Ordinamento mondiale e valutazioni dimensionali dello sviluppo sostenibile

Perna Colette 29/12/05
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La gravit? e la globalit? di problemi ambientali, economici e sociali, giustifica interventi da parte delle potenze politiche internazionali e l?esigenza di una sensibilizzazione generalizzata verso queste tematiche. Si tratta di aspetti globali la cui salvaguardia e regolazione d?uso superano i confini nazionali e creano la necessit? di accordi internazionali. Da Stoccolma, 1972, ad oggi si sono moltiplicate le conferenze internazionali su grandi temi: popolazione, alimentazione, ambiente, clima, sviluppo; i programmi internazionali di ricerca sullo stato del nostro pianeta, le convenzioni internazionali e i trattati multilaterali; gli impegni; i piani d?azione; le politiche sull?ambiente; i ministeri e le agenzie nazionali preposte. Un?organizzazione internazionale ? un?associazione tra Stati costituita mediante un trattato, dotata di uno statuto e di organi interni preposti a gestire cooperazioni e perseguire scopi comuni. Affinch? un?organizzazione internazionale esista ? necessario che vi sia uno scopo comune. La volont? di estendere la cooperazione internazionale porta a creare organi, permanenti e non, attraverso i quali favorire i contatti tra Paesi. Partendo da queste affermazioni, ? possibile riconoscere i caratteri di un organismo quale quello delle Nazioni Unite (ONU). L?ONU vede il suo precedente storico nella Societ? delle Nazioni (S.d.N.), si pone intenti atti a sviluppare la cooperazione tra le Nazioni, garantendo loro la pace e la sicurezza. L?ONU, con la Carta Atlantica del 1941, non vuole proporsi in sostituzione della S.d.N., ma nel corso del secondo conflitto mondiale si afferma la necessit? di creare un?organizzazione internazionale che possa presentare un sistema di sicurezza in grado di scoraggiare le aggressioni e promuovere la collaborazione a livello economico e sociale, come enunciato al par.8 della Carta Atlantica. ? cos? che la conferenza di Dumbarton Oaks (Washington) porta all?elaborazione della Carta dell?ONU, alla presenza di 50 Stati, entrata in vigore il 24/10/1945. L?art.1 della Carta delle Nazioni Unite ci permette di comprendere le finalit? dell?organizzazione dell?ONU ovvero: promuovere la pace e la sicurezza internazionale,? prevenendo e rimuovendo minacce alla stessa, in conformit? ai principi della giustizia e del diritto internazionale; sviluppare relazioni amichevoli tra le nazioni, rispettose del principio di eguaglianza dei diritti e dell?autodecisione dei popoli; favorire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale o umanitario; rispettare i diritti dell?uomo senza distinzione di sesso, lingua, razza o religione; ed infine garantire il conseguimento di tali finalit?. In occasione del 50? anniversario dell?ONU sono stati poi riaffermati i principali obiettivi perseguiti in tema di: struttura delle Nazioni Unite, pace, uguaglianza, giustizia e sviluppo. Quella della cooperazione economica e dello sviluppo ? un?azione che consiste soprattutto nella predisposizione di una serie di regole, precedute da studi1 approfonditi, per disciplinare i rapporti tra gli Stati. Queste regole sono contenute sia in solenni dichiarazioni di principi formulate dall?Assemblea generale, sia in raccomandazioni rivolte agli Stati dalla stessa Assemblea generale o dal Consiglio Economico e Sociale2 o dai rispettivi organi sussidiari, sia in progetti di trattati da sottoporre alla ratifica degli Stati membri3. Questo forse un limite dell?agire dell?ONU, dovuto alla mancanza di poteri effettivi verso gli Stati membri, dato che le regole, dal punto di vista della Carta, non hanno forza obbligatoria. Nonostante l?assenza di forza giuridicamente vincolante di questi atti ? necessario riconoscerne il valore e l?utilit?, intrisi negli ideali a cui danno voce, che vengono perseguiti e in grado di trovare corrispondenza nella coscienza dei popoli. Potremmo, a giustificazione di questa idea, far riferimento ad alcune importanti risoluzioni dell?Assemblea generale: la Dichiarazione e il Programma d?azione per l?instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale e la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati del 1974. Questi atti introducono principi di cooperazione e sviluppo che sicuramente identificano una presa di coscienza della situazione reale esistente. Le suddette regole sono state introdotte in un quadro pi? completo in cui hanno trovato collocazione anche la tutela dei diritti umani e dell?ambiente. ? alla luce di tale affermazione che va considerata l?attivit? dell?ONU concretizzatasi con la United Nations Conference on Environment and Development (UNCED) tenutasi a Rio de Janerio, Brasile, 3-14/06/1992. La Conferenza ? un nuovo passo verso la realizzazione degli obiettivi dell?organizzazione internazionale, e porta all?affermazione di principi fondamentali come quelli dello sviluppo sostenibile. 

