondate su requisiti che prescindono dalla vis persecutoria fondata sulle ragioni tipizzate nel citato art. 7 (…d.lgs. 251/2007…). Tale estensione è stata dettata proprio dall’esigenza d’includere nel sistema della protezione internazionale situazioni di pericolo di danno grave per l’incolumità personale o altre rilevanti violazioni dei diritti umani delle persone, non riconducibili al modello persecutorio del rifugio, perché generate da situazioni endemiche di conflitto e violenza interna, dall’inerzia o connivenza dei poteri statuali o da condizioni soggettive di vulnerabilità non emendabili nel paese di provenienza. Ugualmente il sistema pluralistico sopra descritto ha codificato le situazioni di violazione dei diritti umani garantiti nell’art. 3 CEDU, (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti) così come interpretato dalla Corte di Strasburgo. A tal fine, l’art. 14 del d.lgs n. 251 del 2007 ha tipizzato le situazioni di danno grave che giustificano l’adozione della misura della protezione sussidiaria, individuandole nella esposizione alla pena e alla condanna a morte o alla tortura o trattamenti inumani e degradanti; nel pericolo per la propria incolumità causato da una situazione di conflitto interno o internazionale generalizzato ed indiscriminato. L’art. 32 del d. lgs n. 25 del 2008 ha, infine, previsto che le Commissioni territoriali debbano richiedere al Questore, il rilascio di un permesso umanitario quando non sia possibile l’adozione di alcuna delle due misure tipiche ma vi siano le condizioni soggettive per tale titolo di soggiorno gradato. La sintetica panoramica dell’insieme delle misure di protezione internazionale evidenzia che il discrimine tra il rifugio politico e le altre, caratterizzate da una gradazione delle garanzie e dei diritti connessi al titolo di soggiorno, consiste proprio nel riconoscimento o nell’esclusione della vis persecutoria giustificata dalle ragioni indicate nel citato art. 7. Il pericolo di danno grave alla propria incolumità o l’assoggettamento alla pena di morte o a trattamenti detentivi inumani e degradanti può derivare da cause non riconducibili alla persecuzione personale, così come un permesso umanitario può essere rilasciato perché sussistono condizioni ostative all’ottenimento delle misure tipiche o si ravvisino lesioni di diritti umani di particolare entità per categorie soggettive vulnerabili (a mero titolo esemplificativo si indicano: cittadini stranieri affetti da patologie gravi, madri con figli minori, persone impossibilitate ad autodeterminarsi anche nelle scelte più elementari nel proprio paese). La diversità dei presupposti delle misure di protezione internazionale costituisce un punto di riferimento fermo nella giurisprudenza di legittimità, ribadito attraverso la definitiva inclusione nella giurisdizione ordinaria del diritto a richiedere un permesso di natura umanitaria … nonché mediante l’espresso riconoscimento dell’autonomia dei requisiti sia della protezione sussidiaria…Infine deve osservarsi che un recente orientamento di questa Corte ha stabilito che proprio la pluralità delle misure di protezione internazionale e la previsione di una misura umanitaria residuale atipica hanno finalmente determinato l’attuazione del diritto d’asilo costituzionale previsto nell’art. 10, terzo comma, Cost…” [Cass. novembre 2013].
In materia di immigrazione, il rilascio del permesso di soggiorno conseguente al riconoscimento della protezione internazionale per motivi umanitari rende inefficace il precedente decreto di espulsione, divenuto ineseguibile, sicchè, nel giudizio proposto avverso quest’ultimo, va dichiarata la cessazione della materia del contendere, non potendosi ritenere persistente un interesse all’annullamento di tale decreto, poiché la posizione giuridica dell’interessato resta regolata dal permesso di soggiorno conseguito [Cass. giugno 2014].
“…Alla luce dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, l’asilo costituzionale può dirsi attuato mediante il sistema pluralistico delle misure di protezione internazionale presenti nel nostro ordinamento : rifugio politico, protezione sussidiaria e protezione umanitaria….” [Cass. luglio 2014].
