Mass – media e divulgazione medico – scientifica: le malattie rare tra etica ed audience

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Informazione e Salute. Un binomio imprescindibile secondo la Carta Costituzionale. Art. 21 e Art. 32 in un confronto – scontro che necessità di una conciliazione obbligatoria. E’ questo che auspicano medici e giornalisti, i primi ai fini di istaurare un legame chiaro, corretto e consapevole con i propri pazienti, i secondi per non ricadere nella trappola delle responsabilità giuridiche che incombono su di loro. Una libertà di pensiero, che racchiude una libertà di stampa, ex art. 21, che non può prescindere da un diritto alla salute i cui limiti non solo non devono essere travalicati dalla legge, ma nemmeno da un’informazione distorta[1]. Un vincolo indispensabile quello tra le due previsioni normative, che spinge l’apparato legislativo e giudiziario più volte a pronunciarsi, tra un caso di cronaca di malasanità e un’epidemia in corso. E’ un diritto del cittadino essere informato sui problemi che riguardano la salute, ed è un dovere del giornalista trasmettere, far conoscere in modo documentato e con un linguaggio comprensibile, ma allo stesso tempo tecnicamente corretto, tutto ciò che serve a far “guadagnare salute” a coloro che usufruiscono, a vario titolo, dei mezzi d’informazione. Far capire, insomma, significa operare una divulgazione corretta e consapevole. E’ necessario, difatti, che la gente comune, soprattutto, acquisiscano più informazioni possibili per meglio difendersi, per adottare stili di vita equilibrati, per far prevenzione, per meglio agire e, soprattutto, per avere argomenti su cui riflettere concretamente ed in serenità. Il giornalista e l’operatore sanitario hanno un’etica che, pur essendo inglobata in codici diversi, è sorretta, in entrambi i casi, da principi cardine, che camminano sullo stesso binario e che inseguono la stessa lunghezza d’onda. Giornalista specializzati nell’informazione medico – scientifica non si nasce, ma si diventa, lavorando sodo e documentandosi. Per la verità, questo tipo d’informazione non è solo una specializzazione del giornalismo, ma un vero e proprio settore della moderna medicina, perché è proprio da questa informazione che dipendono i comportamenti, lo stile di vita, e le scelte di vita comune di ognuno di noi. In pratica, ciò che questo modesto contributo sull’argomento trattato, vuole porre all’attenzione è che la buona informazione contribuisce, nel suo piccolo, a fare buona medicina. La cattiva informazione, invece, aggrava i problemi e danneggia chi si serve dei mezzi di comunicazione, considerati dalla massa una finestra sul mondo. Ciò, infatti, che il pubblico comprende e sa, spesso è attribuibile a ciò che viene scritto sui giornali o ascoltato in televisione. L’informazione medico – scientifica può servire alla salute oppure danneggiarla. Ciò che il pubblico comprende e sa, spesso è attribuibile a ciò che viene scritto sui giornali e ascoltato in televisione. Vale la pena ricordare cosa disse Roberto Gallo, divulgatore scientifico affermato, nel 1985 ad Atlanta, in occasione del primo congresso sull’AIDS. “Dipenderà da voi, – disse a gran voce – il risultato ci sarà se farete un’informazione corretta, utile e non scandalistica”. Un  monito, questo, volto a tenere l’epidemia HIV a freno e sotto controllo. Metodi non soltanto clinici, quindi, ai fini del raggiungimento di tale scopo, non solo Ricerca, ma informazioni corrette fornite dai media. Il fine sortito fu