Fonte:www.esa.int

L?ONU in questo caso ha realizzato una Conferenza, conosciuta anche come Earth Summit, con una delegazione di 178 Paesi, per raggiungere accordi inerenti gli urgenti problemi ambientali e di sviluppo socio-economico. Si ? raggiunta la stesura di documenti quali: la Convenzione quadro sui Cambiamenti Climatici, la Convenzione sulla Diversit? Biologica, la Dichiarazione di Rio, gli accordi sulla preservazione e sullo sviluppo delle aree forestali e Agenda 21 (A21), un programma atto a raggiungere obiettivi di sviluppo sostenibile nel 21?secolo. Come gi? accennato l?ONU pu? formulare raccomandazioni attraverso l?Assemblea generale, il Consiglio Economico e sociale (UN Economic and Social Council -ECOSOC) o organi sussidiari agli stessi. In questo caso l?importanza di passare effettivamente ?dalla teoria alla pratica? ha portato nel Dicembre del 1992 alla istituzione della Commissione sullo sviluppo sostenibile (Commission on Sustainable Development -CSD) per assicurare il seguito dei principi condivisi in sede dell?UNCED dai Paesi membri e diffondere, monitorare l?adempimento agli stessi ai diversi livelli locali, nazionali, regionali ed internazionali. La commissione ? stata quindi istituita quale organo sussidiario del Consiglio economico e sociale4, si tratta di una Commissione funzionale, composta di 53 rappresentanti dei governi. Un rischio, derivante dalla costituzione, da parte dell?Assemblea e del Consiglio, di numerosi organi sussidiari per l?esercizio di determinate funzioni, risiede nell?agire di questi stessi con uno scarso coordinamento, con conseguente dispersione di energie e fondi; problema a cui l?Assemblea ha cercato di porre rimedio, evitando accavallamenti tra le attivit? ed interventi frammentari. Necessario sottolineare a questo punto il ruolo, importante, della CSD in seguito e alla luce dell?UNCED. La Commissione ? stata infatti in grado di stimolare un costante ed elevato livello di interesse da parte dei diversi pubblici coinvolti, si parla di oltre cinquanta ministri e centinaia di organizzazioni non governative attive in concreto nei compiti, nel lavoro della CSD. L?importanza del ruolo della Commissione risiede nella capacit? di dare visibilit? e coordinare attivit? nei termini dello sviluppo sostenibile nei diversi campi, anche attraverso l?organizzazione di conferenze e workshops specifici per determinati settori d?intervento. In questo modo si cerca di promuovere e diffondere in concreto una sensibilit? verso i temi dello sviluppo sostenibile, dando possibilit? di incontro, confronto, collaborazione ai diversi soggetti, che vengono cos? sensibilizzati ed incentivati all?intervento concreto. Si tratta di elaborare linee guida, politiche per promuovere attivit? future, dialogo e costruire partecipazione tra governi, la comunit? internazionale e vari gruppi, i molteplici soggetti in grado di essere coinvolti, divenire attori chiave nel progetto di A21. Facciamo per? un passo indietro e ripercorriamo ora le tappe che portano all?affermazione del concetto di sviluppo sostenibile. Studiosi si rendono conto dell?esistenza di problemi ambientali e socio-economici non indipendenti tra loro, che vanno ad intrecciarsi fortemente ai diversi livelli, internazionale e locale. Quindi, cos? come la crescita demografica ed economica incide sugli equilibri ecologici, cos? l?ambiente ? condizione e causa del verificarsi, o meno, di determinate situazioni di natura economica e culturale. Queste sono le basi sulle quali viene organizzato a Founex, Svizzera, il ?Seminario su ambiente e sviluppo?, che porta gi? nel 1971 i primi economisti con sensibilit? ambientale a parlare di ecosviluppo. Quest?ultimo concetto viene sviluppato da personalit? quali: Ignacy Sachs5, l?economista Barbara Ward6, e lo stesso segretario generale della conferenza di Stoccolma, Maurice Strong7. Il seminario di Founex ? preparatorio della ?Conferenza sull?ambiente umano? che nel giugno del 1972 le Nazioni Unite organizzano a Stoccolma. ? considerata una delle tappe fondamentali del pensiero concernente sviluppo e ambiente globale, e determina la presa di coscienza dei problemi ambientali a livello internazionale. In risposta alla crescente preoccupazione dell?opinione pubblica sul deteriorarsi delle condizioni ambientali e di vita, delegati da 113 nazioni si incontrano e producono un piano d?azione, Action Plan per l?Ambiente Umano, contenente diverse centinaia di raccomandazioni diverse. Queste raccomandazioni riguardano: la valutazione dello stato dell?ambiente (Earthwatch), la gestione dell?ambiente, l?identificazione e il controllo degli inquinanti, l?educazione ambientale e l?avvio di uno sviluppo in armonia con la tutela ambientale8. La Conferenza si chiude inoltre con una Dichiarazione recante 26 principi circa diritti e responsabilit? dell?uomo: principi guida che dovrebbero influenzare l?azione umana e le politiche di sviluppo. Tra i principi affermati vi sono: libert?, eguaglianza e diritto ad adeguate condizioni di vita; protezione delle risorse naturali della terra,? per il beneficio delle generazioni presenti e future, attraverso appropriata pianificazione e gestione; la capacit? della terra di produrre risorse rinnovabili vitali deve essere mantenuta, e ripristinata ove possibile; la conservazione della natura deve avere un ruolo importante durante il processo di pianificazione dello sviluppo economico; gli Stati dovrebbero adottare un approccio integrato e coordinato per raggiungere lo sviluppo in modo da assicurare che lo stesso sia rispettoso dell?ambiente: una pianificazione razionale dovrebbe conciliare conflitti tra i diversi bisogni di sviluppo sociale e l?ambiente naturale; gli insediamenti umani ed i processi di urbanizzazione devono essere pianificati in modo da garantire il massimo dei benefici economici e sociali per tutti, con il minimo di effetti negativi sull?ambiente; politiche demografiche dovrebbero essere adottate ove ci sono tassi di crescita della popolazione eccessivi; occorre incoraggiare lo scambio di dati ed informazioni, e nuove tecnologie vanno? trasferite alle regioni in via di sviluppo9. Uno dei risultati della conferenza ? la formazione dell?UNEP, il Programma dell?Ambiente delle Nazioni Unite, un organismo dell?ONU avente il compito di fungere da catalizzatore per le politiche ambientali, di indirizzare la coscienza mondiale, di coordinare le politiche ambientali delle varie agenzie delle Nazioni Unite e dei vari governi, nonch? le azioni delle comunit? scientifiche ed economiche e delle associazioni ambientaliste. Le Nazioni Unite propongono, tra gli anni?70 e gli anni?80, due inchieste: Common Crisis e Common Security. La prima riguarda i problemi dello sviluppo economico e sociale, con riferimento alle grandi disuguaglianze presenti tra il Nord e il Sud del Mondo. La seconda riguarda i problemi legati agli armamenti e alla sicurezza. A queste tematiche se ne aggiunge una terza, la sicurezza ambientale, infatti le Nazioni Unite organizzano una ?Conferenza mondiale sulla popolazione?, 1974, una ?Conferenza sull?acqua?, 1977, e la prima ?Conferenza mondiale sul clima? nel 1979, ma una svolta ? segnata dalla costituzione e dai lavori della Commissione Brundtland. ? il 1983 quando l?Assemblea delle Nazioni Unite costituisce la commissione indipendente denominata: World Commission on Environment and Development, WCED, presieduta da Gro Harlem Brundtland. Il compito affidatogli ? quello di formulare raccomandazioni per un?agenda globale per il cambiamento, analizzando le cause principali della crisi che accomuna l?ambiente