Neurotecnologie, prospettive biogiuridiche e neurodiritti – parte 1

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Questo articolo è la prima delle due parti di un approfondimento biogiuridico che si pone l’obiettivo di proporre alcune riflessioni in materia di neurotecnologie e neurodiritti. Dopo aver introdotto il concetto di neurotecnologie, procederemo con una analisi delle questioni bioetiche emergenti collegate alle stesse. Su queste basi, quindi, in un secondo articolo, incardineremo una riflessione e un approfondimento in tema di biodiritto, con particolare riferimento ai neurodiritti, per poi concludere con uno sguardo di prospettiva in chiave normativa e sistematica.

    Indice

  1. Cosa sono i neurodiritti?
  2. Sviluppo tecnico e sfide etico-giuridiche

1. Cosa sono i neurodiritti?

Al fine di affrontare consapevolmente il tema oggetto del presente scritto e poterlo perimetrare compiutamente, occorre in primo luogo chiarire sinteticamente che cosa si intende con il termine neurotecnologie. Come per ogni altra definizione che sarà fornita, non si ha qui la pretesa di voler esaurire il tema ponendo una definizione non passibile di evoluzioni o approfondimenti, data anche la forte e continua evoluzione a cui le stesse neurotecnologie sono poste per loro natura. Tuttavia, non si può prescindere dal porre almeno punti fermi, da utilizzare come riferimenti e base comune su cui sviluppare una oggettiva comprensibilità del testo e, quindi, una sua fruibilità, perché non rimanga fine a sé stesso ma possa contribuire, come piccolo tassello, alla riflessione collettiva sulle neurotecnologie, tema nevralgico per lo sviluppo stesso della nostra società così per come la conosciamo.

Si osservi in primo luogo il fortissimo sviluppo dal punto di vista tecnologico a cui stiamo assistendo, sempre più frenetico e a tratti apparentemente inarrestabile, che è risultato negli ultimi decenni, in particolare modo negli ultimi anni, ancora più veloce. A questo si affianchino le conoscenze sempre maggiori che si hanno sul corpo umano e sul suo funzionamento e, in particolare, di quello del cervello, delle reti neuronali, delle sue funzioni, dei suoi meccanismi. Si giunge, quindi, alle neurotecnologie. Con il termine neurotecnologie[1], ordinariamente, si intende indicare tutti quei dispositivi e quegli sviluppi tecnologici che vanno a registrare, tradurre o modificare il funzionamento e o la struttura del cervello dell’uomo. Si pensi, per esempio, alle tecnologie di neuroimaging, che permettono di ‘mappare’ le strutture del cervello da un punto di vista funzionale e da un punto di vista anatomico[2], ai neurostimolatori[3], che aiutano nell’affrontare anche patologie gravi che colpiscono in profondità, sotto ogni aspetto, la persona, come il Morbo di Parkinson, o, ancora, alle interfacce cervello-computer[4], o BCI, brain-computer interfaces, che riescono a controllare, registrare, decodificare, finanche rimodulare, con una precisione sempre maggiore, gli impulsi neuronali del cervello e, quindi, l’attività cerebrale, attraverso dispositivi biomedici impiantati all’interno del soggetto in esame, posti in connessione diretta con un computer esterno.

Le neurotecnologie, in generale, stanno costituendo strumenti positivi nell’approfondimento dello studio del cervello e nelle sue funzioni. Inoltre, sono sempre di più utilizzate, o quanto meno sperimentate, in chiave neuroriabilitativa e non solo.

In questo breve elaborato, quindi, andremo a porre alcune domande e proporre altrettanti approfondimenti, al fine di alimentare un dibattito che, con urgenza, necessita di attenzioni non sommarie, almeno parzialmente di risposte e, soprattutto, di vive interazioni tra l’ambito medico, la ricerca, il diritto e la politica.

2. Sviluppo tecnico e sfide etico-giuridiche

Alla luce di quanto osservato, è necessario porsi e porre una serie di questioni di carattere bioetico, che possono avere anche riflessi di carattere biogiuridico. Tanti sono gli aspetti coinvolti e diversi i nodi che devono avere una soluzione. La privacy, prima di altri, è forse l’ambito che risulta più sollecitato e coinvolto in questo senso. In particolare, la connessione tra le capacità di elaborazione e quelle funzionali del cervello e la computazione di carattere artificiale, possibile in sede neurotecnologica, pone situazioni non banali da affrontare. Potrebbe essere sempre più facile decodificare la psiche umana, le emozioni, finanche la memoria, partendo dal dato neurologico ed elaborandolo grazie all’IA. Tuttavia, per intraprendere strade di questo tipo, si sostanziano operazioni che possono risultare come altamente pervasive e invasive della sfera intima dell’io. L’uso dell’apprendimento automatico per mezzo di interfacce cervello-computer potrebbero porre dubbi sul concetto stesso di identità personale, se non di persona.

