Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza

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Il reato di ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, negli anni recenti, è assurto agli onori della cronaca in virtù del rilevante ruolo da esso giocato, sotto il profilo delle ipotesi accusatorie, nell’ambito delle vicende giudiziarie che hanno riguardato da vicino alcuni attori ed ex attori del panorama bancario nazionale.

    Indice

  1. Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza
  2. Soggetti attivi
  3. Struttura, natura del reato e bene protetto
  4. Collegamento con l’art. 170 bis TUF e contiguità con i reati di false comunicazioni sociali e impedito controllo
  5. Nelle aule di Tribunale

1. Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza

Il reato di ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza si concretizza, a norma dell’art. 2638 c.c., allorquando: (i) nelle comunicazioni dirette alle predette autorità, previste in base alla legge, al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza, si “espongono fatti materiali non rispondenti al vero (…) sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza” ovvero, allo stesso fine, si “occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti” sempre relativi alla situazione economica, patrimoniale e finanziaria del vigilato, che avrebbero dovuto essere comunicati; (ii) consapevolmente si ostacolano le funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza “in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità”.

2. Soggetti attivi

L’art. 2638 c.c. elenca puntualmente i soggetti attivi cui può essere imputato il reato di ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. Essi sono “gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti”.

Siamo in presenza, dunque, di un reato proprio che può essere cioè perpetrato soltanto dai soggetti qualificati menzionati dall’art. 2638 c.c..

Tuttavia, è utile sottolineare che il catalogo dei soggetti cui potenzialmente è addebitabile il reato in questione va ben aldilà della ristretta cerchia di “apicali” richiamata dal prefato articolo del Codice civile, giacché, da un lato, esso può essere perpetrato anche dagli “altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza” e, dall’altro, in via ancora più generale, ai sensi dell’art. 2639 c.c., va considerata l’estensione delle qualifiche soggettive previste dall’art. 2638 c.c. ai soggetti che, sebbene non investiti formalmente della qualifica o della titolarità della funzione, sono tenuti “a svolgere la stessa funzione diversamente qualificata” oppure esercitano “in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.

3. Struttura, natura del reato e bene protetto

La struttura dell’art. 2638 c.c. è complessa e sostanzialmente incentrata sulla previsione di due distinte fattispecie di reato, l’una, quella di cui al primo comma, chiama in causa la falsa esposizione di fatti materiali incidenti sulla corretta rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria del soggetto vigilato o, in alternativa, il fraudolento occultamento dei predetti fatti, quando per essi sussiste un obbligo di comunicazione, l’altra, quella di cui al secondo comma, viene ad esistenza quando la condotta consapevolmente posta in essere si concretizza, in qualsiasi forma, nell’effettivo ostacolo alle funzioni di vigilanza.

Da quanto detto, come peraltro ribadito dalla S.C. (Cass. pen., 22 febbraio 2016, n. 6884), discende che il delitto previsto al primo comma dell’art. 2638 c.c. è un reato di mera condotta, nel senso che per integrarlo è sufficiente la falsa rappresentazione alle autorità di vigilanza di fatti materiali rilevanti o il fraudolento occultamento di informazioni dovute, mentre quello di cui al secondo comma dell’articolo citato è un delitto di evento che risulta perpetrato quando l’ostacolo alle funzioni di vigilanza si verifica effettivamente, quale conseguenza di una condotta consapevolmente ad esso diretta, in qualunque modo posta in essere, anche, se del caso, mediante la mera omessa comunicazione di informazioni dovute.

In altri termini, mentre nell’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 2638 c.c. il delitto si perfeziona al verificarsi dei presupposti ivi previsti, indipendentemente dalla concretizzazione effettiva dell’ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza, la fattispecie di cui al secondo comma è invece causalmente orientata e, dunque, in questo caso l’ostacolo va consapevolmente cagionato e realizzato.

Ne consegue che tra le due fattispecie di reato è configurabile il concorso formale ex art. 81, comma 1, c.p..

Quanto poi al bene protetto dalla norma giuridica in esame, non vi è dubbio che esso risieda nella esigenza di assicurare tutela all’obbligo di trasparenza esterna che incombe sui soggetti vigilati e all’interesse generale al buon funzionamento del mercato, cui proprio l’esercizio delle funzioni di controllo spettanti alle autorità pubbliche di vigilanza tende a conferire piena effettività.

4. Collegamento con l’art. 170 bis TUF e contiguità con i reati di impedito controllo e false comunicazioni sociali

Anche l’art. 170 bis TUF si occupa del reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza, ma con una portata circoscritta alle funzioni di controllo attribuite alla Banca d’Italia e alla Consob e “fuori dei casi previsti dall’art. 2638 del codice civile”.