e lo sviluppo e, proponendo linee guida per azioni di? intervento concrete e realistiche. Un altro importante scopo ? la formulazione di una strategia per raggiungere uno sviluppo sostenibile entro il 2000. La commissione lavora quattro anni prima di presentare, nel 1987, all?Assemblea generale dell?Onu, il rapporto denominato ?Our Common Future?, anche detto ?Rapporto Brundtland?. Per gli scopi prefissati la Commissione raccomanda l?adozione dei ventidue principi proposti, attraverso la loro incorporazione in leggi nazionali, in carte che specificano diritti e doveri dei diversi soggetti e dello stato ai diversi livelli, nazionale, internazionale e sovranazionale. Possiamo elencare alcuni dei fondamentali principi che dovrebbero guidare le scelte di gestione di un paese: il revival della crescita economica; il miglioramento della qualit? della crescita, assicurando scelte giuste ed equilibrate dal punto di vista sociale ed ambientale, e venendo incontro alle esigenze di occupazione, cibo, energia, acqua, sanit? ed igiene pubblica; la conservazione e il miglioramento dello stock di risorse naturali; la stabilizzazione dei livelli di occupazione; il riorientamento della tecnologia e una migliore gestione del rischio; l?integrazione di obiettivi riguardanti l?ambiente e l?economia nei processi di decisione; la ristrutturazione delle relazioni economiche internazionali; il rafforzamento della cooperazione internazionale10. ? proprio con la Commissione Brundtland che nasce il concetto di sviluppo sostenibile, sostenendo che ?il futuro di noi tutti, uomini che abitiamo il pianeta Terra, nasce, dipende da uno sviluppo economico di tipo nuovo: da uno sviluppo sostenibile?11. Significa proporre una nuova politica mondiale, consapevoli che, sebbene fino ad oggi l?economia pu? aver generato guasti ecologici, non si pu? pensare di adottare un blocco della crescita economica per salvare l?ambiente. ? invece necessaria l?adozione di strategie e scelte di sviluppo dell?economia affinch? questa possa eliminare la povert? e introdurre criteri di equit? nella distribuzione della ricchezza. Equit? e abolizione della povert? sono due aspetti enunciati nel rapporto in cui si ritiene che ?un mondo in cui la povert? sia endemica sar? sempre esposto a catastrofi ecologiche e d?altro genere?11, bisogna perseguire la soddisfazione dei bisogni di tutti gli uomini. ?Una siffatta equit? dovrebbe ?inoltre- essere coadiuvata sia da sistemi politici che assicurino l?effettiva partecipazione dei cittadini al processo decisionale, sia da una maggior democrazia a livello delle scelte internazionali?11.? Significa fondare le proprie decisioni su principi di democrazia che portino all?adozione di stili di vita in sintonia con i mezzi ecologici del pianeta, sia nei paesi ricchi che poveri. Lo sviluppo sostenibile ? un processo di cambiamento. Un mutamento che coinvolge il piano degli investimenti, le tecnologie, l?uso delle risorse, le istituzioni, alla luce delle esigenze delle generazioni attuali e future. Inevitabilmente si impongono dei limiti ?non assoluti, bens? imposti dall?attuale stato della tecnologia e dell?organizzazione sociale alle risorse economiche e dalla capacit? della biosfera di assorbire l?impatto delle attivit? umane?11, si tratta di un processo che si deve rendere capace di creare interazioni sistemiche tra i diversi e molteplici elementi considerati e che pu? fondarsi esclusivamente sulla volont? politica. ? proprio questo lo spirito con cui le Nazioni Unite organizzano nel 1992 l?Earth Summit, ovvero la Conferenza mondiale sull?ambiente e lo sviluppo12, svoltasi dal 3 al 14/06/1992 a Rio de Janeiro con la partecipazione di centottantatre paesi. ? proprio il lavoro preparatorio, Our Common Future, a far scaturire la conferenza voluta dall?ONU. A Rio de Janeiro si cerca di integrare le questioni economiche, sociali ed ambientali in una visione intersettoriale e internazionale, definendo strategie ed azioni per lo sviluppo sostenibile. ? quest?ultimo il concetto fatto proprio dai diversi paesi per porlo alla base di una politica comune, e soprattutto che promette d?essere concreta, per l?ambiente e lo sviluppo socio-economico, attraverso una serie di strumenti legali e di impegni morali. Lo sviluppo sostenibile sembra divenire idea istituzionale e riferimento obbligato di tutte le formule politiche da adottare: ?il principio organizzativo per la societ? di ogni parte del mondo?13. Il Summit di Rio porta all?adozione di impegni multilaterali: convenzione sul clima: atta a determinare la stabilizzazione nell?emissione dei gas provocanti l?effetto serra; convenzione sulla diversit? biologica: con l?obiettivo di favorire un accesso equilibrato alle risorse biologiche degli ecosistemi, l?assistenza ai paesi in via di sviluppo e il trasferimento delle biotecnologie; approvazione del documento Agenda 21: definita l?agenda del ventunesimo secolo per lo sviluppo sostenibile; la Dichiarazione di Rio: documento contenente alcuni principi, giuridicamente non vincolanti, a cui le strategie, le politiche, l?operato di un paese dovrebbe ispirarsi per la gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile delle foreste; Dichiarazione di principi inerenti le foreste, per la necessaria tutela di questi ecosistemi, troppo spesso minacciati; GEF: il Global Environmental Facility ? il fondo per la protezione dell?ambiente, creato nel 1990 dalla Banca Mondiale, con il mandato di finanziare interventi in quattro aree prioritarie: riduzione emissioni di gas causa dell?effetto serra, protezione della biodiversit?, protezione delle acque internazionali dall?inquinamento, protezione dello strato di ozono. A Rio il GEF diviene il principale organismo di finanziamento dei programmi multilaterali per lo sviluppo sostenibile, potenziandolo e finanziandolo opportunamente. Dieci anni dopo Rio i potenti della Terra si riuniscono nuovamente a Johannesbourg, in Sud Africa, al World Summit on Sustainable Development (WSSD), il Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile, tenutosi dal 26 agosto al 4 settembre 2002. Il Summit vuole definire la reale volont? e possibilit? dei potenti di adottare un cambiamento determinante nella politica e nell?economia internazionale e nazionale. A Johannesburg si cerca di fare il punto della situazione per poter avviare una svolta a favore di uno sviluppo globale realmente sostenibile. Effettivamente i risultati auspicati con l?Earth Summit del 1992 sembrano essere stati delusi se facciamo riferimento al rapporto sullo stato del pianeta del Worldwatch Institute di Washington che dimostra le difficolt? che si sono presentate nel passare dall?aspetto teorico delle convenzioni alla loro applicabilit?. Per fare alcuni esempi: le emissioni globali di carbonio sono cresciute del 9%, malgrado la Convenzione sul clima e la Convenzione sulla biodiversit? resta lettera morta; i livelli di povert? sembrano restare immutati nonostante un decennio di crescita economica senza precedenti14. Applicare le documentazioni elaborate significa adottare piani d?intervento nazionali e accordi internazionali. Il concetto di sostenibilit? legato allo sviluppo se da un lato non pu? che trovare consenso nell?opinione pubblica, dall?altro la sua applicazione appare ostica; molti sono gli interessi sociali, ma soprattutto economici e politici che vengono coinvolti, pu? risultare estremamente difficile abbandonare pilastri solidi dell?economia e della cultura, soprattutto occidentale, come: non preferire il presente al futuro, non perseguire profitti immediati nell?ottica del lungo periodo.