 

proprio quello: la corretta informazione, a braccetto con la ricerca, frenarono l’epidemia. L’informazione aveva assunto un ruolo educativo e di prevenzione. Il filosofo Karl Popper, in uno dei suoi saggi morali, aveva scritto rivolto ai giornalisti: “Se siete informatori responsabili, siete anche educatori”. Senza dubbio il cittadino più è informato, più è in grado di controllare ciò che influenza la sua salute. Ed infine arrivò in Italia la Carta di Perugia che, nel 1995, fu siglata da medici, giornalisti e psicologi. Un documento, questo, importantissimo sul piano normativo, in quanto fissa alcune regole dell’ informazione medico – scientifica, prima tra tutte una regola sacra, assoluta, inderogabile: il rispetto della sofferenza. Recita, la Carta: “Spesso i giornalisti, presi dall’ansia della notizia, dimenticano ad esempio che la parola imminente in medicina può significare anche 5 o 10 anni. Una notizia di scoperte di cure, forse efficaci, potrebbe produrre speranze prive di fondamento e spingere a spese irrazionali per i cosiddetti viaggi della speranza”.  La Carta di Perugia, a differenza di quello che pensano molti, identificando un centro d’interesse, non è stata scritta a vantaggio di questa o quella professione, ma a favore degli utenti, dando dei punti di riferimento per migliorare la qualità dell’interagire comune. Insomma, ciò che è espresso nel documento rappresenta uno strumento che gli operatori sanitari e quelli dell’informazione, potranno utilizzare per garantire il rispetto dei diritti del cittadino malato e di quello che legge i giornali e guarda la televisione. Attraverso l’interazione, si attivano processi d’integrazione e comunicazione, salvaguardando la reciproca autonomia, ma con gli stessi obiettivi di fondo. D’altronde, come recita l’art. 1 : “sono pregiudiziali in ogni processo di comunicazione la valutazione dell’ interesse generale, il rispetto del diritto del cittadino – paziente alla tutela della propria dignità personale, il diritto del cittadino – utente ad un’informazione corretta e completa.”  Ma è pur vero che, come da disposto ex art. 2, sempre del documento: “ l ‘informazione e la divulgazione devono contenere tutti gli elementi necessari a non creare false aspettative nei malati e negli utenti, e devono essere distinte in maniera evidente e inequivocabile da ogni possibile forma di pubblicità sanitaria”. In sostanza, ciò che si vuole affermare con forza, è che un sistema sanitario moderno deve puntare su un’informazione corretta ed ampia. In passato, parlando del tema, l’allora Ministro della Salute, Girolamo Sirchia, aveva presentato la  Campagna di Educazione sanitaria sui fattori di rischio, con queste parole: “(…) dobbiamo intensificare i programmi di informazione e di educazione sanitaria. I medici e il pubblico devono avere idee chiare su quello che è veramente utile e per chi lo è”. Per il grande pubblico va fatto un lavoro che lo aiuti a capire soprattutto quello che il Sistema Sanitario deve e può dare (…)”. Il rispetto dell’individuo deve essere il perno attorno al quale deve muoversi sia l’informazione sia la medicina[2]. L’informazione nel settore medico, purtroppo, spesso fa registrare fatti preoccupanti. A dimostrarlo il giornalismo che non tiene conto dell’etica è portato a percorrere la strada del sensazionalismo, dello scoop. La notizia viene proclamata, distorta con titoli a sensazione, rischiando di creare illusioni o false speranze, sostanzialmente perché volta ad attirare l’attenzione. In Italia, finisce in prima pagina solo ciò che promette o descrive un miracolo. Questo sensazionalismo, figlio d’inutili e deleteri messaggi promozionali, è frutto di un operatore non specializzato, né preparato sull’argomento, in quanto non in grado di capire le origini e le ragioni della notizia. Egli, difatti, la divulga in modo acritico, prende seriamente,