“…In ogni caso, anche volendo ritenere che permanga una forma di tutela residuale, consistente nel rilascio di permessi sostenuti da ragioni umanitarie diverse da quelle proprie della protezione sussidiaria o correlate a condizioni temporali limitate e circoscritte (come previsto dall’art. 32, comma 3, del d.lgs. 25/2008 – cfr. Cass. civ., VI, 18 febbraio 2011, n. 4139), resta il fatto che, per giurisprudenza consolidata, in ordine all’impugnazione del provvedimento del Questore di diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari richiesto ex art. 5, comma 6, del d.lgs. 286/1998, all’esito del rigetto, da parte della Commissione territoriale competente, della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, in quanto: – con l’entrata in vigore dell’art. 1-quater del d.l. 416/1989, introdotto dall’art. 32 comma 1, lett. b, della legge 189/2002, le Commissioni territoriali, quando non accolgano la domanda di protezione internazionale, sono espressamente tenute a valutare, per l’adozione da parte del Questore dei provvedimenti di cui all’art. 5, comma 6, cit., le conseguenze di un rimpatrio alla luce degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali; – conseguentemente, al Questore, a differenza che nel regime giuridico previgente, non è più attribuita alcuna discrezionalità valutativa in ordine all’adozione dei provvedimenti riguardanti i permessi umanitari, coerentemente con la definitiva attribuzione alle predette Commissioni di tutte le competenze valutative in ordine all’accertamento delle condizioni del diritto alla protezione internazionale, definitivamente affermata nell’art. 32 del d.lgs. 25/2008, di attuazione della direttiva 2005/85/CE (cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 9 maggio 2013, n. 2524 e 5 settembre 2012, n. 4714)…” [Cons. di Stato agosto 2014].
“…Secondo il consolidato orientamento di questa Corte …, la protezione umanitaria è una misura residuale che presenta caratteristiche necessariamente non coincidenti con quelle riguardanti le misure maggiori. Condizione per il rilascio di un permesso di natura umanitaria ex art. 5, comma 6, del d. lgs . n. 286 del 1998 è il riconoscimento di una situazione di vulnerabilità da proteggere alla luce degli obblighi costituzionali ed internazionali gravanti sullo Stato italiano. Del resto, la lettura anche solo testuale dell’art 32, comma 3, del d. lgs. n. 25 del 2008 evidenzia tale diversità. Stabilisce la norma che “Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”. Al riguardo questa Corte ha affermato che l’attuale sistema pluralistico delle misure di protezione internazionale, include la tutela residuale costituita dal rilascio di permessi sostenuti da ragioni umanitarie o diverse da quelle proprie della protezione sussidiaria o correlate a condizioni temporali limitate e circoscritte, come previsto dall’art. 32, comma 3 del d. lgs. n. 25 del 2008, ai sensi del quale le Commissioni territoriali, quando ritengano sussistenti gravi motivi umanitari (evidentemente inidonei ad integrare le condizioni necessarie per la protezione sussidiaria) devono trasmettere gli atti al Questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno…” [Cass. ottobre 2014].
“…Come puntualmente dato atto dal Giudice a quo, il “diritto di asilo” è oggi interamente regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di “rifugiato”, dalla “protezione sussidiaria” e dal diritto al rilascio di un “permesso umanitario” ad opera della normativa posta dal d. lgs. 19 novembre 2007, n. 251 adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29.4.2004 (recante “norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta”) e dall’art. 5, c. 6, del d. lgs. n. 286 del 1998; correttamente il Tribunale ha precisato che da tale completa regolamentazione consegue il venir meno di un margine residuale di diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione ….” [Cass. pen. dicembre 2014].