Nel 1957, con il trattato di Roma, istitutivo della Comunit? Europea si enuncia nel Preambolo che la Comunit? ha il compito di assicurare ?il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione dei cittadini europei? e di garantire, come ai sensi dell?art.2, ?uno sviluppo armonioso delle attivit? economiche, consentendo un globale miglioramento del tenore di vita?. Manca quindi un esplicito riferimento a problematiche ambientali o a quelli che saranno i criteri della sostenibilit? da porsi alle basi delle politiche economiche, sociali ed ecologiche da attuarsi in Europa. ? comunque possibile leggervi una volont? nel perseguire una condizione generale di benessere per il popolo europeo. L?atto di nascita della politica comunitaria dell?ambiente pu? essere fatta risalire al Vertice di Parigi della CEE del 1972, l?anno della gi? ricordata Conferenza internazionale dell?ONU sull?ambiente umano tenutasi a Stoccolma. Nella sede nella capitale francese i Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri mettono in luce il problema concernente la salvaguardia dell?ambiente e il miglioramento della qualit? della vita, invitando le istituzioni a fissare un programma di azione ambientale. Durante il Vertice si preoccupano di delineare lo scenario in cui dovrebbe operare il Primo Programma di azione della comunit?. Quest?ultimo ? adottato nel novembre del 1973, ve ne sono poi altri tre con cadenza quadriennale, il quinto, denominato ?Per uno sviluppo sostenibile?, ? stato il primo a coprire un arco temporale pi? esteso, poi parzialmente riformulato nel 1998. Infine ricordiamo il sesto Programma d?azione ambientale adottato da Parlamento e Consiglio Europei, a conclusione di un iter durato un anno e mezzo, denominato ?Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta?, dettando obiettivi e priorit? per il decennio in corso. Si riscontra il tentativo di sensibilizzare gli individui e le scelte strategiche di gestione che derivano dalle politiche da attuarsi, che portano nel maggio del 1990 durante la Conferenza ministeriale di Bergen, tenuta dalla Commissione economica per l?Europa, a parlare della volont? ed utilit? di incrementare, potenziare, l?attivit? sullo stato dell?ambiente. Sulla scia dei cambiamenti in atto, nel giugno dello stesso anno, dobbiamo ricordare la Dichiarazione del Consiglio Europeo fatta a Dublino, secondo cui ? indispensabile e doveroso: ? promuovere uno sviluppo sostenibile nel rispetto delle ricchezze naturali comuni?. Inoltre nella stessa occasione nasce l?idea di organizzare periodicamente conferenze ministeriali europee in cui affrontare questioni ambientali. Fondamentale il trattato sull?Unione Europea, firmato a Maastricht il 7/02/1992, che pone tra gli obiettivi prioritari la promozione e la crescita sostenibile e rispettosa dell?ambiente (art.2), specificando gli obiettivi e i principi guida di detta politica, nonch? i fattori essenziali per predisporla. La politica nel settore ambientale diviene cos? attivit? dell?Unione Europea (art.3k). Fino al 1992 sono adottati gi? i quattro programmi d?azione della Comunit?, prima ricordati. Questi portano evidenti passi avanti positivi, nonostante si tratti di un approccio curativo pi? che preventivo. Con ci? si intende che essi mirano alla soluzione di problemi esistenti e con provvedimenti, quasi esclusivamente, legislativi e quindi dall?alto verso il basso. Si denota quindi una scarsit? nella gamma di strumenti a disposizione, per un approccio che dovrebbe inoltre garantire un?interazione tra tutti gli attori economici, politici e sociali, quindi dal basso verso l?alto, o comunque permettere un dialogo efficace e di qualit? tra le molteplici parti direttamente ed indirettamente coinvolte. L?Earth Summit del 1992 porta la Comunit? e gli Stati membri, in sede di Consiglio Europeo riunito a Lisbona il 27/06/1992, ad impegnarsi alla rapida applicazione delle principali misure concordate nell?ambito dell?UNCED sullo sviluppo sostenibile, assicurando l?adozione delle proposte come da Agenda21 e A21 locale. Nel 1993, con lo scopo di assicurare la continuit? dello sviluppo economico e sociale senza compromettere l?ambiente e le risorse naturali, la cui qualit? condiziona la continuit? delle attivit? umane e il loro sviluppo futuro, ? introdotto il ?quinto programma d?azione in materia di ambiente?, della Comunit? Europea, per uno sviluppo, appunto, durevole e sostenibile (GUCE C 138, 17/05/1993). Questo quinto programma politico ? un approccio pi? globale rispetto ai precedenti, infatti lo si pu? ritenere preventivo oltre che curativo, ed inoltre basato su un concetto fondamentale, cio? un?azione comune e condivisa oltre che comandata dall?alto e controllata nel suo adempiervi. Per la prima volta l?attenzione ? posta sugli operatori e sulle attivit? che distruggono le risorse naturali, gli ecosistemi, senza aspettare che si crei un problema da risolvere, ma, cercando di prevenirlo; come anche sopra accennato si tratta dell?approccio preventivo. Quest?ultimo si pone come prerogative: l?inizio di un cambiamento delle tendenze e delle pratiche nocive per l?ambiente, in modo da garantire il benessere e l?espansione sociale ed economica alle generazioni attuali e future; l?introduzione di un cambiamento nei modelli di comportamento della societ?, ottimizzando la partecipazione di tutti i settori sociali in uno spirito di corresponsabilit? che si estende all?amministrazione pubblica, alle imprese pubbliche e private e alla collettivit?: cittadini, consumatori. Vengono quindi ampliati gli strumenti a disposizione per l’attuazione del programma stesso. Ora ? possibile contare su strumenti legislativi, di mercato, orizzontali di supporto, e sostegno finanziario15. Tutti i principi a cui il programma si ispira: sviluppo sostenibile, azione preventiva e precauzionale, corresponsabilit?; sono contenuti nel trattato di Maastricht, in modo da costituire anche un punto di partenza per l?applicazione delle proposte enunciate durante la Conferenza UNCED, d?aiuto per la Comunit? e gli Stati membri. L?innovazione sta nell?integrare le politiche ambientali con le regole di mercato, attraverso il calcolo delle esternalit? ambientali sia nella formulazione dei prezzi sia nei processi economici; incrementando gli strumenti a disposizione volti alla ricerca, all?innovazione, necessari per il sostegno finanziario, la diffusione delle informazioni, una reale e volontaria cooperazione tra pubblica amministrazione e i soggetti privati. Chiaramente ? necessaria una collaborazione consapevole da parte dei diversi livelli: politici, professionali, pubblici e privati, della