Dal tenore letterale della norma in questione si evince che il reato in questione: (i) può essere commesso da “chiunque” e, dunque, non necessariamente da soggetti “qualificati”, (ii) è un reato di evento a dolo generico.

Esso, pertanto, ha una struttura analoga a quella prevista dal secondo comma dell’art. 2638 c.c., con una differenza fondamentale in quanto l’art. 170 bis TUF consente di coprire le ipotesi di reato ascrivibili a titolo di dolo eventuale, che, invece, sono escluse dalla fattispecie delittuosa di cui al secondo comma dell’art. 2638 c.c., la quale persegue specificamente i delitti di ostacolo alle funzioni di vigilanza posti in essere “consapevolmente”.

Esiste, poi, una certa contiguità tra il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza e i reati di impedito controllo (art. 2625 c.c.) e di false comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.).

Nel primo caso la “parentela” è per così dire di tipo finalistico, atteso che sia l’art. 2638 c.c. che l’art. 2625 c.c. puniscono le condotte atte ad impedire o ostacolare le attività di controllo attribuite per legge, rispettivamente, alle autorità pubbliche di vigilanza e “ai soci o ad altri organi sociali”. Cosicché, in una certa misura, il reato di impedito controllo costituisce la versione “privatistica” e attenuata del reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza.

L’art. 2625 c.c., infatti, prevede due distinte ipotesi di illecito, l’una di tipo amministrativo, l’altra di tipo penale, rispettivamente al primo e al secondo comma.

La prima ipotesi si riferisce al mero illecito amministrativo che gli amministratori compiono quando “occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci o ad altri organi sociali”.

La seconda ipotesi, invece, integra gli estremi del reato (peraltro procedibile a querela della persona offesa) nel caso in cui dalla condotta di impedimento o ostacolo derivi un danno ai soci.

Per quel che concerne la fattispecie di reato di cui all’art. 2621 c.c., essa ha innanzitutto natura di reato proprio come per il delitto previsto dall’art. 2638 c.c..

Ciò detto, il maggior punto di contatto ravvisabile tra le due norme è costituito dalle caratteristiche e dalla natura delle condotte considerate.

In entrambi i casi è centrale, infatti, la distorta rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società/soggetto vigilato attuata mediante la comunicazione di fatti materiali non rispondenti al vero, “al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza” (art. 2638 c.c., comma 1) oppure “al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto” (art. 2621c.c.).

5. Nelle aule di Tribunale

Il reato di ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza è uno di quei reati che andrebbero maneggiati con estrema cura, perché intorno ad esso, strutturalmente, volteggia lo spettro della semplificazione probatoria.

Non solo quando si ha a che fare con l’ipotesi delittuosa di cui al primo comma dell’art. 2638 c.c., nell’ambito della quale il peso della condotta materiale posta in essere finisce, talvolta, per essere assorbente rispetto al doveroso accertamento del dolo, ma anche quando, per certi versi meno problematicamente, ai sensi del secondo comma dell’art. 2638 c.c., occorre semplicemente perimetrare l’ostacolo alle funzioni di vigilanza effettivamente realizzato.

Non sempre, infatti, nella prassi dei Tribunali, appare rigorosamente dimostrato che l’agente ha operato con lo specifico fine di “ostacolare le funzioni di vigilanza”, così come, del pari, non sempre appaiono compiutamente delineate la natura e la dimensione dell’ostacolo che si presume effettivamente frapposto all’esercizio delle funzioni di vigilanza.

In altri termini, pur a fronte di un’acclarata fattispecie di falsità, il fine specifico che il primo comma dell’art. 2638 c.c. richiede andrà sempre verificato e accertato oltre ogni ragionevole dubbio, perché, in astratto e in concreto, quella condotta di falsità potrebbe pur sempre essere riconducibile, anche consapevolmente, ad un diverso illecito voluto dall’agente e ciò non è irrilevante, in quanto la volontà, sotto il profilo penale, deve coprire non solo la condotta, ma anche le sue conseguenze.

Allo stesso modo, non è sufficiente la mera dimostrazione della sussistenza dell’ostacolo alle funzioni di vigilanza effettivamente causato, ma ancora, oltre ogni ragionevole dubbio, dovrà essere dimostrato che quell’ostacolo era rilevante e non facilmente superabile attraverso l’esercizio delle ordinarie funzioni ispettive delle autorità di vigilanza.

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Dott. Carmine Di Palo

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