In tema di protezione umanitaria, l’art. 5, c. 6, del T.U. Immigrazione, non definisce i seri motivi di carattere umanitario che limitano il potere di rifiutare o revocare il permesso di soggiorno allo straniero privo dei requisiti previsti da convenzioni o accordi internazionali. Al di là del generico rinvio alla disciplina del diritto internazionale umanitario (e cioè all’insieme dei trattati internazionali o delle regole consuetudinarie che, in caso di conflitti armati, di natura sia internazionale che interna, limitano il diritto delle parti in conflitto nella scelta dei mezzi o metodi di combattimento, proteggono le persone e i beni coinvolti o che rischiano di rimanere coinvolti nel conflitto), non sembra dubbio che i motivi di carattere umanitario debbano essere identificati facendo riferimento alle fattispecie previste dalle convenzioni universali o regionali che autorizzano o impongono al nostro Paese di adottare misure di protezione a garanzia dei diritti umani fondamentali e che trovano espressione e garanzia anche nella Costituzione, non solo per il valore del riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo in forza dell’art. 2 Cost., ma anche perché, al di là della coincidenza dei cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano, completandosi reciprocamente, nella loro interpretazione [Cass. gennaio 2015].
La protezione umanitaria consiste in una tutela residuale e temporanea che deve essere riconosciuta quando, in sede di valutazione giudiziale delle condizioni necessarie ai fini della concessione della misura della protezione sussidiaria, venga accertata l’esistenza di gravi ragioni di protezione, reputate astrattamente idonee all’ottenimento della misura tipica richiesta ma limitata nel tempo, ad esempio, per la speranza di una rapida evoluzione della situazione del paese di rimpatrio o per la stessa posizione personale del richiedente, suscettibile di un mutamento che faccia venire meno l’esigenza di protezione [Cass. gennaio 2015].
“… deve osservarsi che, premessa la piena sindacabilità da parte del giudice ordinario delle condizioni di riconoscimento di tale misura (…protezione umanitaria …ndA) ed il conseguente potere vincolato del questore, la giurisprudenza del tutto consolidata di questa Corte ha stabilito che si tratta di una misura autonoma, i cui requisiti non sono integralmente sovrapponibili a quelli delle misure maggiori ed in particolare della protezione sussidiaria …. In particolare la Corte di Cassazione con l’ordinanza … ha stabilito che il sistema pluralistico delle misure di protezione internazionale, in quanto comprensivo anche dei permessi umanitari, che costituiscono uno strumento atipico da applicarsi in condizioni di vulnerabilità anche non coincidenti con le ipotesi normative delle misure tipiche, integra le condizioni di legge indicate dall’art. 10 terzo comma, attuative dell’ asilo costituzionale. Nella sentenza impugnata è mancato del tutto l’esame della sussistenza dei requisiti di quest’ultima d.lgs n. 286 del 1998 e 34 d.lgs 251 del 2007. Si tratta del riconoscimento da parte delle Commissioni territoriali o del giudice del merito dell’esistenza di situazioni non rientranti nelle misure tipiche o perché aventi il carattere della temporaneità o perché vi sia un impedimento al riconoscimento della protezione sussidiaria, o, infine, perché intrinsecamente diverse nel contenuto rispetto alla protezione internazionale ma caratterizzate da un’esigenza qualificabile come umanimria (problemi sanitari, madri di minori etc). L’indagine sull’esistenza di condizioni di vulnerabilità secondo i parametri sopra indicati (art. 10 comma terzo Cost.; art. 5, comma sesto e 19 comma secondo d.lgs n. 286 del 1998) non può essere omessa dal giudice d’appello ove la domanda formulata in primo grado sia stata disattesa e deve essere svolta alla luce dei criteri indicati, non potendo il rigetto essere la conseguenza automatica della reiezione delle domande relative alle misure tipiche…” [Cass. febbraio 2015].