Lo sviluppo tecnico a cui stiamo assistendo in questa direzione impone di osservare a fondo le implicazioni che può avere, anche sulle pratiche e sulle procedure che oggi riteniamo ordinarie. Mentre una volta si riteneva la mente come un regno del tutto privato, non accessibile, con le nuove tecnologie, in termini di tecnicamente possibile, non è e, sempre di più, non sarà così. Oggi, grazie alle tecnologie non invasive di neuroimaging, è diventato possibile, in termini tecnici, in campo commerciale e clinico, registrare le attività del cervello, collegandole ad attività fisiche o cognitive. Con l’EEG e l’fMRI è possibile mappare e leggere l’attività cerebrale, decodificandola almeno parzialmente; è possibile arrivare anche a comprendere le intenzioni e le attitudini dei soggetti interessati. Questo, per esempio, può avere importanti implicazioni e applicazioni in sede penale. Decodificando le attività cerebrali può essere possibile decodificare non solo le azioni fatte, registrando le reazioni a determinati stimoli, ma anche le intenzioni per il futuro: si ritorna in questo modo all’annosa questione del diritto penale predittivo[5] e, inoltre, alla tematica dell’utilizzo di strumenti ‘invasivi’ rispetto alla sfera intima del soggetto. Ancora, laddove si affidi a sistemi di IA il controllo di interfacce cervello-macchina, potrebbe non essere sempre possibile distinguere se l’output comportamentale che ne deriva sia dipeso unicamente dalla volontà dell’utente piuttosto che abbia anche una matrice differente, cioè l’IA stessa[6]. Invero, risulta rilevante il richiamo anche agli sviluppi sempre più significativi delle IA, che poste in relazione e in interazione con le neuroscienze e i dispositivi neurotecnologici, in virtù delle capacità computazionali e di analisi sempre maggiori a disposizione, aprono finestre fino a poco tempo fa inimmaginabili.

Vi è poi la questione del neuropotenziamento. Se “l’uso terapeutico delle neurotecnologie per la cura di malattie neurodegenerative è da promuovere”, per tutelare il diritto fondamentale della salute, sorgono più problematiche intorno al “ricorso a tali tecniche per realizzare un potenziamento cognitivo, al di fuori dell’ambito clinico[7]”. È la sfida etica del potenziamento cognitivo, che passa non più solo dai farmaci neurostimolanti, ma anche dalle nuove neurotecnologie. Un conto, infatti, è parlare del ripristino di situazioni fisiologiche, al fine di fronteggiare o sopperire a mancanze fisiche o cognitive dovute a una dimensione patologica, un altro, invece, è trattare del vero e proprio potenziamento, cioè dell’aumento delle prestazioni fisiche o intellettive di individui sani e in una situazione considerata già fisiologica. Se le neurotecnologie costituiscono sicuramente mezzi utili in sede medico-clinica, infatti, i neurodispositivi possono già oggi avere applicazioni e sviluppi anche in ambito extraclinico, e diverse sono le iniziative, sia pubbliche che private, che finanziano la ricerca sulle neurotecnologie in questa direzione, e le prospettive che si aprono spesso sono molteplici e non aprioristicamente definite. Può risultare ‘semplice’, nella sua complessità, il richiamo all’ambito militare[8], ma anche il superamento del confine, non sempre chiaro, tra l’impiego terapeutico e quello migliorativo, o di potenziamento, con una particolare attenzione per l’ottica bellica, non può che sollecitare la necessità di domande, riflessioni e, forse, anche di risposte.

