Misure di sicurezza inadeguate e consensi “automatici”: il Garante privacy sanziona AIMAG

Quando si parla di protezione dei dati personali, la sicurezza non è un’opzione tecnica né un dettaglio rimandabile a future implementazioni.

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Quando si parla di protezione dei dati personali, la sicurezza non è un’opzione tecnica né un dettaglio rimandabile a future implementazioni. È, al contrario, uno degli assi portanti dell’intero impianto del GDPR. Il recente provvedimento con cui il Garante per la protezione dei dati personali ha sanzionato Aimag S.p.A. per 300.000 euro lo ribadisce con particolare chiarezza, intrecciando due profili classici – e spesso sottovalutati – delle violazioni in materia di data protection: l’inadeguatezza delle misure di sicurezza e l’assenza di una valida base giuridica per i trattamenti di marketing.
Il caso è di quelli che dovrebbero far riflettere, soprattutto perché riguarda un’azienda che opera in settori essenziali – energia, acqua, ambiente, teleriscaldamento – e che, per definizione, gestisce quotidianamente grandi quantità di dati personali di utenti e clienti.
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Indice

1. L’origine del procedimento: un accesso troppo facile ai dati altrui


Il procedimento prende avvio da una segnalazione individuale, nella quale l’interessato lamentava la totale assenza di adeguate misure di sicurezza nella procedura di registrazione all’area riservata del sito della società. Un’area, va ricordato, destinata alla consultazione delle bollette e dello storico dei consumi, dunque contenente informazioni tutt’altro che banali.
L’istruttoria del Garante ha accertato un dato allarmante nella sua semplicità: chiunque, conoscendo il codice fiscale dell’intestatario del servizio e inserendo una qualunque e-mail, poteva registrarsi a suo nome ed accedere all’area riservata. Nessun meccanismo di verifica dell’identità, nessuna procedura di autenticazione robusta, nessun controllo idoneo a impedire accessi abusivi.
Una volta dentro, l’utente “abusivo” poteva visualizzare ulteriori dati personali, tra cui l’indirizzo di abitazione e il numero di telefono dell’intestatario. Dati che, per loro natura, meritano un livello di protezione elevato e che, invece, risultavano esposti a un rischio concreto e sistematico di accesso non autorizzato. In materia, abbiamo pubblicato la seconda edizione del Formulario commentato della privacy, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.

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2. Sicurezza dei dati: l’art. 32 GDPR non è un suggerimento


La violazione accertata si colloca pienamente nell’alveo dell’art. 32 del GDPR, che impone al titolare del trattamento di adottare misure tecniche e organizzative adeguate a garantire un livello di sicurezza proporzionato al rischio.
Il punto centrale, ancora una volta, non è l’assenza di una tecnologia “avanzata”, ma la mancanza di misure minime e ragionevoli. Consentire la creazione di un account sulla base di un dato come il codice fiscale – notoriamente non segreto – senza ulteriori verifiche equivale a ignorare completamente il rischio di accessi illeciti, con conseguenze dirette sulla riservatezza e sull’integrità dei dati.
Il Garante, in linea con la propria giurisprudenza consolidata, ribadisce che la sicurezza non può essere valutata in astratto, ma va calibrata sul contesto, sulle finalità del trattamento e sulla natura dei dati trattati. E nel caso di servizi essenziali, l’asticella non può che essere alta.

3. Il secondo fronte: marketing senza base giuridica e informative carenti


Accanto alle gravi carenze in materia di sicurezza, l’istruttoria ha fatto emergere un ulteriore profilo di illiceità: il trattamento dei dati personali degli utenti per finalità promozionali in assenza di un’idonea base giuridica e senza un’adeguata informativa.
Durante la registrazione all’area riservata, agli utenti venivano sottoposti tre moduli di consenso, tutti preflaggati sul “SÌ”, relativi rispettivamente all’informativa privacy, all’utilizzo dei dati per l’invio di comunicazioni pubblicitarie e al trattamento per finalità di customer satisfaction.
Una prassi che il GDPR ha definitivamente espulso dall’ordinamento: il consenso deve essere una manifestazione di volontà libera, specifica e inequivocabile. Le caselle preselezionate non consentono alcuna scelta reale e trasformano il consenso in un automatismo, svuotandolo del suo significato giuridico.
Ancora più grave è il fatto che il consenso fosse richiesto – e di fatto imposto – in un contesto necessario per accedere a un servizio essenziale, come la consultazione delle proprie bollette. Un’impostazione che mette seriamente in discussione la libertà della scelta dell’interessato.

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4. Informativa e conservazione dei dati: violazioni che si sommano


A completare il quadro, il Garante ha rilevato l’inadeguatezza dell’informativa fornita agli utenti e il mancato rispetto del principio di limitazione della conservazione dei dati personali. Anche sotto questo profilo, il trattamento risultava eccedente e privo di una giustificazione concreta, in violazione dell’art. 5 GDPR.
Il provvedimento evidenzia come le violazioni non fossero episodiche o marginali, ma strutturali e protratte nel tempo, tanto da continuare anche nel corso della fase istruttoria. Un elemento che ha inciso in modo significativo sulla valutazione della gravità complessiva della condotta.

5. La sanzione: proporzionalità, ma anche un segnale chiaro


Alla luce delle numerose violazioni riscontrate, del numero elevato di interessati potenzialmente coinvolti e della persistenza delle criticità, il Garante ha irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria di 300.000 euro.
Una sanzione che non colpisce solo l’assenza di misure di sicurezza, ma l’intero approccio al trattamento dei dati personali: dalla progettazione dei sistemi informativi, alla gestione dei consensi, fino alle finalità di marketing.

6. Considerazioni conclusive: la sicurezza come prerequisito, non come optional


Il caso Aimag dimostra, ancora una volta, che la protezione dei dati personali non può essere affrontata per compartimenti stagni. Sicurezza, basi giuridiche, informativa e conservazione dei dati sono elementi interconnessi, e la carenza anche di uno solo di essi può compromettere la liceità complessiva del trattamento.
Soprattutto nei settori dei servizi essenziali, la fiducia degli utenti si fonda anche – e sempre di più – sulla capacità delle organizzazioni di proteggere i dati che raccolgono. Trascurare questo aspetto non è solo un rischio sanzionatorio, ma un problema di responsabilità giuridica e reputazionale.
Il messaggio del Garante è netto: senza sicurezza non c’è liceità, e senza una base giuridica valida il marketing diventa, semplicemente, un trattamento illecito. E il tempo delle caselle preflaggate, se mai ce ne fosse stato uno, è definitivamente finito.

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Avv. Luisa Di Giacomo

Laureata in giurisprudenza a pieni voti nel 2001, avvocato dal 2005, ho studiato e lavorato nel Principato di Monaco e a New York.
Dal 2012 mi occupo di compliance e protezione dati, nel 2016 ho conseguito il Master come Consulente Privacy e nel 2020 ho conseguito il titolo…Continua a leggere

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