“…la possibilità, per il cittadino straniero, di evitare il pregiudizio temuto spostandosi in una differente zona del Paese d’origine non è ragione per respingere la domanda di protezione internale … la Corte territoriale non ha spiegato perché i fatti narrati dal ricorrente, e in sentenza ritenuti inidonei a fondare la concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sarebbero altresì insuscettibili di giustificare la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ancorché rappresentino un quadro sintomatico di pericolosità per l’incolumità del richiedente, rappresentato dalla conservazione di un sistema di vendette private, sostanzialmente tollerato o non efficacemente contrastato, anche se non riconducibile per assenza del fumus persecutionis e della situazione di violenza incontrollata rispettivamente al rifugio politico e alla protezione sussidiaria. La Corte territoriale ha invece ritenuto erroneamente necessaria la prospettazione di fatti diversi quali epidemie o malattie incurabili nei paesi d’origine, senza esercitare i propri poteri istruttori officiosi al fine di verificare la veridicità della trattazione sia pure al limitato fine del diritto al rilascio della protezione umanitaria….” [Cass. ottobre 2015].
“…Il ricorso appare fondato laddove lamenta una valutazione carente dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria o umanitaria atteso che non è stata effettivamente valutata adeguatamente la situazione oggettiva e attuale del paese di origine (…Nigeria … ndA) notoriamente interessato da gravi episodi di violenza indiscriminata localizzati in numerose aree e regioni, dal controllo sempre più esteso del territorio da parte di gruppi terroristici e persecutori nel confronti dei cittadini di fede cristiana, dall’impotenza o soggezione dell’apparato statuale di fronte a tale situazione mentre si sono valorizzate circostanze che non appaiono comunque idonee a escludere la concreta possibilità che il ricorrente sia esposto a gravi pericoli per la propria vita e incolumità nel caso di ritorno forzato nel paese di provenienza…” [Cass. febbraio 2016].
“…il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste dai tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251 e di cui all’art. 5, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286; con la conseguenza che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10, terzo comma, Cost. …” [Cass. giugno 2016].
“…Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione di norme di diritto e omesso esame circa un fatto decisivo, si lamenta (a) l’omessa verifica, da parte del giudice a quo, dei presupposti del pur invocato rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari e (b) il diniego di riconoscimento del diritto di asilo ai sensi dell’art. 10, comma terzo, Cost. 3. — La censura sub (a) è inammissibile, poiché nel ricorso non sono indicate le ragioni dell’invocato rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, limitandosi il ricorrente a una genetica denuncia di maltrattamenti subiti. La censura sub (b) è infondata, avendo questa Corte già avuto occasione di chiarire che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste dai tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251 e di cui all’art. 5, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286; con la conseguenza che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10, terzo comma, Cost. …” [Cass. agosto 2016].
“…Il motivo appare infondato alla luce della motivazione resa dalla Corte di appello secondo cui l’inattendibilità della narrazione del richiedente la protezione comporta altresì l’esclusione della situazione di particolare vulnerabilità individuale apprezzabile ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria mentre, per altro verso, l’appellante non ha fornito alcun elemento di prova (o anche solo indicato la fonte di conoscenza) circa l’asserita propagazione dell’epidemia del virus ebola nel suo villaggio di provenienza. Tali valutazioni della Corte di appello appaiono corrette sia quanto alla prospettazione del diritto alla protezione umanitaria sotto il profilo della personale situazione debitoria del ricorrente che sotto il profilo del rischio sanitario cui sarebbe esposto il suo villaggio di origine. La mancanza di qualsiasi riscontro probatorio a entrambe le prospettazioni e la non ineluttabilità dei rischi cui sarebbe esposto il ricorrente non possono infatti giustificare la concessione di una protezione più limitata e residuale…” [Cass. settembre 2016].
“…anche con riguardo alla protezione umanitaria non può evidentemente prescindersi, nella mancanza di prove del racconto dell’interessato, quantomeno dalla credibilità soggettiva del medesimo, analogamente a quanto è previsto quanto al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria….la protezione umanitaria non può essere riconosciuta per il semplice fatto di versare in non buone condizioni di salute, occorrendo invece che tale condizione sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani dell’interessato nel paese di provenienza….” [Cass. dicembre 2016].