collettivit? tutta; e questo operato deve coinvolgere i molteplici settori: industriale, energetico, dei trasporti, agricolo, dei servizi in genere. ? indispensabile rendersi conto del carattere trasversale del concetto di sostenibilit?, e dell?esigenza di renderlo trasversale rispetto ai diversi ambiti, contesti, soggetti, a loro volta direttamente ed indirettamente in interazione tra loro, affinch? sia possibile raggiungere uno sviluppo sostenibile, concreto, durevole, globale. Il Quinto Piano Europeo di Azione Ambientale, la Conferenza di Rio e i documenti elaborati durante la stessa, portano ad una sempre maggior esigenza e volont? di integrare le politiche per lo sviluppo sostenibile gi? adottate. ? quello che succede col Consiglio Europeo di Cardiff e di Vienna del 1998 e in quello dell?anno successivo tenutosi ad Helsinki. Nel 2000 i Vertici del Consiglio Europei, tenutisi a Lisbona e Nizza, gettano le basi per una strategia socio-economica globale e, con il Consiglio Europeo di Stoccolma nel 2001, si ribadisce l?assoluta parit? delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: Ambiente, Economia, Societ?. ?comunque?con il Consiglio Europeo di Goteborg che, nel 2001, prende avvio la Strategia europea per lo sviluppo sostenibile, secondo la quale gli effetti economici, sociali ed ambientali di tutte le politiche devono costituire parte integrante del processo decisionale.? Questi?principi sono confermati e ribaditi nel vertice del Consiglio Europeo di Barcellona nel 2002, ove viene affermata l?importanza del?VI? Piano d?Azione Ambientale Europeo in materia di ambiente, in quanto strumento essenziale per lo sviluppo sostenibile nella prospettiva di Johannesburg. Il VI? Piano d?Azione Ambientale Europeo 2002/2010 ?Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta? definisce, come gi? accennato, la politica ambientale comunitaria fino al 2010, legandola a quattro campi di azioni prioritari: cambiamenti climatici, natura e biodiversit?, ambiente, salute, qualit? della vita, uso sostenibile delle risorse, e, sostenendo la promozione di Agenda 21 locale, l?intervento sul sistema dei trasporti, l?adozione degli indicatori ambientali urbani. Uno degli elementi emergenti riguardo la dimensione urbana, che assume dopo Johannesburg un rilievo ancora maggiore e diviene parte integrante della strategia di sostenibilit? dell?Unione e degli obiettivi fissati nei vertici di Lisbona, Goteborg e Barcellona sopracitati. Laddove Johannesburg sancisce la necessit? di passare dall?Agenda all?Azione, ovvero dalla individuazione di problemi, metodi e strategie alla effettiva realizzazione di interventi sul campo non solo in termini ambientali in senso stretto, ma in termini pi? complessi di concertazione, partecipazione, condivisione: appare evidente?come la sperimentazione di Agenda 21 ? reale occasione per lanciare programmi di rinnovo e riqualificazione urbana e territoriale. In Italia, prima dell?UNCED, non si riscontra l?esistenza di piani d?intervento a favore dell?ambiente e, nell?ottica pi? generale, dello sviluppo sostenibile. Vi sono in ogni caso gli impegni assunti dal nostro Paese a livello internazionale e in quanto stato membro dell?attuale Unione Europea. Vi sono anche le norme di diritto interno nel campo della tutela delle acque, dell?aria, del suolo, per le aree protette, per le procedure di pianificazione di settore e tutte le norme necessarie per assicurare il rispetto delle risorse e una buona qualit? della vita. Vengono introdotti anche strumenti economici e fiscali, come per esempio le ecotariffe, in modo che le conoscenze in materia d?ambiente, tecnologia e salute possano portare alla determinazione di valori limite circa le emissioni e le immissioni. Si creano quindi forme di incentivazione nell?acquisizione di certe azioni e comportamenti, che dovrebbero estendersi e divenire la logica portante di ogni scelta. Le stesse aziende stanno assumendo la componente ambientale tra i fattori determinanti la competizione di mercato, adottando i vari strumenti: ecoaudit, ecolabel, ecobilancio ed altri ancora. Naturalmente non ? sufficiente un?operazione solo di facciata, d?immagine, affinch? si possa e debba parlare di sviluppo sostenibile ? necessario adottare un approccio organico, coerente, coordinato, avere una visione globale, rispetto degli ecosistemi e delle capacit? di carico, avere considerazione dei principi della contabilit? e dell?economia ambientale, scegliere la sinergia tra le decisioni operate. La stessa delibera del 28/12/1993 s.o. GU 26 febbraio 1994, n. 47, evidenzia come l?aver adottato piani per l?ambiente da parte di alcuni paesi li possa agevolare nella predisposizione delle misure di attuazione di A21. In Italia non si possono che ricordare alcuni documenti di rilievo generale: l?edizione della ?Relazione sullo stato dell?ambiente del 1989, riguardo alla quale va ricordata la ?Nota aggiuntiva? del Ministro dell?Ambiente; l?edizione della ?Relazione sullo stato dell?ambiente del 1992; il Programma triennale di tutela ambientale (PTTA), cio? il programma dell?azione pubblica a favore dell?ambiente, che va approvato dal CIPE, ed ? approvato il 30/06 di ciascun anno. Ricordiamo quindi il PTTA del 1989-91 (L.305/89) e il PTTA 1994-96 (Delib. CIPE 21/12/93, GU.? N. 58 dell’11/3/94) attualmente in vigore. Esso indica le aree programmate ed i settori di intervento con indicazione di obiettivi e priorit?, l?individuazione e la ripartizione delle risorse disponibili, la metodologia per attuare ed attivare i singoli interventi, le procedure di spesa, le procedure di verifica e controllo sull?attuazione del programma e sui risultati conseguiti rispetto agli obiettivi prefissati. Il Programma, identificati i settori e le aree programmate di intervento, si articola ai livelli nazionale e regionale. I programmi regionali sono strumenti con i quali si attua la programmazione nazionale attraverso la realizzazione di azioni regionali; il Piano nazionale di ricerca scientifica e tecnologica per l?ambiente, promosso nel 1989 dal Ministro dell’universit? e ricerca scientifica e tecnologica e dal Ministro dell?ambiente, in cui, individuate le criticit? ambientali, sono descritti per ciascuna di esse i problemi, le priorit? e le necessit? di ricerca16. La svolta in Italia si ha con l?approvazione da parte del CIPE, nella seduta del 28/12/1993, del Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile in attuazione dell?Agenda21, pubblicato su GU n.47, del 26/02/1994. Alla Conferenza di Rio dobbiamo soprattutto l?elaborazione di A21 che pone un piano d?intervento di piena adattabilit? alle diverse realt? territoriali.