 

senza riscontro delle fonti ciò che gli viene raccontato, non capendo cosa davvero ci sia in ballo. La notizia viene distorta al punto tale da creare una assurda e grottesca spettacolarizzazione della realtà. Ci si chiede a questo punto: ma l’informazione resa in tal senso informa o disinforma? Certo, se si pensa ai metodi sperimentali come quello Di Bella e Vannoni, dove la comunicazione giornalistica è divenuta emergenza sanitaria, saremmo portati a rispondere, ahimè, affermativamente. Negli anni 90, criticamente, la rivista scientifica americana “The Lancet”[3] sottolineava come, in maniera del tutto anomala, le caratteristiche della tanto criticata cura alternativa delle malattie oncologiche, emergevano esclusivamente attraverso la televisione. Ovviamente non per gli operatori del settore. Difatti, non vi erano altri mezzi che ne parlavano come il medico di famiglia o ricerche scientifiche documentate. I tristemente noti casi di “Malasanità”, spesso ghiotte prede di scoop e d’inutili sensazionalismi, finiscono con il divenire, a causa dell’“informazione”, vere e proprie vetrine mediatiche, squallidi talk show di provincia. Un solo episodio di negligenza medica, finisce, grazie al mezzo informativo, per minare tutta la credibilità della sanità italiana. Basta pensare come notizie spesso non verificate abbiano come comuni denominatori file d’attesa, assenza di controlli di qualità, infezioni ospedaliere, effetti collaterali ed, infine, incurie dei medici. La stampa, ma in genere qualsiasi mezzo divulgativo, finisce per creare una faglia tra una medicina “superiore” è convinta di far miracoli ed una sanità che, in tal modo, non è in grado di mettersi a disposizione del cittadino. L’insuccesso dell’sanitario dipende soprattutto da un buon operato, ma certamente una corretta e dettagliata informazione può attirare importanti consensi. La sanità italiana, spesso, a causa dei media, viene considerata non in grado di conseguire con successo nemmeno gli interventi di routine. Eppure essa viene considerata dalle statistiche, la migliore dopo il Giappone. Lo testimoniano i 10 milioni di ricoveri l’anno, i 4 milioni di interventi, le 600 milioni di ricette rosse e di visite dei medici di base. Tutto questo perché spesso, l’informazione non è dotata di quella cultura e della conoscenza scientifica necessaria per poter discorrere delle sfide che la medicina è costretta ad affrontare ogni giorno. La mancata formazione dei media non li spinge a ricercare cause per l’operato del medico. Pertanto, un errore dello stesso viene dipinto agli occhi dei cittadini “ignoranti (dal latino ignosco = non conoscere) come un caso di malasanità certo. Si esclude, pertanto, a priori che quell’comportamento possa essere frutto di una complicanza o di un evento imprevisto, che ha finito per minare il buon operato medico. Lo scoop della logica colpevolista o il sensazionalismo della malasanità, purtroppo, finiscono inevitabilmente per essere l’unica spiegazione accettabile agli occhi dei più. Troppo spesso s’ignora che la comunicazione di qualità finisce con l’essere un fondamentale punto di raccordo tra il medico ed il paziente. Sicuramente la “buona fama” guida il cittadino a scegliere una struttura sanitaria, piuttosto che un’altra. Questo è inevitabile. L’operatore sanitario deve conoscere il linguaggio comunicativo, i media devono conoscere quello scientifico. La semplificazione delle informazioni può rendere più vicino il medico, la comunicazione semplice ma corretta scientificamente può permettere al media di far comprendere come opera davvero la sanità. Una sana e puntuale informazione non ha il potere, però, certamente di sostituire il medico. Il suo incremento è necessario, però, per poter evitare che sempre più persone ricorrano attraverso le autodiagnosi improvvisate a mezzi come Internet, un “ mare magnum” di idee sballate, improvvisate e soprattutto date senza aver cognizione davvero di ciò di cui si sta discorrendo. Le semplici opinioni, fatte passare come responsi diagnostici non rappresentano, purtroppo, la vera medicina. Troppo spesso, però, proprio i consigli improvvisati finiscono per essere seguiti dai cittadini ignari e questo anche perché non si provvede a fornire un’adeguata informazione. Un altro caso è, invece, quello delle informazioni fornite dalle strutture sanitarie pubbliche e dalle società scientifiche le quali sono degne di considerazioni, ma nella maggior parte dei casi, non essendoci la mediazione della preparazione del medico o del giornalista, non vengono comprese appieno e stravolte nel significato. Ma si sa, l’informazione chiara, precisa ed adeguata costituisce il caposaldo della divulgazione scientifica e della ricerca. I mass media devono una volta per tutte comprendere che destinatario della loro comunicazione non è rappresentata da una massa omogenea. Associazioni di categoria, malati, organi istituzionali, hanno un linguaggio diverso che può essere accomunato solamente dalla chiarezza ed esaustività. A tal proposito, giova enunciare alcuni articoli della Carta di Perugia, già summenzionata, nel quale è più evidenza questo rapporto medico – media- paziente. L’art. 4, per esempio, statuisce che : “(…) è dovere delle fonti