“…che parimenti inammissibile appare il secondo motivo, con il quale il ricorrente —da un lato- lamenta l’omesso riconoscimento di altre forme di tutela, quale ad esempio il permesso di soggiorno per motivi umanitari, senza indicare specificamente se e come egli abbia fatto richiesta in tal senso nel giudizio di merito..” [Cass. febbraio 2017].
“…secondo la giurisprudenza di queste Sezioni Unite …, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sull’impugnazione del provvedimento del questore di diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari richiesto ex art. 5, comma 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, all’esito del rigetto, da parte della Commissione territoriale competente, della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto, nel quadro delineato dall’art. 32 del d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, recante attuazione della direttiva 2005/85/CE, le Commissioni territoriali sono espressamente tenute, quando non accolgano la domanda di protezione internazionale, a valutare, per i provvedimenti di cui all’art. 5, comma 6, cit., le conseguenze di un rimpatrio alla luce degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali, mentre al questore non è più attribuita alcuna discrezionalità valutativa in ordine all’adozione dei provvedimenti riguardanti i permessi umanitari; che il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario è coerente con il rilievo che la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo, che va annoverato tra i diritti umani fondamentali che godono della protezione apprestata dall’art. 2 Cost. e dall’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e non può essere degradato ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere rimesso solo l’accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato esclusivamente al legislatore …; che va pertanto dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della richiesta, proveniente dal cittadino extracomunitario, di annullamento del diniego, da parte del questore, del permesso di soggiorno per motivi umanitari…” [Cass., Sez. Un., febbraio 2017].
“…non può ignorarsi che la disciplina dell’immigrazione di cui al D.Lgs. n. 286/98 contiene espresso riferimento al divieto di respingimento degli stranieri irregolari, non solo nei casi previsti dalle disposizioni che disciplinano l’asilo politico e il riconoscimento dello status di rifugiato, ma anche in tutti quelli in cui si profila l’adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari (art. 10, comma 4, d. Igs n. 286 del 1998) ed essa deve trovare attuazione anche con specifico riguardo alle attività poste in essere al di fuori del territorio dello Stato nelle acque internazionali a tutela dei migranti per consentire loro di approdare in condizioni di sicurezza nel paese e di formulare istanza di asilo o di protezione. Il che da conto anche dell’esclusione della qualità di indagati dei predetti migranti anche in riferimento alla fattispecie di trattenimento illegale nel territorio dello Stato…” [Cass. pen. marzo 2017].
“…Il Collegio non può che ribadire l’orientamento cui ha aderito la sentenza appellata, secondo il quale sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sull’impugnazione del provvedimento del questore di diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari, richiesto ex art. 5, comma 6, del d.lgs. 286/1998, all’esito del rigetto, da parte della Commissione territoriale competente, della domanda di riconoscimento dello “status” di rifugiato, in quanto, nel quadro delineato dall’art. 32 del d.lgs. 25/2008, di attuazione della Direttiva 2005/85/CE, le Commissioni territoriali sono espressamente tenute, quando non accolgano la domanda di protezione internazionale, a valutare, per i provvedimenti di cui all’art. 5, comma 6, cit., le conseguenze di un rimpatrio alla luce degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali, mentre al questore non è più attribuita alcuna discrezionalità valutativa in ordine all’adozione dei provvedimenti riguardanti i permessi umanitari; ciò in coerenza con il rilievo che la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali garantiti dagli art. 2 Cost. e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e, pertanto, non degradabile ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, cui può demandarsi solo l’accertamento dei presupposti di fatto legittimanti la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato al legislatore …” [Cons. di Stato, maggio 2017].
“…in coerenza con il dettato normativo, deve ritenersi che la competenza a disporre la revoca della protezione umanitaria (ex art. 5, comma 6, d.lgs. 286/1998) spetti alle Commissioni territoriali e non già alla Commissione nazionale per il diritto d’asilo, la cui cognizione è circoscritta ai casi di revoca o cessazione dello status di protezione internazionale (nelle forme del rifugio politico o della protezione sussidiaria) precedentemente riconosciuto, e all’ipotesi residuale in cui, revocato o dichiarato cessato tale status, la stessa Commissione nazionale riconosca il diritto alla protezione umanitaria, ritenendo sussistenti i presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari (art. 33, secondo comma, d.lgs. 25/2008)…” [Cass. ottobre 2017].
