La mancata prova del nesso di causalità tra la condotta imputata al sanitario e il danno alla salute lamentato comporta il diniego del risarcimento. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Indice
1. I fatti: il danno alla salute
Una paziente di una struttura sanitaria calabrese conveniva in giudizio l’ospedale locale, imputandogli la responsabilità per la zoppia che alla medesima era residuata a seguito di un infortunio che aveva subito. In particolare, l’attrice sosteneva che, a seguito di un incidente stradale, era stata trasportata al pronto soccorso dell’ospedale convenuto dove, a seguito degli accertamenti cui era sottoposta, veniva ricoverata nel reparto di ortopedia con la diagnosi di frattura del malleolo destro. Durante i 15 giorni di ricovero presso il reparto dell’ortopedia, i sanitari trattavano la frattura della paziente esclusivamente con una doccia gessata, senza sottoporla ad alcun intervento chirurgico. Soltanto al 16º giorno la paziente veniva trasferita in un altro ospedale locale dove veniva sottoposta ad un intervento chirurgico per la ricomposizione della frattura del malleolo.
Secondo la parte attrice, quindi, i sanitari del primo ospedale avevano trattato con ritardo la frattura subita dalla paziente, omettendo di eseguire l’intervento ed invece limitandosi ad applicare una doccia gessata, e conseguentemente alla paziente erano residuate le lesioni lamentate (cioè la zoppia).
In considerazione di ciò, l’attrice chiedeva la condanna della struttura sanitaria convenuta al risarcimento dei danni subiti. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Preliminarmente, il giudice ha ripercorso le disposizioni introdotte dalla legge Gelli-bianco che disciplinano la responsabilità della struttura sanitaria e degli operatori sanitari. In particolare, la struttura sanitaria, sia essa pubblica o privata, nel caso in cui per svolgere la propria prestazione si avvalga di esercenti la professione sanitaria, risponde delle condotte colpose o dolose di dette persone. Ciò anche nel caso in cui detti operatori sanitari non sono dipendenti della struttura e anche nel caso in cui essi siano scelti dal paziente. Inoltre, la responsabilità della struttura sanitaria sussiste anche nel caso in cui le prestazioni della medesima sono svolte da operatori sanitari in regime di libera professione intramuraria oppure in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale. Detta forma di responsabilità e inquadrabile nella categoria contrattuale.
Invece, i medici ed in generale gli esercenti la professione sanitaria rispondono nei confronti del paziente per le loro condotte dolose o colpose che gli abbiano causato un danno ai sensi della norma che disciplina i cosiddetti fatti illeciti. Si tratta, quindi, di una responsabilità extracontrattuale.
Soltanto nel caso in cui l’esercente la professione sanitaria abbia posto in essere la condotta che ha causato il danno paziente per adempiere ad una obbligazione contrattuale che aveva assunto con il paziente, la responsabilità del medico e inquadrabile nella categoria contrattuale.
La distinzione tra le due sopra richiamate forme di responsabilità incide sull’onere della prova gravante sul danneggiato e sul danneggiante.
In particolare, il paziente che lamenta un danno causato dai sanitari di cui la struttura si è avvalsa per eseguire la propria prestazione (trattandosi di responsabilità contrattuale) deve provare la sussistenza del nesso di causalità fra la condotta inadempiente posta in essere dai sanitari e l’evento dannoso subito dal paziente stesso.
Nel caso in cui il paziente abbia assolto dettò onere, grava sulla struttura sanitaria l’onere di provare che l’evento dannoso lamentato dal paziente si è verificato per cause non imputabili alla struttura medesima ed in particolare dovrà individuare e dimostrare la sussistenza di una causa imprevedibile e inevitabile che ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione.
Per quanto riguarda l’evento dannoso che deve essere eziologicamente collegato alla condotta inadempiente dei sanitari, lo stesso è configurabile nella lesione del diritto alla salute del paziente e non invece nell’interesse del paziente medesimo a che la prestazione sanitaria venga eseguita nel rispetto delle leges artis.
In applicazione del suddetto principio, si ritiene che il danneggiato debba provare di aver subito un aggravamento della sua situazione patologica oppure l’insorgenza di nuove patologie e che tale aggravamento o insorgenza sono dipese dalla condotta posta in essere dal sanitario. Più in particolare, il paziente deve dimostrare un rapporto di probabilità scientifica tra l’aggravamento o l’insorgenza di cui sopra e la condotta del sanitario. Pertanto, il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando l’aggravamento della malattia o l’insorgenza di nuove patologie possono ritenersi conseguenza inevitabile della condotta del sanitario, ma anche quando le stesse siano una conseguenza altamente probabile e verosimile di detta condotta.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto che la parte attrice non abbia dimostrato la sussistenza del predetto nesso di causalità fra il danno lamentato e le prestazioni posta in essere dai sanitari della struttura convenuta.
Infatti, la parte attrice ha soltanto dedotto che la patologia deambulatoria di cui attualmente la stessa è afflitta sia stata causata dal ritardo da parte dei sanitari della struttura convenuta nel trattare la frattura al malleolo della paziente mediante l’intervento chirurgico. Tuttavia, parte attrice non è riuscita a fornire una adeguata prova del fatto che, con elevata probabilità, la lamentata lesione sia dipesa dal suddetto ritardo nell’esecuzione dell’intervento chirurgico. Anzi dalla consulenza tecnica che è stata effettuata dai periti nominati dal tribunale è emerso che la decisione dei sanitari predetti di applicare una doccia gessata alla caviglia della paziente e mettere l’arto in scarico e la procedura corretta che, secondo le linee guida, i sanitari avrebbero dovuto eseguire in presenza di un edema imponente che determina sofferenza cutanea. Inoltre, secondo i periti nominati dal tribunale, nel caso di un edema imponente, soltanto dopo che le lesioni cutanee si sono stabilizzate, è possibile sottoporre il paziente ad un trattamento chirurgico.
Ebbene, da quanto emerso dalla documentazione relativa al caso di specie, i periti hanno potuto accertare che la paziente è stata trasferita presso il secondo ospedale dove avrebbe dovuto effettuare intervento chirurgico il giorno successivo a quello in cui le lesioni cutanee si sono stabilizzate e poi l’intervento è stato effettivamente eseguito nei tre giorni successivi.
In considerazione di ciò, i periti hanno ritenuto che l’intervento chirurgico non è stato reso meno efficace dalla tempistica di esecuzione e quindi non è dipesa alcuna conseguenza dannosa alla paziente a causa del fatto che detto intervento sia stato eseguito 16 giorni dopo che la paziente aveva effettuato l’accesso al pronto soccorso dell’ospedale convenuto.
In base alle suddette valutazioni, quindi, il giudice ha concluso che e altamente probabile che le conseguenze dannose residuate in capo alla paziente (cioè le problematiche nella deambulazione) non siano dipendenti dalle prestazioni sanitarie che sono state erogate dalla struttura sanitaria convenuta.
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