fornire al giornalista tutti gli elementi necessari alla compiutezza dell’ informazione, nel rispetto delle norme che regolano sia il segreto professionale che il diritto alla riservatezza del paziente”, a dimostrazione che vi è una sorta di cordone ombelicale tra l’operatore sanitario ed il paziente, il tutto passando per l’intermediazione del giornalista. Non è da meno l’art. 6 il quale dispone: “(…) ogni struttura sanitaria deve dotarsi di strumenti idonei allo sviluppo di un corretto rapporto tra le parti che interagiscono e cioè cittadini, pazienti, sanitari e giornalisti”. Questo a significare che le parti dell’azione sono certamente quest’ultimi: cittadini, pazienti, sanitari e giornalisti. Ma è l’art. 7 quello che chiarisce davvero cosa debba intendersi per informazione adeguata. Lo stesso recita: “ (…) è impegno comune la non diffusione d’informazioni che possano provocare allarmismi, turbative ed ogni possibile distorsione della verità”. Sensazionalismo o voglia di scoop sono eticamente banditi dal comportamento dei professionisti del settore. Infine l’art. 1, il quale in un’ottica di collaborazione, necessaria per una buona comunicazione, dichiara che: “(…) è comune intento ricercare nella prassi la più ampia integrazione possibile dei rispettivi codici deontologici professionali”. Secondo gli ultimi studi, la scarsa ed inadeguata informazione si registra soprattutto nel campi del sapere medico che risulta, anche per gli operatori del settore, angusti e poco noti. Uno tra questi è quello delle malattie rare. Si definiscono malattie rare quelle che colpiscono un numero limitato di persone e, di regola, provocano problemi specifici legati proprio alla loro rarità. Difatti, il limite stabilito in Europa è di una persona affetta su 2.000 e ognuna di loro può essere rara in una regione, ma frequente in un’altra.  Attualmente, ve ne sono all’incirca 7.000 in tutto il mondo, poche sono davvero descritte nei dettagli dalle pubblicazioni scientifiche, in quanto il loro numero dipende soprattutto dal grado di specificità utilizzata nella loro classificazione[4]. In medicina, tuttora, una malattia continua ad essere definita una patologia legata allo stato di salute, presentandosi come una configurazione unica di sintomi ed un’unica cura e dipendendo dal livello di definizione dell’analisi medica e della specificità, semplicità, accuratezza e veridicità di quanto viene esternato, a tal proposito, dall’opinione pubblica. Le poche conoscenze scientifiche e mediche sulle malattie rare, nonché il non adeguato livello di informazione genera allarmismi nelle persone comuni. Per molto tempo, esse sono state ignorate dai medici, dai ricercatori, dalle istituzioni e dagli operatori della comunicazione, e non esistevano fino a pochi anni fa attività scientifiche né politiche finalizzate alla ricerca nel campo delle malattie rare. Per la maggior parte di queste malattie ancora oggi non è disponibile una cura efficace, mentre per quelle più “comuni” non è ancora presente un esaustivo e tecnico livello d’informazione da parte di chi di dovere. In alcuni casi sono stati ottenuti progressi in entrambi i campi, quello medico e quello comunicativo, dimostrando che non bisogna ma arrendersi, ma cooperare al fine di perseguire ed intensificare gli sforzi nella ricerca, nella solidarietà sociale, e nella conoscenza di ciò che davvero accade. E’ proprio questo fa si che le persone affette da queste malattie incontrino tutti le stesse difficoltà nel raggiungere la diagnosi, nell’ottenere informazioni, nel venire orientati verso professionisti competenti. Pertanto, sono ugualmente problematici l’accesso a cure di qualità, la presa in carico sociale, medica e mediatica della malattia, il coordinamento tra le cure ospedaliere e le cure di base, l’autonomia e l’inserimento sociale, professionale e civico. Le persone affette dalle malattie rare dal punto di vista medico e tutto il resto della popolazione, dal punto di vista mediatico, sono più vulnerabili sul piano psicologico, sociale, economico e culturale. Tutte queste difficoltà potrebbero essere facilmente aggirate, attraverso un coordinamento consapevole tra mondo scientifico e mondo mediatico. Senza tale legame le persone affette dalle malattie, in particolare, non si vedono diagnosticati i sintomi e le loro malattie non vengono riconosciute. Quindi, la presa in carico di questi pazienti è per lo più sintomatica. Oggi, possiamo affermare che non solo la scienza medica potrebbe essere in grado di dare delle risposte a delle domande sempre più pressanti ed urgenti[5]. Attualmente oltre un centinaio di queste malattie possono essere diagnosticate attraverso efficaci e moderni test biologico, nonché essere comunicati nella maniera più semplice, tecnicamente corretta ed esaustiva alla maggior parte della popolazione. Le conoscenze sulla storia naturale di queste malattie sono in continuo progresso così come l’efficacia dei più tecnologici mezzi d’informazione. I ricercatori, dal canto loro, lavorano sempre più spesso in rete per condividere i risultati dalle loro ricerche e per progredire più efficacemente. Piano piano il legame tra mondo sanitario e divulgativo cresce, ma ancora tanta strada c’è da fare.