“…Nella giurisprudenza di legittimità la protezione “umanitaria” ha carattere atipico e residuale, nel senso che copre tutta una serie di situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba perciò provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in una condizione di “vulnerabilità”…” [Cass. ottobre 2017].
“…il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta che la Corte d’appello, nel disattendere la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c), d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251, abbia ritenuto necessario il requisito della individualizzazione della minaccia, viceversa escluso dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenze n. 172 del 2009, Elgala/i e n. 285 del 2012, Diakitè), è infondato; la Corte di giustizia, invero, con le sentenze sopra richiamate, non ha affatto negato in assoluto la necessità del requisito della personalizzazione della minaccia con riferimento alla fattispecie di protezione sussidiaria di cui all’art. 15, lett. c), della direttiva 2004/83/CE (corrispondente all’art. 14, lett. c), d.lgs. n. 251 del 2007), ma ha affermato che «l’esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali viene deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia»; nella specie la Corte d’appello ha appunto escluso, in fatto, sulla base delle informazioni assunte presso la Commissione nazionale per il diritto di asilo, che la regione di provenienza del ricorrente … sia caratterizzata da una violenza di tale grado…” [Cass. novembre 2017].
“…il secondo mezzo è manifestamente infondato, tendendo a prospettare il diritto all’asilo politico,derivante dall’art.10 Cost., come avulso dalla normativa statale, mentre…il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d.lgs. n. 251 del 2007, ed all’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, cosicché non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10, comma 3, Cost….” [Cass. dicembre 2017].
La circolare
Al permesso di soggiorno in commento, richiamato, per inciso, sia dalla disciplina regolamentare (1) che da altre disposizioni, dello stesso T.U. Immigrazione o di altra fonte (2), la recente circolare del Ministro dell’Interno (3) dedica ampio risalto.
In sintesi, l’intervento ministeriale:
- rimarca che, sebbene sia stata recepita la “protezione sussidiaria, con cui hanno trovato tutela particolari situazioni soggettive e oggettive di vulnerabilità”, la c.d. ‘protezione umanitaria’, diversamente da “quanto accade in altri Stati Membri, nei quali le tipologie di forme complementari di tutela sono espressamente e tassativamente individuate dalle norme e, pertanto concesse in casi limitati”, “rappresenta il beneficio maggiormente concesso dal Sistema nazionale”, legittimando “la presenza sul territorio nazionale di richiedenti asilo non aventi i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale il cui numero, nel tempo, si è sempre più ampliato, anche per effetto di una copiosa giurisprudenza che ha orientato l’attività valutativa delle Commissioni”;
- ricorda che la “tutela umanitaria, concessa inizialmente per due anni, viene di fatto generalmente rinnovata in assenza di controindicazioni soggettive, in via automatica e senza il pur previsto riesame dei presupposti da parte delle Commissioni”, comportando “la concessione di un titolo di soggiorno ad un gran numero di persone che, anche in base alla normativa europea sull’asilo, non avevano al momento dell’ingresso nel nostro Paese, i requisiti per la protezione internazionale e che, ora, permangono sul territorio con difficoltà di inserimento (salvo i pochi casi in cui il permesso umanitario è stato convertito in permesso per motivi di lavoro) e con consequenziali problematiche sociali che, nel quotidiano, involgono anche motivi di sicurezza”;
- richiama la – recente – sentenza della Cassazione (4), ove si è “evidenziato come i “seri motivi” previsti dalla normativa a base del permesso per motivi umanitari sono tipizzati dalla ratio di tutelare situazioni di vulnerabilità, calate in concreto, nella complessiva condizione del richiedente, emergente sia da indici soggettivi che oggettivi, laddove questi ultimi sono riferibili alle “condizioni di partenza di privazione o violazione dei diritti umani nel Paese di origine” ritenendo, in tal modo, che nessuna singola circostanza possa di per sé, in via esclusiva, costituire il presupposto per l’attribuzione del beneficio”; cosicché, “l’accertamento della situazione oggettiva del Paese di origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale costituiscono il punto di partenza ineludibile dell’accertamento da compiere””.