?Perseguire lo sviluppo sostenibile significa ricercare un miglioramento della qualit? della vita pur rimanendo nei limiti della recettivit? ambientale. Sviluppo sostenibile non vuol dire bloccare la crescita economica, anche perch? persino in alcune aree del nostro paese, l’ambiente stesso ? una vittima della povert? e della spirale di degrado da essa provocata. Un ?piano di azione per lo sviluppo sostenibile non deve solo promuovere la conservazione delle risorse, ma anche sollecitare attivit? produttive compatibili con gli usi futuri. Ne deriva che l?applicazione del concetto di sviluppo sostenibile ? da un lato dinamica, ovvero legata alle conoscenze e all?effettivo stato dell?ambiente e degli ecosistemi, dall?altro consiglia un approccio cautelativo riguardo alle situazioni e alle azioni che possono compromettere gli equilibri ambientali, attivando un processo continuo di correzione degli errori. Sviluppo sostenibile ? in conclusione un nuovo modo di considerare ci? che ciascuno fa e il modo nel quale viene fatto?. Questo ? un concetto riportato nel Piano, proviamo a trarne un significato: innanzitutto riteniamo rilevante il doppio significato alla base della sostenibilit?, si intende infatti garantire una conservazione, ma che non significhi stasi o addirittura inviluppo. Bisogna favorire il naturale evolversi di dinamiche economiche, culturali, sociali, garantire una crescita, ma sempre nell?ottica del miglioramento delle condizioni di vita e della qualit? della vita per tutti, oggi e nel futuro, nel rispetto dell?ambiente e della cultura di un luogo, di un popolo. ? utile quindi conoscere la realt? verso la quale ci si rapporta, confronta, affinch? si possano operare delle scelte giuste, o quantomeno giustificabili, perch? si possano attuare pianificazioni a favore di un territorio, senza che il peso di eventuali effetti negativi ne provochino il collasso. Le strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile dovrebbero essere elaborate attraverso la pi? ampia partecipazione possibile: dal cittadino, anche in qualit? di consumatore, ai gruppi di opinione e ai mezzi di informazione, alle imprese, agli enti locali, ai vari soggetti, pubblici e privati, che ai diversi livelli interagiscono col territorio. ? richiesta inoltre una valutazione delle diverse situazioni e delle eventuali iniziative in esecuzione, garantendo continue valutazioni dei risultati ottenuti e delle operazioni in esecuzione, con immediata, eventuale, correzione degli errori in corso, come la stessa A21 afferma. Il Piano nazionale seleziona quindi, sulla base di A21 e del Quinto Piano d?Azione CE, gli obbiettivi e le azioni congruenti rispetto alla realt? territoriale del nostro Paese, alle sue caratteristiche economiche e sociali, e ai settori chiave i cui interventi e le cui politiche dovranno essere armonizzate, integrate. Lo stato del Paese rende utile l?adozione di decisioni in modo da favorire anche l?introduzione di innovazioni tecnologiche per rispondere a livelli competitivi globali, tra imprese che in parte hanno gi? introdotto le preoccupazioni ambientali e i principi della sostenibilit? nella programmazione ambientale. Anche in questo caso bisogna abbandonare l?asse ?comando-controllo?, l?idea dei soli interventi a valle di controllo e correzione, l?esclusiva attuazione di politiche di immagine poco sorrette da concrete ed efficaci intenzioni. Inoltre vi ? la volont? di riorientare il sistema fiscale italiano, introducendo strumenti economici e fiscali per lo sviluppo sostenibile, in chiave di sostenibilit? dei processi industriali, dei consumi e dei comportamenti, a parit? di gettito stabilito e di oneri complessivi per le imprese. Come gi? ribadito pi? volte gli obbiettivi dello sviluppo sostenibile possono essere raggiunti solo se si riesce a creare un?interazione tra i diversi settori produttivi, sensibilizzando verso le nuove politiche della sostenibilit? i settori pi? tradizionali, come industria, agricoltura, turismo, e le infrastrutture di base, per esempio energia e trasporti. Occorre per? che i soggetti pubblici e privati mutino alcuni loro consolidati stili di vita, alcune abitudini, un esempio focale ? dato dalla questione rifiuti. Questi si presentano come un problema terminale dei processi di produzione e consumo, tanto da assumere dimensioni paradossali nelle economie pi? sviluppate e soprattutto insostenibili. ? impensabile un elenco finito di interventi e di contesti sui quali operare, si ? cercato comunque di individuare realt? a maggior impatto ambientale e dove non ? poi cos? accentuato l?impegno nazionale per poi gradualmente riuscire a raggiungere lo sperato coinvolgimento dei molteplici settori in un?ottica sistemica. Utile quindi poter partire con un piano che indica la situazione italiana e con le indicazioni di A21 circa responsabilit? e obbiettivi, ai quali si va ad aggiungere il documento preliminare del Ministero degli affari esteri sugli impegni assunti e da assumere circa la cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile, ma ? proprio alla luce del concetto di natura dinamica insita in ogni realt? sistemica che non si pu? pensare di restare con inerzia legati a queste pianificazioni, a dei progetti. Per la natura vitale del sistema ambientale e dei rapporti che, nello spazio e nel tempo, si stabiliscono tra componenti, fattori e processi naturali e antropici, anche le priorit? individuate non possono costituire un riferimento statico, bens? un complesso problema aperto, che necessita di continui aggiornamenti, revisioni e talvolta, inversioni di tendenza. Questa breve panoramica della natura e della tipologia degli interventi ai diversi livelli di governo ? sembrata interessante per dimostrare quanto sia fondamentale, per il? raggiungimento di obbiettivi, nel lungo periodo, di sviluppo sostenibile, poi nello specifico del settore turistico, avere un quadro di riferimento globale coerente e soprattutto gradi significativi di cooperazione e integrazione. Vedremo, tra breve, le difficolt? e il valore delle strategie nazionali per la sostenibilit? e il decentramento come chiave per stimolare, sostenere, incentivare il ruolo locale, nell?ottica appunto dello sviluppo sostenibile del turismo. Le definizioni fino ad ora date di sviluppo sostenibile e dei concetti teorici che ne sono alla base permettono di evidenziare una complessit? insita nella sua stessa nozione in cui possono essere incorporate tre dimensioni fondamentali, che dovrebbero coesistere: la dimensione economica, la dimensione ambientale, la dimensione sociale. Il Rapporto Brundtland, come punto di partenza, sottolinea la logica di lungo periodo soprattutto legata all?uso efficiente delle risorse. Non manca l?attenzione rivolta all?etica dello sviluppo sostenibile, nell?emergere dei principi di equit?, anche nella prospettiva intergenerazionale; inevitabilmente si affronta un altro criterio fondamentale nello sviluppo e si tratta della sostenibilit? ecologica, ovvero in grado di garantire un progresso non dannoso per il sistema coinvolto. Si parte quindi da una definizione data nel 1987 e si acquisisce la consapevolezza dell?esistenza di vincoli, legami, riferimenti tra il sistema economico, quello sociale e quello ambientale, imponendo un necessario approccio sistemico. Ci? significa coinvolgere diversi soggetti, con obiettivi e interessi talvolta contrastanti, nel tentativo di creare cooperazione. Bisogna comunque partire dall?idea di dover fare delle scelte, per l?impossibilit? di massimizzare contemporaneamente le tre dimensioni, decisioni che non possono essere semplicemente imposte dall?alto, ma che rivelino un processo partecipato; ci? porta a riconoscere la natura locale dello sviluppo sostenibile, il suo carattere endogeno17. I tre contesti implicano la necessit? di ricercare un compromesso tra istanze, valori, obiettivi molteplici, eterogenei e anche conflittuali. Abbiamo gi? accennato alla inevitabile rinuncia del tentativo di massimizzare contemporaneamente le tre dimensioni; promuovere lo sviluppo sostenibile significa invece ricercare l?equilibrio tra le tre diverse componenti. Un equilibrio che non ? statico bens? dinamico, perch? sottoposto ai cambiamenti che caratterizzano gli altrettanto vitali contesti, con modifiche, trasformazioni innescate anche dai molteplici soggetti, pubblici, sociali, privati, che vi intervengono. C?? quindi il rinvio ad un processo di equilibrio dinamico da riformulare e ricostruire continuamente, con sforzo, sotto le pressioni appunto del cambiamento e della pluralit? delle varie componenti. Considerare la dimensione ambientale dello sviluppo sostenibile permette di non trascurare il rischio che le attivit? umane possano compromettere i processi dinamici di auto-organizzazione di un sistema bio-ecologico, per garantire la continua adattabilit? al cambiamento nel tempo del sistema. Per auto-organizzazione si pu? intendere la capacit? di resistenza innanzi alle perturbazioni esterne, la capacit? di recuperare la sua struttura organizzativa, anche in presenza di forze esterne che le modificano18, a meno che il sistema non sia investito da tensioni esterne tali da raggiungere livelli critici o di soglia che determinano una nuova capacit? auto-organizzativa. La sostenibilit? ambientale cerca di garantire la salvaguardia di ci? che permette alla vita di conservarsi e perpetuarsi nel tempo, attraverso un controllo delle attivit? antropiche sul capitale bio-ecologico, minacciato dalla utilizzazione ad un tasso superiore rispetto alla capacit? di rinnovo/rigenerazione. Ancora una volta si ripropone la stessa idea alla base della definizione Brundtland secondo cui la conservazione del sistema naturale ? necessaria per assicurarne l?accesso anche alle generazioni future. L?etica ambientale riconosce inoltre i diritti dei soggetti marginali, la cui sopravvivenza ? spesso strettamente legata al patrimonio di risorse naturali. ? necessario un continuo adattamento dinamico e co-evolutivo tra sistemi bio-ecologici e dinamiche sociali ed economiche, per non superare la capacit? di carico delle risorse. Questo come vedremo richiede uno sforzo collettivo ai diversi livelli di governo, e non solo, e trasversale rispetto alla molteplicit? di interessi coinvolti. Accanto alla necessit? di conservare la diversit? biologica si afferma l?altrettanto importante preservazione della diversit? culturale. Questo infatti permetterebbe di contribuire alla stabilit? e alla resilienza del sistema, attraverso comportamenti sociali meno conflittuali, pi? solidali e cooperativi19. Con quest?ultima affermazione si intende la necessit? della sopravvivenza di pluralismi culturali, affinch? esista dialogo, collaborazione, co-evoluzione. La cultura, che in questo caso vogliamo intendere come insieme di significati, simboli, valori, idee, regole, storia, ? in grado di modellare il contesto nel quale si colloca e di esserne a sua volta condizionata. L?assenza di omologazione porta comportamenti differenti che si possono tradurre in una riduzione nell?uso di una stessa risorsa, evitando il sovrautilizzo della medesima e l?inevitabile conflitto tra i soggetti interessati. Sostenibilit? sociale significa per? anche l?esistenza di una coscienza collettiva in modo che non si manifestino esclusivamente comportamenti individualistici e opportunistici. Quelli che sembra necessario ridurre sono gli atteggiamenti in cui prevalgono valori individualistici, per essere capaci di trascendere i propri interessi in un quadro pi? generale. Non si tratta di privare i singoli di obiettivi o limitarne l?azione, quanto piuttosto affiancare alla libert? individuale i diritti collettivi. Con questa prospettiva non si crea frattura fra individuo e comunit?, tra scelta individuale e scelta collettiva, tra razionalit? individuale e razionalit? sociale. Ancora una volta non possiamo fare a meno di evidenziare la stretta connessione esistente tra gli individui e il contesto ambientale, economico, sociale in cui essi vivono. Abbiamo parlato di connessioni che originano scambi, evoluzioni, ma affinch? ci? generi comportamenti ed effetti improntati al concetto di sviluppo sostenibile occorre creare coesione sociale, senso di appartenenza, riconoscimento di identit? comune, di reciproca interdipendenza, di condivisione di certe regole organizzative fondamentali. Occorre promuovere valori cooperativi, valori comunitari e civili, affinch? si riduca il livello di conflitto tra le componenti sistemiche. La cultura ? la forza su cui far leva per sperare e concretizzare lo sviluppo sostenibile, ma tutto dipende dalla capacit? di comprendere l?esigenza di cooperazione, reciprocit?, responsabilit?, dalla capacit? di sviluppare coordinamento e collaborazione, acquisire coscienza reale della realt? sistemica di cui si ? oggetti e attori. Spesso il solo concetto di sviluppo applicato all?attivit? economica pu? comportare un?evoluzione solo apparente, nel senso che si persegue la massima efficienza a partire da certi input, grazie soprattutto all?introduzione di nuove tecnologie. Possono per? generarsi altri effetti come per esempio l?espulsione di lavoro in seguito alla robotizzazione, compromettendo in questo caso il capitale sociale, oppure un uso irrazionale delle risorse che va a compromettere il capitale naturale. Sono molteplici le situazioni enunciabili in cui non si pu? parlare di sviluppo sostenibile e la conservazione del capitale allargato a quello manufatto, naturale, umano e sociale appare come l?elemento chiave per garantire la sostenibilit?20. La necessit? ? quella di assicurare la conservazione dei capitali, evitandone il degrado.