 

Note Bibliografiche

SCHMIDT J. So bleibt man gesund! Gesundheitserziehung in visuellen Medie von 1990 bis 1950, Essen, Die Blaue Eule, 1995.

BUCCHI M. Images of science in the classroom: scientific wallcharts, British Journal for the History of Science, special issue on Art and Science, 1997

ZINCONE G. La salute che noi pensiamo, Bologna, Il Mulino, 1986.

CENSIS G. La domanda di salute in Italia, Milano, F. Angeli, 1989

PETERS, H. P. Mass media a san information channel and pubblic arena. Risk: Health, Safety e Environment, 1994, 5, 241 – 250.

[1] In Italia il concetto di consenso informato è presente nel Codice di Deontologia Medica (art. 40) ed è esplicitamente riconosciuto a livello legislativo per specifici interventi quali la trasfusione di sangue (Legge 107, 1990 e successivo decreto di attuazione, Ministero della Sanità, 15.1.1991.)

[2] PHILIPS, David M. Importance of the lay press in the trasmission medical knowledge to the scientific community. New England Journal of Medicine, 1991, 11 Oct., 1180 – 1183

[3] McCOMBS, MICHAEL; SHAW, David, The agenda setting function of mass media. Pubblic Opinion Quartely, 1972, 36, 176 – 187

[4] BUZZI, Carlo. La salute del futuro, Bologna, Il Mulino, 1994. In atti del V Convegno ANDID, Positive Press, 1995, pp. 90-94

[5] FISCHLER, Claude.  Le corps ingouvernable, ou le complexe alimentaire moderne. Communications, 1993, 56, 207 – 224.

Dott.ssa Filosa Maria Anna

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