Premessa la latitudine della problematica (5) e l’ ovvia astensione da considerazioni di natura prettamente politica, ci limitiamo – in questa sede – ad illustrare il contenuto della sentenza del S.C., richiamata, sommariamente, nella circolare ministeriale (6).
Chiamato a pronunciarsi sul ricorso del Ministero dell’Interno contro una sentenza della Corte d’appello di Bari, che, accertata l’insussistenza del diritto al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, aveva riconosciuto ad un cittadino gambiano il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex art. 5, c. 6, T.U. Immigrazione, sottolineando l’integrazione sociale dell’interessato e l’esposizione ad una situazione di particolare vulnerabilità che sarebbe derivata dall’allontanamento verso il Paese di origine, stante la grave compromissione dei diritti umani ivi presente, ricorso supportato dall’erronea valorizzazione , quali presupposti del rilascio del permesso di soggiorno de quo, dell’integrazione sociale dello straniero e dalla generica compromissione dei diritti umani cui egli sarebbe esposto in caso di rientro in patria, posto che, da un lato, il livello di integrazione dello straniero – che soggiorni provvisoriamente in Italia in attesa che venga definita la sua domanda di protezione internazionale – non può costituire, di per sé solo, un motivo di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, dall’altro, la compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza non è sufficiente a giustificare la protezione umanitaria in mancanza di uno specifico rischio personale del richiedente, il S.C. accoglie il ricorso, con alcune importanti precisazioni.
Se è chiaro il principio di diritto enunciato nella decisione “il riconoscimento della protezione umanitaria, secondo i parametri normativi stabiliti dall’art. 5, comma 6; art. 19, comma 2 T.U. n. 286 del 1998 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale nel nostro paese, non può escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, dovendosi fondare su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza” – sono altrettanto evidenti i riflessi, sulla ratio dell’istituto, di alcuni passaggi motivazionali.
Si chiarisce, anzitutto, che la protezione umanitaria “costituisce una forma di tutela a carattere residuale posta a chiusura del sistema complessivo che disciplina la protezione internazionale degli stranieri in Italia”, collocandosi, in tal modo, “in posizione di alternatività rispetto alle due misure tipiche di protezione internazionale, potendo l’autorità amministrativa e giurisdizionale procedere alla valutazione della ricorrenza dei presupposti della prima soltanto subordinatamente all’accertamento negativo della sussistenza dei presupposti delle seconde.
Si aggiunge, poi, che i “seri motivi” richiamati dalla citata norma del T.U. Immigrazione, “non vengono tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore, cosicché costituiscono un catalogo aperto … pur essendo tutti accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità attuali o accertate, con giudizio prognostico, come conseguenza discendente dal rimpatrio dello straniero, in presenza di un’esigenza qualificabile come umanitaria, cioè concernente diritti umani fondamentali protetti a livello costituzionale e internazionale”.
Si sottolinea – ancora e soprattutto –, ribadendo una giurisprudenza consolidata, che “la protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione dell’asilo costituzionale (art. 10 Cost., comma 3), …unitamente al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, evidenziandosi anche in questa funzione il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione ampia del diritto d’asilo contenuto nella norma costituzionale, espressamente riferita all’impedimento nell’esercizio delle libertà democratiche, ovvero ad una formula dai contorni non agevolmente definiti e tuttora oggetto di ampio dibattito”.
