Nuove aperture delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di jus variandi (Commento a Cassazione Sezioni Unite 24 novembre 2006 N^ 25033)

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La vicenda dello jus variandi è caratterizzata da un’alternanza di rigidità e flessibilità.
Come noto, il codice civile prevedeva che < ..se non è convenuto diversamente ,l’imprenditore può,in relazione alle esigenze dell’impresa,adibire il prestatore di lavoro ad una mansione diversa> e ciò a due condizioni :a) che ciò non importi una diminuzione della retribuzione e b) che ciò non importi un mutamento sostanziale nella posizione del lavoratore.Pertanto nella vigenza della normativa anteriore allo Statuto dei lavoratori la modificazione in pejus delle mansioni era consentita , vuoi in caso di accordo del datore di lavoro e del lavoratore vuoi in caso di modificazione unilaterale da parte del datore di lavoro , purchè fossero rispettate le due condizioni sopra indicate.
L’art. 13 della legge 20 maggio 1970 n.300 sostituiva alla regolamentazione permissiva preesistente una nuova regolamentazione introducendo delle limitazioni al potere del datore di lavoro nell’impiego del lavoratore.Tale norma introduceva il <divieto> anche temporaneo di adibire il lavoratore a mansioni inferiori , disponendo che <il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione>.Per l’interprete il problema si spostava quindi sul punto specifico dell’individuazione delle “ mansioni equivalenti”.
Gli orientamenti giurisprudenziali formatisi dopo l’entrata in vigore di tale normativa subivano una evoluzione nel senso di passare da una interpretazione per così dire statica, che considera solo la professionalità acquisita, ad una interpretazione più dinamica,che prende in considerazione anche lo sviluppo ulteriore della professionalità del lavoratore tutelata dalla norma in oggetto:
a)       il primo orientamento, che abbiamo definito statico , affinchè le nuove mansioni potessero essere considerate <equivalenti> alle precedenti, richiedeva che le stesse :
·         <oltre ad    essere   equivalenti   sotto   l’aspetto dell’inquadramento   qualificativo,   devono consentire   anche   la utilizzazione del corredo di nozioni, di esperienza e perizia acquisito nella pregressa fase del rapporto>.
 Cassazione civile, sez. lav., 9 gennaio 1981 n. 191, Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 1. Riv. giur. lav. 1981, II,51. Giust. civ. 1981, I,707 (nota). Mass. giur. lav. 1981, 319. Ovvero considerava :
·         <dovendosi, peraltro, il rapporto di equivalenza valutare in guisa tale   da   assicurare   salvaguardia   al   bene   giuridico   della professionalita’, protetto dall’art. 2103 c.c., nel testo modificato dall’art. 13 della legge n. 300 del 1970, ed inteso come coacervo di cognizioni tecniche   e abilita’   operativa. >  Cassazione civile, sez. lav., 16 marzo 1984 n. 1833,  Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 3-4.
 