Ancora, vi è il tema non secondario delle responsabilità, che va a declinarsi in ogni ambito e potenzialmente in maniera unica e specifica rispetto a ogni possibile sviluppo tecnologico. Per esempio, è stato osservato che i soggetti sottoposti a DBS possono subire significativi effetti collaterali circa la personalità. “In certi casi, hanno evidenziato tratti aggressivi o di squilibrio psichico, prima assenti”: di conseguenza, cosa avviene “se un soggetto con DBS tiene un comportamento antisociale, quali provvedimenti è possibile adottare? Lo si dovrà ritenere ‘colpevole’ delle proprie azioni?”[9]. Ancora, nel caso di BCI in cui vi sia anche un flusso di dati e input da parte della macchina, elaborati per mezzo di IA, che portano il soggetto a compiere determinate scelte o determinate azioni, chi deve esserne il responsabile? Il soggetto, il tecnico che ha impiantato il sistema, in caso di problematiche materiali, il programmatore, chi ha commercializzato il dispositivo, il gestore del software, il responsabile informatico che segue la specifica situazione? L’IA stessa, costruendo una sorta di soggetto astratto riconosciuto giuridicamente, con una personalità giuridica, in analogia a quanto accade con le società? Queste, come altre che potrebbero svilupparsi intorno al tema della responsabilità, potrebbero costituire situazioni potenzialmente molto complesse da dipanare, che necessitano della costruzione di un apparato normativo adeguato.

Alla luce di tutto questo, per non cedere passivamente il passo a un pensiero oggi sempre più socialmente diffuso che vede una sovrapposizione tra il tecnicamente possibile, il giuridicamente lecito e l’eticamente corretto, è necessario alimentare il dibattito in questo senso e porsi le giuste domande. In questo senso, le riflessioni giuridiche e bioetiche non possono che avere un ruolo primario. Si pongono, dunque, più problematiche dirimenti, tra le quali una emerge con forza: è legittimo avere accesso o, ancora di più, interferire con l’attività neurale di una persona? È legittimo, invece, rispetto alla propria persona? Se no, perché? Se sì, in che misura e quali sono le procedure per identificare e distinguere quelli che sono gli accessi legittimi da quelli illegittimi?

Da qui discendono aspetti che riguardano la ricerca, la governance delle nuove tecnologie, la protezione dei dati, le responsabilità che si possono dipanare su vari livelli, la giurisdizione e, non ultimo, i diritti umani[10], considerando anche i nuovi diritti che potrebbero emergere rispetto a questo settore, siano essi del tutto nuovi o insiti in diritti già esistenti e, quindi, da considerare come sviluppi di questi ultimi.

La strada da intraprendere potrebbe essere quella non solo di stabilire una linea rispetto al tema dei neurodiritti, di cui parleremo, ma anche di costruire un vero e proprio statuto giuridico e bioetico, “in base a cui coniugare l’innovazione con la dignità della persona[11]”, che vada poi a dare risposte strutturate ai diversi singoli quesiti emersi e che emergeranno.