Quanto all’ambito europeo, la Corte ricorda che, “pur non avendo un esplicito fondamento nell’obbligo di adeguamento a norme internazionali o Europee, tale forma di protezione è tuttavia richiamata dalla Direttiva comunitaria nr. 115/2008, che all’art. 6, par. 4, prevede che gli Stati possano rilasciare in qualsiasi momento, “per motivi umanitari, caritatevoli o di altra natura”, un permesso di soggiorno autonomo o un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di una Paese terzo il cui soggiorno è irregolare e rammenta che “La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha altresì chiarito che gli Stati membri possono concedere forme di protezione umanitaria e caritatevole diverse e ulteriori rispetto a quelle riconosciute dalla normativa Europea (in particolare la direttiva n. 95 del 13.12.2011, c.d. direttiva “qualifiche”), purché non modifichino i presupposti e l’ambito di applicazione della disciplina derivata dell’Unione (sent. 09.11.2010, caso Germania c. B. e D., C-57/09, C-101/09), com’è stabilito dall’art. 3 della direttiva n. 95/2011, che consente l’introduzione o il mantenimento in vigore di disposizioni più favorevoli in ordine ai presupposti sostanziali della protezione internazionale, purché non incompatibili con la direttiva medesima”.
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Note
(1)A livello regolamentare, si tenga presente l’art. 11, c. 1, lett. c-ter), del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,: “Il permesso di soggiorno è rilasciato, quando ne ricorrono i presupposti, per i motivi e la durata indicati nel visto d’ingresso o dal testo unico, ovvero per uno dei seguenti altri motivi: … c ter) per motivi umanitari, nei casi di cui agli articoli 5, comma 6 e 19, comma 1, del testo unico, previo parere delle Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero acquisizione dall’interessato di documentazione riguardante i motivi della richiesta relativi ad oggettive e gravi situazioni personali che non consentono l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale…”. Si veda anche, nello stesso ambito, l’art. 28, c. 1, lett. d), “Quando la legge dispone il divieto di espulsione, il questore rilascia il permesso di soggiorno: … d) per motivi umanitari negli altri casi, salvo che possa disporsi l’allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare una protezione analoga contro le persecuzioni di cui all’articolo 19, comma 1, del testo unico”.
(2)Cfr., a titolo esemplificativo, art. 19 T.U. Immigrazione; art. 32, c. 3, d. lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
(3)Circolare 4 luglio 2018, n. 8819, Il riconoscimento della protezione internazionale e la tutela umanitaria.
(4)Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455.
(5)Tra la vasta bibliografia, segnaliamo ACIERNO, La protezione umanitaria nel sistema dei diritti umani, in Quest. Giust., 2018, n. 2, 99 ss.; BERGAMINI, Il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Scenari normativi e ipotesi applicative, Tesi di laurea magistrale, Università di Pisa, 2017, 26 ss.; D’ABBRUNZO, Il regime di concessione dei visti umanitari tra diritto dell’Unione e diritto nazionale: una nuova sfida per i diritti umani, in Osservatorio sulle fonti, 2017, n. 2; GALLO, La protezione umanitaria nell’interpretazione delle corti territoriali calabresi e delle giurisdizioni superiori, in Rass. Avv. Stato, 2013, n. 2, 90 ss.; MOROZZO DELLA ROCCA, Protezione umanitaria una e trina, in Quest. Giust., 2018, n. 2, 108 ss.; PAPA, L’esclusione per non meritevolezza, i motivi di sicurezza e di pericolo, il principio di non refoulement e il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in Dir. Imm. Citt., 2018, n. 2; RAIOLA, Al giudice ordinario il diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in Corr. merito, 2009, n. 8-9, 928 ss.; SANTORO, Asilo e tratta: il tango delle protezioni, in Quest. Giust., 2018, n. 2, 135 ss.; STELLA, “Il diritto di asilo alla luce del diritto comunitario”. La normativa italiana: procedura amministrativa e giurisdizionale, in Nuove Frontiere del Diritto, 2012, n. 5, 168 ss.
(6)Con la precisazione che la vastità delle problematiche sottese ci consigliano di limitare l’analisi della sentenza all’inquadramento generale dell’istituto.
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