b)       il secondo orientamento,che abbiamo definito dinamico, e che comincia ad affermarsi a metà degli anni ’80, a sua volta enunciava:
·         < premesso che mansioni equivalenti, ai sensi dell’art. 2103 (nuovo testo) c.c., sono quelle che non comportano una diversa collocazione del lavoratore nella gerarchia dell’impresa e che, senza incidere sulla categoria o sulla qualifica del medesimo, gli garantiscono lo svolgimento e l’accrescimento delle proprie capacita’ professionali, l’accertamento in ordine alla sussistenza o meno del requisito dell’equivalenza (che e’ concetto diverso da quello della identita’) dev’essere   bensi’   effettuato   alla   stregua   della   posizione professionale raggiunta dal dipendente, ma  tenendo conto non solo del complesso di nozioni, esperienza e perizia che egli abbia gia’ acquisito in concreto ma anche del corredo di nozioni, esperienza e perizia che il lavoratore medesimo sia, potenzialmente, in grado di acquisire > Cassazione civile, sez. lav., 9 luglio 1984 n. 3990, Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 7 ( Vedi anche Cassazione civile, sez. lav., 15 giugno 1983 n. 4106, Giust. civ. 1984, I,233 (nota), Cassazione civile, sez. lav., 7 luglio 1997, n. 6124 Giust. civ. Mass. 1997,1154,Cassazione civile,sez.lav.,8 febbraio 1985 n.1038,Giust.civ.Mass. 1985 fasc.2,Cassazione civile,sez.lav.,7 luglio 1997,n.6124,Giust.civ.Mass.1997,1154 ;particolarmente significativo vedi Tribunale Napoli 19 settembre 1986, Foro it. 1986, I,2905)
·         e da ultimo <la equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti – che legittima lo “jus variandi” del datore di lavoro, a norma della disciplina legale in materia (art. 2103 cod. civ., come sostituito dall’art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300) – deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività ma anche come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o, addirittura, l’arricchimento del patrimonio professionale dal lavoratore acquisito> Cassazione civile , sez. lav. 12 aprile 2005 n. 7453 in Banca dati del Repertorio di giurisprudenza del lavoro ,Il Sole 24 Ore ( Vedi anche Cassazione civile, sez.lav.., 11 dicembre 2003 n.18984,Cassazione civile,sez.lav, 15 febbraio 2003 n.2328 entrambe in Banca dati cit.)
Come noto, anche gli accordi sindacali che derogassero alla normativa dell’art.2103 c.c. ( come modificato dallo Statuto dei lavoratori) andavano incontro alla sanzione della nullità.
Le ristrutturazioni degli anni ’80 hanno successivamente indotto sia il legislatore che la giurisprudenza ad allentare la rigidità del sistema introdotto dallo Statuto dei lavoratori. Attraverso un diverso bilanciamento degli interessi in gioco,da un lato il declassamento del lavoratore ed il vulnus alla sua professionalità e dall’altro lato la perdita del posto di lavoro, il legislatore ha consentito deroghe, stabilendo all’art.4,comma 11, legge 23 luglio 1991 n.223, che<gli accordi sindacali stipulati nel corso delle procedure…[ di mobilità]…possono stabilire ,anche in deroga al c.2° dell’art.2103 del codice civile,la …. assegnazione[ dei lavoratori eccedenti] a mansioni diverse da quelle svolte>.
Ma da prima ancora erano state sancite deroghe legislative per particolari categorie di lavoratori (lavoratori invalidi, anche psichici-art.20 legge n.482 del 1968-oggi abrogato – vedi , invece , art.4, comma 4, legge n.68 del 1999 e art. 19 legge n.104 del 1992- lavoratrice in stato di gravidanza –art.3 legge n.1204 del 1971- lavoratori esposti ad agenti chimici,fisici e biologici- art.8 del d.lgs.n.277 del 1991).
Ma anche la giurisprudenza si muoveva nella stessa direzione consentendo , a seguito di accordo, modifiche in pejus delle mansioni al fine di evitare il licenziamento del lavoratore ( sia per ragioni attinenti all’impresa sia per motivi di salute) ,spingendosi fino a ritenere legittimo il mutamento di mansioni o il trasferimento a richiesta del singolo lavoratore( Casszione civile,sez.lav. 24 ottobre 1991 n.11297 in Dir.prat.lav. 1991,50,3337 ;Cassazione civile,sez.lav. 20 maggio 1993 n.5695 in Dir.prat.lav,1993,32,2153;Cass.S.U. 7agosto 1998 n.7755 in Mass.giur.lav.,1998,876.).
Con la sentenza che si commenta le Sezioni Unite della Corte di Cassazione allargano ancora di più le maglie strette della modifica in peggio delle mansioni, introducendo due nuove ipotesi di natura contrattualcollettiva.
La fattispecie riguarda una dipendente delle Poste italiane che lamentava l’incompatibilità con il precetto di cui all’art.2103 del codice civile degli artt. 43 e 46 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 per i dipendenti delle Poste Italiane, recante Ia clausola di fungibilità di mansioni equivalenti, e dell’accordo del 23 maggio 1995; denunciava poi anche l’accordo territoriale del 20 marzo 1998 sull’alternanza di mansioni equivalenti. Ad avviso della ricorrente la clausola di fungibilità delle mansioni, prevista dalla menzionata contrattazione collettiva, sarebbe invalida stante il carattere assolutamente inderogabile del precetto posto dal primo comma dell’art. 2103 c.c.. In nessun caso- argomentava la ricorrente- sarebbe consentito alla contrattazione collettiva prevedere la mobilità tra mansioni che esprimano una professionalità diversa da quella ormai acquisita dal Iavoratore, ancorché rientranti nella medesima qualifica e segnatamente, nella specie, nell’Area operativa.
Le Sezioni Unite sviluppano il loro ragionamento ripercorrendo le complesse problematiche implicate nella questione.
(a) E’ possibile- secondo la Corte- che il contratto collettivo accorpi nella stessa qualifica mansioni diverse che esprimono distinte professionalità . L’art. 96, comma 2, disp. att. c.c. – che opera sullo stesso piano di quello dell’art. 2103 c.c. – contempla espressamente la possibilità che le qualifiche del prestatore di lavoro, nell’ambito di ciascuna categoria legale, possano essere raggruppate per « gradi » secondo l’importanza nell’ ordinamento dell’impresa. L’equivalenza contrattuale sta a significare , esclusivamente, che la disciplina collettiva che fa riferimento alla qualifica si applica di norma a tutte tali mansioni così accorpate, ancorché espressione di diverse professionalità.
(b) Quindi la Corte chiarisce la portata dell’art.2103 c.c. . Essa – prendendo in esame innanzi tutto il primo comma dell’art. 2103 c.c., sostituito dall’art. 13 legge 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori), ……- precisa che si tratta di una speciale norma di protezione del lavoratore per preservarlo dai “danni a quel complesso di capacità e di attitudini che viene definito con il termine professionalità, con conseguente compromissione delle aspettative di miglioramenti all’interno o all’esterno dell’azienda” (C. cost. 6 aprile 2004 n. 113); compromissione costituita appunto
dal demansionamento . Ricorda quindi la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art.2751 bis n.1 c.c. che verrebbe a dimostrare la valenza costituzionale del bene protetto dalla norma in questione. E conclude :< in sintesi, il baricentro della disposizione in esame (art. 2103 c.c.), nella formulazione introdotta dallo Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970, cit.), è la protezione della professionalità acquisita dal prestatore di lavoro>.Non si discosta, peraltro , nell’individuare la nozione del bene protetto dai consolidati orientamenti affermati nella numerosa giurisprudenza della Corte medesima.
Ribaditi tali concetti, in definitiva, le Sezioni Unite, premesso e ribadito il principio di diritto per cui la contrattazione collettiva deve muoversi all’interno, e quindi nel rispetto, della prescrizione posta dal primo comma dell’art. 2103 c.c. che fa divieto di un’indiscriminata fungibilità di mansioni che esprimano in concreto una diversa professionalità, pur confluendo nella medesima declaratoria contrattuale concludono che   la stessa < è però autorizzata a porre meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale prevedendo, con apposita clausola, la fungibilità funzionale tra esse [mansioni] per sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica senza per questo incorrere nella sanzione di nullità del secondo comma della medesima disposizione>.
Tra i primi commenti significativi alla sentenza in oggetto segnaliamo: M.Papaleoni Jus variandi e clausole contrattuali di fungibilità funzionale in Guida al lavoro n.1/2007, che vede “un’indicazione di significativa anticipazione del trend ispiratore della odierna decisione…nella …decisione di Cass. 2 maggio 2006 n.10091”.
 