Un?economia sostenibile rispetta i limiti della capacit? produttiva degli ecosistemi dai quale dipende. Negli ultimi cinquat?anni l?economia globale ? per? cresciuta di sette volte, in un paese dopo l?altro, e ha forzato la richiesta imposta agli ecosistemi locali oltre le capacit? produttive sostenibili21. ? necessario introdurre una valutazione delle diverse forme di capitale, capaci di dedurre un valore monetario anche in assenza di mercato; ? utile calcolare e incorporare negli indicatori di mercato il valore dei servizi. Nonostante le evidenti difficolt? di un tale calcolo ogni stima ragionevole apparir? pi? efficace che assumere che i costi siano zero. Creare un?economia sostenibile non sar? facile perch? richiede un cambiamento di sistema, perch? coinvolge la cultura che si ? affermata dalla Rivoluzione Industriale, forse anche prima, ad oggi, intesa come criteri, metodi, comportamenti di consumo e di produzione, come logiche di mercato che muovono le decisioni. Un?economia sostenibile influenza la vita di tutti i giorni e le pianificazioni di lungo periodo, gli studi; significa ricercare metodi razionali di produzione, ricercare fonti d?energia alternativa. Significa comprendere i legami tra economia, ambiente, societ?; connessioni molteplici che creano situazioni complesse di non facile soluzione, ma ? necessario che tale consapevolezza diventi oggetto di attenzione ai diversi piani affinch? possa attuarsi oltre che teorizzarsi lo sviluppo sostenibile. ? sembrato importante accennare brevemente alle dimensioni dello sviluppo sostenibile per sottolineare ancora una volta le molteplici sfaccettature che interessano, condizionano e sono influenzate dallo sviluppo sostenibile. Questo credo abbia permesso di evidenziare la variet? di temi e di soggetti che devono essere coinvolti da pianificazioni, politiche di e per lo sviluppo sostenibile.