Bibliografia

  1. Väljamäe, A. Nijholt, C. Jeunet, J. L. Contreras-Vidal, «Brain-Computer Interfaces for Non-clinical (Home, Sports, Art, Entertainment, Education, Well-being) Applications», Frontiers in Computer Science, 4 (2022)
  2. A. Edwards, A. Kouzani, K. H. Lee, E. K. Ross, «Neurostimulation Devices for the Treatment of Neurologic Disorders», Mayo Foundation for Medical Education and Research, 92:9 (2017)
  3. Cit. M. C. Errigo, «Neuroscienze, tecnologia e diritti: problemi nuovi e ipotesi di tutela», dirittifondamentali.it, 3 (2020)
  4. Hildt e A. Francke, Cognitive Enhancement, Springer, Berlino, 2013
  5. Gilbert, M. Cook, T. O’Brien, J. Illes, «Embodiment and Estrangement: Results from a First-in-Human “Intelligent BCI” Trial», Science and Engineering Ethics, 25 (2019)
  6. R. Sinha, V. Bajaj, Artificial Intelligence-Based Brain-Computer Interface, Elsevier Science, 2022
  7. Garante della Privacy, «Neurodiritti: Stanzione, Garante privacy: definire uno statuto giuridico ed etico», Comunicato Stampa, 13 Maggio 2022, https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9770820
  8. Klaming L, P.Haselager, «Did My Brain Implant Make Me Do It? Questions Raised by DBS Regarding Psychological Continuity, Responsibility for Action and Mental Competence», Neuroethics. 6:3 (2013)
  9. Pycroft, S. G. Boccard, S. L. F. Owen, J. F. Stein, J. J. Fitzgerald, A. L. Green, T. Z. Aziz, «Brainjacking: Implant Security Issues in Invasive Neuromodulation», World Neurosurgery, 92 (2016)
  10. Decker, T. Fleischer, «Contacting the brain–aspects of a technology assessment of neural implants», Biotechnology J., 3:12 (2008)
  11. Ienca e P. Haselager, «Hacking the brain: brain–computer interfacing technology and the ethics of neurosecurity.»,Ethics Inf Technol, 18 (2016)
  12. Ienca e R. Andorno, «Towards new human rights in the age of neuroscience and neurotecnology» Life Sciences, Society and Policy, 13:5 (2017)
  13. Ienca, «Neurodiritti, quali nuove tutele per la sfera mentale: tutti i nodi etico-giuridici», www.agendadigitale.eu, 18 Marzo 2021, https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/neurodiritti-quali-nuove-tutele-per-la-sfera-mentale-tutti-i-nodi-etico-giuridici/
  14. Ienca, «Neurotecnologie, governi e big tech al lavoro: evoluzione e sfide etiche», www.agendadigitale.eu, 18 Marzo 2021, https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/neurotecnologie-governi-e-big-tech-al-lavoro-evoluzione-e-sfide-etiche/
  15. Putteeraj, N. Mohamudally, S. A. Hosseini, New Frontiers in Brain, Computer Interfaces, Intechopen, London, 2020
  16. Haselager, «Did i do that? Brain-Computer Interfacing and the Sense of Agency», Minds and Machines, 23 (2013)
  17. Palaniappan e D. P. Mandic. «Biometrics from brain electrical activity: a machine learning approach», IEEE Transactions on Pattern Analysis and Machine Intelligence, 29:4 (2007)
  18. Nabavi, R. Fox, C. Proulx, «Engineering a memory with LTD and LTP.»,Nature, 511 (2014)
  19. R. Deer, S. Jain, C. Hunter, K. Chakravarthy, «Neurostimulation for Intractable Chronic Pain», Brain Sciences. 9(2):23 (2019)
  20. Ciardo, «Tutela dei diritti e prevedibilità delle decisioni: la giustizia predittiva», diritto.it, 22 Aprile 2021, https://www.diritto.it/tutela-dei-diritti-e-prevedibilita-delle-decisioni-la-giustizia-predittiva/
  21. Lugli-A. Brancucci, Tecniche di neuroimaging per la ricerca in neuroscienze, Universitalia, Roma, 2011
  22. Shah, D. Eliashiv, M. Reider-Demer, «Neurostimulation & Epilepsy», Practical neurology, 10 (2019)
  23. Sententia, «Neuroethical Considerations: cognitive liberty and converging Technologies for improving human cognition», Annals of the New York Academy of Sciences, 1013 (1) (2006)

Note

[1] Cf. M. Ienca, «Neurotecnologie, governi e big tech al lavoro: evoluzione e sfide etiche», www.agendadigitale.eu, 18 Marzo 2021.

[2] Si pensi, per esempio, all’elettroencefalogramma, EEG, alla tomografia assiale computerizzata, TAC, alla risonanza magnetica, RM, alla tomografia a emissione di positroni, PET, o alla risonanza magnetica funzionale, fRMI. Per approfondimenti, si veda, tra gli altri, V. Lugli-A. Brancucci, Tecniche di neuroimaging per la ricerca in neuroscienze, Universitalia, Roma, 2011.