 
 
 
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CORTE DI CASSAZIONE- SEZIONI UNITE CIVILI
24 novembre 2006 N^ 25033
 
Articolo 2103 c.c. -Mutamento di mansioni- Clausole di fungibilità indiscriminata delle mansioni contenute in accordi o contratti collettivi- Incompatibilità con il precetto posto dal primo comma dell’art.2103 c.c.-Conseguente comminazione della sanzione di nullità   -Clausole di fungibilità ammesse
La contrattazione collettiva — se da una parte deve muoversi all’interno, e quindi nel rispetto, della prescrizione posta dal primo comma dell’art. 2103 c.c. che fa divieto di un’indiscriminata fungibilità di mansioni che esprimano in concreto una diversa professionalità, pur confluendo nella medesima declaratoria contrattuale e quindi pur essendo riconducibili alla matrice comune che connota la qualifica secondo la declaratoria contrattuale – è però autorizzata a porre meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale prevedendo, con apposita clausola, la fungibilità funzionale tra esse per sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica senza per questo incorrere nella sanzione di nullità del secondo comma della medesima disposizione.
 
 
Accorpamento di più mansioni nella stessa qualifica- Significato-Articolo 2103 c.c. -Mutamento di mansioni- Clausole di fungibilità indiscriminata delle mansioni contenute in accordi o contratti collettivi- Incompatibilità con il precetto posto dal primo comma dell’art.2103 c.c.-Conseguente comminazione della sanzione di nullità   -Clausole di fungibilità ammesse
E’ da considerarsi legittima la circostanza che il contratto collettivo accorpi nella stessa qualifica mansioni diverse che esprimono distinte professionalità, assumendosi che la equivalenza contrattuale sta solo a significare che la disciplina collettiva che fa riferimento a quella qualifica si applica di norma a tutte le mansioni accorpate, ma ciò non implica necessariamente anche che insorga un rapporto di equivalenza tra tutte le mansioni rientranti nella qualifica medesima eppertanto non sono ammesse clausole di fungibilità indiscriminata tra le stesse mansioni che vengono a porsi in contrasto con l’articolo 2103 c.c. primo comma. Sono , di contro, ammesse clausole collettive di fungibilità che per contingenti esigenze aziendali consentano al datore di lavoro l’esercizio dello jus variandi indirizzando il lavoratore verso altre mansioni contrattualmente equivalenti , in ipotesi anche di diverso livello ,o che preveda e disciplini meccanismi di scambio o di avvicendamento o di rotazione dei lavoratori in diverse mansioni contenute nella stessa qualifica, ma che esprimono in concreto una professionalità non equivalente, al fine di permettere la progressione professionale della collettività dei lavoratori inquadrati in quella stessa qualifica.

Avv. Viceconte Massimo

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