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1 Artt.13 e 62, par.1, della Carta delle Nazioni Unite.

2 Artt.10, 13 e 62 della Carta.

3 Art.62, par.3, della Carta.

4 Art.68 della Carta.

5 Sachs fonda il Cired (Centro internazionale di ricerca sull?ambiente e lo sviluppo presso l?Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales) e la Maison des Sciences de l?Homme a Parigi.

6 Ward fonda l?International Institute for Environment and Development (IIED) di Londra.

7 Strong ? stato segretario generale delle conferenze di Stoccolma e di Rio.

8 A cura di C.Flavin, H.French, G.Gardner, ?State of the World?02?, Edizione Ambiente, Milano, 2002.

9 www.solidea.org

10www.solidea.org

11World Commission on Environment and Development, ?Our Commmon Future?, Oxford University Press, 1987. Edizione italiana: ?Il futuro di noi tutti?, Rapporto della Commisione Mondiale per l?ambiente e lo sviluppo, Bompiani, 1988.

12 UNCED: United Nations Conference on Environment and Development.

13 Kofi Annan, Prefazione a Worldwatch Institute, ?State of the World?02?, Edizione Ambiente, 2002.

14 Christofer Flavin, Introduzione a Worldwatch Institute, ?State of the World?02?, Edizione Ambiente, 2002.

15 www.solidea.org

16 www.solidea.org

17 Luigi Fusco Girard, Peter Nijkamp, ?Le valutazioni per lo sviluppo sostenibile della citt? e del territorio?, Franco Angeli, Milano, 1997.

18 Passet, 1979,1996.

19 Luigi Fusco Girard, Peter Nijkamp, ?Le valutazioni per lo sviluppo sostenibile della citt? e del territorio?, Franco Angeli, Milano, 1997.

20 Luigi Fusco Girard, Peter Nijkamp, ?Le valutazioni per lo sviluppo sostenibile della citt? e del territorio?, Franco Angeli, Milano, 1997.

21 Lester R. Brown, ?Eco-economy: Bulding an Economy for the Earth?, Editori Riuniti, Roma, 2002.

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Perna Colette

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