[3] I neurostimolatori, conosciuti anche come generatori di impulsi impiantabili, sono dispositivi a batteria che hanno la funzione di stimolare elettricamente il sistema nervoso centrale e periferico – si tratta delle cd. tecniche di DBS, deep brain stimulation. Con queste tecniche è possibile contrastare o anche annullare totalmente i sintomi di diverse patologie croniche, come il Parkinson o l’Epilessia farmacoresistente. Sono strumenti tecnici, che si affiancano agli ordinari trattamenti farmacologici o, a volte, li sostituiscono, ovvero ne costituiscono una alternativa. Esistono diverse tipologie di neurostimolatori, sia in termini di strutture hardware, che di funzione medica. Lo sviluppo di queste tecnologie è in corso e continua a fare importanti passi avanti. Si pensi, per esempio, al Morbo di Parkinson: si tratta di una malattia neurodegenerativa che interesse aree profonde del cervello, come i gangli della base, che sono parte del meccanismo cerebrale che garantisce il corretto coordinamento delle azioni dei muscoli in sede di movimento. Pur non esistendo ancora un trattamento efficace al fine di contrastare direttamente la degenerazione neurologica, vi è la possibilità di intervenire terapeuticamente per andare a contrastarne la sintomatologia. Con i neurostimolatori è possibile bloccare i segnali neuronali che causano i sintomi motori disabilitanti dovuti alla malattia. Ancora, si pensi all’epilessia: a oggi non è ancora chiaro il processo di epilettogenesi, tuttavia è possibile intervenire sulla dimensione sintomatica di questo disordine neurologico, che ha un impatto molto significativo sulla vita quotidiana del paziente, tanto più grave quanto più sono diffuse le crisi epilettiche che lo interessano nello specifico, a seconda che siano parziali, semplici, complesse o generalizzate. Quello che sta venendo sperimentato, è il posizionamento di un elettrodo intorno al nervo vago, collegato a un generatore di impulsi impiantato sotto la cute, che, stimolando in maniera cronica lo stesso, causa un innalzamento della soglia epilettogena, riducendo di conseguenza la possibilità che il soggetto sia interessato da crisi epilettiche. Si tratta di strumenti ancora in fase di importante studio e sperimentazione, anche perché non sono del tutto evidenti e chiare le possibili ricadute negative. Sempre in via esemplificativa, si consideri l’applicazione della neurostimolazione per il trattamento di alcune forme gravi e di dolore cronico, spesso trattate in modo inadeguato con la terapia farmacologica. In questi casi, la neurostimolazione può consentire di ridurre il dosaggio degli analgesici maggiori quali gli oppioidi, talvolta causa di gravi complicanze, e contribuire in modo importante a dare sollievo al paziente. Si tratta, in sintesi, di strumenti che possono rappresentare una nuova frontiera clinica per affrontare al meglio patologie che da decenni affliggono la nostra popolazione in maniera molto incisiva e che possono andare ad affiancarsi ai trattamenti farmacologici o chirurgici, allargando lo spettro delle possibilità a disposizione della scienza medica. Per approfondimenti, si veda, tra gli altri, C. A. Edwards, A. Kouzani, K. H. Lee, E. K. Ross, «Neurostimulation Devices for the Treatment of Neurologic Disorders», Mayo Foundation for Medical Education and Research, 92:9 (2017), 1427-1444, V. Shah, D. Eliashiv, M. Reider-Demer, «Neurostimulation & Epilepsy», Practical neurology, 10 (2019), 68-71 e T. R. Deer, S. Jain, C. Hunter, K. Chakravarthy, «Neurostimulation for Intractable Chronic Pain», Brain Sciences, 9(2):23 (2019), 20.

[4] Le BCI sono tecnologie che traducono in input per il computer gli impulsi elettrici che il cervello trasmette tramite i neuroni. Nonostante sia da decenni che la ricerca stia facendo passi avanti in questo campo, su più fronti, sono diventate un argomento di interesse pubblico nel 2019, quando Elon Musk ha condiviso con il grande pubblico il lavoro che stava e sta portando avanti con una delle sue società, Neuralink. In Italia esistono realtà che portano avanti ricerche molto avanzate in questo senso, si pensi per esempio all’attività di ricerca della Corticale srl. Le BCI permettono di tradurre gli impulsi del cervello in un linguaggio digitale, interpretabile dal computer, e, in seconda battuta, per esempio, di far eseguire il comando racchiuso nello stesso. Questo, in chiave neuroriabilitativa, potrebbe permettere a chi non è più in grado di controllare l’uso delle gambe di muoverle attraverso esoscheletri collegati alle stesse controllati per mezzo della BCI. Ancora, tale tecnologia potrebbe essere utilizzata per tradurre pensieri in parole o per andare a colmare altre disfunzioni patologiche permettendo così ai pazienti di comunicare. De facto, diventa possibile per il soggetto interessato utilizzare le macchine collegate tramite BCI – tecnicamente predisposte in questo senso – modulando la propria attività cerebrale. Tuttavia, si aprono una serie di finestre ulteriori, che andremo più avanti a osservare, come la possibilità di caricare ulteriori comandi e/o informazioni nella macchina, ovvero, potenzialmente, nel cervello stesso. Ancora, si pensi a quando sarà ordinaria la trasmissione di dati via wireless. Si apre alla possibilità di veri e propri hackeraggi e, quindi, sarà necessario dare risposte in questo senso tanto tecnicamente quanto giuridicamente. Per ulteriori approfondimenti tecnici circa le BCI, si veda, tra gli altri, M. Putteeraj, N. Mohamudally, S. A. Hosseini, New Frontiers in Brain, Computer Interfaces, Intechopen, London, 2020 e G. R. Sinha, V. Bajaj, Artificial Intelligence-Based Brain-Computer Interface, Elsevier Science, 2022; per osservare progetti di avanguardia portati avanti in Italia, www.corticale.com; infine, per considerare quelli che sono potenziali sviluppi e utilizzi extraclinici, si veda A. Väljamäe, A. Nijholt, C. Jeunet, J. L. Contreras-Vidal, «Brain-Computer Interfaces for Non-clinical (Home, Sports, Art, Entertainment, Education, Well-being) Applications», Frontiers in Computer Science, 4 (2022).

[5] Si richiama il campo della giustizia predittiva, in questo caso, considerando l’aspetto della profilazione degli individui in sede penale. Questione che trova già un fruttuoso dibattito anche in relazione agli strumenti legati all’IA, che potrebbero sicuramente entrare in sinergia e potenziarsi o potenziare ulteriormente quelli che stanno nascendo e nasceranno grazie alle neurotecnologie. Per una riflessione circa il diritto penale predittivo si veda V. Ciardo, «Tutela dei diritti e prevedibilità delle decisioni: la giustizia predittiva», diritto.it, 22 Aprile 2021. Si rievoca, come prospettiva passata che potrebbe tornare di attualità a causa di questi nuovi strumenti, le teorie del Lombroso, che in base a determinate condizioni anatomiche riteneva di poter prevedere chi potesse essere o meno portato a delinquere.

[6] Si vedano lo studio P. Haselager, «Did i do that? Brain-Computer Interfacing and the Sense of Agency», Minds and Machines, 23 (2020), 405-418, e quanto sperimentato e riportato in F. Gilbert, M. Cook, T. O’Brien, J. Illes, «Embodiment and Estrangement: Results from a First-in-Human “Intelligent BCI” Trial», Science and Engineering Ethics, 25 (2019), 83-96.

[7] Cit. P. Stanzione, Presidente del Garante della Privacy, Comunicato Stampa del Garante della Privacy, «Neurodiritti: Stanzione, Garante privacy: definire uno statuto giuridico ed etico», 13 Maggio 2022.

[8] Si pensi per esempio al DARPA, Defense Advanced Research Projects Angency, degli USA, o agli analoghi programmi di ricerca lanciati da Russia, Cina o Israele.

[9] Cit. M. C. Errigo, «Neuroscienze, tecnologia e diritti: problemi nuovi e ipotesi di tutela»,  dirittifondamentali.it, 3 (2020), 215-245, qui 226.

[10] In questo senso si veda M. Ienca e R. Andorno, «Towards new human rights in the age of neuroscience and neurotecnology», Life Sciences, Society and Policy, 13:5 (2017), 5, i quali affermano: “we argue that the legal system has to be adequatelyprepared to deal with the new challenges that might emerge out of emerging neurotech-nology, in particular in the context of human rights. As neurotechnology advances, it iscritical to assess whether our current human rights framework is conceptually and nor-matively well-equipped to face the novel challenges arising at the brain-computer-societyentanglement, hence to provide simultaneously guidance to researchers and developerswhile providing protection to individuals and groups”.

[11] Cit. Garante della Privacy, «Neurodiritti: Stanzione, Garante privacy: definire uno statuto giuridico ed etico», 2022, Comunicato Stampa. In questo passaggio il Garante, tra l’altro, fa anche un passo in più, suggerendo che “c’è il rischio che tecniche preziose per la cura divengano strumento per fare dell’uomo una non-persona, un individuo da addestrare o classificare, normalizzare o escludere”. Il Garante, quindi, va a porre una netta linea di demarcazione tra l’uso di tipo clinico-terapeutico e quello cd. di potenziamento. Il secondo, viene implicitamente valutato come non umano, perché considerante la persona come un soggetto da addestrare, classificare in base al fatto che vi sia o meno un potenziamento piuttosto che la tipologia di potenziamenti, normalizzare, adeguandolo a un certo standard di potenziamento, o eventualmente escludere, in base all’assenza di determinate capacità, secondo un approccio funzionalista.

Dott. Di Benedetto Matteo

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